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University of Toronto
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y
GERUSALEMME LL
BER ATA DI TORQUATO
TASSO, CON COMMENTO DI SEVE^
RINO FERRARI * nuova edizione
CURATA E RIVEDUTA DA PIETRO PAPJNI ^
CON LE ILLUSTRAZIONI di BERNARDO CASTELLO.
NUOVA TIRATURA.
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G.C. SANSONI - EDITORE - FIRENZE
PROPRIETÀ LETTERARIA
t I I
49-1930. — Firenze, Tip. " L'Arte della Stampa ", Sncc. Landi, Via S. Caterina, 14
AVVERTENZA
PER LA PRESENTE EDIZIONE
Nel curare questa edizione, oltre aver tolto le mende "
che si trovavano nelle stampe precedenti, ho voluto riscon-
trare anche il testo su le edizioni fondamentali del Bonnà
e dell' Osanna e su quella cosi detta critica del Solerti.
Intanto questo riscontro mi ha dato la persuasione che il
lavoro del Solerti, frutto di tanta fatica, è deficiente e da
rifare con maggior diligenza. Oltre errori materiali assai
gravi nel testo, che possono indurre nella credenza che
siano lezioni diverse, l'apparato critico è manchevole e ine-
satto. Ad esempio, vi mancano molte varianti delle priii-
cipali fonti; altre sono mal citate; cosi che lo studioso
finisce col perdere ogni fiducia in questo lavoro; e ognuno
sa che, in tal genere di studi, la fiducia della esattezza e
della completezza è essenziale e indispensabile. L'idea prima
quindi di riferirmi senz'altro al Solerti, tanto più che il
Solerti medesimo dichiara di muovere dai criteri e dalle
fonti dello stesso Ferrari, dovette da me esser messa da
parte. E, volendo correggere le mende del testo, mi fu ne-
cessario riprendere in esame le edizioni del Bonnà e del-
l' Osanna, pur tenendo presente e giovandomene quando
andava sul sicuro, l'edizione del Solerti. Io ho messo a
contributo anche la 3^ ediz. del Bonnà, di cui l'editore dice
che ha avuto nuova revisione e correzione dallo stesso
poeta. E poiché questa terza si accosta più spesso alla
prima che alla seconda delle edizioni già fatte dal Bonnà,
IV AVVERTENZA PER LA PRESENTE EDIZIONE
cosi viene in certo modo a dar credito e a confermare le
lezioni della prima, alla quale per ciò mi sono tenuto an-
che più strettamente, allontanandomene solo quando era
evidente l'errore o la cattiva lezione.
Nel commento ho fatto molti emendamenti, sopra tutto
nelle citazioni, che ho riscontrato accuratamente una per
una: di nuovo quasi niente: appena una diecina di ag-
giunte, dove le ho reputate indispensabili.
E perché il lettore possa giudicare le poche novità del-
l'opera mia, ho creduto doveroso distinguerle con un aste-
risco sia per il testo che per il commento.
In sostanza dunque il lavoro del Ferrari è rimasto
quale egli lo fece; ed era giusto che fosse cosi, perché la
lunga prova sostenuta con tanto buon successo nelle nostre
scuole gli dava bene il diritto di presentarsi a nuovi ci-
menti con rinnovata giovinezza.
A rendere più elegante e più gradevole nella Scuola
il presente volume, si sono riprodotte le illustrazioni di
Bernardo Castelli (Genova, 1590), le più belle che abbia
ispirato il poema Tassesco.
Modena, 20 agosto 1917.
Pietro Papini.
PREFAZIONE
In clie questa ristampa annotata della Gerusalemme sia
diversa dalle altre impresse fino al giorno d'oggi, esporrò
qui brevemente, affinché si possa avere un'idea delle no-
vità clie vi ho introdotte e delle fatiche che vi ho durate.
Prima di tutto ho rinnovata la lezione. Le ristampe
fatte dopo il 1584 seguirono, qual più qual meno fedel-
mente, la lezione che in detto anno usci pei tipi del-
l'Osanna in Mantova; e ad essa ancor più da vicino si
attennero le stampe del nostro secolo, giovandosi della
notizia che quella fosse uscita per le cure di Scipione Gon-
zaga. Io invece ho voluto riprodurre la lezione che due
volte, con qualche varietà, dette in Ferrara nel 1581 ^ il
Ferrarese Febo Bonnà amico del poeta. E ciò perché i
motivi che consigliarono quella dell'Osanna come la mi-
gliore, — i quali furono la già citata autorità del Gonzaga,
e il fatto che ivi la Gerusalemme compariva più chiara e
piana nello stile e con meno stranezze pur nella lingua, —
a me non parevano sufficienti. Si trattava per me di dare
il poema nella forma che meglio rispondeva agli intendi-
menti e al gusto dell'autore, non come meglio a noi o ad
altri pia,cesse; e l'autorità del Gonzaga poi mi era sospetta.
Perché se egli fu certamente quello tra i correttori che più
si permetteva di rifare o di accomodare la Gerusalemme,
come il poeta medesimo ne accerta là dove riconosce ohe
VI PREFAZIONE
i concieri di lui erano alle volte migliori de' suoi ; appar
chiaro che quando dove porsi a procurarne la stampa, egli
fra le varianti lezioni — ed erano molte — inclinasse a
scegliere le più confacenti al suo gusto e, nel caso che
nessuna gli garbasse, dovesse farsi poco scrupolo di sur-
rogare per conto suo.
Tanto per altro non mi sarebbe parso sufficiente per
abbandonare la vulgata, se altre ragioni non si fossero
aggiunte. Ma chi voglia cercare 1' epistolario del poeta
vedrà quanti sieno i luoghi nei quali il Tasso si mostra
premuroso della stampa del Bonnà, laddove dell'altra non
parla; vedrà come il Tasso non si lagni mai, egli si facile
a lagnarsi, della scorrettezza della stessa ; si bene si la-
menti in contrario, perché il Bonnà spenda e spanda a
Parigi, dandosi bello e buon tempo coi danari provenuti
dalle sue fatiche. E chi voglia por mente che alla prima
impressione della Conquistata nel 1593 sovrintese il poeta
ili persona, e che in questa fermò definitivamente la le-
zione; e, paragonandone i luoghi in comune colla Liberata,
vorrà osservare che le più volte la Conquistata legge d'ac-
cordo colle stampe che della Liberata offri il Bonnà, e non
con la stampa dell'Osanna; inferirà meco, spero, che senza
dubbio quelle e non queste riprodussero il poema nella
sua forma genuina e sull'autografo. Che certamente il
Bonnà ebbe l'autografo davanti; quello stesso, credo, che
si trovava presso il duca Alfonso IL Ma perché poi il
Tasso nell'Apologia, uscita nel 1585, volle affermare che
non mai alcuna sua opera era stata messa in luce colla
sua approvazione, e perché egli era infaticabile correttore
de' suoi scritti, e perciò la lezione non può stabilirsi che
in modo approssimativo; io, né solo a sostegno di quanto
son venuto esponendo sulla preferenza che si deve accor-
dare alla stampa che ho seguita, ma ancora perché a chi
meglio piaccia la vulgata possa come riedificarla, ho posto
nelle note le varietà della Conquistata secondo la stampa
principe, e quelle della Liìjerata come si leggono nella ci-
tata stampa dell'Osanna.
PREFAZIONE VII
Il commento. Fra i commentatori, a datare dai con-
temporanei del poeta fino ad oggi, il più ampio, il più
vario, il più sicuro rimane indubbiamente il Guastavini.
Se non che, se il suo commento poteva dirsi quasi senza
lacune o difetti pe'suoi tempi, oggi non potrebbe ben ri-
spondere al bisogno di chi voglia capire pienamente la
Gerusalemme. E dal lato dei riscontri coi poeti latini e
greci, altri già riempirono in tutto, o quasi, le mancanze
di lui, e adoperarono più minute diligenze nelle citazioni ;
ma per quanto concerne le interpretazioni dei passi oscuri
e le illustrazioni di lingua, ben poco fu aggiunto ; e poco
si è avvertito di nuovo sullo stile dopo le osservazioni del
Galilei; più si è fatto, perché più imperioso si faceva sen-
tire il bisogno a mano a mano che ci si allontanava dai
tempi del poeta, nel cercare la verità storica dei perso-
nag2;i e dei fatti, e nel contrapporre i nomi nuovi geogra-
fici agli antichi. Le mie premure adunque dovevano essere
rivolte là dove maggiori mi apparivano i mancamenti.
Non facile impresa certo dichiarare sempre in modo
netto e preciso quel tanto (e non è poco) che nel poeta
appare intricato, maldefinito. oscuro.
Impresa non facile certo, principalmente perché alla
chiara interpretazione si opponevano le difficoltà della lin-
gua e i viluppi dello stile, ove maggiormente il Tasso in-
novò e peccò. Bisognava rendersi conto della lingua di-
stricandola dai contorcimenti stilistici, per alla fìtie rica-
varne spesse volte un concettino arguto, una immaginetta
lambiccata ! Si badi bene : il Tasso facendo suo il precetto
greco, che poi fu si caro al Seicento, che obbligo e fine
della poesia fosse la meraviglia, volle ciò inteso non solo
per la parte grande della invenzione e della fantasia, ma
ancora per la veste esteriore.
Ora in una letteratura che annoverava la Commedia,
il Canzoniere, il Decamerone e il Furioso, e i nuovi poemi
cavallereschi o eroici, originali o di traduzione, per chi
volesse cantare le armi e gli amori, trovar modo di mara-
vigliare e ferm£|,re l'attenzioiie di tutti, non doveva tornar
Vin PREFAZTONE
facile. Lo forme © i modi poetici del dire erano in mas-
sima parte già stati trovati e a perfezione nel Trecento.
I nuovi atteggiamenti che si potevano introdurre avevano
già trovato posto massime nel Furioso : e quasi il tutto era
stato poi ripetuto e su tutti i tuoni, e fino alla sazietà,
lungo il bellissimo ed adorno ma poco originale Cinque-
cento: e l'abitudine togliendo a mano a mano la novità
alle cose, cbe sino allora erano apparse originali, aveva
finito col togliere pure la maraviglia.
Il Tasso accettando che la lingua poetica doveva rica-
varsi quasi esclusivamente dai poeti, si era aperta, è vero,
una strada per rinfrescare quel tanto che ora rimaneva di
non più ripreso degli antichi ; ma oltre che non era gran
cosa, questa parte era per l'appunto — e ciò a lui pareva
un bene — la meno popolare, la meno spontanea, e quasi
sempre ìa più strana : e se co' suoi criteri sulla lingua po-
teva attingere ancora largamente dal latino, si correva il
rischio di cadere, come talvolta cadde, nel pedantesco. A
voler fare un poema moderno, — dico moderno, perché
il soggetto della Gerusalemme, benché contasse più secoli,
nelle condizioni politiche e religiose di quel tempo, ap-
parve tale, — occorreva di più l'uso ricco e largo della
lingua che era comune, se non altro alla poesia. Né le si
poteva "dar novità che adoperandola ne' suoi sensi meno
usitati 0 innestandole nuovi significati. Egli vi si provò;
né sempre riusci felicemente; ancora perché non sempre
ebbe facile la rima. Cosi volendo rinnovare oltre alla lin-
gua gli atteggiamenti dello stile, e far parere nuove im-
magini vecchie, gli fu forza togliere dagli antichi e dai
moderni tutte le arditezze, e le licenze, e i falsi barocchi-
smi talvolta, e analizzare, ampliare, disporre diversamente
quanto altri aveva già brevemente e puramente delineato:
poi, più che usarne ne abusò.
Ogni pruno diventò siepe. I giuochi di parole, gli ar-
diti traslati, magari le parole coniate di nuovo, non si ri-
scontrano negli antichi? le allitterazioni non furono pur
r^are a Virgilio e a Dante? Mancano i concettini arguti.
PREFAZIONE IX
le immagini ricercate, preziose, talvolta strampalate nel
Petrarca e nell'Ariosto? Or bene il Tasso ne fece incetta,
per cosi esprimermi : quindi, come ho accennato, sparse a
piene mani nella sua Gerusalemme quanto del genere si
trovava disseminato con parsimonia in più opere e in più
poeti. Debbo ciò non di meno osservare che maggiormente
esagerò ed abbondò di tali rarità in quelle parti che egli
chiamò oziose, che sono per avventura le più liriche : come
l'episodio di Olindo e Sofronia, i lamenti di Erminia, di
Tancredi, di Armida allettatrice, e gli amori di lei con
Einaldo ecc. ; nelle altre parti fu più parco e severo, più
casto, vorrei dire. E ciò fece a bella posta, ragionandoci
sopra, e sforzato qui più che altrove dal tempo. E si ca-
pisce: le sue teoriche trovarono maggiormente di che eser-
citarsi nella poesia amorosa, perché in essa i tempi suoi
sentivano maggiore il bisogno di novità, ristucchi delle
imitazioni petrarchesche. Ridire ciò che aveva detto il Pe-
trarca, e nei modi con che egli lo aveva detto, ripeto che
non doveva più far colpo su nessuno. Chiamare calda neve
la carne era cosa stravecchia; ma si poteva ottener l'inu-
sitato distinguendo destramente e contrapponendo il freddo
e il caldo, e facendo si che le nevi del petto creassero il
fuoco dell'amore: e se breve per picciolo era del Petrarca,
e minuti per sottili del Cavalcanti, si poteva mostrar no-
vità coll'usare più spesso tali parole, o collocando l'una
prossima all'altra, o campandole in modo appariscente. E
quante diligenze io abbia dovuto usare per ricercare gli
esempi e le origini e i sensi di molte locuzioni preziose
e oscure, vedrà il lettore.
Altre più che difficoltà fatiche materiali, e difficoltà
vere che per faticare non sempre si vincono, mi sorsero
contro nella parte storica del commento. E nascevano dal
fatto che io mi ero proposto di avvertire: - 1) donde il
Tasso avesse derivato la parte storica; - 2) se egli consa-
pevole o no, si era allontanato dalla storia creduta vera
al suo tempo per obbedire alle esigenze della poesia e del-
l'indole sua; - 3) se, in fine, essendo correttamente va-
PREFAZIONE
race secondo gli storici d'allora, rimaneva pur tale ai
giorni nostri.
Premesso che in questa parte del commento più che
nelle altre rimane ancora molto da fare, espongo quanto
ho fatto. Quelle che io ho chiamate fatiche materiali con-
sistevano le più nel risolvere il primo punto sopra indi-
cato; cioè nel fermare quanto per la tessitura e per le in-
venzioni parziali del poema egli avesse attinto dagli sto-
rici delle crociate, e specialmente da G-aglielmo Tirio, prin-
cipe di quelli. Il Gruastavini porgeva in questo grande
aiuto;- sicché mi fu facile sotto la sua guida rintracciare
le cose di più momento e porle o avvertirle in nota; porle
0 avvertirle, a seconda che il Tasso imitava o traduceva:
traduceva, s'intende, come sanno e voglion tradurre i poeti,
che la poesia non è storia. Dal Tirio adunque principal-
mente egli derivò quanto di storico è nella Grerusalemme;
ma in quali limiti? in che modo o con quali intendimenti?
e gli fu fedele?
/' Il titolo che il Tasso impose dopo lungo tergiversare
al poema - Gerusalemme liberata - o meglio - conquistata -
mostra chiaro che egli dagli storici volle derivare il fatto,
la favola, l'argomento del poema, che è la liberazione della
santa città. Perciò quanto di più prettamente storico si
trova nella Gerusalemme, è ciò che soffre, che opera,
che compie l'esercito cristiano preso nel suo insieme, come
un tutto, come uu personaggio solo. Ma per quello che ri-
guarda i personaggi singoli, presi ad uno ad uno, è un
caso differente. Perché i personaggi della poesia se storici,
possono storici dirsi o in quanto compiono quelle date
imprese delle quali furono realmente detti autori, o in
quanto corrispondono per le loro passioni, pei loro difetti,
pei loro pregi, per il loro carattere, per la parte psicolo-
gica insomma, come oggi si direbbe, al modo con che leg-
gendo la storia noi ce li figuriamo.
Ma quale dei personaggi visti dal Tasso nelle regioni
luminose della sua fantasia risponde all' idea che di essi
ci siamo formata leggendo i cronisti? Goffredo si: Goffredo
PREFAZIONE XI
è nella Gerusalemme dipinto presso a poco come da essi.
Ma il Tasso, io penso, giunse a darcelo cosi vero, non
tanto perché attingesse o si inspirasse alla verità storica;
quanto perché lo ideò e lo volle simile al tipo classico
d' Enea. Ora per avventura Goffredo in quella parte della
sua vita che spese in terra santa ove mori vincitore, fu
per l'appunto rappresentato dai cronisti in tutto di senti-
menti e di virtù simile all'eroe virgiliano ; e cosi accadde
che il Tasso, imitando un tipo ideale, si trovasse poi pie-
namente d'accordo colla realtà.
Ma Tancredi, in che, di grazia, risponde al tipo del-
l'eroe di cui porta il nome, e di cui sono pieni i racconti
della prima crociata? Cambiategli nome, ditelo d'altra
schiatta che normanno, e, tolti pochi accenni ai fatti che
in effetto operò, voi vi accorgerete che è personaggio pu-
ramente fittizio. E r ideale del cavaliero cristiano come
poteva essere vagheggiato da un poeta della seconda metà
del Cinquecento ; ma dell' uomo del Cinquecento Tancredi
ha pure in sé tutte le debolezze, i languori, le femmini-
lità, che ondeggiavano nel cuore del Tasso. Non mai la
storia soffri offesa più grande, - bella offesa del rima-
nente. Il Tancredi feroce, pronto alle risse, che solamente
è là dove si pugna per la fede, per l'onore, per la con-
quista diciamo pure, resta tuttavia nel poema un pio, un
indomito e fedele guerriero, ma nell'animo suo l'amore con-
trappesa se non vince gli altri sentimenti. In fondo in
fondo, Armida che sembra personaggio di pura invenzione,
in quanto è donna non maga, e donna saracina, è più pos-
sibilmente storica di Tancredi ; giacché ha per fondamento
l'asserzione di quanti narrarono che le donne saracine strin-
sero nei loro vezzi e nelle violenze dei loro amori i cava-
lieri cristiani, si che li distornarono dalla impresa.
Venendo da ultimo a dire del modo con che ho anno-
tato quei luoghi nei quali il Tasso è, secondo i suoi tempi,
storicamente verace, perché né consapevolmente né incon-
sapevolmente si diparti mai da' cronisti che gli eran guida,
- alludo precipuamente al canto xvii ove dietro al Pigna
XII PREFAZIONE
Darrò le origini e le glorie degli Estensi ; - basti avver-
tire solamente che io ho indicati, e, abbisognando, ripor-
tati i passi che ebbe dinanzi ; ma di più, quando ho po-
tuto, ho indicato a pie di pagina se le cose stiano al giorno
d'oggi come le disse il poeta, o altrimenti.
Molto intricata davvero oggi pure, in tanto lume di
critica, la verità sulle origini e sulle imprese dei primi si-
gnori da Este ; come pure non sempre riesce facile riscon-
trare colle moderne le notizie della geografìa antica quali
furono esposte dal Tasso. Pure ancora queste diligenze (e
avrei desiderato far più) gli ho voluto usare. Perché queste
e ben altre migliori fatiche se le meritava in vero il poeta
che da tre secoli è il più popolare d' Italia. Settentrionale
d'origine, meridionale di nascita, egli rispecchiò nella sua
poesia i difetti e i pregi affettivi e melodici dei due po-
poli. E se i casi di Tancredi e del Circasso duellanti, e di
Erminia innamorata e di Armida vezzosa e astuta maga
e donna a un tempo, risuonano ancora incantevoli per la
laguna, o raccorciano col diletto le lunghe veglie invernali
ai carbonari dell'Appennino ; porgono non minore materia
di affetti e di commozione al popolo di Palermo, sia che
li applauda nei piccoli teatri ove non entra che il popolo,
sia che gli ammiri quando gli passano dinanzi dipinti sui
carretti che numerosi e rumorosi percorrono le lunghe vie
della bella città.
Modena, 1890.
S. F.
STAMPE CITATE
" BoN.i — Gerusalemme liberata, in Ferrara, per Vittorio Baldini 1581.
Sotto la dedicatoria è la data del 24 giugno; curata da Febo Bonnà (in-4»).
BoN.2 — Ristampa fatta dal medesimo Bonnà, in Ferrara, appresso gli
Heredi di Francesco de' Rossi: usci nello stesso anno 1581, il 20 di luglio,
me appare dalla dedicatoria (in-4o).
Os. — Questa stampa della Liberata^ uscita in Mantova, per Francesco
Osanna, 1584 (in-4«>), sì vuole curata da Scipione Gonzaga.
CoNQ. — Gerusalemme Conquistata. In Roma, 1593 (in-4°).
BoN.3 — Ristampa fatta dallo stesso Bonnà in Ferrara, appresso Ca-
gnacini e fratelli, 1585.
Solerti, Gerusalemme liberata^ Firenze, 1895.
ABBREVIATURE
DELLE OPERE CITATE IN QUESTO COMMENTO
Beni. — Comparazione di T. T. con Omero e
Virgilio^ insieme con la difesa dell'Ariosto,
paragonato ad Omero, di Paolo Beni. In Pa-
dova, per Battista Martini, 1612.
BiragO. — Dichiarazioni et avvertimenti poetici,
istorici, politici, cavallereschi e morali del
signor Francesco Birago nella Gerusalemme
Conquistata del signor T. T. In Milano. Ap-
presso Benedetto Somasco, m.d.c.xvi.
arbone. — La Gerusalemme liber. per cura di
Domenico Carbone. Nona edizione stereotipa.
Firenze, Barbèra, 1888.
Camerini. — La Gerusalemme liber. per cura di
Eugenio Camerini. Milano,
Casini. — Manuale di letteratura italiana ad uso
delle scuole. Voi, I. Firenze, Sansoni, 1886.
Ferrari e Straccali. — Questa edizione delle
Stanze scelte della Gerusalemme Liberata. Bo-
logna, Zanichelli, 1896, non si cita nelle note ;
ma qui le ho voluto dar posto per ricordare
la parte che vi ebbe l'amico mio Alfredo
Straccali.
Galilei. — Considerazioni al Tasso, Cito la più
recente ristampa, negli : Scritti di critica
letteraria, raccolti ed annotati per uso delle
scuole da Enrico Mestica. Torino, Loescher,
GnsstaTlnl. — Discorsi ed annotationi di Giulio
Guastavini. Pavia, 1595.
Gentile (Gentili). — Annotationi di Scipio Gen-
tili. Leida, 1586.
Gugl. Tir. — Guglielmo Tirio. Historia belli
sacri verissima. Si sono avute sott'occhio la
stampa di Basilea 1564, e l'altra uscita nella
stessa città, 1559.
Mella. — La Gerusalemme Liber. illustrata dal
•prof. G. Arborio Mella. Edizione quarta, To-
rino, Marietti, 1879.
Mazz. e Pad. — Annotazioni di G. Mazzatinti e
G. Padovan alle Stanze scelte della Gerusa-
lemme Liberata, ad uso delle scuole. Torino,
Loescher, (885.
Novara. — Novara Andrea. La Gerusalemme li-
berata annotata per uso delle scuole (i primi
4 canti). Torino, Fenocchio, 1885.
Scartazzinl. — La Gerusalemme liber. per cura di
G. Scarlazzini. Seconda ediz. Leipzig, 1882.
Tasso. — La Lettere, il Giudizio sovra la sua
Gerusalemme da lui medesimo ri/ormata, VA-
pologia del poema, i Discorsi sul poema eroi-
co, si citano secondo le ristampe curate dal
Guasti, pei tipi del Lemonnier, Firenze (Le
Lettere tra il 1852 e il 55; le altre opere mi-
nori, col titolo di Prose diverse, nel 1875).
CANTO I
Pfotasi del poema -^
Narrazione -^ Dio ri-
mira r esercito cristiano
in Tortosa e manda Ga-
briele a Goffredo ^ Con-
gresso dei principi -jAr Ar-
ringa di Pietro Eremita
i»^ Goffredo eletto capo
dell'impresa ^ Rassegna
del campo cristiano -^
Ambasciatori spediti a
Costantinopoli a solleci-
tare i soccorsi dell'im-
peratore e la venuta del
principe de' Dani ^ Uè-
sercito muove verso Ge-
rusalemme -jAf La flotta
if Aladino : suoi pre-
parativi e sue insidie -jàr
La Oerusalenirtie pensata in Padova nel
1562, cominciata nel '63 a Bologna, nel '66
(cfr. Epistolario : Leti. 6) era già condotta
al sesto canto. Terminata nei primi del '75,
fu dal T. mandata a Roma a Scipione Gon-
zaga perché la rivedesse. Il Gonzaga prese
a compagni nella revisione Pier Angelio,
detto il Barga dal nome della sua patria;
Flaminio de Nobili, lucchese; fcsilvio Auto-
niano.poi cardinale; e ^^perone Speroni: nei
primi del '76 la revisione fu finita, e il T.
pensava alla stampa; ma poi non vide la
luce integralmente che nell"81 (nel '79 era
uscito il solo e. tv; e nelP'SO erano stati im-
pressi solamente canti xiv fra i primi xvi,
con molte lacune e strapazzi). Da prima vo-
leva intitolarla Gottifredo, e sotto il nome
di Goffredo, titolo che a molti letterati al-
lora meglio piacque, comparve in parecchie
stampe; ma poi tini col chiamarla Gieru-
saletnme Conquistata, come si può vedere
nella Lett. 216; l'aggiunto Liberata non lo
soddisfece giammai {Le.tt. 220). Tuttavia il
nome di Liberata rimase alla prima forma
del poema che dette la gloria al Tasso; e
quello di Conquistata al rifacimento che fu
compiuto e stampato nel 1593.
Il soggetto del poema, al dire del Tasso
medesimo {Giudizio sopra la Gerusalemme
Rirormata), è V espugnazione di Gerusa-
lemme. Fu simile ad Omero in ciò, che non
trattò tutta la guerra, ma una parte sol-
tanto; ed in questo dissimile, che quegli
non cantò la caduta di Troia, mentre il No-
stro elesse l'espugnazione di Gerusalemme
« per soggetto del òtto poema e della sua
azione, e accampò, per cosi dire, in questa
fatica tutte le forze del suo ingegno e del-
l'artificio ». Quindi la Gerusalemme ha ri-
gorosa unità di favola, la quale, secondo
le idee del T., non é rotta dalle molte azioni
e dalle molte persone, che anzi le contiene;
e non è determinata dall'unità del luogo e
del tempo, ma dipende dall'unità della for*
1 — Tasso, (Jerusaleviìne liberata.
GERUSALEMME LIBERATA
Canto Tarme pietose e '1 Capitano
Che'l gran sepolcro liberò di Cristo:
ma e del fiue [Cfr. ancora : Lelt. 25, 32, 38,
39, 60, 75, 82]; ed ha ancora unità d'agente
perché «i molti cavalieri sono considerati
nel poema come membra d'un corpo, del
quale è capo GofiFredo, Rinaldo destra »
[Leu. 25].
1. Proposizione. Il T. era in dubbio (Lett.
49) se fosse meglio modificare i primi 4 versi
cosi: «L'armi pietose e i cavalieri i' canto,
Che de la croce si segnar di Cristo; Quau-
t'operar sotto Goffredo e quanto Seco sof-
frir nel glorioso acquisto ». — 1, Canto ecc.
Virgilio, Aen., i 5: « Arma virumque ca-
no ...,». — pietose : devote, religiose. Ricorda
in Virgilio il « plus Aeneas », e il « parce
pias scelerare manus ». — Capitano : Gof-
fredo di Bouillon, duca della Bassa Lorena.
Nacque circa il 1058 a Baysj-, o Bezy, vil-
laggio del Brabante Vallone, da Eustachio
conte di Boulogne e da Ida figliuola di Gof-
fredo il Barbuto. Nel lo76 si vide togliere
la bassa Lorena da Arrigo IV; poi Alberto
conte di Namur minacciò di torgli ancora
il ducato di Buglioue. Contro costui prima
difese la città costringendolo a levar l'as-
sedio, poi lo abbatté in singoiar duello in
campo chiuso. Militò indi sotto Arrigo IV
contro Gregorio VII, e fu il primo che sotto
di lui entrasse in Roma. 1- gli, sui campi di
Voltseim, uccise coli' asta del gonfalone
Rodolfo di Rhinfeld, che il papa aveva no-
minato Cesare dopo aver deposto Arrigo IV;
pei quali servigi esso Arrigo gli restituì la
Bassa Lorena. Quasi ad ammenJa di aver
parteggiato per lo scisma, crociatosi nel 1095
fra i primi al concilio di Chiaramonte, parti,
l'anno di poi, con forte nerbo di soldati fran-
cesi, lorenesi, e tedeschi, alla conquista di
Terra Santa. A Costantinopoli fu raggiunto
da altre spedizioni, con l'aiuto delle quali
potè impadronirsi, nel luglio del 1099, di
Gerusalemme, e vi fu acclamato re. I cro-
nisti e i primi storici delle crociate non con-
siderano che questa seconda parte della vita
di Goffredo, dove pare che incarni il tipo
del x>ius Aeneas, al quale il T., anche per
ragioni artistiche, lo volle sempre più av-
vicinare [Lett. 60: «sol Goffredo in tutto
buono e pio ci vien - dagli .storici - rappre-
sentalo »]. Guglielmo Tirio, a cui il T. spes-
sissimo s'ispirò, lo dice {Histjrla belli sa.
cri ecc. 1 17): « strenuus et insignis », e (ix 5):
«virreligiosusclemens piusac timensDeum,
iustus, recedens ab orani malo, serius et
stab^ilis in verbo, seculi vanitates contem-
nens; quod in iìla aetate et militari prae-
sertim professióne rarum est ....et Deo pia-
cens ». Lo dice poi di bella statura, fortis-
Molto egli oprò co'l senno e con la mano:
Molto soffri nel glorioso acquisto:
E in vau l'Inferno vi s'oppose, e in vano
S'armò d'Asia e di Libia il popol misto;
11 Ciel gli die favore, e sotto a i santi
Segni ridusse i suoi compagni erranti.
2
0 Musa, tu che di caduchi allori
Simo, largo di petto, vago nel viso, di pelo
tendente al rosso, e al giudizio di tutti, quasi
! unico nell'esercizio delle armi e nell'arte
i militare. — 3. Dante, di Guidoguerra, Inf.
XVI 39: «Fece col senno assai e colla spa-
da». — 4, soffri: Tasso (Lett. cit.) : < sotto
questa voce vengono l'arti diaboliche, e
l'armi pagane, e insomma tutti gli episodi
a stornamento dell' impresa », cioè la mu-
tazione della fortuna: anche Omero nel-
VOdissea dice che Ulisse fece e pati, &Virg.,
Aen. I 1-6, dopo aver premesso che dirà
dell'eroe che venne in Italia, aggiunge che
molto fu sbattuto per terra e per mare, e
inolio a7i Cora sofferse in guerra. — acnui'
sto: «Questa parola (continua il T.) era cosi
assolutamente detta da tutti gli storici an-
tichi; idest, Giovanni Villani, Matteo ecc.
che dicono : Passò a la conquista, inten-
dendo di Terra Santa ». — 5. tì: Os, a lui.
— 6. Libia : il poeta 'Lett. 88), seguendo Tolo-
meo, fa della Libia la terza parte del mondo ;
l'Africa sarebbe stata una parte di essa,
comprendente il territorio di Cartagine. —
7. 11 Ciel: Os. Che'l Ciel. — Il Galilei nota
che i versi 7-8 sono « un particolare spic-
cato delle cose precedenti »; la conclusione
logica sarebbe « Il cielo gh die favore, ed
egli adorò la gran tomba e sciolse il voto ».
Cosi come sono, voglion dire che Goffredo
coU'aiuto del cielo potè riunire sotto il segno
della croce i suoi compagni distratti {eì^-
ranti) continuamente in altre imprese, onde
ebbe poi modo di condurli al termine pre-
fisso. Secondo la nostra lez. questo concetto
viene ad essere ancora più disgiunto dal
precedente: il T. {Lett. 47) riconosce che il
parlar disgiunto « cioè, quello che si lega
più tosto per l'unione e dipendenza de' sensi,
che per copula o altra congiunzione di pa-
role » è imperfezione quando Sd ne abusi:
attribuisce questo suo difetto allo studio
continuo di Virg., il poema del quale fu
chiamato da Caligola arena senza calce.
— santi Segni: Mazzatinti e Padovan: «'per-
che nel vessillo dei combattenti cristiani
stava dipinta la croce ; cfr. i 72, ix 92, xi 5».
2. Invocazione: alcuni credettero alla Ver-
gine, altri ad Urania, celeste intelligenza.
Sto con questi ultimi. Il Tasso nella Lett. 1549
scrive: « Ma s'in cielo vi sono le musiche
proporzioni, conviene che vi siano le Muse;
ma vi sono senza fallo, perché il mondo
CANTO I
Non circondi la fronte in Elicona,
Ma su nel cielo in Ira i beati cori
Hai di stelle immortali aurea corona,
Tu spira al petto mio celesti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona
S' intesso fregi al ver, s'adorno in parte
D'altri diletti, che de' tuoi, le carte.
à
Sai che là corre il mondo, ove più versi
Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso;
E che'l vero concito in molli versi,
I più schivi allettando ha persiiaso :
Cosi a l'egro fanciul porgiamo aspersi
Di soavi licor gli orli del vaso:
Succhi amari ingannato intanto ci beve,
E da l'inganno suo vita riceve.
4
Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
tutto è composto con musica armonia »;
nella Canz. in lode di D. Carlo Gesualdo:
«Musa, tu che dal cielo il nome prendi, E
corone hai lassù di stelle e d' oro, Non sol
di verde alloro Cingi iu Parnaso la serena
fronte >: e nei Discorsi del poema eroico,
lib. iv: < Sarà lecito al poeta cristiano in-
vocare la mente e le intelligenze, imperoc-
ché le Muse non furono credute altro che
intelligenze ». — 1. caduchi : «E proprio ca-
duca la cosa che nel suo liorire cade», se-
condo l'Ottimo nei Comm. al Paradiso.—
7. fregi: qui, in generale tutti gli ornamenti
che fanno da cornice al vero. — 8. altri di-
letti: gli amori particolarmente.
3, 1. Tersi: sparga. — 2. lus. Parn.: la
poesia che sa dilettare. — 3. condito: detto
metafor. per ammannito e reso piacente in
dolci versi. Petrarca, sest. Mia benigna
torturi. 19: « Già mi fu col desir si dolce il
pianto Che condia di dolcezza ogni aspro
stile ». * Ma quello del Tasso è uso un po' di-
verso, e non ha esempì. — 5-8. Lucrezio,
De ver. nat. i 936: « b^ed veluti pueris ab-
sinthia taetra medentes Cum dare conantur,
prius oras, pocula circum, Contingunt mel-
lis dulci flavoque liquore ecc.»: il Tasso
cita al proposito questi versi nel Giudiz.
sovra la Riform.; e in una lettera (259)
scrive: « la mia [intenzione] non fu cattiva,
né dissimile a quella di quei medici, che
ungevano di mèle la bocca del vaso, nel
quale si dava la medicina ».
4. Dedica: ad Alfonso II duca di Ferrara,
salito al trono nel 1559, morto nel '97; ultimo
duca estense che governasse su Ferrara.
Nella Conquistata la dedica è a Cinzio Aldo-
brandini, nipote di Clemente Vili. — 1. Tu
ecc.: In un'ode ad Alfonso: « te che da l'esi-
gilo Primo in nobil riposo Mi raccogliesti
nel reale albergo ». Cfr. Aminta., att. I, se.
2.: « E come volse il ciel benigno a caso ecc. »
Al furor di fortuna e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scogli
E fra Tonde agitato e quasi absorto,
Queste mie carte in lieta fronte accogli,
Che quasi in vóto a te sacrate i' porto.
Forse un di fìa che la presaga penna
Osi scriver di te quel ch'or n'accenna.
♦ 5
E ben ragion, s' egli avverrà ch'in pace
Il buon popol di Cristo unqua si veda,
E con navi e cavalli al fero Trace
Cerchi ritor la grande ingiusta preda,
Ch'a te lo scettro in terra, o, se ti piace,
L'alto imperio de' mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carrai
In tanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi.
6
Già'l sesto anno volgea, ch'in oriente
— 2. fortuna: nel senso latino di procella. —
3. e fra: Os. infra. — A. absorto, dal latino
absorhère, assorbire, si dice dell'acqua (cfr.
Ariosto, Ori. xiv 6). Il Nostro abusa di lati-
nismi, a bella posta, perché a lui pareva
dessero maggior dignità al poema: Lett.^'i:
« Dubito ancora di non essere alquanto licen-
zioso ne le voci latine, però quelle voci che
si potranno tor via senza scemar la maestà,
sarà ben fatto che si tolgano ». — 7. presaga
penna: penna che fin d'ora sa le tue glorie
future e le addita. Il presago congiunge
questa stanza alla seguente.
6. Esprime, come da molto tempo era de-
siderio od uso nei poeti italiani, la speranza
di una nuova crociata: presagisce che Al-
fonso ne sarà duce di terra o di mare. Pe-
trarca, Trionf. Fam. ii 142: «Ite superbi, o
miseri cristiani, Consumando l'uu l'altro, e
non vi caglia Che '1 sepolcro di Cristo è in
man de' cani ». — 2. unqua: una volta, mai:
latinismo caduto oggi pur dalla lingua poe-
tica. — 3. Trace: Turco ; chiama traci i tur-
chi perché avevano occupata l'antica Tracia,
e fin dal 1453 avevano posto la sede di loro
impero in Costantinopoli. — 6. a te: Os. altri.
6, 1. sesto: Veramente il terzo. Esponga
il Tasso medesimo perché dica il sesto {Giu-
diz. sovr. la Riform.): «Io diedi il prin-
cipio al mio poema dal sesto anno dell'im-
presa, tacendo, fino al suo luogo, quel che
negli anni precedenti era avvenuto; i quali
secondo una parte degli istorici non furono
sei, ma due solamente, perché nel terz'anno
l'esercito de' cristiani s'inviò all'espugna-
zione di Gerusalemme; ma io ho voluto ac-
crescere le fatiche ed i pericoli de l'im-
presa, con quell'arte dimostrata da Plutar-
co, la qual s'usa nell'accrescere la verità ».
Colla stessa libertà egli pose nel 1099 la
grande battaglia cogli Egizi, che segui solo
di poi. Cfr. e. IX 1 nota. — volgea: andava
GERLTSALEMME LIBERATA
Passò il campo cristiano a l'alta impresa;
E Nicea per assalto, e la potente
Antiochia con arte avea già presa;
L'aveaposciainbattaglia.in centra gente
Di Persia iunumerabile, difesa;
E Tortosa espugnata: indi a la rea
Stagion die loco, e'I novo anno attendea.
E'I fine omai di quel piovoso inverno,
Che fea l'arme cessar, luuge non era;
Quando da l'alto soglio il Padre Eterno.
Ch'è ne la parte più del ciel sincera,
E quanto è da le stelle al basso inferno,
Tantoèpiù in su de la stellata spera,
compiendosi: è il virgiliano « in se sua per
vestigia volvitur annus », già usato dal Pe-
trarca, s n. Padre del ciel 9. « Or volge,
signor mio, T undecim' anno ». — 3. Mcea :
in Bitinia. Non si arrese per assalto, ma per
capitolazione, e ad Alessi imperatore di
Costantinopoli. Per altro i cristiani l'ave-
vano costretta a questo, in séguito a parec-
chi assalti; e per assalto l'avevano presa
già i tedeschi che erano coir Eremita nella
prima spediz.; ma prima dell'arrivo di Gof-
fredo era ricaduta in potere di Solimano.
— 4. Antiochia: Nella Siria, dove confina
colla Palestina. Descritta come fortissima
dai cronisti, fu la città che oppose maggior
resistenza ai cristiani. — con arte: fu presa
nel Ì09S pel tradimento di un cristiano rin-
negato accordatosi con Boemondo. Gugl.
Tirio vi spende intorno molti capitoli del
V e del VI libro. — 5-6. gente Di Persia: i
Persiani erano condotti da Corbatag, gene-
rale di quell'imperatore; e furono sconfitti
sotto Antiochia, cfr. Gugl. Tir., vi 2l. — 7.
Tortosa: antic. si chiamò Antharadus,'^oì
Costantina; al tempo dei crociati facea
parte della contea di Tripoli di Siria, e si
chiamava, come oggi, Tortosa, — In questo
luogo è l'esercito cristiano al cominciare
dell'azione nel poema: secondo la storia si
radunò invece presso Cesarea: e Cesarea
pose il T. in vece di Tortosa nella Conquisi.
— rea Stagioni l'inverno. —8 die loco: la-
sciò si sfogasse. — * noTO anno, la nuova
stagione; anno è usato alla latina: cfr.
stanza seg., dove si accenna alla vegnente
primavera.
7. 2. cessar: sospendere. — L'azione co-
mincia adunque al principio di primavera:
dura un'intera stagione (cfr. Tasso, Giudiz.
sovra la Riform.). — 3. Quando ecc.: cfr.
Virg., Aen. i 223. — 4. sincera: pura. Dante,
Par. VII 130: « Oli Angeli, frate, e il paese
sincero Nel qual tu se' ». — 5-6. Intendi: Ed
è tanto più su della sfera ove sono le stelle,
cioè della volta stellata {o dell'ottavo cielo
delle stelle fisse), quanto le stelle distano
Gli occhi in gin volse, e in un sol punto, e in
"^una
Vista mirò ciò cb'in sé il mondo aduna.
8
Mirò tutte le cose, ed in Soria
S'afiSssò poi ne'principi cristiani;
E con quel guardo suo ch'a dentro spia
Nel più secreto ior gli affetti umani,
Vide Goffredo che scacciar desia
De la santa città gli empi Pagani,
E pien di fé, di zelo, ogni mortale
Gloria, imperio, tesor mette in non cale.
9
Ma vede in Baldovin cupido ingegno,
Ch'a l'umane grandezze intento aspira:
Vede Traucredi aver la vita a sdegno.
dal centro della terra. — Il Guastavini ri-
corda Omero nell'ottavo deìV Iliade: «quel-
lo, prendendolo, caccierò nel tartaro oscu-
ro, — ben lontano, ove profondamente sotto
terra é il baratro.... Tanto da basso dell'in-
ferno, quanto il cielo è sopra la terra»; cfr.
I Virg., Aen. vi 577. — 7-8. in ana Tista ecc.:
1 con un solo volger d'occhi, * con una sola-
: occhiata.
1 8, 1. Soria: oggi Siria. —5. Vide: Os.Vede.
! — 8. mette in non cale: non cura. Petrarca,
I canz. Qiieiran'iquo mio dolo. 33: cPer una
donna ho messo Egualmente in non cale
ogni penserò ».
9, 1. BaldoTin: fratello del duce Goffre-
do ; presa Antiochia, fu signore della con-
{ tea d'Edessa. Morto Goffredo, ebbe il regno
di Gerusalemme. Continuando la guerra con.
tro gli Egizi nel 1110 prese la Tolemaide e
Tripoli, mori nel 1118. Il T. al solito, seguita
! Gugl. Tirio; l'aolo Emilio (La sacra ini-
I presa ecc.\ invece, dice che Baldovino ed
i Eustazio nella vita privata erano come ve-
[ scovi della Chiesa primitiva. — 3. Tancredi :
normanno di sangue, italiano di nascita,
figlio di Odone il Buono e di Emma sorella
del Guiscardo, seguitò il cugino (secondo
Gugl. Tir., lo zio) Boemondo, che or ora
vedremo, nella crociata, con ventimila uo-
mini (secondo P. Emilio) di Puglia, di Ca-
labria e di Sicilia, ai quali si unirono molti
altri della gioventù italiana. Riportò molte
vittorie e sottomise parecchie città. Resse
il principato di Tiberiade che egli si era
conquistato, poi ebbe la s;gnoria di Antio-
chia. Mori a 35 anni, in una spedizione con-
tro gli infedeli. Il T. prendendo a base la
storia, trasformò addirittura il suo eroe.
Lett. 60: « la lascivia di Tancredi, che nella
sua matura età era inescusabiJe, forman-
dolo io giovinetto, si può men diffìcilmente
perdonare a la tenerezza de gli anni». Lo
modificò interamente facendolo d'animo
CANTO I
Tanto uu suo vano umor l'angeeraartira:
E fondar Boemondo al novo regno
Suo d'Antiochia alti principii mira,
E leggi imporre, ed introdiir costume
Ed arti, e culto di verace Nume;
10
E cotanto internarsi in tal pensiero, [ti :
Ch'altra impresa non par che più rammen-
iScorge in Kinaldo ed animo guerriero
E spirti di riposo impazienti;
Non cupidigia in lui d'oro o d'impero,
Ma d'onor brame immoderate, ardenti :
^«corge che da la bocca intento pende [de.
Di Guelfo,e i chiari antichi esempi appren-
11
Ma, poi ch'ebbe di questi e d'altri cori
Scòrti gl'intimi sensi il Re del mondo,
Chiama a sé da gli angelici splendori
Gabriel, che ne' primi era secondo.
gentilissimo, mentre negli storici appar su-
bitaneo alle risse; e infondendogli quell'af-
fettività patetica proveniente dal disaccordo
malinconico fra l'idealità e .la realtà, che
non di Tancredi ma dell'animo suo era pro-
pria. Vedi st. 45, 1 nota. — 5. Boemondo:
figlio di Roberto Guiscardo, principe di Ta-
ranto, crociatosi, pare, più che per zelo re-
ligioso, per odio contro l'imperatore Ales-
sio e per cupidigia di regno. Fu il vero
conquistatore di Antiochia, di cui fu nomi-
nato principe; e si mantenne nel corso delia
guerra indipendente dagli altri principi cri-
stiani. Costretto dopo parecchi anni di re-
gno a cedere la città, si ritirò ne' suoi do-
mini di Puglia, ove mori nel 1111 mentre
allestiva una nuova spedizione. — 8. culto
ecc.: la religione di Cristo.
10, 3. Rinaldo: Benché il Tasso dica [Lett.
343): < di Reginaldo si fa nell'istoria men-
zione, e Rinaldo è detto da Reginaldo », pure
convien ammettere che è personaggio del
tutto fittizio. Nel nostro poema, a detta del
Tasso, sostiene la parte che Achille nel-
Vlliade : Lett. 25: < i molti cavalieri sono
considerati nel mio poema come membra
d'un corpo, del quale è capo Goffredo, Ri-
naldo destra »; è il principale [Lett. 82) ese-
cutore dei disegni d'\ Goffredo, ed è il de-
stinato alla presa di Gerusalemme. Cfr. st.
58, 1 nota. — 7. da la bocca intento pende, sta
attentissimo ad udire. — 8. Guelfo: Mella:
« Con poetico anacronismo pose il T. tra i
liberatori del Sepolcro questo campione cro-
ciatosi solo quattr'anni dopo, per illustrare
la stirpe del suo mecenate. Egli era figlio
di Alberto Azzo, marchese di Este, e di Cu-
nizza dei Ouelph o Welpes di Svevia».
11. Per questa strofa e per la seguente,
si vegga Virg., Aen. iv 219, quando Giove
manda Mercurio ad Enea. — 4. Gabriel, il
È tra Dio questi e l'anime migliori
Interprete fedel, nunzio giocondo:
Giù i decreti del Ciel porta, ed al Cielo
Riporta de' mortali i preghi e'I zelo.
12
Disse al suo nunzio Dio: Goffredo trova,
E in mio nome di' lui: perché si cessa?
Perché la guerra omai non si rinnova
A liberar Gierusalemme oppressa?
Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova
A l'alta impresa; ei capitan fìa d'essa.
Io qui l'eleggo; e'I faran gli altri in terra.
Già suoi compagni, or suoi ministri in
13 [guerra.
Cosi parlògli; e Gabriel s'accinse
Veloce ad eseguir l'imposte cose:
La sua forma invisibil d'aria cinse
Ed al senso mortai la sottopose:
Umane membra, aspetto uman si finse;
Ma dì celeste maestà il compose:
Tra giovene e fanciullo età confine
Prese, ed ornò di raggi il biondo crine.
14
Ali bianche vesti, c'han d'or le cime,
Infaticabilmente agili e preste:
Fende i venti e le nubi, e va sublime
Sovra la terra e sovra il mar con queste.
Cosi vestito, indirizzossi a l'ime
Parti del mondo il messaggier celeste:
Pria sul Libano monte ei si ritenne,
E si librò su l'adeguate penne;
secondo fra quei sette angeli che Tobia
dice assistere Dio, primo dei quali è Mi-
chele. — 8. zelo : ardore religioso.
12, 2. di' lui: a lui: Dante, Purg. xi 79:
« Oh dissi lui ». — sì cessa: si sospende l'im-
presa. Aen.y IV 235: «Quid struit? aut qua
spe inimica in gente moratur, Nec proleu^
Ausoniam et Lavinia respicit arva ?» — 7.
Io qui l'eleggo ecc.: Io, dal cielo, l'eleggo
capitano, e quelli che fin ora gli furono
compagni si affretteranno in terra a porsi
sotto gli ordini di lui.
13, 4. sottopose: la fece capace di essere
appresa dai sensi mortali. — 5. fìnse: pla-
smò ; il primo senso di fingere è appunto
dar figura, plasmare. —7. Tra giovene ecc.:
Intendi: Prese un'età che fosse tra la fan-
ciullezza e la gioventù.
14, 3. sublime: altissimo. —5-6. ime Parti:
basse, rispetto al luogo donde moveva. —7.
Libano: «la più alta catena (scrive il Mella)
di monti vicino alla Giudea, .... per avere i
fianchi coperti di nevi perpetue, ha il nome
(li Libano, che vale quanto biancheggiante.
S' incurva a foggia di ferro di cavallo da
Tripoli a Damasco. In una delle sue pendici
si trovano i famosi cedri ». — 8. adeguate
penne: ali che stanno tese e pari dall'uu lato
GERUSALEMME LIBERATA
15
E vèr le piaggie di Tortosa poi
Drizzò precipitando il volo iu giuso.
Sorgeva il novo sol da i lidi eoi.
Parte già fuor, raa'l più ne l'onde chiuso;
E porgea mattutini i preghi suoi
Goffredo a Dio, com'egli avea per uso;
Quando a paro co'l sol, ma più lucente,
L'Angelo gli appari da l'oriente ;
16
E gli disse: Goffredo, ecco opportuna
Già la stagion ch'ai guerreggiar s'aspetta:
Perché dunque trapor dimora alcuna
A liberar Gierusalera soggetta?
Tu i principi a consiglio ornai raduna,
Tu al fin de l'opra i neghittosi affretta.
Dio per lor duce già t'elegge; ed essi
Sopporran volentieri a te sé stessi.
17
Dio messaggier mi manda: io ti rivelo
La sua mente in suo nome. Oh quanta
[spene
Aver d'alta vittoria, oh quanto zelo
De l'oste a te commessa or ti conviene!
Tacque; e, sparito, rivolò del cielo
A le parti più eccelse e più serene.
Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,
D'occhi abbagliato, attonito di core.
18
Ma poi che si riscote, e che discorre
Chi venne, chi mandò, che gli fu detto,
Se già bramava, or tutto arde d'imporre
Fine a la guerra, ond'egli è duce eletto:
e dall'altro, nel momento prima di piegarsi
ad una direzione.
15, 3. eoi, voce che in greco significa orien-
tali: nei lidi dell'estremo oriente gli antichi
credevano nascesse il sole. — 5. mattotiui i
preghi: le preghiere della mattina.
12. Il lìeui osserva giustamente che qui si
adombra quanto Iride dice a Turno nel prin-
cipio del IX deWAen.: «Quid dubitas? nunc
tempus equos, nunc poscere currus; Rumpe
moras omnes, et turbata arripe castra». E
il Beni fa osservare con che bell'arrificio
sia condotta questa breve conciona dell'an-
giolo, che dura sino alla metà della strofa
seguente: e come siano benissimo riprese
le parole che Iddio prima rivolse all'an-
giolo; e con quanto affetto si chiuda: oh
quanta spene ecc. — 8. Sopporran.... sé
stessi: si metteranno sotto al tuo comando.
Sopporre (lat. se subiicere), in questo senso
è d'uso frequente nel Nostro. — TOlentieri,
Os. volontari.
18. 1. discorre: esamina; Ariosto, Ori.
XXI 31: «Cercando va più dentro ch'alia
gonna Suoi vizi antichi e ne discorre il
tutto ». — 2. Chi venne : 1' angelo. — chi
mandò: Dio. — 3-4. imporre Fine alla gner-
ra: è il latino « finem impnuere bello».
Non che'l vedersi a gli altri in ciel pre-
fporre
D'aura d'ambizion gli gonfi il petto:
Ma il suo voler più nel voler s'infiamma
Dei suo Signor, come favilla in fiamma.
19
Dunque gli eroi compagni, i quai non
Erano sparsi, a ragunarsi invita: ilunge
Lettere a lettre, e messi a messi aggiunge,
Sempre al consiglio è la preghiera unita:
Ciò ch'alma generosa alletta e punge,
Ciò che può risvegliar virtù sopita,
Tutto par che ritrovi, e in efficace
Modo l'adorna si che sforza e piace.
20
i Vennero i duci, e gli altri anco seguirò:
j E Bcemondo sol qui non convenne.
j Parte fuor s'attendò, parte nel giro
1 E tra gli alberghi suoi Tortosa tenne.
I grandi de l'esercito s'unirò
(Glorioso senato) in di solenne.
Qui il pio Goffredo incominciò tra loro,
Augusto in vólto, ed in sermon sonoro:
21
Guerrier di Dio, ch'a ristorar i danni
De la sua Fede il Re del Cielo elesse,
E sccuri fra l'arme e fra gl'inganni
De la terra e del mar vi scòrse e resse:
Si ch'abbiam tante e tante in si pochi anni
Ribellanti provincie a lui sommesse,
E fra le genti debellate e dome
Stese l'insegne sue vittrici e '1 nome:
22
Già non lasciammo i dolci pegni, e'I nido
Nativo noi (se'l creder mio non erra)
j Né la vita esponemmo al mare infido,
i Kd a i perigli di lontana guerra.
Per acquistar di breve suono un grido
Vulgare, e posseder barbara terra: [so
Che proposto ci avremmo angusto escar-
Premio, e in danno de l'alme il sangue
[sparso.
19, 3. lettre: sincope che piacque già al
; Petrarca, sou. Più volte amor 2: «Scrivi
j quel che vedesti in lettre d'oro *, e ancora
nella canz. Solea della fontana al verso 41.
20, 2. Boeniondo sol ecc.: mancò per le
j ragioni addotte nelle st, 9-10. — conTcnne :
[ venne insieme: latinismo.
I 22, 1. dolci pegni: la moglie, i tigli, le
! cose care. Petrarca, canz. Verdi panni
\ sang. 57: « Quanto il sol gira, Amor più
I caro pegno. Donna, di voi non bave ». —
i '1 nido XatiTo: la patria: Petrarca, canz.
; Italia rata, benché, 82: «Non è que.sto il
\ mio nido Ove nutrito fui si dolcemente?».
— 5-5. di breve suono nn grido Tulgare: la
: t'ama popolare (vulgare) che presto pa.ssa,
I iu breve cioè rispetto all'eternità. È lo stesso
I concetto di Dante, Purg. xi 100: « Non è il
CANTO I
23
Ma fu de' pensier nostri ultimo segno
Espugnar di Sion le nobil mura,
E sottrarre i Cristiani al giogo indegno
Di serriti! cosi spiacente e dura,
Fondando in Palestina un novo regno,
Ov'abbia la pietà sede secura:
Né aia chi neghi al peregrin devoto
D'adorar la gran tomba e sciorre il vóto.
24
Dunque il fatto sin ora al rischio è molto,
Più che molto al travaglio, a l'onor poco,
Nulla al disegno, ove o si fermi, o vòlto
Sia l'impeto de l'armi in altro loco.
Che gioverà l'aver d'Europa accolto
Si grande sforzo, e posto in Asia il foco,
Quando sia poi di si gran moti il fine
Non fabbriche di regni, ma ruine?
25
Non edifica quei che vuol gl'imperi
Su fondamenti fabbricar mondani,
Ove ha pochi di patria e fé stranieri
Fra gl'infiniti popoli pagani:
Ove ne' Greci non convien che speri,
E i favor d'occidente ha si lontani:
mondan rumor altro che un fiato Di ven-
to ecc. >.
23, 7. Né sia chi neghi ecc.: L'occasione
che determinò le crociate furono appunto
le angherie che soffrivano i pellegrini che
andavano al Sepolcro. — 8. Cfr. V ultimo
vers. della Geins.
24, 1. al rischio: confrontato col rischio,
— 7. sia: Os. e Bon.'2 sia. B.i sian.
25, Spiega ed amplia il concetto racchiuso
negli ultimi due versi della stanza prece-
dente. Intendi che voglia dire: Anche se al-
cuno di noi riesca a fondare un impero qui,
dove ha seco pochi della sua fede e della
sua patria (e perciò considerati qui doppia-
mente stranieri), mentre infiniti sono i po-
poli che hanno stanza all'intorno e seguono
altra religione, e dove non potrà far caso
delle promesse greche, e lontani sono gli
aiuti che può avere dall'Occidente; costui
avrà fondato un impero che poco dopo sarà
distrutto ed a lui sarà di sepolcro, se a fon-
damento vi avrà posto soltanto le forze ma-
teriali che forniscono gli uomini {foìida-
menti mondani), e non l'aiuto di Dio: come
dice il Salmo: « Nisi Dorainus aeditlcaverit
domum, in vanum laboraverunt qui aedifi-
cant eam «►. — Il Galilei, dei versi 3-4, scrive :
« Confesso ingenuamente non saper cavar
senso di questi due versi, benché molte volte
vi abbia fantasticato sopra ecc. »; e in vero
uon sono chiari, non però incomprensibili.
— 1. qnel: CONQ. e Os. quel. — 5. Alessio
Comneno imperatore si oppose con tutte le
arti alla buona riuscita dell'impresa.
Ma ben move ruine, ond'egli oppresso
Sol costrutto un sepolcro abbia a se stesso
26
Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono
E di nome magnifico e di cose),
Opre nostre non già, ma del Ciel dono
Furo, e vittorie fnr meravigliose.
Or se da noi rivolte e torte sono
Contra quel fin che '1 donator dispose.
Temo ce 'n privi, e favola a le genti
Quel si chiaro rimbombo al fin diventi.
27
Ah non sia alcun, per Dio, che si graditi
Doni in uso si reo perda e difì"onda!
A quei che sono alti principii orditi
Di tutta l'opra il filo e'I fin risponda. •
Ora che i passi liberi e spediti.
Ora che la stagione abbiam seconda.
Che non corriamo a la città ch'è mèta
D'ogni nostra vittoria? e che piii'l vieta?
23
Principi, io vi protesto (i miei protesti
Udrà il mondo presente, udrà il futuro,
Gli odono or su nel Cielo anco i Celesti),
Il tempo de l'impresa è già maturo'.
Men diviene opportnn più che si resti:
Incertissimo fia quel che è securo.
Presago son, s'è lento il nostro córso,
Avrà d'Egitto il Palestin soccorso.
29
Disse; e ai detti segui breve bisbiglio;
Ma sorse poscia il solitario Piero,
26, 1. Torchi, Persi, Autiochia: cioè, Ni-
cea col re Solimano; Corbatag generale del-
l'imperatore di Persia; Cassano re d'Antio-
chia; i quali tutti erano stati vinti e sconfitti
da' cristiani; cfr. st. fi, 1-6. — 1. far: Os. in-
ver: leggendo coll'Os., V inver varrebbe
quanto il qiiidem, dei latini, servendo a dare
maggior enfasi a quello che si dice.
27, 2. diffonda: gitti via, scialacqui, quasi.
— 4. filo: tessitura, fìgurat. per «condotta •
« continuazione ». — 5. Ora che ì passi libe-
ri ecc.: perché, presa Antiochia, che era
come la porta della Palestina, ed era l'osta-
colo maggiore a chi per la Siria andasse in
Terra Santa, ultima fortezza temibile ri-
maneva soltanto la stessa Gerusalemme.
28, 5. Men: le stampe Bon. leggono Ma:
con evidente guasto: abbiamo perciò se-
guita la lezione dell'Os. d'accordo con Conq.
- resti: indugi. — 6. IncertLosinio fla ecc.:
sottinteso più che si resti. — 8. Avrà: Os.
Ch'avrà.
29, 2. il solitario Piero: Pietro, detto l'È.
remita (il solitario)^ infiammò gli animi dei
cristiani e fu il promotore dello crociate;
perciò benché non di sangue nobile né, qui,
capitano d'eserciti (pi-ivato), siede fra i du-
GERUSALEMME LIBERATA
Che privato fra' principi a consiglio
Sedea, del gran passaggio autor primiero:
Ciò ch'esorta Goffredo, ed io consiglio;
Né loco a dubbio v'ha, si certo ò il vero
E per sé noto: ei dimostrollo a lungo;
Voi l'approvate; io questo sol v'aggiun-
go [go :
Se ben raccolgo le discordie e l'onte
Quasi a prova da voi fatte e patite,
I ritrosi pareri, e le non pronte
E in mezzo a l'eseguire opre impedite;
Reco ad un'altra originaria fonte
La cagioii d'ogni indugio e d'ogni lite:
A quella autorità, che, in molti e vari
D'opinion, quasi librata, è pari.
31
Ove un sol non impera, onde i giudici
Pendano poi de'premi e de le pene,
Onde sian compartite opre ed ulìici,
Ivi errante il governo esser conviene.
Deh! fate un corpo sol de' membri amici ;
ci. In Gugliel. Tir. ha spesse estasi e rive-
lazioni, ed ancora nella Gerusal. è l' ispirato
da Dio. Gugl. Tir. 1 11, ne fa questo ritratto:
«Erat.... statura pusillus et, quantum ad
exteriorem hominem, persona coutempti-
bilis: sed raaior in exiguo regnabat corpore
virtus. Vivacis enim ingenii erat, et oculum
habens perspicacem, gratumque et sponte
fluens ei uon deerat eloquium ».
30, 5. altra: Os. alta. L'Abate Colombo
(Gerusal., Firenze, Molini, 1823i, dà per «si-
curamente erronea » la lezione altra. «Af-
finché potesse avervi luogo, egli dice, con-
verrebbe che si fosse parlato prima di qual-
che cagione la quale avesse fatto differire
l'impresa » ; e porta il sussidio di altre buo-
ne stampe che leggono alta; a cui si po-
trebbe aggiungere l'autorità di due codici
(cfr. Gerus., Lodi, 1S26). Tuttavia credo si
possa difendere pure altra, se non prefe-
rire. Si ricordi che l'Eremita risponde alla
parlata di Goffredo, nella quale (massime
alla st. 25» par che la causa del poco pro-
fitto dell'impresa sia attribuita bellamente
al desiderio dei cristiani di procurarsi regni
in Siria senza pensare a Dio (come già Bal-
dovino e Boemondo); e perciò può benissi-
mo l'Eremita contrappore a Goffredo, che
la causa (la fonte) d'ogni male non è tanto
la cupidigia del regno, quanto un'altra.
81, 1-4. Conquistata'. <• Regno o imperio
partito e quasi sparso Fra molti, non è buon
non è costante; Non è pronto a l' imprese,
al premio è scarso; Lodato è quel eh' un
solo ha posto avante ». A proposito di que-
sti versi il T. cita nel Giucliz. sovr. la Ri-
forni. Omero: «Non bonus multorum prin-
cipatus: unus priuceps sit, uiius rex ». —
4. errante: inco.^tante. — 5-6. fate un cor-
po.... Fate un capo: Formate un corpo. Elcg-
Fate un capo, che gli altri indrizzi e freue:
Date ad un sol lo scettro e la possanza,
E sostenga di re vece e sembianza.
32 [petti
Qui tacque il veglio. Or quai pensier, qua!
Son chiusi a te, Sant'Aura e divo Ardore?
Inspiri tu de l'Eremita i detti,
E tu grimjirimi a i cavalier uel core;
Sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti
Di sovrastar, di libertà, d'onore:
Si che Guglielmo e Guelfo, i più sublimi,
Chiamar Goffredo per lo duce i primi.
33
L'approvar gli altri: esser sue parti dén-
Deliberare e comandar altrui. [no
i Imponga ai vinti legge egli a suo senno;
\ Porti la guerra, e quando vuole, e a cui:
I Gli altri, già pari, ubbidienti al cenno
I Siano or ministri de gl'imperii sui.
j Concluso ciò, fama ne vola; e grande
j Per le lingue de gli uomini ai spande.
! 34
i Ei si mostra a i soldati : e ben lor pare
; Degno de l'alto grado ove l'han posto:
E riceve i saluti e '1 militare
Applauso, in vólto placido e composto.
Poi ch*a le dimostranze umili e care
; iVamor, d'ubbidienza ebbe risposto,
Impon che'l di segueiiteinungrancampo
Tutto sì mostri a lui schierato il campo.
35
Facea ne Toriente il sol ritorno,
Sereno e luminoso oltre l'u.^ato.
Quando co' raggi usci del novo giorno
Sotto l'insegne ogni guerriero armato,
E si mostrò quanto potè più adorno
Al pio Buglion, girando il largo prato.
S'era egli fermo, e si vedea davanti
Passar distinti i cavalieri e i fanti.
36
Mente, de gli anni e de l'oblio nemica,
De le cose custode e dispensiera.
; gete un capo. — Uno dei principali difetti
del Nostro par esser quello di ripetere spesso
e volentieri la stessa parola, ma variandone
il significato; dando luogo a giuochi di pa-
rola e producendo oscurità. — 8. sostenga
di re vece: faccia le veci, abbia l'ulhcio di
re. — e sembianza: di re abbia ancora
! l'aspetto, l'apparenza esterna.
32, 5. inserti : inseriti, figurai.: innestati
i quisi. — 7. Gaglielmo e Guelfo, i pia subli-
mi: Guglielmo e Guelfo, i più ragguardevoli
per la dignità e nobiltà del sangue, essendo
j il primo, figliuolo del re d'Inghilterra (cfr.
st. 44, 4); l'altro del Marchese d'Este e di
! Gunizza (cfr. st. 10, 8 e 41, 1).
j 34, 4. pi r.cido: affabile, né insuperbito del
I nuovo altissimo onore.
I Sj, 1. Mente ecc.: Invoca la memoria, co-
CANTO I
9
Vagliami tua ragion, si ch'io ridica
Di quel campo ogni duce ed ogni scliiera:
Suoni e risplenda la lor fama antica,
Fatta da gli anni ornai tacita e nera;
Tolto da' tuoi tesori, orni mia lingua
Ciò ch'ascolti ogni età, nulla l'estingua.
37
Prima i Franchi mostrarsi: il duce loro
Ugone esser solea, del re fratello.
Ne l'isola di Francia eletti fòro.
Fra quattro fiumi ampio paese e bello.
Poscia che Ugon mori, de' gigli d'oro
Segui l'usata insegna il fier drappello
Sotto Clotàreo, capitano egregio,
A cui, se nulla manca, è il nome regio.
38
Mille 8on di gravissima armatura;
Sono altrettanti i cavalier seguenti,
Di disciplina a i primi e di natura
E d'arme e di sembianza indifferenti;
Normandi tutti: e gli ha Roberto in 'ura,
me Dante, /n/". Il 8: «O mente che scrivesti
ciò ch'io vidi, Qui si parrà la tua nobilita-
te». Al Galilei tutta la strofa parve fiacca
e indeterminata; certo non è facile la chiusa
'7-8), che va spiegata: Mia lingua adorni e
nulla possa far dimenticare quanto, tolto
da' tuoi tesori, deve ascoltarsi da ogni età.
Ma il nulla potrebbe forse anche intendersi
per aggettivo [nessuna] riferentesi a età.
~ 3. ragion: Os. virtù. 11 Galilei spiegò ra-
gione corno, aiuto, favore: ma la sostituzione
virtù mostra che il T. voleva che avesse il
senso di valore^ potenza.
37. Rassegna. Il Tasso (Giudiz. sovr. la
Riforìn.) avverte che « è convenevole che i
nomi dei principali cavalieri o re siano o
'veri illustri, o per fama conosciuti ». — 2.
Ugone: detto Magno: « vir illustris (scrive
Gugl. Tir.) Domini Pliilippi Francorum re-
gis frater ». — soleji : Adopera il passato,
facendolo già morto. Ter la dignità de' cro-
ciati \\ T. si distaccò in questo da Gugl,
Tir. (vii 1) il quale racconta che, mandato
ambasciatore a Costantinopoli, con grande
scandalo del campo più non ritornò: «Fuit
- aggiunge - in eo delictum tanto notabi-
lius, quanto ipse genere erat praeclarior».
— 3. Isola di Francia [lle-de-France\ il paese
chiuso tra i fiumi senna, Marna, Oise, ed
Aisne. — 5. gigli d'oro: stemma dei Ca-
peti. — 8. se nulla: se qualcosa. — nome:
Os. sangue.
38, 4. indifferenti: non differenti, eguali;
come nell'Ariosto, Or;, xxiii. 111: «Rimase
al fin cogli occhi e con la mente 1-issi nel
sasso, al sasso indifferente >►. — 5. Roberto,
detto Courteheuze (coscia corta)., primoge-
nito di quel Guglielmo che per aver con-
quistata l'Inghilterra fu detto il Conqui-
«ta^ore, fu duca di Normandia ed impegnò
Che principe nativo è de le genti.
Poi duo pastor do'popoli spiegare
Le squadre lor, Guglielmo ed Ademaro.
39
L'uno e l'altro di lor, che ne' divini
Ufficii già trattò pio ministero,
Sotto l'elmo premendo i lunghi crini,
Esercita de l'arme or l'uso fero.
Da la città d'Urange e da i confini
Quattrocento guerrier scelse il primiero;
Ma guida quei di Poggio in guerra l'altro,
Numero egua!, né men ne l'arme scaltro.
40
Baldovin poscia in mostra addur si vede
Co' Bolognesi suoi quei del germano.
Che le sue genti il pio fratel gli cede
Or ch'ei de' capitani è capitano.
Il conte di Carnuti indi succede.
Potente di consiglio e prò' di mano:
Van con lui quattrocento; e triplicati
Conduce Baldovino in sella armati.
41
Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
Uom ch'a l'alta fortuna agguaglia il mer-
Conta costui per genitor latino [to:
Degli avi Estensi un lungo ordine e certo;
Ma, german di cognome e di domino,
Ne la gran casa de' Guelfoni è inserto:
Regge Carintia, e presso l'istro e'I Reno
Ciò che i prischi Suevi e i Reti avièno.
le sue terre per servire in questa impresa.
— 8. Guglielmo (cfr. la st. seg.), era vescovo
di Grange, e Ademaro, di Poggio (Puy). Fu-
rono i due primi che al concilio di Chiara-
monte supplicarono ilpapadi essere crociati.
39, 3. 1 lunghi crini: secondo l'uso dei
Franchi di portare i capelli lunghi.
40, 1. Baldovin: cfr. st. 9, 1. — 2. Bolo-
gnesi: di Boulogne-sur-mer in Piccardia, di
cui Baldovino era duca. — 5. conte di Car-
nuti: Os. de' Carnuti. Stefano conte del
paese di Chartres di lUois e di tante ca-
stella che si diceva che il loro numero ag-
guagliasse i giorni dell'anno. Secondo la
storia non dovrebbe esser qui, perché è
detto (Gugl. Tir. v 10) che sotto Antiochia
lasciò i Cristiani e tornò a dietro. Ritornò,
è vero, in Terra Santa, ma dopo la presa
di Gerusalemme. Cfr. st. 62. — 7. triplicati:
Baìdoviuo conduce guerrieri a cavallo che,
in numero, sono tre volte quelli condotti da
Stefano. Costrutto poco bello e poco chiaro.
41, 1. Guelfo: Cfr. st. 10, 8 nota. Intendi :
Costui fu per parte del padre (Azzo II d'E-
ste), italiano (latino); e conta un lungo or-
dine e certo di avi estensi: ma di cognome,
poiché fu chiamato Guelfo, e di dominio,
poiché ebbe signoria su Svezia Carinzia e
Rezia, fu germano: e cognome e dominio
(st. 42) ebbe dalla madre. — 8. nTlèno: for-
10
GERUSALEMME LIBERATA
A questo, che reH^gìo era materno,
Acquisti ei giunse gloriosi e grandi.
Quindi gente traea che prende a scherno
D'andar contra la morte, ov'ei comandi;
Usa a temprar ne' caldi alberghi il verno,
E celebrar con lieti inviti i prandi.
Fur cinquemila a la partenza; e a pena
(De' Persi avanzo) il tf rzo or qui ne me-
43 [na.
Seguia la gente poi candida e bionda,
Che tra i Franchi e i Germani e'I mar si
[giace,
Ove la Mosa ed ove il Reno inonda.
Terra di biade e d'animai ferace :
E gl'insulani lor, che d'alta sponda
Riparo fansi a l'oceàn vorace:
L'ocean, che non pur le merci e i legni.
Ma intere inghiotte le cittadi e i regni.
44
Gli nni e gli altri son mille, e tutti vanno
Sotto un altro Roberto insieme a stuolo.
Maggior alquanto è lo squadron Britan-
[no;
Guglielmo il regge, al re minor figliuolo.
Sono gl'Inglesi sagittarii, ed hanno
Gente con lor ch'è più vicina al polo:
Questi da l'alte selve irsuti manda
La divisa dal mondo ultima Irlanda.
45
Vien poi Tancredi; e non è alcun fra tanti
^Tranne Rinaldo) o feritor maggiore,
0 più bel di maniere e di sembianti,
0 più eccelso ed intrepido di core.
S'alcun'ombra di colpa i suoi gran vnnti
Rende men chiari, è sol follia d'amore;
Nato fra l'arme, amor di breve vista.
Che si nutre d'affanni, e forza acquista.
46
E fama che quel di che glorioso
Fé' la rotta de' Persi il popol Franco,
Poi che Tancredi al fin vittorioso
1 fuggitivi di seguir fu stanco,
Cercò di refrigerio e di riposo
A Tarse labbia, al travagliato fianco,
E trasse ove invitollo al rezzo estivo
Cinto di verdi seggi un fonte vivo.
47
Quivi a lui d'improviso una donzella
Tutta, fuor che la fronte, armata apparse:
Era pagana, e là venuta anch'ella
Per l'istessa cagion di ristorarse.
Egli mirolla, ed ammirò la bella [se.
Sembianza,ed'essa si compiacque, en'ar-
Oh maraviglia! Amor, ch'a pena è nato.
Già grande vola, e già trionfa armato.
48
Ella d'elmo coprissi; e, se non era
Ch'altri quivi arrivar, ben l'assaliva.
Parti dal vinto suo la donna altera,
ma poetica dell'imperfetto indicativo: per
aviano, aveano.
42, 2. Acq. ei g. : aggiunse la Baviera. —
3. Qaindi gente traea ecc.: Lucano, Phars.^
I 158: « populi quos despicit Arctos, Felices
errore suo, quos ille timorum Maxinius,
haud urget leti metus : inde ruendi In fer-
rum mens prona viris. animaeque capaces
Mortis ».
43. 1. la gente ecc.: fiamminghi ed olan-
desi: IJirag): • Descrive le Fiandre insieme
con la Brabantia e l'isole di Zelanda ed
Olanda da' suoi confini ». — 8. inghiotte. Al-
lude a quanto raccontano gli storici antichi
di isole in:,^hiottite dal mare; come della
Fiandra r.i^couta Plinio.
44,2. Roberto: Roberto II conte di Fian-
dra, ficrlio di Roberto il Frisone. I saraceni
per la sua Dravura lo credettero S. Giorgio
(e cosi lo soprannominarono) disceso a di-
fendere i cristiani. Tornato, dopo la presa
di Costantinopoli, in patria, mori in séguito
a una caduta da cavallo. — 4. Gnglieimo:
I commentatori avvertono che la storia
non conosce questo Guglielmo, che dovreb-
be essere stato figlio d^ Guglielmo II il
Rosso. Ma il T. segue Gugl. Tirio che lo
annovera (i IT) fra i crociati. — 8. virg.,
Ed. I 07: - Et penitus tote divisos orbe Bri-
tannos ».
45, 1. Tancredi : Gfr. st, 9, 3, nota. Sugli
amori di lui il T. scrive [Leu. 60): «Né mi-
nor occasione mi viene offerta da gli sto-,
ricidi vagar ne gli amori: perch' è scritto
che Tancredi, che fu per altro cavaliere di
somma bontà e di gran valore, fu nondi-
meno molto incontinente.... ». — 7. amor
di breve rista. Il Galilei interpretò amore
di vista corta, e ne rise; ma certo deve
1 intendersi: Amore nato in quel breve tempO:
in che Tancredi potè vedere Clorinda al
fonte, come si narra qui sotto.
46, 1. È fama: Birago : «Intende della
vittoria, avuta da suo zio, di Carbone ca-
pitano del re di Persia, il quale fatto un
possente esercito andava per soccorrere.
; Antiochia». — ?, rezzo: fresco proveniente
I dall'ombre; Ariosto, Cinq. Cjint. ilo: « La
I cui belPoralira al sol si i raggi toUe Che al
mezzodì dal rezzo è il calor vinto ».
47, 1, donzella: Clorinda. — 7-S. NeirA-.
minta: u, se. 2: Tirsi: «Amor nascente ha
corte l'ali; a pena Può su tenerle e non le
I spiega a volo. Dafne: Pur non s'accorge
! l'uom quando egli nasce, E quand'uom se
i n'accorge è grande e vola ».
I 48, 3. Tinto suo : cioè, soggiogato da lei
I per forza d'amore.
CANTO I
11
Ch'è per necessità sol fuggitiva;
Ma l'imagine sua bella e guerriera
Tal ei serbò nel cor, qual essa è viva;
E sempre ha nel pensiero e l'atto e'I loco
In che la vide, ésca continua al foco.
49
E ben nel vólto suo la gente accorta
Legger potria: Questi arde, e fuor di spe-
Cosi vien sospiroso, e cosi porta ne;
Basse le ciglia e di mestizia piene.
Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta,
Lasciar le piagge di Campagna amene,
Pompa maggior de la natura, e i colli
Che vagheggia il Tirren fertili e molli.
50
Venian dietro ducente in Grecia nati,
Che son quasi di ferro in tutto scarchi:
Pendon spade ritorte a l'un de'lati;
Suonano al tergo lor faretre ed archi;
Asciutti hanno i cavalli, al córso usati,
A la fatica invitti, al cibo parchi:
Ne l'assalir son pronti e nel ritrarsi,
E combatton fuggendo erranti e sparsi.
51
Latin regge la schiera, e sol fu questi
Che, greco, accompagnò l'arme latine.
Oh vergogna! oh misfatto! or non avesti
49, 1-2. Petrarca, son. Solo e pensoso:
« negli atti d' allegrezza spenti Di fuor si
legge com'io dentro avvampi», e ancora,
canz. Di pensier in pens. 12: « Onde alla
vista uom di tal vita esperto Dirla: questi
arde, e di suo stato è incerto ». — 7. Pompa.
Gli antichi chiamarono la Campania « cer-
tamen Liberi et Cereris ».
61, 1. Latin : cosi leggono le stampe del
BoN., e cosi scrive il P. nella Lett. 39; ma
Os. e CoNQ. Tatin, d'accordo con due ms.
(cfr. le varianti lezioni nella stampa della
Gerusalemme, Lodi, 1826): la pregevole
stampa del Viotto, ISSI, in 4.», ha pure La-
tin, ma ivi r.Angeli crede dovere annotare:
« Tatino era prima scritto, e molto meglio,
non tanto per essere stato il di lui nome
proprio, quanto perché sendo greco, gli
conveniva più quel nome greco che questo
latino » : Ougl. Tir. ed altri storici: Tani-
nus e. Tantinus. — ¥\i dato come guida ai
cristiani da Alessio imperatore, più per
ispiarne gli umori e i fatti che per altro.
« Adiunxerat (scrive il Tirio, n 23) se etiam
nostrorum castris quidam Graecus Taninus
nomine, Imperatori familiaris adraodum,
vir nequam et perfidus, nares habens mu-
tilas in signum mentis perversae. Hic ex
imperiali iussione nostris ducem viae ad
maiorem cautelam postulantibus, designa-
tus fucrat dux itineris et comes futurus ».
— schiera: BoN.2, Conq. e Os.: ma Bon.i
squadra.
Tu, Grecia, quelle guerre a te vicine?
E pur quasi a spettacolo sedesti, ,
Lenta aspettando de'grand'atti il fine.
Or, se tu se' vii serva, è il tuo servaggio
(Non ti lagnar) giustizia e non oltraggio.
52
Squadra d'ordin estrema ecco vien poi
Ma d'onor prima e di valore e d'arte.
Son qui gli Avventurieri, invitti eroi,
Terror de l'Asia e folgori di Marte.
Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que'suoi
Erranti, che di sogni empion le carte;
Ch'ogni antica memoria appo costoro
Perde: or qual duce fla degno di loro?
53
Dudon di Consa è il duce; e,perché duro
Fu il giudicar di sangue e di virtute.
Gii altri sopporsi a lui concordi furo,
Cli'avea più cose fatte e più vedute.
Ei di virilità grave e maturo,
Mostra in fresco vigor chiome canute;
Mostra, quasi d'onor vestigi degni.
Di non brutte ferite impressi segni.
54
Eustazio è poi fra' primi; e i propri pregi
Illustre il fanno, e più il fratel Buglione.
Gernando v'è, nato di re norvegi,
Che scettri vanta e titoli e corone.
Ruggier di Balnavilla in fra gli egregi
62, 5. Argo: Il costruttore della nave di
tal nome in cui i tessali (detti Mini da Mi-
nia parte della Tessaglia) passarono alla
conquista del vello d'oro. — Artii: principe
inglese del vi secolo: è l'eroe principale
dei romanzi cavallereschi della Tavola Ro-
tonda. — 6. di sogni: Petrarca, Tr. Am. iii
79. - Ecco quei che le carte empion di sogni,
Lancillotto e Tristano e gli altri erranti ».
— 8. Perde: è vinta: Petrarca, Di pensier
in pens. 44 : * Avria ben detto che sua
figlia perde Come stella che '1 sol copre col
raggio ».
63, L Dudon di Consa: Il Tasso di lui dice
{Leu. 21): «fu un gran cavaliero che vera-
mente fu a quella impresa ». — Consa: Contz,
città nel paese di Treves presso al con-
fluente della Sar e della Mosella — duro,
difficile. — 3. sopporsi : sottoporsi, come
alla st. 16, 8. Intendi: gli altri furono con-
cordi nel sottoporsi a lui. — 7-S. Questi due
versi furono cosi rifatti nella Conquistata
(I 74): « E di belle ferite i segni impressi
Sono dei suo valor vestigi espressi ». Meglio.
64, 1. Eustazio: cfr. st. 9, la nota al vers. 1.
Minor fratello di GolTredo e Balduino. Per-
sonaggio interamente trasformato dal Tas-
so; com<^ abbiam notato di Tancredi. — 3.
Gernando: personaggio d'invenzione. — 4.
vanta: Novara: .Nel senso ùqW iactare
latino ». — 5. Ruggier di Dalnarilla : ricor-
12
GERUSALEMME LIBERATA
La vecchia fama, ed Ergerlan ripone;
E celebrati son fra i più o^agliardi [di.
Un Gentonio, un Rarabaldo, e duo Gherar-
55
Son fra' lodati Ubaldo anco, e Rosmondo
Del gran ducato di Lineastro erede:
Non fia ch'Obizo il Tòsco aggravi al fondo
Chi fa de le memorie avare prede:
Né i tre frati lombardi al chiaro mondo
Involi, Achille, Sforza e Palamede:
0 '1 forte Otton, che conquistò lo scudo
In cui da l'angue esce il fanciullo ignudo.
5o
Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso,
Né l'un né l'altro Guido, ambo famosi:
Non Eberardo e non Gernier trapasso
Sotto silenzio ingratamente ascosi.
Ove voi me, di numerar. già lasso,
Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi,
Rapite? 0 ne la guerra anco consorti.
Non sarete disgiunti ancor che morti!
57
Ne le scole d'Amor che non s'apprende?
Ivi si fé* costei guerriera ardita:
Va sempre affissa al caro fianco; e pende
Da un fato solo l'una e l'altra vita:
Colpo, che ad un sol noccia, unqua non
[scende,
Ma indiviso è il dolor d'ogni ferita:
E spesso è l'un ferito, e l'altro langue;
dato da Gugl. Tir., cap. 17 del lib. i, dove
si trovano molti degli eroi cit. in seguito,
i quali, perché entrano nella Gerusal. poco
più che come nomi, non illustro maggior-
mente.
65. 3. Obizo : Casini: < progenitore dei
marchesi Malespina». — 7. scudo: Ottone,
uno dei Visconti di Milano, lo prese, in sin-
goiar tenzone, ad un saraceno: diventò poi
lo stemma della sua casa. — 8, angue: * La
vipera che'l Melanese accampa» (Dante,
Purg. vili 80>.
56, 5. Ore voi. Movimento preso dal vi
dell' Aen. S45: « Quo fessura rr.pitis, Fa-
bii? ,. _ 6. Gildippe ed Odoardo: Tasso
(Lett. 60): «È scritto... eh' Odoardo, barone
inglese, accompagnato da la moglie che
tenerissimamente l'amava, passò a questa
impresa, et insieme vi morirono; né sol la
moglie di costui, ma molte altre nobili don-
ne, in questo e ne gli altri passaggi, si tro-
varono ne gli eserciti cristiani ».
&7, 1. Xe le scole d'Amor : Petiarca, in
persona d'Amore, canz. Quell'antiquo mio
dolc. 119: *Per quel ch'egli imparò nella
mia scola»; il T., come spiega il Casini,
«vuol dire che a Gildippe l'amore dello
sposo insegnò gli ardimenti della vita mili-
tare». — *7. Le tre lìoN. e Os. leggono Val-
tro. 11 Solerti legge l'altra seguendo alcune
E versa l'alma quel, se questa il sangue.
58
Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi
E sovra quanti in mostra eran condutti.
Dolcemente feroce alzar vedresti
La regal fronte, e in lui mirar sol tutti.
L'età precorse e la speranza; e presti
Pareano i fior, quando n'uscirò i frutti:
Se '1 miri fulminar ne l'arme avvolto,
Marte lo stirai; Amor, se scopre il vólto.
59
Lui ne la riva d'Adige produsse
A Bertoldo Sofia, Sofia la bella
A Bertoldo il possente; e, pria che fusse
Tolto quasi il bambin da la mammella,
Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse 1
Xe l'arti regie; e sempre ei fu con ella,
Sin ch'invaghì la giovenetta mente
La tromba che s'udia da l'oriente.
60
Allor (né pur tre lustri avea forniti)
Fuggi soletto, e corse jitrade ignote;
Varcò l'Egeo, passò di Grecia i liti
fonti non ottime. — 8. E Tersa l'alma ecc.:
Intendi: E l'uno versa lacrime sincere, la-
crime, per dirla col Petrarca che Valma
agli occhi invia. — Bione neìì'' idillio sulla
morte d Adone: «Tante versa la Dea stille
di pianto. Quante di sangue Adone ».
68, 1. BinalJo : cfr. st. 10, 3. Essendo Ber-,
toldo figliuolo di Azzo IV marchese d'Este,
viene cosi Rinaldo ad essere l'eroe estense;
come più largamente, nel Furioso, Rug-
giero. Fin dal 1576 il T. {Lett. 57) volendo
fare più storico in ordine agli Estensi il
suo eroe, pensava di intitolare nel nome di
Rinaldo quel Guelfo che abbiam visto, e che
nel battesimo ebbe nome Rinaldo. Nella
Conquistata tutto fu cambiato: furono tolte
via le lodi agli Estensi, e Rinaldo diventò
Riccardo (i SO : «Ei di Guglielmo e di Lucia
primiero Nacque ai Guiscardi (allor d'alta
fortuna) Dove il Tirren vagheggia un colle
altero, E '1 lido intorno a lui fa doppia luna;
E l'antica città degna d'impero Nel sen gli
diede bella e nobil cuna, Sovra gli scogli
ove quel mar si frange. Che la Sirena an-
cor sepolta piange ». — 3. Dolcemente fe-
roce : In Rinaldo il poeta vede combinate
con felice mistura le doti del padre e della
madre : forza e grazia.
59, 1. ne la riva d'Adige: nella regione
bagnata dall'Adige, dove sorge Este, culla
dei signori di Ferrara. — 2. Bertoldo: figlio,
come s'è detto, di Azzo IV. — 5. Matilda:
Casini: « la contessa Matelda di Toscana
(cfr. Machiavelli, Ist. i 14) imparentata agli
j Estensi, per aver sposato Guelfo di Eavie-
I ra » ; e cfr. e. xvii 77.
I
CANTO I
13
Giunse nel campo in regìon remote.
Nobilissima fuga, e che rimiti
Ben degna alcun magnanimo nepote.
Tre anni son eh' è in guerra: e intempe-
[stiva
Molle piuma del mento a pena usciva.
61
Passati i cavalieri, in mostra viene
La gente a {)iede, ed è Raimondo inanti.
Reggea Tolosa, e scelse infra Pirene
E fra Garonna e l'ocean suoi fanti.
Son quattromila, e bene armati e bene
Instrutti, usi al disagio e tolleranti:
Buona è la gente, e non può da più dotta
O da pili forte guida esser condotta.
62
Ma cinquemila Stefano d'Ambuosa
E di Elesse e di Torsi in guerra adduce.
Non è gente robusta o faticosa,
*60, 5. nobilissima tuga. ecc. Questi versi
sono un complimento per Alfonso II, che
fuggi giovinetto in Francia desideroso di
apprendere gli esercizi cavallereschi e di
vivere in quella corte famosa.
61, 2. Raimondo: Di Raimondo IV, conte
di Tolosa, nobilissimo, sono piene le storie.
Combatté sotto il Cid; e, premio del suo
valore, ebbe in isposa una figlia di Alfonso
il grande. Mori nel 1110. Il Tasso ne fece il
suo Nestore; di lui scrive {Lett. 60): « Ho
ben io premura di scusar ogni difetto de'
principali, quanto l'arte mi pare che ri-
chiedesse. Perché io fingo che la iattanzia
e la ritrosità di Raimondo, che fur vizi
de la sua natura, sian costumi de- la vec-
chiezza ».
62, 1-2. Stefano d'Ambuosa E di Blesse e
di Torsi: I commentatori non sanno racca-
pezzare chi sia questo Stefano che il P. fa
condottiero dei crociati di Amboise (Am-
buosa), di Tours (Torsi —città, come Am-
boise, della Turenna), e di Blois {Blesse —
neirorleanese), sembrando loro che pigli
errore col fare due personaggi di quello
Stefano che abbiamo visto alla st. 40. E l'er-
rore vi è certo ; derivato nel T., credo, da
una lezione guasta di Gugl. Tir. nel lib. vi
10. Di (atto, trovo nella stampa latina che
; io seguito del Tirio : « dominus Stephanus
Carnotensium et Blesensium comes ... si-
mulabat aegritudinem ecc. », e in una tra-
duzione italiana invece: « il conte dei Car-
nuti, e il conte di Blesse. . che simulavano».
* Il Bonnà legge Tours, ma noi abbiamo
I seguito la lezione preferita dal Solerti, per-
i che « il Tasso dà sempre terminazione ita-
I liana ai nomi stranieri * (Cavedoni). — 3.
faticosa veramente vuol dire « che apporta
fatica •, ma qui « atta alla fatica ». —
I
Se ben tutta di ferro ella riluce.
La terra molle lieta e dilettosa
Simili a sé gli abitator produce.
Impeto fan ne le battaglie prime,
Ma di legger poi langue, e si reprime.
6.3
Alcasto il terzo vien, qual presso a Tebe
Già Capaneo, con minaccioso vólto:
Sei mila Elvezii, audace e fera plebe,
Da gli alpini castelli avea raccolto, [he,
Che '1 ferro uso a far solchi, a franger gle-
In nove forme e in più degne opre ha vòlto;
E con la man, che guardò rozzi armenti,
Par ch'i regni sfidar nulla paventi.
GÌ
Vedi appresso spiegar l'alto vessillo
Co '1 diadema di Piero e con le chiavi.
Qui settemila aduna il buon Camillo
Pedoni, d'arme rilucenti e gravi;
Lieto ch'a tanta impresa il ciel sortillo,
Ove rinnovi il prisco ouor de gli avi,
0 mostri al men ch'a la virtù latina
0 nulla manca, o sol la disciplina.
65
Ma già tutte le squadre eran con bella
Mostra passate, e l'ultima fu questa;
Quando Goffredo i maggior duci appella,
E la sua mente a lor fa manifesta:
Come appaia diman l'alba novella
Vo'che l'oste s'invii leggiera e presta,
Si ch'ella ginn</a a la città sacrata,
Quanto è possibil più meno aspettata.
66
Preparatevi dunque ed al viaggio
Ed alla pugna e a la vittoria ancora.
Questo ardito parlar d'uom cosi saggio
5. terra: la Turenna e l'Orleanese, come so-
pra ho dichiarato. — 7-8. fan, lanarnc, repri-
me: dissonanza di verbi giustificata dal
dipendere tutti dal collettivo pente.
63, 2. Capaneo: mentre assaliva Tebe, fu
da Giove, per la sua superbia, fulminato.
Dante, Inr. xiv 68: «quel fu l'un de' sette
regi Ch'assiser Tebe, ed ebbe e par ch'egli
abbia Dio in disdegno; e poco par che'!
pregi» — 5. Che '1 ferro: Virg., Georg, i
508: «Et curvao rigiduni falces confiantur
in ensem ». — 7. guardò: custodi. — 8. regni:
CONQ. e Os. regi.
64,2. le chiari: stemma dello stato pon-
tificio. — 3. Camillo: nella Conquist. il P.
lo fa di casa Orsina. Personaggio di f:\nta-
sia. — 5. Petrarca, Tr. Farri, i 61 : « l'erché
a si alto grado il ciel sortillo », e Dante,
Par. XI 109: « Quando a colui che a tanto
ben sortillo ».
66, 6. leggiera: Vi è l'idea della mol-
lezza per la quale si fa poco rumore.
14
GERUSALEMME LIBERATA
Sollecita ciascuno e l'avvalora.
Tutti d'andar son pronti al nuovo raggio
E impazienti in aspettar l'aurora.
Ma'! provido Buglion senza ogni téma
Non è però, benché nel cor la prema.
67
Perch'egli avea certe novelle intese,
Che s'è d'Egitto il re già posto in via
In verso Gaza, bello e forte arnese
Da fronteggiare i regni di Scria:
Né creder può che l'uomo a fere imprese
Avvezzo sempre, or lento in ozio stia:
Ma d'averlo aspettando aspro nemico,
Parla al fedel suo messaggiero Enrico:
68
Sovra una lieve saettia tragitto
Vo' che tu faccia ne la greca terra.
Ivi giunger dovea (cosi mi ha scritto
Chi mai per uso in avvisar non erra)
Un giovene regal, d'animo invitto, 'ra:
Che a farsi vien nostro compagno in guer-
Prence è de'Dani, e mena un grande stuolo
Sin da i paesi sottoposti al polo.
69
Ma perché '1 greco imperator fallace
Seco forse userà le solite arti,
Per far che o torni in dietro, o'i corso auda-
Torca in altre da noi lontane parti; [ce
Tu, nunzio mio, tu, consiglier verace,
In mio nome il disponi a ciò che parti
Nostro e suo bene; e di' che tosto vegna,
Che di lui fora ogni tardanza indegna.
6C, 4. aTTalora: lat. : virtutem addii;
Dante, Par. x 93: «La bella donna che al
ciel t'avvalora». —8. prema: comprima,
Virg., Aen. i 209 : « premit altum corde do-
lorera ».
67, 2. re: cfr. e. xvii 2. — 3. Gaza: città
di Palestina. Il P. (Lett. 28) avverte che era
vero che Gaza fosse frontiera del Calififo :
cfr. ancora e. xvii 1. — arnese ecc.: stru-
mento. Dante, Inf. xx 70: «Siede Peschie-
ra, bello e forte arnese Da fronteggiar Bre-
sciani e Bergamaschi ». E si avverta che
arnese si disse ancora dell' armatura di
ferro strumento di difesa. — 5. l'uomo: il
re d'Egitto. — 7. Ma d'arerlo ecc.: Ma mentre
aspetta che gli arrivi sopra nemico, intanto
dà gli ordini ad Enrico che sono espressi
nella st. seg. — Il P. adopera parla per dà
ordini a fine di mostrare la forma amiche-
vole con che Goffredo s'intrattiene col suo
fedele messaggiero.
68, ]. saettia: specie di nave velocissima.
— 4. Chi : tale persona che. — 5. jiovene
regal: Sveno, cfr. e. viii 2 e segg.
69, 1. '1 greco ecc.: Alessio I Comneno,
imperatore della Grecia dal 1081 al 1118. —
6. parti ecc.: pare a te il nostro e il suo
bene.
70
Non venir seco tu, ma resta appresso
Al re de" Greci a procurar l'aiuto,
Che già più d'una volta a noi promesso,
E per ragion di patto anco è dovuto.
Cosi parla e l'informa: e poi che'l messo
Le lettre ha di credenza e di saluto,
Toglie, affrettando il suo partir, congedo :
E tregua fa co' suoi pensier Goffredo,
71
Il di seguente, allor che aperte sono
Del lucido oriente al sol le porte,
Di trombe udissi e di tamburi un suono,
Ond'al cammino ogni guerrier si esorte.
Non è si grato a i caldi giorni il tuono,
Che speranza di pioggia al mondo apporte,
Come fu caro a le feroci genti
L'altero suon de' bellici instrumenti.
72
Tosto ciascun, da gran desio compunto,
Veste le membra de le usate spoglie,
E tosto appar di tutte l'arme in punto:
Tosto sotto i suoi duci ogn'uom s'accoglie,
E l'ordinato esercito congiunto
Tutte le sue bandiere al vento scioglie;
E nel vessillo imperiale e grande
La trionfante Croce al ciel si spande.
73
Intanto il sol, che de' celesti campi [de.
Va più sempre avanzando, e in alto ascen-
L'arme percote, e ne trae fiamme e lampi
Tremuli e chiari, onde le viste offende.
L'aria par di faville intorno avvampi,
E quasi d'alto incendio in forma splende;
E co' feri nitriti il suono accorda
Del ferro scosso, e le campagne assorda.
74
11 Capitan, che da' nemici agguati
Le schiere sue d'assecurar desia,
ilolti a cavallo leggiermente armati
A scoprire il paese intorno invia;
E innanzi i guastatori avea mandati,
Da cui si debbe agevolar la via,
E i vóti luoghi empire, e spianar gli erti,
E da cui siano i chiusi passi aperti.
70, 8. tregua fa, nel senso di interrompe,
sospende. Petrarca, sest. A qualunque aìi.
10: * Non ho mai triegua di sospir col sole».
73, 1. Intanto il sol ecc.: Costruisci: il
sole che va avanzando sempre più dei ce-
lesti campi. — i'. pili : una parte maggiore.
— aranzando: acquistando, cfr. e. xviii 69:
«Non si ferma la lancia alla ferita; Dopo
il colpo, del corso avanza molto ». —3. L'ar-
me percote, ecc.: Virg., Aeri, vii 526: » aera-
que fulgent Sole lacessita et lucem subnu-
bila iactant ». — 6. Cfr. Omero, II., trad.
Monti, II, 595.
CANTO I
15
75
Nou ò ijetite p:ijraiui insieme accolta,
Non imiro cinto di piofonda fossa, [folta
Non gran toirento, o monte alpestre, o
ISelva, ehe'l lor viajjcyio arrestar possa.
C'osi do }j:1ì altri ti inni il r(^ tal volta,
Quando superbo oltra misura ingrossa,
iSovra le sponde riiinoso scorre,
Né cosa è mai che gli s'ardisca opporre.
76
Sol di Tripoli il re, che 'a ben guardate
Mura, genti, tesori ed arme serra,
Forse le schiere Franche avria tardate;
ftla non osò di provocarle in guerra.
Lor con messi e con doni anco placate
Ricettò volontario entro la terra;
E ricevè condizion di pace,
Si come imporle al pio Goffredo piace.
77
Qui del monte Seir, ch'alto e sovrano
Da l'oriente a la cittade è presso,
Gran turba scese de' fedeli al piano
D'ogni età mescolata e d'ogni sesso;
Portò suoi doni al viucitor cristiano;
Godea in mirarlo, e in ragionar con esso;
Stupia de l'arme pellegrine; e guida
Ebbe da lor Goffredo amica e fida.
78
Conduco ei sempre a le marittime onde
Vicino il campo per diritte strade;
Sapendo ben che le propinque sponde
L'amica armata costeggiando rade,
La qual può far che tutto il campo abbon-
De'necessari arnesi, e che le biade [de
Ogni isola de' Greci a lui sol mieta,
E Scio pietrosa gli vendemmi e Creta.
79
Geme il vicino mar sotto l' incarco
De l'alte navi e de'più levi pini;
Si che non s'apre ornai securo varco
Nel mar Mediterraneo a i Saracini;
76, 5. Cosi ecc.: Virg., Georg, i, 481: « Pro-
luit insano contorquens vortice silvas: Flu-
viorumrexEridanus,camposque peromnes,
Cum stabulis armenta tulit».
76. Si cauta dal P. quanto è narrato da
Gugl. Tir. (vii 21) sotto la rubrica: « Prae-
ses Tripolitanus multa pecunia et muneri-
bus a nostris pacem impetrai ».
77-78-79. Gugl. Tir. loc. cit.: « A certis...
quibusdam fldelibus, Seyr montis habitato-
ribus, qui urbibus illis a parte supereminet
orientali excelsus admodum et in sublime
luga porrigens, tanquam a viris prudenti-
bus locorum gnaris, qui ad eos gratula-
bundi descenderant, ut fraternae charitatis
impenderent affectum, consilium ab eis pe-
tierant.qua via versusllyerosolymam tutius
Dossent incedere et commodius. Ilii tandem
Ch'oltra queic'haGiiorgio armati e Marco
Ne' veneziani e liguri confini.
Altri Inghilterra e Francia, ed altri Olan-
E la fertil Sicilia altri ne manda. [da,
80
E questi, che son tutti insieme uniti
(Jon saldissimi lacci in un volere,
S'eran carchi e |)rovvisti in varii liti
Di ciò eh' è duopo a le terrestri schiere:
Le quai trovando liberi e sforniti
I passi de' nemici a le frontiere.
In corso velocissimo se'n vanno
Là 've Cristo soffri mortale affanno.
81
Ma precorsa è la fama, apportatrice
De' veraci romori e de' bugiardi.
Ch'unito è il campo vincitor felice,
Che già s'è mosso, e che non è chi '1 tardi :
Quante e quai sian le squadre ella ridice,
Narra il nome e'I valor de' più gagliardi,
Narra i lor vanti, e con terribil faccia
Gli usurpatori di Sion minaccia.
82
E l'aspettar del male è mal peggiore
Forse, che non parrebbe il mal presente;
Fende ad ogn'aura incerta di romore
Ogni orecchia sospesa, ed ogni mente:
E un confuso bisbiglio entro e di fuore
Trascorre i campi e la città dolente.
Ma il vecchio re ne' già vicin perigli
Volge nel dubbio cor feri consigli.
8>
Aladin detto è il re, che, di quel regno
Novo signor, vive in continua cura;
Uom già crudel,ma'l suo feroce ingegno
Pur mitigato avea l'età matura.
compensatis bona fide universarum viarum,
quae illuc ducebant, tam commoJitatibus
quam compendiis, novissime viam eis com-
raendaverunt maritimam, ut et directiorem
sequerentur, et navium suarum quae pro-
ficiscentem sequebantur exercitum, eis so-
latium non deesset. Erant autem in nostro-
rum classe, non solum Guinimeri, socio-
rumque eius, qui a Flandria, Norraannia et
Anglia... descenderant; verum et lanuen-
sium, Venetorum, Graecorumque naves,
quae a Cypro, Rhodo, et aliis insulis re-
bus onustae venalibus frequenter accede-
baut, quae nostris raultam afferebant con-
solatlonem ».
79, 5. tìcorgio... e Marco: Genova e Ve-
nezia.
81, I. la fama apportatrice ecc.: Virg.,
Aen. IV 173: « it Fama per urbes.... Tara
fleti pravique tenax, quam nuntia veri ».
83, I. Aladiu: personaggio flttizio: Tasso
Giudiz. sovra la Rifovìn.: «Manca, non
ch'altro, nel primo poema (la Liberata) la
16
GERUSALEMME LIBERATA
Egli, che de' Latini udì il disegno,
C'hnn d'assalir di sua città le mura,
Giunge al vecchio timor novi sospetti;
E de' nemici pavé e de'soggetti.
84
Però che dentro a una città commisto
Popolo alberga di contraria fede;
La debil parte e la minore in Cristo,
La grande e forte in Macoraetto crede.
Ma quando il re fé di Sion l'acquisto,
E vi cercò di stabilir la sede.
Scemò i publici pesi a' suoi pagani,
Ma più gravonne i miseri cristiaui.
85
Questo pensier, la ferità nativa,
Che da gli anni sopita e fredda langue,
Irritando inasprisce, e la ravviva
Si ch'assetata è più che mai di sangue;
Tal fero torna a la stagione estiva
Quel che parve nel gel piacevol angue:
Cosi leon domestico riprende
L'innato suo furor, s'altri l'offende.
86
Veggio, dicea, de la letizia nova
Veraci segni in questa turba infida;
Il danno universal solo a lei giova.
Sol nel pianto comun ])ar ch'ella rida;
E forse insidie e tradimenti or cova,
Rivolgendo fra sé come m'uccida:
0 corue al mio nemico, e suo consorte
Popolo, occultamente apra le porte.
87
Ma no'l farà; prevenirò questi empi
Disegni loro, e sfogherommi a pieno:
Gli ucciderò, faronne acerbi scempi.
Svenerò i tìgli a le lor madri in seno,
Arderò i loro alberghi e insieme i tempi:
Questi i debiti roghi a i morti fièno:
E su quel lor sepolcro in mezzo ai vóti
Vittime pria farò de' sacerdoti.
88
Cosi l'iniquo fra suo cor ragiona;
Pur non segue pensier si mal concetto:
Ma s'a quegli innocenti egli perdona,
E di viltà, non di pietade effetto:
Che, s'un timor a incrudelir lo sprona,
Il ritien pili potente altro sospetto:
Troncar le vie d'accordo, e de' nemici
Troppo teme irritar Tarme vittrici.
89
Tempra dunque il fellonia rabbi a insana,
Anzi altrove pur cerca ove la sfoghi;
I rustici edificii abbatte e spiana,
E dà in preda a le fiamme i culti luoghi;
Parte alcuna non lascia iut-grao sana,
Ove il Franco si pasca, ove s'alloghi;
Turba le fonti e i rivi, e le pure onde
Di veneni mortiferi confonde.
90
Spietatamente è cauto, e non oblia
Di rinforzar Gierusalem fra tanto.
Da tre lati fortissima era pria,
Sol verso Borea è nien secura alquanto;
Ma da' primi sospetti ei le munia
D'aiti ripari il suo men forte c:;nto;
E v'accogliea gran quantitade in fretta
Di gente mercenaria e di soggetta.
cognizione del Soldano o del Tiranno, che
signoreg^riava in Palestina, il quale fu da
me nomato Aladino con nome quasi suppo-
sitizio: ora (nella conquistata] rimovendo
il falóo Aladino, vi ho riposto il vero di
Ducato, ch'io per miglior suono, chiamo
Ducalto ». Scartazzini: «Reggeva Gerusa-
lemme pel CalitTo iatimita d'Egitto TErairo
Ducat. I Turchi Ortocidi l'avean perduta
Tanno innanzi. In seguito allo scisma av-
venuto nel 9oS fra gli Abassidi e i Fatimiti,
i Califfi, 0 supremi pontefici e reggitori
politici de' Musulmani, divennero due: l'uno
risedeva in Bagdad, in Egitto l'altro; e da
lui, da un anno, dipendeva la Siria ». — 8.
pare: tènie; lat. p'vet.
84, 7. Scemò i pnblici pesi ecc.: come è
raccontato da Gugl. Tir. vii 23.
85, 5-6. Compendia una similitudine di
Virg., Aen. ii47l. — 6. piacevol: trattabile;
nella Conquisi, gli sostituì placido.
87. Corrisponde a quanto racconta Gugl.
Tir. nel loc. cit. — S. Tittime... farò: Dante,
Purg. XX 67: « Carlo venne in Italia, e per
ammenda Vittima fé' di Corradino ».
88.2 segue: mette in esecuzione, nel sen-
so del latino exsequitur. — 1. Troncar: di-
pende da teme del verso seguente: teme,
con la troppa crudeltà, di troncar ecc., e
di irritar troppo le armi vitt. dei nemici.
Gugl. Tir. dice (vii, 14) che « mutato Con-
silio » si dette invece a spogliare di tutte le
ricchezze i cristiani.
89, 6. Ore: Os. Onde. — Franco: Mella:
• Franchi san detti in levante tutti indistin-
tamente gii europei dalle crociate in poi ».
— 7. Turba le fonti ecc.: Gugl. Tir. vm 4;
« cives, praecognito nostrorum adventu, ora
fontium et cisteruarum quae in circuita
urbis erant.... obstruxerunt >>; e cap. 7:
« [cives] audito noscrorum adventu, ut lo-
cus ad continuandam obsidionem reddere-
tur iueptior, iactu pulveris et modis aliis
quibus poterant oppilaverant universos ».
90. Gugl. Tir. dopo aver detto che i Ge-
rosolimitani s'industriavano a munire e a
provvedere la citt s seguita (vii 23): « Sed
et princeps Aegyptius, qui multo labore
eodem anno, Turcorum expulso principa-
tu. praedictam urbem receperat, comperto
quod ab Antiochia noster discesserat exer-
citus. quanto poterai studio turres reparari
praeceperat et moenia ».
CANTO II
Hmeno -^ h* imaginc
della Vergine i^ Olindo
e Sofronia -^ Clorinda
-jUr L'esercito cristiano in
Emaus -^ Alete e Ar-
gante ambasciadori pel
re d'Egitto * Parlata
d' Alete -^ Risposta di
Goffredo -^ Argante di-
chiara la guerra it^ Notte
^ Ardore religioso e
guerresco dei cristiani.
Mentre il tiranno s'apparecchia a l'armi,
Soletto Ismeuo un di gli s'appresenta;
Ism<3n, che trar di sotto a i chiusi marmi
Può corpo estinto, e far che spiri e senta ;
1, 1. tiranno: Aladino; cfr. e. i 83, 1 in
nota. — 2. Ismeno: il mago che scongiura
r inferno e si fa ubbidire dai demoni e gli
discioglie e lega, appartiene al sovranna-
turale accettato dalla fantasia popolare cri-
stiana, e perciò vero poeticamente e stori-
camente. Tasso {Leu. 60): «ne gli incanti
e ne le maraviglie io dico non molte cose
le quali non mi siano somministrate da
l'istorie, 0 almeno non me ne sia porto al-
cun seme, che sparso poi nei campi de la
fantasia produce quelli alberi che ad al-
cuno paiono mostruosi ». E ancora : « Io
stimo che in ciascun poema eroico sia ne-
cessarissimo quel mirabile che eccede l'uso
de le nazioni e la possibilità de gli uomini ;
Tsmen, che al suon de' mormoranti carmi
Sin ne la reggia sua Pluton spaventa,
E i suoi demon ne gli empi uffici impiega
Pur come servi, e li discioglie e lega.
2
Questi or Macone adora, e fu cristiano;
Ma i primi riti anco lasciar non puote;
0 sia egli effetto de gli dèi, come è nei paesi
de' gentili; o de gli angioli, o vero de' dia-
voli e de' maghi, com'è in tutte le moderne
poesie ». Ismeno poi appartiene a quella
specie di maghi che il T. nel dial. Il Mes-
saggiero chiama " stregoni»: enei Giudiz.
sovra la Rifar m.: «per autorità ancora di
S. Girolamo due sono le spezie di maghi,
l'una buona, malvagia l'altra ». — 5. nior-
niornnti: Os.: mormorati', nel primo caso
s' intenda « che vanno espandendosi mor-
morando », nel secondo « recitati a bassa
voce ».
2, 1. Macone: Maometto. — 2 riti: Si in-
Tasso, Genisakìume liberata.
18
GERUSALEMME LIBERATA
Anzi sovente in uso empio e profano
Confonde le due leggi a sé mal note:
Ed or da le spelonche, ove lontano
Dal vulgo esercitar suol l'arti ignote,
Vien nel pnblico rischio al suo signore,
A re malvagio consiglier peggiore.
3
Signor;, dicea, senza tardar se' n viene
Il vincitor esercito temuto;
Mafacciara noi ciòcheanoi far conviene;
Darà il Ciel, darà il mondo a i forti aiuto.
Ben tu di re, di duce hai tutte piene
Le parti, e lunge hai visto e proveduto.
S'empie iu tal guisa ogni altro i propri
[uffici.
Tomba fìa questa terra a' tuoi nemici.
4
Io, quanto a me, ne vengo, e del periglio
E de l'opre compagno, ad aiutarle:
Ciò che può dar di vecchia età consiglio.
Tutto prometto, e ciò che magica arte.
Gli Angeli che dal Cielo ebbero esigilo
Costringerò de le fatiche a parte.
Madond'io voglia incominciar gl'incanti,
E con quai modi, or uurrerotti avanti.
5
Nel tempio de' Cristiani occulto giace
Un sotterraneo altare, e quivi è il vólto
Di Colei che sua diva e madre face
Quel vulgo del suo Dio nato e sepolto.
Dinanzi al simulacro accesa face [volto.
Continua splende; egli è in un velo av-
Pendono intorno in lungo ordine i vóti
Che vi portano i creduli devoti.
tendano i riti religiosi del cristianesimo.
— 4. leggi: religioni. — 6. ignote: ignorate
dal volgo. — 7. nel pnblieo rischio : nel pe-
ricolo in cui versa tutto il popolo pagano.
— 8. consiglier peggiore : apposizione ad
latneno.
3, I. se'n Tiene: si noti che l'esercito
cristiano, partito da Tortosa, doveva im-
piegare alcuni giorni prima di giungere a
Gerusalemme. — 5-6. hai tutte piene Le
parti : latin. « explere partes, explere mu-
uus ». — 7. S'empie... i propri uificì: frase
latina: Plinio (a Traiano): •« oflScium im-
plere suum «•.
6 Questo rapimento dell'immagine, che
era come la salvaguardia del popolo di
Cristo, somiglia molto al rapimento del Pal-
ladio a Troia. — 3-4. Intricati questi due
versi per istrano e duro iperbato. Il Galilei
a ragione li censura acerbamente. Costrui-
sci e intendi: Di colei che il volgo cristiano
fa sua diva, e la madre del suo Dio nato e
sepolto. — 8. portano: Os. por taro; e que-
st'ultima mi par lezione miglioro anche
por l'armonia del verso.
Or questa effigie lor, di là rapita,
Voglio che tu di propria man trasporte
E la riponga entro la tua meschita:
10 poscia incauto adoprerò si forte,
Ch'ognor, mentr'ella qui fia custodita,
Sarà fatai custodia a queste porte:
Tra mura inespugnabili il tuo impero
Securo fia per novo alto mistero.
7
Si disse, e'I persuase; e impaziente
11 re se'n corse a la ma.:ion di Dio,
E sforzò i sacerdoti, e irreverente
Il casto simulacro indi rapio;
E portollo a quel tempio, ove sovente
S'irrita il Ciel col folle culto e rio.
Nel profan loco e su la sacra imago
Susurrò poi le sue bestemmie il mago.
8
Ma come apparse in ciel l'alba novella,
Quel, cui l'immondo tempio in guardia è
Non rivide l'imagine, dov'ella [dato,
Fu posta, e in van cerconne in altro lato.
Tosto n'avvisa il re, eh' a la novella
Di lui si mostra fieramente irato;
Ed iraagina ben, ch'alcun fedele
Abbia fatto quel furto, e che se'l cele.
9
0 fu di man fedele opra furtiva,
0 pur il Ciel qui sua potenza adopra;
Che di Colei, che sua regina e diva,
Sdegna che loco vii l'imagin copra:
Ch'incerta fama è ancor, se ciò s'ascriva
Ad arte umana, od a mirabil opra:
Ben è pietà, che, la pietade e '1 zelo
Uman cedendo, autor se'n creda il Cielo
I
j 6, 3. meschita : chiesa dei musulmani,
I moschea. — 5. mentr'ellft : finché ella. — 6.
j fatai: voluta dal fato, necessaria. — 8. no-
I To: insolito.
I 8. L'ira di Aladino per lo sfregio rice
I vuto, e la vendetta ciie si propone di trarne,
i d'onde origina l'episodio di Olindo e Sofro-
' nia, muovono da quanto si racconta da
I G ugl. Tir. 1 5, che, cioè, i musulmani avendo
trovato un cane morto iu una moschea,
avrebbero ucciso tutti i cristiani, se un gio-
vinetto non avesse spontaneamente offerta
la vita per la salvezza comune. Cfr. st. 13
in nota. — 6. Di lui: Os. Vèr' lui.
9, 3. Cfr. st. 5, 3. — 7. Ben è pietà ecc :
Bisticcio, che può intendersi : Ed è devota
religione ancora questo far autore il cielo
di cose al compimento delle quali la devo-
zione e lo zelo degli uomini sembrino, o si
dichiarino inferiori (cedano, nel senso di
Dante, Par. xxxiii 56 ; « che a tal vista ce-
de, E cede la memoria a tanto oltraggio »'.
Se pure cedere non è preso per trarsi in
CANTO li
19
10
Il re ne fa con importuna inchiesta
Ricercar Of?iii chiesa, osiii maj^ione ;
Ed a chi gli nasconde, o manifesta
Il furto, o'I reo, gran pene e premi impone.
Il mago di spiarne anco non resta
Con tutte l'arti ilver, ma non s'appone:
Ché'l Cielo, opra sua fosse o fosse altrui,
Celolla, ad onta de gr incanti, a lui.
11
Ma poi che'l re crudel vide occultarse
Quel, che peccato de' Fedeli ei pensa.
Tutto in lor d'odio infellonissi, ed arse
D'ira e di rabbia immoderata immensa.
Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse,
Segua che puote, e sfogar l'alma acceusa.
Morrà, dicea, non andrà l'ira a vóto,
Ne la strage comune il ladro ignoto,
1-2
Pur che'l reo non si salvi, il giusto péra
E l'innocente; ma qual giusto io dico?
È colpevol ciascun, né in loro schiera
Uom fu giammai del nostro nome amico.
S'anima v'è nel novo error sincera.
Basti a novella pena un fallo antico.
Su su, fedeli miei, su via prendete
Le fiamme e '1 ferro, ardete ed uccidete.
13
Cosi parla a le turbe; e se n'intese
La fama tra' Fedeli immantinente,
Ch'attoniti restar; si gli sorprese
11 timor de la morte omai presente.
E non è chi la fuga o le difese,
Lo scusar o '1 pregare ardisca o tente.
Ma le timide genti e irrisolute
Donde meno sperare ebber salute.
disparte con corrispondenza al fatto che
l'autore umano era ignoto e nascosto.
10, 5. Il mago: Òs., E 'l mago. — 6. arti;
arti magiche.
12, 5. novo error: il furto. — sincera: in-
nocente.
13, 8. L'episodio, che qui si accenna, e si
svolge di poi, ha, come si è notato alla st. 8,
1,11 suo seme in Gugl. Tir., che nel i5 narra:
« adolesceus primatibus se offert civitatis,
reum se confitetur, et omnes alios astruit
innocentes. Quod audientes iudices, aliis ab-
solutis, illum gladio exposuerunt. Et ita prò
fratribus animam poneus, cum pietate dor-
mitionem accepit optimara in Domino ha-
bens repositam gratiam ». In quanto alle
fonti artistiche dell'epis. si ricordano per la
gara onde voglion morire a preferenza i due
contendenti, una scena delV Antigone di So-
focle, tra Ismene ed Antigone; e, in parte,
la scena tra Florio e Biancofiore nel Filo-
capo del Boccaccio : pel genere di pena, e
per l'intervento di un terzo che li liberi, la
nov. 46 del Decatnerone (Gianni da l'rocida
14
Vergine era fra lor di già matura
Verginità, d'alti pensieri e regi.
D'alta beltà; ma sua beltà non cura,
() tanto sol quant'onestà se'n fregi:
È il suo pregio maggior, che tra le mura
D'angusta casa asconde i suoi gran pregi;
E de' vagheggiatori ella s'invola
A le lodi, a gli sguardi, inculta e sola.
15 • [celi
Pur guardia esser non può, ch'in tutto
Beltà degna ch'appaia e che s'ammiri;
Né tu il consenti. Amor, ma la riveli
D'un giovenetto a i cupidi desiri.
Amor, ch'or cieco, or Argo, ora ne veli
e Restituta sono, per ordine dell'impera-
tore Federigo, presi e legati ad un palo, e
davanti agli occhi loro fu la stipa ed il fuoco
apparecchiato per doverli ardere all'ora co-
mandata, quando Ruggiero dell'Oria, avuto
sentor di ciò, presentossi al re, ed ottenne
loro la salvezza); e una leggenda nel De
Virginibus di Sant'Ambrogio, ove Teodora
vergine cristiana è salvata da Didimo scam-
biando i panni: scoperto l'inganno il giova-
ne è dannato al supplizio ; Teodora accorsa
chiede per sé la palma del martirio (cfr. Ge-
rini G. B. Di alcun, epis. della Ger. Liber.).
14. Nell'epistolario {Leit. 25) il Tasso, die-
tro obbiezioni mossegli circa l'opportunità
di divagare in tale epis., confessa di aver
voluto indulgere genio et principi, che è
quanto dire, che dolce forza gli facevano
l'arte sua e il principesco mecenate; vero
che a lui pure pareva poco connesso all'in-
venzione dell'intero poema, e troppo lirico
{Lett.^1): * In quanto a l'episodio di Sofro-
nia, ho pensato di aggiungere otto o dieci
stanze nel fine, che '1 farà parer più con-
nesso; e di quelle sue nozze farò come vor-
ranno. In ogni modo quella stanza Va dal
rogo alle nozze, avea da esser mutata >. E
ancora {Leu. 61): «Io ho già condannato
con irrevocabil sentenza a la morte l'epi-
sodio di Sofronia, e perché in vero era
troppo lirico, e perché al signor Barga [uno
dei correttori) ed a gli altri pareva poco
connesso e troppo presto ». Alle quali ra-
gioni aggiunse la paura di dare occasione
alTautorità ecclesiastica di proibire il libro
come poco religioso [Lett. 65). Ma lini col
tenerlo (Le«. 70): lo tolse poi dalla Conqui-
stata. In Sofronia credo che adombri Eleo-
nora d'Este; in Olindo pare che ritragga sé
stesso. — 1-2. matara Vergrinità: in piena gio-
vinezza. — 3-1. Petrarca, son. Arbor villo-
riosa 11: «L'alta beltà, ch'ai mondo non ha
pare, Noia t'è, se non quanto il bel tesoro
Di castità par ch'ella adorni e fregi ».
16, 5. Arffo: personaggio mitologico, il
20
GERUSALEMME LIBERATA
Di benda gli occhi, ora ce li apri e giri,
Tu per mille custodie entro a i più casti
Verginei alberghi il guardo altrui porta-
le [sti.
Colei Sofronia, Olindo egli s'appella,
D'una cittade entrambi e d'una fede.
Ei che modesto è si com'essa è bella,
Brama assai, poco spera, e nulla chiede;
Né sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella
0 lo sprezza, o no'l vede, o non s'avvede.
Cosi fin ora il misero ha servito
0 non visto, o mal noto, o mal gradito.
17
S'ode l'annunzio in tanto, e che s'appre-
Miserabile strage al popol loro. [sta
A lei, che generosa è quanto onesta.
Viene in pensier come salvar costoro.
Move fortezza il gran pensier; l'arresta
Poi la vergogna e "1 virglnal decoro;
Vince fortezza, anzi s'accorda, e face
Sé vergognosa e la vergogna audace. -
18
La vergine tra '1 vulgo usci soletta;
Non copri sue bellezze, e non l'espose;
Raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta.
Con ischive maniere e generose.
Non sai ben dir s'adorna, o se negletta ;
Se caso od arte il bel volto compose :
capo del quale si fingeva seminato d'occhi.
— 7. per: attraverso.
16, I versi 4-6-8 sono fatti nel medesimo
modo: e tanto neirorganismo metrico quanto
nella disposizione dei concetti c'è troppo ar-
tifizio. Questi scherzi, come li chiamava il
Galilei, sono difetto principale nel Tasso.
Dei difetti del suo stile in genere, il T. con-
fessa {Leu. 75) : « conosco d'essere stato trop-
po frequente ne' contrapposti, ne gli scherzi
de le parole, ne le allusioni, ed in altre figure
di parole, le quali non sono proprie de la
narrazione e molto meno della narrazione
magnifica ed eroica, si che giudico che mi
sia necessario andar ri movendo alquanto
del soverchio ornamento de le materie non
oziose, perché ne le oziose nessun orna-
mento forse é soverchio. Ne gli spiriti e ne
gli ornamenti che nascono non da le parole
ma da' sensi, mi pare, senza partirmi da i
precetti de l'arte, di poter essere molto men
severo; né stimo, a verun patto, vizio l'es.
sere alquanto più spiritoso e vivace che non
fu Omero e Virgilio ».
17, 7. Yince fortezza ecc.: Giuoco di pa-
role che. in altri termini, vuol dire, che
Sofronia apparve come donna forte e ve-
reconda ad un tempo.— 8. audace: rispetto
alla vergogna, questa andata, più che di co-
raggio, era atto d'audacia.
18, 3. Raccolse gli occhi: non permise che
divorassero qua e là. — 4. Ischiye: sdegno-
Di natura, d'Amor, de' cieli amici
Le negligenze sue sono artifìci.
19
Mirata da ciascun passa e non mira
L'altera donna, e innanti al re se'n viene;
Né, perché irato il veggia, il pie ritira.
Ma il fero aspetto intrepida sostiene.
Vengo, signor, gii disse, e 'n tanto l'ira
Prego sospenda e'I tuo popolo aflfrene;
Vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
Quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso.
20
A l'onesta baldanza, a l'improviso
ì Folgorar di bellezze altere e sante,
: Quasi confuso il re. quasi conquiso,
j Frenò lo sdegno, e placò il fèr sembiante.
S'egli era d'alma, o se costei di viso
Severa manco, ei diveniane amante;
Ma ritrosa beltà ritroso core
Non prende, e sono i vezzi ésca d'Amore.
21
Fu stupor, fa vaghezza, e fu diletto,
S'Amor non fu, che mosse il cor villano.
Narra, ei le disse, il tutto; ecco io com-
[metto
Che non s'offenda il i)opol tuo cristiano.
Ed ella: Il reo si trova al tuo cospetto;
Opra è il furto, signor, di questa mano;
Io l'imagine tolsi; io sou colei
Che tu ricerchi, e me punir tu dèi.
22
Cosi al publico fato il capo altero
Offerse, e '1 volse in sé sola raccòrre.
Magnanima menzogna, or quando è il ve-
Si bello che si possa a te preporre? [ro
Riman sospeso, e non si tosto il fero
Tiranno a l'ira, come suol, trascorre.
Poi la richiede: Io vo' che tu mi scopra
Chi die consiglio, e chi fu insieme a Topra.
I se. — generose: nobili. — 7-8. Versi che a
i pensarci su dicono poco. Costruisci: le ne-
! gligenze sue sono artifici della natura, del-
I l'amore, dei cieli ben disposti.
i 19. Cfr. l'apparire di Sofronia con quello
I di Armida, e. iv 28.
j 20, 7-8. Qui, come nelle st. 17 e 18, ama il
j P. di sofisticare e arzigogolare nella clau-
Isola: I vezzi, non la ritrosia, accendono
l'amore.
21, 3. disse: Os. dice.
22, 1-2. al publico fato ecc. Intendi: Al
destino che pesava su tutti (la vendetta
d' Aladino) ella offerse l'altero capo, e volle
che tal vendetta cadesse tutta e solamente
su di lei. — 3. Magnauinia menzogna: Ri-
cordo col Gentile l'oraziano (Od. Ili xi):
« periurum fuit in parentem Splendide.men-
dax ».
CANTO II
21
23
Non volsi far de la mia gloria altrui
Né pur minima parte, ella gli dice;
Sol di me stessa io eonsapevol fui,
Sol consigliera, e sola esecutrice.
Dunque in te sola, ripigliò colui,
Caderà Tira mia vendicatrice.
Diss'ella: È giusto; esser a me conviene,
Se fui sola a l'onor, sola a le pene.
24
Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
Poi le dimanda: Ov'hai l'imago ascosa?
Non la nascosi, a lui risponde; io l'arsi:
E l'arderla stimai laudabil cosa;
Cosi almen non potrà più violarsi
Per man de' miscredenti ingiuriosa.
Signore, o chiedi il furto, o'I ladro chiedi:
Quel no'l vedrai in eterno, e questo il ve-
•25 [di.
Ben che né furto è il mio, né ladra io so-
[no;
Giusto è ritor ciò ch'a gran torto è tolto.
Or, questo udendo, in minaccievol suono
Freme il tiranno, e'i fren de l'ira è sciol-
Non speri pili di ritrovar perdono [to.
Cor pudico, alta mente, o nobil vólto;
E indarno Amor contra lo sdegno crudo
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.
26
, Presa è la bella donna; e incrudelito
Il re la danna entro un incendio a morte.
Già'l velo e '1 casto manto è a lei rapito ;
Stringon le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace; e in lei non sbigottito.
Ma pur commosso alquanto è il petto for-
E smarrisce il bel vólto in un colore [te ;
Che non è pallidezza, ma candore.
27
Divulgossi il gran caso; e quivi tratto
Già'l popol s'era: Olindo anco v'accórse ;
Dubbia era la persona e certo il fatto ;
Venia, che fosse la sua donna, in fórse.
24, 2. Poi: Os, Pur. — 6. miscredenti: che
non credono giustamente.
25,"?. ritor... torto., tolto: brutta combi-
nazione di suoni. — 7. E indarno Amor ecc.:
Vuol dire, che indarno Amore oppone allo
sdegno di Aladino le bellezze di Sofronia.
26, 2. entro un incendio a morte: a mo-
rire entro un incendio. — 3. è a lei: Os. a
lei. — 4. Virg., Aen. ii 406: « teneras arce-
bant vincula palmas ». — 7. E smarrisce il
bel vólto ecc.: Par che voglia dire che il
volto privo di sangue non diventa pallido
smorto, ma candido e lucente; suggerito
forse dal Petrarca, Tr. Mort. i 166: «Pal-
lida no, ma come neve bianca ecc.».
27, 3. Dubbia era: Os. €hé dubbia. — 4.
Tenia... io forse, ven., dubbioso che l'accu-
Come la bella prigioniera in atto
Non pur di rea, ma di dannata ei scòrse,
Come i ministri al duro udticio intenti
Vide, precipitoso urtò le genti.
28
Al re gridò: Non è, non è già rea
Costei del furto, e per follia se 'n vanta.
Non pensò, non ardi, né far potea
Donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi, e de la Dea
Con quali arti involò l'iraagin santa?
Se '1 fece, il narri. Io l'ho, signor, furata.
(Ahi! tanto amò la non amante amata).
29
Soggiunse poscia: Io là, donde riceve
L'alta vostra meschita e l'aura e '1 die,
Di notte ascesi e trapassai per breve
Fóro, tentando inaccessibil vie.
A me l'onor, la morte a me si deve;
Non usurpi costei le pene mie:
Mie son quelle catene, e per me questa
Fiamma s'accende, e '1 rogo a me s'ap-
30 [presta.
Alza Sofronia il viso, e umanamente
Con occhi di piotate in lui rimira.
A che ne vieni, o misero innocente?
Qual consiglio o furor ti guida o tira?
Non son io dunque senza te possente
A sostener ciò che d'un uom può l'ira?
Ho petto anch' io, ch'ad una morte crede
Di bastar solo, e compagnia non chiede.
31
Cosi parla a l'amante; e no '1 dispone
Si ch'egli si disdica o pensier mute.
Oh spettacolo grande ove a tenzone
Sono Amore e magnanima virtute!
Ove la morte al vincitor si pone
In premio, e '1 mal del vinto è la salute!
Ma più s'irrita il re, quant'ella ed esso
È più costante in incolpar sé stesso.
32
Pargli che vilipeso egli ne resti,
sata fosse la sua donna. — 7-8. Il poeta rifa,
con altra intenzione, Gugl. Tir. loc. cit.:
« Duuique adessent spiculatores eductis gla-
diis ut populum iuterimerent, obtulit se ado-
lescens plenus spiritu, dicens... ».
28, 1. Virg., Aen. ix 427: «Me, me, adsum
qui feci ; in me convertite ferrum, 0 Rutuli!
mea fraus omnis: nihil iste nec ausus, Nec
potuit.: coelum hoc et conscia sidera tester».
— 8. Virg. nel loc. cit : « Tantum infelicera
nimium dilexit amicura »; che è molto me-
glio detto che nel Tasso.
30, 1. umanamente: benignamente.
31, 2. 0 pensier: Os. e pensier. — 5-6. Ove
la morte ecc.: Intendi: ove si pone in premio
al vincitore la morte, ed é di pena al vinto la
vita, la salvezza.
22
GERUSALEMME LIBERATA
E ch'in disprezzo suo sprezzili le pene.
Credasi, dice, ad ambo; e quella e questi
Vinca, e la palma sia qual si conviene.
Indi accenna a i sergenti, i quai son presti
A legar il garzon di lor catene.
Sono arabo stretti al palo stesso; e vòlto
È il tergo al tergo, e'I vólto ascoso al vól-
33 fto.
Composto è lor d'intorno il rogo ornai,
E già le fiamme il mantice v'incita;
Quando il fanciullo in dolorosi lai
Proruppe, e disse a lei ch'è seco unita:
Questo dunque è quel laccio, ond'io spe-
[rai
Teco accoppiarmi in compagnia di vita?
Questo è quel foco eh' io credea che i cori
Ne dovesse infiammar d'eguali ardori?
34
Altre fiamme, altri nodi Amor promise,
Altri ce n'apparecchia iniqua sorte, [se,
Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divi-
Ma duramente or ne congiunge in morte.
Piacerai almen,poi ch'in si strane guise,
Morir pur dèi, del rogo esser consorte,
Se del letto non fui : duolmi il tuo fato,
Il mio non già, poi ch'io ti moro a lato.
35
Ed oh mia morte avventurosa a pieno!
Oh fortunati miei dolci martiri!'
S'impetrerò che giunto seno a seno ■
L'anima mia ne la tua bocca spiri:
E venendo tu meco a un tempo meno
In me fuor mandi gli ultimi sospiri.
Cosi dice piangendo: ella il ripiglia
Soavemente, e in tai detti il consiglia :
36
Amico, altri pensieri, altri lamenti.
Per più alta cagione il tempo chiede, [ti
Che non pensi a tue colpe, e non rammen-
Qual Dio prometta a i buoni ampia mer
[cede?
Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti,
E lieto aspira a la superna sede.
Mira il eie] come è bello, e mira il sole
Ch'a sé par che n'inviti e ne console.
33, 3. fancinllo: giovanetto, come il puer
dei latini; e fanciullo fu già detto Rinaldo
al e. I 58, 1. — 5. Ovidio, Mei. (iv 678), quando
Perseo vede Andromeda legata: « Ut stetit,
0, dixit, non istis digna catenis Sed quibus
Inter se cupidi iunguntur amautes ».
35. Boccaccio, A'ou. ritata: « voi^lio, di
grazia, che, come io sono con questa gio-
vane, la quale io ho più che la mia vita
amata ed ella me, con le reni a lei voltato
ed ella a me, che noi siamo coi visi l'uno
all'altro rivolti, acciocché morendo io, ve-
dendo il viso nel suo, ne possa andar con-
solato ».
37
Qui il vulgo de' Pagani il pianto estolle";"
Piange il Fedel, ma in voci assai più bas-
Un non so che d'inusitato e molle [se.
Par che nel duro petto al re trapasse:
Ei presentino, e si sdegnò; né volle
Piegarsi, e gli occhi tòrse, e si ritrasse.
Tu sola il duol comun non accompagni,
Sofronia, e pianta da ciascun non piagni.
38 [riero
Mentre sono in tal rischio, ecco un guer-
( Che tal parca) d'alta sembianza e degna;
E mostra, d'arme e d'abito straniero,
Che di lontan peregrinando vegna.
La tigre che su l'elmo ha per cimiero,
Tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna ;
Insegna usata da Clorinda in guerra;
Onde la credon lei, né '1 creder erra.
39
Costei gl'ingegni feminili e gli usi
Tutti sprezzò sin da l'etate acerba;
A i lavori d'Aracue, a l'ago, a i fusi
Inchinar non degnò la man superba;
Fuggi gli abiti molli e i lochi chiusi,
Che ne'eampi onestate ancor si serba:
Armò d'orgoglio il vólto, e si compiacque
Rigido farlo; e pur rigido piacque.
40
Tenera ancor con pargoletta destra
Strinse e lento d'un corridore il morso;
37,6. Piegarsi, cedere, inchinando a pietà.
3S, 2. tal: un guerriero, un uomo, men-
tre in realtà era una donna. — 3. d'arme e
d'abito str.iniero: straniero è apposizione di
guerriero: e mostra, straniero com'è nelle
ormi e nell'abito ecc. — 7. Clorinda. Vedi
la nota su Gildippe e. i 56, 6. Per le donne
saracine il T. sta sulla fede dell'Anonimo,
il quale racconta che esse -difesero li città
con virile ardimento: questo è il fonda-
mento storico del nostro personaggio. Arti-
sticamente ricorda la Camilla virgiliana e
la Marfisa ariostesca. Sulla opportunità poi
di introdurre donne guerriere nell'epica,
il T. scrisse (Giudiz. sovr. la Rtform.) : «do-
vendo il poeta cercare la maraviglia, niuna
cosa ci pare più maravigliosa dell'ardire e
della fortezza femminile ».
39, 1. Costei ecc.: Virg., Aen. vii 805:
« Bellatrix, non illa colo, calathisve Miner-
vae Femineas assueta manus; sed proelia
virgo Dura pati ». — 2. etate: Bon.2 e Os.
età più. — 3. lavori d'Àracne: lavori fem-
minili. Aracne, mortale, contese con Miner-
va nella valentia dei lavori donneschi: vin-
ta, fu convertita in ragno: cfr. Ovidio, Met.
VI 1-145; e Dante, Purp. xii 43-5.
40, 1. Tenera ecc.: Virg., Aen. xi 578:
«Tela mauu jam tum tenera puerilia ter-
CANTO II
23
Trattò Tasta e la spada, ed in palestra
Indurò i membri, ed alleuògli al corso:
Poscia 0 per via montana o per silvestra
L'orme segui di fier leone e d'orso;
Segui le guerre; e in esse e fra le selve
Fera agli uomini parve, uomo a le belve.
41
Viene or costei da le contrade perse,
Perché a i cristiani a suo poter resista;
Ben ch'altre volte ha di lor membra
[asperse
Le piagge e l'onda di lor sangue ha mista.
Or quivi in arrivando a lei s'ofierse
L'apparato dì morte a prima vista.
Di mirar vaga, e di saper qual fallo
Condanni i rei, sospinge oltre il cavallo.
42
Cedon le turbe; e i duo legati insieme
Ella si ferma a riguardar da presso:
Mira che l'una tace e l'altro geme,
E più vigor mostra il men forte sesso:
Pianger lui vede in guisa d'uom cui preme
Pietà, non doglia, o duol non di se stesso;
E tacer lei con gli occhi al ciel si fisa,
Ch'anzi '1 morir par di qua giù divisa.
43
Clorinda intenerissi, e si condolse
D'arabeduo lor, e lacrimonne alquanto.
Pur maggior %ente il duol per chi non
[duo! se;
Più la move il silenzio e meno il pianto.
Senza troppo indugiare ella si volse
Ad un nom che canuto avea da canto:
Deh! dimmi: chi sou questi? ed al mar-
[toro
Qual gli conduce o sorte o colpa loro?
44
Cosi pregollo; e da colui risposto
sit Et fundam tereti circura caput egit ha-
bena ». — 4. allenògli ; li fece vigorosi, ac-
crebbe loro la lena, cioè la forza che per-
dura. — 7. esse: Os. quelle.
41, 5. quÌTÌ: Os. quinci. E quindi aveva
il BoNNÀ ma corresse in quivi nell'error.
corr.
"42, 3. tace... geme: Novara: «Tace Sofro-
nia perché armata il petto di costanza cri-
stiana: essa è rapita in estasi, eia sua mente
è separata da ogni cosa terrena: Olindo
geme per la passione amorosa che lo tra-
vaglia ». — 8. anzi: prima, avanti.
43, 4. Più la commuove il silenzio di So-
fronia e meno il pianto di Olindo ; antitesi
inutile che ripete il concetto del verso pre-
cedente; dove il duolse non è perfetto di
dolere, come potrebbe anche intendersi,
ma presente del riflessivo dolersi: duolsi,
si duole.
Breve, ma pieno a le dimando fue.
Stupissi udendo, e imaginò ben tosto
Ch'egualmente innocenti eraii quo' due.
Già di vietar lor morte ha in sé proposto,
Quanto potranno i preghi o l'arme sue.
Pronta accorre a la fiamma, e fa ritrarla,
Che già s'appressa, ed a i ministri piirla.
45
Alcun non sia di voi, che 'n questo duro
Ufficio oltra seguire abbia baldanza,
Sin ch'io non parli al re: ben v'assecuro
Ch'ei non v'accuserà de la tardanza.
Ubbidirò i sergenti, e mossi furo
Da quella grande sua regal sembianza.
Poi verso il re si mosse: e lui tra via
Ella trovò, che contra lei venia.
46
Io son Clorinda, disse: hai forse intesa
Talor nomarmi; e qui, signor, ne vegno
Per ritrovarmi teco a la difesa
De la fede comun/e e del tuo regno, [sa;
Son pronta, imponi pure, ad ogni impre-
L'alte non temo, e l'umili non sdegno:
Voglimi in campo aperto, o pur tra'l chiu-
De le mura impiegar, nulla ricuso. [so
47
Tacque ; e rispose il re : Qual si disgiunta
Terra è da l'Asia, o dal carain del sole,
Vergine gloriosa, ove non giunta
Sia la tua fama, e l'onor tuo non véle?
Or che s'è la tua spada a me congiunta,
D'ogni timor m'affidi e mi console;
Non, s'esercito grande unito insieme
Fosse in mio scampo, avrei più certa spe-
48 [me.
Già già mi par ch'a giunger qui Goffredo
Oltra il dover indugi: or tu dimandi
Ch'impieghi io te: sol di te degno credo
44, 2. Breve, mn pieno, brevemente ma
pienamente. — 5. Tìetar : impedire.
45, 1. duro: crudele; a un dipresso come
Dante disse « i demon duri » In/", xiv 44. —
4. de la: BoN.'^-'- e Os.; ma BoN.» di tal.
46, 6. L'alte, intendi imprese. — 7. Vogli-
mi : O tu mi voglia ecc.
47, 1. Qual si disgiunta ecc.: Virg., Aen. i
565: < Quis genus Aeneadum, quis Trojae
nesciat urbem Virtutesque virosque?... Non
obtusa adeo gestamus pectora l'oeni : Nec
tam aversus equos Tyria sol jungit ab ur-
be ». Petrarca, canz. 0 aspettata in ciel 46:
cUna parte del mondo è che si giace... Tutta
lontana dal cammin del sole».
48, 1. Avendo Clorinda in aiuto, ad Alad.
sembra persino che Goffredo metta a far la
strada, che lo separa da lui, più tempo di
quanto fa bisogno (oltra'' l do ver). — 3.Ch' ìm'
pieghi io te: Bon.s e Os. ma Bon.» Ch'io im-
pieghi te. — degno: cosa degna. Os. degtif
24
GERUSALEM^IE LIBERATA
L'imprese malagevoli e le grandi.
Sovra i nostri guerrieri a te concedo
Lo scettro, e legge sia quel che comandi.
Cosi parlava. Ella rendea cortese
Grazie per lodi; indi il parlar riprese:
49
Nova cosa parer dovrà per certo
Che preceda a i servigi il guiderdone;
Ma tua bontà m'affida: io vuo'che'n merto
Del futuro servir que'rei mi done:
In don li chieggio; e pur, se'l falloèincer-
Gli danna inclementissima ragione : ^to
Ma taccio questo, e taccio i segui espressi,
Ond'argomento l'innocenza in essi.
50
E dirò sol ch'è qui coraun sentenza
Che i Cristiani togliessero l'imago:
Ma discord'io da voi; né però senza
Alta ragion del mio parer m'appago.
Fu de le nostre leggi irriverenza
Quell'opra far, che persuase '1 mago;
Che non convien ne' nostri tempii a nui
Gl'idoli avere, e raen gl'idoli altrui.
51
Dunque suso a Macon recar mi giova
Il miracol de l'opra; ed ei la fece
Per dimostrar ch'i tempii suoi con nova
Religion contaminar non lece. [va.
Faccia Ismene incantando ogni sua pro-
Egli a cui le malie son d'arme in vece;
Trattiamo il ferro pur noi cavalieri:
Quest'arte è nostra, e'n questa sol si speri.
52
Tacque, ciò detto; e'lre,ben ch'apietade
L'irato cor difficilmente pieghi,
Pur compiacer la volle; e'I persuade
Ragione, e '1 move autorità di preghi.
Abbian vita, rispose, e libertade,
E nulla a tanto intercessor si neghi.
Siasi questa o giustizia, ovver perdóno,
Innocenti gli assolvo, e rei gli dono.
53
Cosi furon disciolti. Avventuroso
Ben veramente fu d'Olindo il fato,
Ch'atto potè mostrar, che 'n generoso
accord. a cose. — 6. scettro: comando, cfr.
e. I 5, 5.
49, 6. ragione: diritto, giustizia.
50,5. de le nostre leggi irriverenza: Per-
ché i maomettani non ammettono rappre-
sentazioni figurate della divinità : come
esplica nei vv. 7-8.
61, 1. recar, attribuire; Dante, Purg. xvi
67: «Voi che vivete ogni cagion recate Pur
suso al Cielo >.
62, 1. pietade: qui, compassione.
63, 1. ÀvTentnroso ecc.: Avventurato (fa-
vorito dalla fortuna) fu bene il destino di
Olindo; perché Olindo potè mostrare tale
Petto al fine ha d'amore amor destato.
Va dal rogo a le nozze, ed è già sposo
Fatto di reo, non pur d'amante amato.
Volse con lei morire; ella non schiva,
Poi che seco non muor, che seco viva.
54
Ma il sospettoso re stimò perisrlio
Tanta virtù congiunta aver vicina;
Onde, com'egli volse, arabo in esigilo
Oltre a i termini andar di Palestina.
Ei, pur segueudo il suo crudel consiglio,
Bandisce altri fedeli, altri confina.
Oh come lascian mesti i pargoletti
Figli, e gli antichi padri, e i dolci letti!
55
Dura divis'ion! scaccia sol quelli
Di forte corpo e di feroce ingegno,
Ma il mansueto sesso, e gli anni imbelli
Seco ritien, si come ostaggi, in pegno.
Molti n'andaro errando, altri rubelli
Férsi. e più che'l timor potè lo sdegno.
Questi unirsi co' Franchi, e gì incontraro
A punto il di che in Emàùs entrare.
56
Emàùs è città cui breve strada
Da la regal Gierusalem disgiunge;
Ed uom che lento a suo diporto vada.
Se parte mattutino, a nona giunge.
atto d'amore, che al fine piegò a corri-
sponderlo un nobile cuore ; cfr. lo sciogli-
mento dell' A/ntnfa. — 6. non pur: non solo,
non che.
54, 6-8. Gugl. Tir., vii 24, attribuendo la
cacciata ai Gerosolimitani e al principe
d'Egitto: « extortis a plebe per quaestio-
nes et gravia tormenta bonis omnibus, ex-
ceptis solis senibus et valetudinariis, mu-
iieribus et parvulis, omnes alios urbe depu-
lerunt ». Cfr. Gerus Conquist., n 55 e seg.
65, S. Emaiis: Questa entrata è messa dal
T. sulla fede di Gugl. Tir., il quale a pro-
posito di Emaus, scrive vii 24: «Est Isico-
polis civitas Palestinae; hanc, dura vicus
adhuc esset, sacer Evangeliorum liber ap-
pellavi! Emaus: beatusque Lucas Evange-
lista hanc dicit ab Hierosohmis distare sta-
diis sexaginta»; i geografi moderni non
credono tuttavia si possa identificare Emaus
con Nicopoli, perche quella era molto meno
distante da Gerusalemme.
66, 4. mattutino... nona: segue la divi-
sione del giorno, secondo i Romani e il me-
dio evo, in cinque parti dal nascere al tra-
montar del sole: mattutino, terza, sesta,
nona, vespro: l'ora variava, variando la
stagione. — m.ittutino: in modo avverbiale:
nelle ore in che si suona il mattutino. *Più
tosto aggettivo riferito ad uoin: che parte
nelle ore del mattino. Cosi intende anche
la Crusca. — nona: fra le tre e le quattro
CANTO II
25
Oh quanto intender questo a i Franchi
[aggrada!
Oh quanto più il desio gli affretta e pun-
[ge!
Ma, perch'oltra il meriggio il sol già scen-
Qui fa spiegare il Cai)itan le tende, [de,
57
L'avean già tese, e poco era remota
L'alìna luce del sol da Toceàno,
Quando duo gran baroni in veste ignota
Venir aoii visti, e'n ]»ortamento estrano.
Ogn'atto lor pacifico dinota
Che vengon come amici al Capitano.
Del gran re de l'Egitto eran messaggi,
E molti intorno avean scudieri e paggi.
58
Alete è l'un che da principio indegno
Tra le brutture de la plebe è sorto;
Ma l'innalzaro a i primi onor del regno
Parlar facondo e lusinghiero e scòrto,
Pieghevoli costumi, e vario ingegno
Al finger pronto, a l'ingannare accorto;
Gran fabro di calunnie, adorne in modi
Novi, che sono accuse, e paion lodi.
59 [straniero
L'altro è il circasso Argante, uom che
Se'n venne a la regal corte d'Egitto;
Ma de' satrapi fatto è de l'impero,
E in sommi gradi a la milizia ascritto;
Impaziente, inesorabil, fero,
Ne l'arme infaticabile ed invitto.
D'ogni Dio sprezzatore, e che ripone
Ne la spada sna legge e sua ragione.
60
Chieser questi udienza, ed al cospetto
Del famoso Gofì:"redo ammessi entraro;
E in ìimil seggio e in un vestire schietto
pomer., cfr Raflf. Fornaciari, Novelle scelte
dal Becamerone, Introd. 16, 10.
67, 3 e seg. L'ambasceria ha fondamento
storico; modificata la storia, al solito, dal
Poeta al suo bisogno: cfr. Gugl. Tir. vii 19.
68, 1. Àlete: personaggio fittizio, che più
non compare nella Gerus. — 2. Tra le brut-
ture de la plebe: cioè dall'infima plebe più
dedita ai vizi. — 4. scòrto: accorto. — 5.
vario: versatile. — 7. fabro: Dante, Purg.
xxvii 119: «Fu miglior fabro del parlar
moderno >. — 8. Nori: inusitati.
69, 1. Argante. Personaggio d'invenzione.
Deriva dall'Achille omerico come fu inter-
pretato e delineato da Orazio uelV Arte Poe-
tica, 121: « Impiger, iracundus, inexorabi-
lis, acer, Jura neget sibi nata, uihil non
arroget armis »; e come fu da Virgilio rap-
presentato e trasformato in Turno. Vedi
anche il Rodomonte dell'Ariosto. — 7. D'ogni
Dio sprezzatore: Virg., Aeìi.yinl: «Contenip-
torque Deùm Mezentius ».
69, 3. schietto, semplice; Petrarca, son.
Fra' suoi duci sedendo il ritrovaro:
Ma verace valor, ben che negletto,
È di se stesso a sé fregio assai chiaro.
Picciol segno d'onor gli fece Argante,
In guisa pur d'uom grande e non curante.
61
Ma la destra si pose Alete al seno,
E chinò il capo, e piegò a terra i lumi,
E Tuonerò con ogni modo a pieno,
Che di sua gente portino i costumi.
Cominciò poscia, e di sua bocca uscièno
Più che mèi dolci d'eloquenza i fiumi:
E, perché i Franchi han già il sermone
[appreso
De la Seria, fu ciò ch'ei disse inteso.
62
0 degno sol cui d'ubbidire or degni
Questa adunanza di famosi eroi,
Che per l'addietro ancor le palme e i regni
Da te conobbe e da i consigli tuoi;
Il nome tuo, che non riman tra i segni
D'Alcide, ornai risuona anco fra noi;
Amor che'ncend. 7: * Pur come donna in
un vestire schietto «■. — 4. sedendo: sedente.
Frequente negli antichi questo uso del ge-
rundio invece del participio presente: Pe-
trarca, canz. Ciliare, fresche e dolc. 16:
«Ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda ».
— 6. fregio: ornamento: cfr. Dante, Inf. viii
47: < Bontà non è che sua memoria fregi ».
61, 2. piegò a terra 1 lumi: è il «lumina
fiexit » di Virg., Aen. iv 369. — 4. portino:
richiedano; Boccaccio, Decamer. nov. 96:
«Vennero le due giovanette... con due gran-
dissimi piattelli d'argento in mano pieni di
vari frutti, secondoché la stagione porta-
va ». —5. e di sua bocca uscièno ecc. Omero
[11. i): «e dalla sua bocca scorreva la pa-
rola più dolce che miele»; e il Petrarca,
son. Vive faville use. 4; « D'alta eloquenza
si soavi fiumi ».
62. Galilei: «L'orazione di Alete mi par
tutta buona benché vi siano sparsi pel mez-
zo alcuni scherzetti di madrigali ». Questo
eloquentissimo discorso si può dividere se-
condo retorica molto acconciamente; attri-
buendo all'Esordio le due prime ottave;
alla Narrazione, quelle comprese dalla st.
64 alla 70 inclus.; alla Confermazione, l'altre
sino alla 77, e alla Conclusione, le rimanenti
del discorso.— 1.0 degno sol ecc.: Intendi:
0 tu che solo tra tutti sei degno di essere
spontaneamente obbedito da questa adu-
nanza di famosi eroi ecc. — 4. conobbe: ri-
conobbe: conoscere, o, più comunemente,
riconoscere una cosa da alcuno vale repu-
tare 0 confessare d'averla o che ella venga
da lui 0 mediante lui. Petrarca, ball. Vol-
gendo gli occhi 8: «Da lor conosco l'esser
ov'io sono ». — 5-6. i segni D'Alcide: lo
26
GERUSALEMME LIBERATA
E la fama d' Egitto in ogni parte
Del tuo valor chiare novelle ha sparte.
63
Né v'è fra tanti alcun che non le ascolte,
Come egli suol le meraviglie estreme:
Ma dal mio re con istupore accolte
Sono non sol, ma con diletto insieme;
E s'appaga in narrarle anco a le volte,
Amaudo in te ciò ch'altri invidia e teme :
Ama il valore, e volontario elegge
Teco unirsi d'amor, se non di legge.
61
Da si bella cagion dunque sospinto,
L'amicizia e la pace a te richiede;
E'i mezzo, onde Tun resti a l'altro avvin-
Sia la virtù s'esser non può la fede. [to.
Ma, perché inteso avea che t'eri accinto
Per iscacciar l'amico suo di sede,
Volse, pria ch'altro male ludi seguisse,
Ch"a te la mente sua per noi s'aprisse.
65
E la sua mente è tal: che s'appagarti
Vorrai di quanto hai fatto in guerra tuo,
Né Giudea molestar, né l'altre parti
Che ricopre il favor del reguo suo,
Ei promette a l'incontro assecurarti
Il non ben fermo stato: e se voi duo
Sarete uniti, or quando i Turchi e i Persi
Potranno unqua sperar di riaversi?
66 [fatte
Signor, gran cose in picciol tempo hai
Che lunga età porre in oblio non puote:
Eserciti, città, vinti e disfatte,
Superati disagi e strade ignote;
Si ch'ai grido o smarrite o stupefatte
Son le Provincie intorno e le remote:
E, se ben acquistar puoi novi imperi,
Acquistar nova gloria indarno speri.
stretto di Gibilterra ove Ercole (detto Al-
cide da Alceo suo avo) piantò, secondo la
favola, le colonne, che sono, in sostanza, i
due promontori, che formano lo stretto.
63, 2. egli: riferito ad alcuno. — 5. ale:
Os. lilù. — S. legge: religione.
64, 4. fede: qui, come è chiaro, non ha
il suo significato generico, ma vale fede
religiosa. — 6, l'amico suo: Aladino.
66, 2. quanto ecc.: la Siria, che, col monte
Libano, ad ovest confinava colla Palestina.
— 3-4. Gugl. Tir. (IX 10) narra che il principe
egizio era adirato perché «populus barba-
rus (i cristiani) de ultimis egressus terra-
rum finibus, in regnum suura introierat, et
provinciam in proprio suo subditam occupa-
verat violentar >. —5. a l'hicontro: alla sua
volta. — 8. unqua: mai ; cfr. e. i 5. 2 nota.
66,3 Eserciti vinti: quelli di Solimano e
Carbone [Corbatag). — città disfatte: Nico-
roedia, Nicèa ecc.
I 67 [l'inanzi
I Giunta è tua gloria al sommo; e per
; Fuggir le dubbie guerre a te conviene:
; Ch'ove tu vinca, sol di stato avanzi,
\ Né tua gloria maggior quinci diviene;
I Ma l'imperio acquistato e preso dianzi,
j E l'onor perdi, se '1 contrario avviene.
I Ben gioco è di fortuna audace e stolto
i Por contra il poco e incerto, il certo e 'l
68 [molto
Ma il consiglio di tal cui forse pesa [ve.
Ch'altri gli acquisti a lungo andar conser-i
E l'aver sempre vinto in ogni impresa,
E quella voglia naturai che ferve
E sempre è più ne' cor più grandi accesa
D'aver le genti tributarie e serve;
Faran per avventura a te la pace
Fuggir, più che la guerra altri non face
69
T'esorteranno a seguitar la strada,
Che t'è dal fato largamente aperta,
A non depor questa famosa spada,
Al cui valore ogni vittoria è certa,
Sin che la legge di Macon non cada,
Sin che l'Asia per te non sia deserta:
Dolci cose ad udire, e dolci inganni
Ond'escon poi sovente estremi danni.
70
Ma, s'animosità gli occhi non benda,
Né il lume oscura in te de la ragione,
Scorgerai, ch'ove tu la guerra prenda,
Hai di temer, non di sperar cagione:
Che fortuna qua giù varia a vicenda,
Mandandoci venture or triste or buone;
Ed a i voli troppo alti e repentini
Sogliono i precipizii esser vicini.
71
Dimmi: s'a' danni tuoi l'Egitto move,
D'oro e d'arme potente e di consiglio;
E s'avvien che la guerra anco rinnove
Il Perso e'I Turco e di Cassano il figlio;
Quai forze opporre a si gran furia, o dove
Ritrovar potrai scampo al tuo periglio?
T'affida forse il re malvagio greco
Il qual da i sacri patti unito è teco?
67, 1. l'inanzi: l'avvenire. — 2. dubbie,
: incerte nell'esito. — 6. se *1 contrario: cioè,
, che tu perda.
; 68, 1. tal: taluno. Allude, forse, ai con-
! sigli dei principi cristiani; e fa credere che
i non ci sia da fidarsene. — pesa: incresce.
! Dante, Inf. vi 58: « Ciacco, il tuo affanno Mi
: pesa si che a lagrimar m'invita ».
I 70. 1. animosità: passione mossa da in-
teresse.
j 71, 4. Cfissaiio: già re di Antiochia; Ca-
! siaììo lo chiama Paolo Emilio, ma Gugi. Tir.
' Acciailo: VI 56.
CANTO II
27
72
La fede greca a chi non è palese? [ra;
Tu da un sol tradimento ogni altro impa-
Anzi da mille; perché mille ha tese
Insidie a voi la gente infida, avara.
Dunque chi dianzi il passo a voi contese,
Per voi la vita esporre or si prepara?
; Chi le vie, che comuni a tutti sono,
! Negò, del proprio sangue or farà dono?
73
I Ma forse hai tu riposta ogni tua speme
1 In queste squadre, oud'ora cinto siedi.
i Quei che sparsi vincesti, uniti insieme
I Di vincer anco agevolmente credi;
Se ben son le tue schiere or molto sceme
i Tra le guerre e i disagi, e tu te '1 vedi;
Se ben novo nemico a te s'accresce,
E co' Persi e co' Turchi Egizii mesce.
! 74
I Or, quando pur estimi esser fatale
j Che non ti possa il ferro vincer mai,
j Siati concesso: e siati a punto tale
Il decreto del Ciel, qual tu te'l fai;
Vinceratti la fame: a questo male
Che rifugio, per Dio, che schermo avrai ?
Vibra coutra costei la lancia, e stringi
La spada, e la vittoria anco ti fingi.
75
Ogni campo d'intorno arso e distrutto
Ha la provida man de gli abitanti,
E in chiuse mura e in alte torri il frutto
Riposto, al tuo venir più giorni inanti.
Tu, ch'ardito sin qui ti sei condutto.
Onde speri nutrir cavalli e fanti?
Dirai: L'armata in mar cura ne prende.
Da i venti adunque il viver tuo dipende?
70
Comanda forse tua fortuna a i venti,
E gli avvince a sua voglia e gli dislega?
Il mar ch'a i preghi è sordo ed a i lamenti.
Te sol udendo, al tuo voler si piega?
0 non potranno pur le nostre genti,
E le Perse e le Turche unite in lega,
Cosi potente armata in un raccòrrò,
Ch'a questi legni tuoi si possa opporre?
72, 2. Virg., Aen. ii65: «crimine ab uno
Disce omnes ». — 7. Chi le rie: le vie del
mare; Virg., Aen. vii 229 « Dis sedem exi-
guara patriis litusque rogamus Innocuum,
et cunctis undamque aiiramque patentem ».
73, S. mesce: unisce gli Egizi co' Persi e
co' Turchi.
74, I. fatale : voluto dal fato. — 8. e la vit-
toria anco ti fingi: e ti immagina la vittoria
anche su lei ; il ti fingi è un imperativo,
coordinato agli altri due vibra e stringi.
76, 7. iu un: insieme. La Crusca^ oltre
a quest'esempio, ne cita altri del Boccac-
cio, del Villani ecc.
77
Doppia vittoria a te, signor, bisogna,
S'hai de l'impresa a riportar l'onore:
Una perdita sola alta vergogna
Può cagionarti, e danno anco maggiore :
Ch'ove la nostra armata in rotta pogna
La tua, qui poi di fame il campo more:
E, se tu sei perdente, indarno poi
Saran vittoriosi i legni tuoi.
78
Ora, se in tale stato anco rifiuti
Co'l gran re de l'Egitto e pace e tregua
(Diasi licenza al ver), l'altre virtuti
Questo consiglio tuo non bene adegua.
Ma voglia il Ciel che'l tuo pensiersimuti,
S'a guerra evòlto, e che'l contrario segua;
Si che l'Asia respiri ornai da i lutti,
E goda tu de la vittoria i frutti.
79
Né voi che del periglio e de gli affanni
E de la gloria a lui séte consorti.
Il favor di fortuna or tanto inganni
Che nove guerre a provocar v'esorti.
Ma, qual nocchier che da i marini inganni
Ridutti ha i legni a i desiati pòrti,
Raccòr dovreste ornai le sparse vele,
Né fidarvi di uovo al mar crudele.
80
Qui tacque Alete: e'I suo parlar seguirò
Con basso mormorar que' forti eroi;
E ben ne gli atti disdegnosi aprirò
Quanto ciascun quella proposta annoi.
11 Capitan rivolse gli occhi in giro
Tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi;
E poi nel vólto di colui gli affisse
Ch'attendea la risposta, e cosi disse:
81
Messaggier, dolcemente a noi sponesti
Ora cortese, or minaccioso invito.
Se'l tuo re m'ama, e loda i nostri gesti,
È sua mercede, e m'è l'amor gradito.
A quella parte poi, dove protesti
La guerra a noi del paganesmo unito,
Risponderò, come da me si suole,
Liberi sensi in semplici parole.
78, 3. Diasi licenza al Ter: si dia luogo al
vero.
SO. Ctr, la nèta alla st. 57, 3 di questo
cant.: Gugl. Tir., dopo le proposte dei mes-
saggieri egiziani, ségint;i: * Quod verbum
nostri principes prò ludibrio habentes, prae-
dictos nuncios redire compulerunt ecc. ».—
3. aprirò: fecero manifesto.— t. Quanto quella
proposta rechi noia, disgusto, a ciascuno.
81, 1. dolcemente: con arte soave, con bei
modi. — 2. Cosi pure Cùnq.; ma Os. Or mi-
naccioso et or cortese. — 3. pesti: gesta,
imprese. — 5. A quella parte: Intendi del
discorso.
28
GERUSALEMME LIBERATA
Sappi che tanto abbiam fin or sofferto
In mare, in terra, a Taria chiara e scura,
Solo acciò che ne foss'e il calle aperto
A quelle sacre e venerabil mnra,
Per acquistar appo Dio grazia e merto
Togliendo lor di servitù si dura;
Né mai grave ne fia per fin si degno
Esporre onor mondano e vita e regno:
83
Che non ambiziosi avari affetti
Ne spronaro a l'impresa e ne fur guida:
(Sgombri il Padre del Ciel da inostri petti
Peste si rea, s'in alcun pur s'annida;
Né soffra che l'asperga, e che l'infetti
Di veneu dolce che piacendo ancida):
Ma la sua man ch'i duri cor penetra
Soavemente, e gli ammollisce e spetra;
84 [dutti,
Questa ha noi mossi, e questa ha noi con-
Tratti d'ogni periglio e d'ogni impaccio ;
Questa fa piani i monti, e i fiumi asciutti,
L'ardor toglie a la state, al verno il ghiac-
Placa del mare i tempestosi flutti, [ciò :
Stringe e rallenta questa a i venti il lac-
[cio:
Quindi 8on l'alte mura aperte ed arse,
Quindi Tarmate schiere uccise e sparse ;
85
Quindi l'ardir, quindi la speme nasce,
Non da le frali nostre forze e stanche.
Non da l'armata, e non da quante pasce
Genti la Grecia, e non da l'arme Franche.
Pur ch'ella mai non ci abbandoni e lasce.
Poco dobbiam curar ch'altri ci manche.
Chi sa come difende, e come fere,
Soccorso a i suoi perigli altro non chere.
86
Ma quando di sua aita ella ne privi
Per gli error nostri, o per giudizi occulti,
j Chi fia di noi ch'esser sepulto schivi
I Ov'i membri di Dio fur già sepulti?
Noi morirera, né invidia avremo a i vivi;
Noi morirera. ma non morremo inulti:
Né l'Asia riderà di nostra sorte,
Né pianta fia da noi la nostra morte.
V 87
Non creder già che noi fuggiam la pace,
Coinè guerra mortai si fugge e pavé;
Che l'amicizia del tuo re ne piace,
Né l'unirsi con lui ne sarà grave;
Ma s'al suo imperio la Giudea soggiace,
Tu '1 sai ; perché tal cura ei dunque n'ha-
[ve?
De' regni altrui l'acquisto eì non ci vieti,
E regga in pace i suoi tranquilli e lieti.
88
Cosi rispose; e di pungente rabbia
La risposta ad Argante il cor trafisse; ;
Né '1 celò già, ma con enfiate labbia ]
Si trasse avanti al Capitano e disse: •
Chi la pace non vuol, la guerra s'abbia, ]
Che penuria già mai non fu di risse;
E ben la pace ricusar tu mostri,
Se non t'acqueti a i primi detti nostri.
89
Indi il suo manto per lo lembo prese,
Curvollo, e fenne un seno; e'I seno spor-
Cosi pur anco a ragionar riprese [to,
Via più che prima dispettoso e torto:
0 sprezzator de le più dubbie imprese,
E guerra e pace in questo sen t'apporto;
82, 5. acquistar: cosi BoN.i-3; ma BON.-
acquisturne, eOs. acquistarci. — 6. lor: si
riferisce alle sacre e venerabili mura del
verso 4.
83, 1. avari affetti: successi che sodisfac-
ciano la nostra ambizione ed avarizia. — 7.
Ma: avversativa che ci riporta al concetto
espresso nei primi due v>er3i Jella ottava.
— Ift saa man ecc. Ricorda il Petrarca, canz.
Italia mia 12: «E i cuor che indura e serra
Marte superbo e fero, Apri tu, Padre, inte-
nerisci e snoda ».
84.2. Tratti: (questa ha noi] tratti. — 7-8.
Quindi: da questa mano.
85, 7. Chi sa come questa mano difende
e ferisce. — 8. chere: chiede, dal lat. quae-
vere: voce ogg'i caduta dalla poesia.
86, 2. occulti: in tutto, per dirla con Dan-
te, dall'accorger nostro scissi [Purg. vi 123).
\
— 5. Virg., Aen. ii 670: « Nunquam omnes
hodie moriemur inulti ». — 7-8. Claud. in
Riiff., I 2: •< Nec mea securus ridebit funera
Victor ». E il Petrarca, Tr. Am. ii S3; «S'A-
;rica pianse, Italia non ne rise »'.
87. 2. pavé : paventa, lat. pavet. Petrarca,
canz. Verdi panni sang. 26: «e quella in
cui Tetade Nostra si mira, la qual piombo
0 legno Vedendo è chi non pavé ».
88. 3. enfiate labbia: adirato aspetto: è di
Dante, Inf. vii 7: «Poi si rivolse a queir en-
fiata labbia ».
89. Floro, De Gest. Roììx. ii 6, di Fabio
massimo : « Tergiversantibus Poenis, dux
legationis Fabius: Qwae, iuquit, rno'o est?
in hoc ego sinii bellum offero et pacem..
Uiruìii eligitisì Utrura p>lacet sumite. Cum-
que succlaraatum esset, utrum vellet, da-
rei, Bellum igituì\ inquit, accipite; et ex-
cusso in media curia togae gremio, non
sine horrore, quasi piane sinu bellum fer-
rei, effudit ». Cfr. Livio, libr. I, cap. 5, e Silio
Italico, Puniche ii 382. — 4. torto: torcere
implica una mala tendenza dell'animo, co-
me in Dante, /n/. xiv 47: «giace dispettoso
e torto »; e VI 91 « Li diritti occhi torse al-
lora in bieci '.
ì
CANTO II
29
Tua sia reiezione: or ti consiglia
Senz'altro indugio, e qual più vuoi ti pi-
90 [glia.
L'atto fòro e'I parlar tutti commosse
A chiamar guerra in un concorde grido,
Non attendendo che risposto fosse
Dal magnanimo lor duce Goffrido.
Spiegò quel crudo il seno, e'I manto scos-
Ed, A guerra mortai, disse, vi sfido: [se,
E'I disse in atto si feroce ed empio.
Che parve aprir di Giano il chiuso tempio.
91
Parve, ch'aprendo il seno, indi traesse
li furor pazzo e la discordia fera;
E che, ne gli occhi orribili gli ardesse
La gran face d' Aletto e di Megera.
Quel grande già, che 'n centra il cielo eres-
L alta mole d'error, forse tal era: [se
E in cotal atto il rimirò Babelle
Alzar la fronte e minacciar le stelle.
92
Soggiunse allor Goffredo: Or riportate
Al vostro re che venga, e che s'affretti,
I Che la guerra accettiam che minacciate;
E s'ei non vien, fra'l Nilo suo n'aspetti.
; Accomiatò lor poscia in dolci e grate
Maniere, e gli onorò di doni eletti.
Ricchissimo ad Alete un elmo diede
Ch'a Nicea conquistò fra l'altre prede.
93 [gio
Ebbe Argante una spada; e'I fabro egre-
L'else e'I pomo le fé' gemmato e d'oro;
Con magistero tal, che perde il pregio
' De la ricca materia appo il lavoro.
Poi che la tempra e la ricchezza e'I fregio
Sottilmente da lui mirati fòro, [sto
Disse Argante al Buglion: Vedrai ben to-
Come da me il tuo dono in uso è posto.
94
Indi tolto congedo, è da lui ditto
Al suo compagno : Or ce n'andremo ornai:
Io a Gierusalem, tu verso Egitto,
Tu co'l sol novo, io co' notturni rai;
90, 8. Le porte di Giano si aprivano solo
colla guerra.
91, 4. Aletto, Megera: due delle furie. —
5. Quel graude : Nembrod. — 6. L'alta mole
d'error: Petrarca, Tr. Fam. ii 80: «E quel
che cominciò già la gran torre Che fu si
di peccato e d'orror carca ».
93, 3. perde: cfr. i 52, 8.
9i, 3. lo a ecc.: Petrarca, son. Quanto
più disios. 11: «Egli in Gerusalem, ed io in
Ch'uopo 0 di mia presenza, o di mio scrit-
Esser non può colà dove tu vai. [to,
Reca tu la risposta, io dilungarmi
Quinci non vuo', dove si trattan l'armi.
95
Cosi di messaggier fatto è nemico,
Sia fretta intempestiva o sia matura:
La ragion de le genti e l'uso antico
S'offenda o no, né'l pensa egli né'l cura.
Senza risposta aver, va per l'amico
Silenzio de le stelle a l'alte mura.
D'indugio impaziente, ed a chi resta
Già non men la dimora anco è molesta.
96
Era la notte allor ch'alto riposo [do :
Han l'onde e i venti, e parca muto il mon-
Gli animai lassi, e quei che'l mare ondo-
0 de' liquidi laghi alberga il fondo, [so,
E chi si giace in tana o in mandra ascoso,
E i pinti augelli, ne l'oblio profondo
Sotto il silenzio de' secreti orrori
Sopian gli affanni e raddolciano i cori.
97
Ma né'l campo fedel, né'l franco duca
Si discioglie nel sonno, o al men s'accheta;
Tanta in lor cupidigia è che riluca
Ornai nel ciel l'alba aspettata e lieta.
Perché il camin lor mostri e li conduca
A la città ch'ai gran passaggio è mèta:
Mirano ad or ad or se raggio alcuno
Spunti, 0 si schiari de la notte il bruno.
Egitto». — S.Qninci non tuo', dove: Os. Quin-
ci non voglio ove.
95,5-6. amico Silenzio ecc.: Yivg.., Aen. il
25: «tacitae per amica silentia lunae >.
96, 1. Era la notte ecc.: cfr. Virg,, Aen. iv
522: « Nox erat, et placidum carpebant fessa
soporem Corpora per terras; silvaeque et
saeva quierant Aequora; quum medio voi-
vuntur sidera lapsu, Quum tacet omnis
ager, pecudes pictaeque volucres, Quaeque
lacus late liquidos, quaeque aspera dumis
Rura tenent somuo, positae sub nocte si-
lenti, Lenibant curas et corda oblila labo-
rum ». — 6. profondo: Cosi ancora la Conq.
e Os.; altri leggono giocondo. —8 cori:
affetti.
97, 1. Ma né'l campo ecc.: Rifa Virgilio
nel punto che segue ai versi riportati: « At
non infelix animi Phoenissa, neque unquam
Solvitur in somnos (sì discioglie nel sonno),
oculisve aut pectore noctem Accipit ». — 2.
al men: cosi pure Conq. ma Os. pur. — S,
si schiari: Os. riscliiari.
^■
CANTO III.
II mattino ii^ Gerusa-
lemme agli occhi dei cri-
stiani -^ Aladtno dà or-
dini per la difesa: e in-
sieme con Erminia mira
da un* alta torre la zuffa
i^ Erminia addita i mi-
gliori guerrieri cristiani.
"Ar Clorinda assale e rom-
pe uno stuolo cristiano
-^ Suo ducilo con Tan-
credi -y^r Morte di Dudone
^ Ira di Rinaldo ^ Ge-
rusalemme tAt Goffredo
dispone 1* esercito dalla
parte piana della città -^^
Funerali di Dudone ^Ar
Preparativi per V assedio.
1
Già l'aura messaggera erasi desta
A nuuziar che se ne vieu l'aurora:
Ella in tanto s'adorna, e l'aurea testa
Di rose còlte in paradiso infiora;
Quando il campo, ch'a l'arme ornai s'ap-
[presta,
In voce mormorava alta e sonora,
1, 1. aura messasgiera: il vento che pre-
cede il sorgere dell'alba ; imita Dante, Purg.
XXIV 145: «E quale annunziatrice degli al-
bori, L'aura di maggio muovesi ed olezza » ;
e l'azione della Gerus. comincia a punto in
primavera. — 3. Ella: Personificazione del-
l'aurora. — 4, Petrarca, dell'aurora, son.
Quatid'io vegg. 2: « Con la fronte di rose e
co' crin d'oro ». — paradiso, vale anche orto
0 giardino; qui, giardino celeste; il Petrar-
ca, di orto terrestre, son.: » Due rose fre-
sche^ e còlte in paradiso ». — 6. mormorara:
E prevenia le trombe; e queste poi
Diér più lieti e canori i segni suoi.
2
11 saggio Capitan con dolce morso
I desiderii lor guida e seconda;
Che più facil saria svolgere il corso
Presso Cariddi a la volubil onda,
0 tardar Borea allor che scote i! dorso
Buona questa osservazione del Galilei: «La
voce alta e sonora non è del mormorare,
ma piuttosto la bassa e placida ». Meglio
nella Gerusal. Conquisi, e. iv 6: * Lunge
in voce s'udiva alta e sonora». — 8. suoi,
per loro.
2, \. Il saggio Capitan ecc.: Vuol dire che
il capitano non si oppone ai loro desidèri,
che sarebbe stato impossibile, come impos-
sibili sono le cose che il P. viene enume-
rando; ma si contenta di ordinare e raflfre-
nare. Quel lor del verso 2 si riferisce al
CANTO III
31
e rApennino, e i legni in mare affonda.
Gli ordina, grincaininina, e in suon gli
Rapido si, ma rapido con legge, [regge
3
Ali ha ciascuno al core ed ali al piede,
Né del suo ratto andar però s'accorge:
Ma, quando il sol gli aridi campi fìede
Con raggi assai ferventi, e in alto sorge.
Ecco apparir Gierusalem si vede,
Ecco additar Gierusalem si scorge;
Kcco da mille voci unitamente
Gierusalemrae salutar si sente.
4
Cosi di naviganti audace stuolo,
Che mova a ricercar estranio lido,
E in mar dubbioso e sotto ignoto polo
Provi l'onde fallaci e'I vento intido,
S'al fin discopre il desiato suolo.
Il saluta da lunge in lieto grido;
E l'uno a l'altro il mostra, e in tanto oblia
La noia e '1 mal de la passata via.
5
AI gran piacer che quella prima vista
Dolcemente spirò ne l'altrui petto,
Alta contriz'ion successe, mista
Di timoroso e riverente affetto;
Osano a pena d'inalzar la vista
Vèr'la città, di Cristo albergo eletto,
Dove mori, dove sepolto fue,
Dove poi rivesti le membra sue.
G
Sommessi accenti e tacite parole.
Rotti singulti e flebili sospiri
collettivo campo dell'ottava precedente. —
7. e In suon ecc., *li fa marciare ai suono
di marce rapide, ma ordinate. Bon. e un
sol forse per errore.
3, 3. flede: arcaismo, ferisce. — 5. Ecco
apparir ecc.: Virg., Aen. iii 522 « ....Quum
procul obscuros colJes, humilemque vide-
mus Italiam : Italiam primus conclamat
Achates, Italiam laeto sodi clamore salu-
taut », L'esercito cristiano giunse sotto le
mura di Gerusalemme il 7 giugno 1099. Il
monaco Roberto, testimone oculare, scrive:
« 0 buon Gesù, quando i cristiani videro la
tua santa città.... oh come piangevano.».
4, 3. polo: cielo. — 7. in tanto oblia ecc.:
Petrarca, canz. Nella stagion 10: « ov'ella
oblia La noia e il mal de la passata via ».
Per questa ottava cfr. Omero, Odiss. xxiii
233 (trad. Pindemonte).
6, 2. ne l'altrui petto: nel petto de' cro-
ciati. Gugl. Tir. vi: 25: «progressi pusillum
e vicino urbem sanctam contemplantes,cum
gemitu et suspiriis prse gaudio fusis spiri-
tuali, pedites, et nudis ex plurima parte
vestigiis, coepto ferventius insistentes itineri,
subito ante urbem se coustiterunt ecc. ►,
He la gente ch'in un s'allegra e duole,
Fan che per l'aria un mormorio s'aggiri
Qual ne le folte selve udir si suole,
S'avvien che tra le frondi il vento spiri;
O quale infra gli scogli, o presso a i lidi
Sibila il mar percosso in rauchi stridi.
7
Nudo ciascun il pie calca il sentiero;
Che l'esempio de' duci ogn'altro move:
Serico fregio o d'or, piuma o cimiero
Superbo, dal suo capo ognun rimove;
Ed insieme del cor l'abito altero
Depone, e calde e pie lagrime piove:
Pur, quasi al pianto abbia la via rinchiu-
[sa,
Cosi parlando ognun se stesso accusa:
8
Dunque ove tu, Signor, di mille rivi
Sanguinoso il terren lasciasti asperso,
D'amaro pianto almen duo fonti vivi
In si acerba memoria oggi io non verso?
Agghiacciato mio cor, che non derivi
Per gli occhi, e stilli in lagrime conver-
[so?
Duro mio cor, che non ti spetri e frangi ?
Pianger ben merti ognor, s'ora non pian-
9 [gi.
Da la cittade in tanto un ch'a la guarda
Sta d'alta torre, e scopre i monti e i cam-
[pi.
6, 1. s'aggiri: è il dantesco [Inf. m 28):
« Facevan un tumulto 11 qual s'aggira Sem-
pre in quell'aria». — 5-S. Vedi Virgilio nel-
VAen.x 97; e confronta questo passo delle
Georg, iv v;60, dove si parla delle api: «Tum
sonus auditur gravior, tractimque susur-
rant: Frigidus ut quondam silvis immur-
murat auster, Ut mare soUicitum stridet re-
lluentibus undis, Aestuat ut clausis rapidus
fornacibus ignis».
7,1. Nudo ecc.: Costruisci: Ciascuno, nudo
il pie, calca ecc.; e intendi il pie come un
acc. alla greca. È storicamente vero ; cfr.
la net. alla st. 5, 2. — 6. piove è coordinato
a depone, e usato transitivamente. — 7.
quasi al pianto ecc.: quasi che il pianto che
ora ciascuno spande, per quanto largo, sia
un nulla in paragone di quanto se ne do-
vrebbe versare ecc.
8, 2. Sanguinoso: Conq. e Os. Sanguinosi.
— 3. duo fonti vivi: contrapposto a mille rivi.
— 5-6. che non derivi Per gli occhi : Perché
non isgorghi tutto, in forma di rivo, per
mezzo degli occhi? — 7. spetri, BoN.2 e Os.;
ma BoN.i sjjezzi.
9, 1. guarda, per guardia. * « La voce
guarda per guardia ho usata alcuna volta
in rima, né ve n'ho esempio. Mi pare ben
d'averla vista, ma non mi ricordo dove.
Pur la licenza per se stessa mi pnr lecita.
32
GERUSALEMME LIBERATA
Colà giuso la polve alzarsi guarda,
Si che par che gran nube in aria stampi;
Par che baleni quella nube ed arda,
Come di fiamme gravida e di lampi:
Poi lo splendor de' lucidi metalli
Distingue, e scerne gli uomini e i cavalli.
10
Allor gridava: Oh qual per l'aria stesa
Polvere l' veggio! oh come par che splen-
Su, suso, 0 cittadini; a la difesa [da !
S'armi ciascun veloce, e i muri ascenda:
Già presente è il nemico. E poi, ripresa
La voce: ognun s'affretti, e l'arme pren-
[da :
Ecco, il nemico è qui : mira la polve
Che sotto orrida nebbia il cielo involve.
11
I semplici fanciulli, e i vecchi inermi,
E'I vulgo de le donne sbigottite.
Che non sanno ferir né fare schermi,
Traean supplici e mesti a le meschite:
Gli altri di membra e d'animo più fermi
Già frettolosi l'arme avean rapite:
Accorre altri a le porte, altri a le mura;
Il re va intorno, e'I tutto vede e cura.
12
Gli ordini diede, e poscia ei si ritrasse
Ove sorge una torre in fra due porte:
Si ch'è presso al bisogno ; e son più basse
Quindi le piaggie e le montagne scor. ..
Volle che quivi seco Erminia andasse;
Erminia bella, ch'ei raccolse in corte
Poi ch'a lei fu da le cristiane squadre
Presa Antiochia, e morto il re suo padre.
13 [è gita:
Clorinda in tanto in contra a i Franchi
Molti van seco, ed ella a tutti è inante;
Ma in altra parte, ond'è secreta uscita,
Sta preparato a le riscosse Argante.
La generosa i suoi seguaci incita
Co" detti e con l'intrepido sembiante;
Ben con alto principio a noi conviene,
Dicea, fondar de l'Asia oggi la spene,
14 [se
Mentre ragiona a i suoi, non lunge scòr-
Un Franco stuolo addur rustiche prede,
Che, come è l'uso, a depredar precorse;
Or con greggie ed armenti al campo riede.
Ella vèr'lor, e verso lei se'n corse
II duce lor, ch'a sé venir la vede: [sa,
Gardo il duce è nomato, uora di gran pos-
Me ne rimetto . {Leti, i 87, 15 ottob. 1576).
Si citano esempi di Francesco da Barbe-
rino. — 3. la polre alzarsi ecc.: Virg., Aen.
IX 33: « Hic subitala nigro glomerari pul-
vere nubem Prospiciunt Teucri, ac tenebras
insurgere campis>. — 5-6. Virg., Aen. viii
622: «qualis cutn caerula nubes Solis inar-
descit radiis, loogeque refulget».
10, Il Galilei disse troppo male di questa
strofa. Certo la seconda parte è superflua;
ma la prima è bella. — 1. Allor gridara ecc.:
Virg., Aen. ix 35: « Primus ab adversa con-
clamai mole Caicus: Quis globus, o cives,
caligine volvitur atra! Ferte citi ferrum,
date tela, scandite muros, Hostis adest, eja! ».
— 7-8. Cfr. in Virg. i versi più sopra citati,
Aen. IX 33-34.
11, 1. I semplici fanelnlli ecc.: Virg., Aen.
XII 131: «Tum studio effusae matres, et vul-
gus inermum, Invalidique senes, turres, et
tecta domorum Obsédere: alii portis subli-
mibus adstant». Petrarca, canz. Spirto gen-
til 57: « Le donne lacrimose, e il vulgo iner-
me De la tenera etade, e i vecchi stanchi
C'hanno sé in odio e la soverchia vita ecc.».
— 4. mescMte: Cfr. e. ii 6, 3. — 7. Virg.,
Aen. IX 38: « jier omnes Condunt se Teucri
portas et moenia complent ».
12, 3. e son pia basse ecc. Intendi: e di
qui sono scorte più basse, cioè dominate,
le piagge e le montagne. — 5. Tolle : Cosi
Priamo nel iii dell'/^. si fa additare da Ele-
na, dall'alto di una torre, i principali eroi
dell'esercito greco. — 6. Erminia: Questo
personaggio, uno de' più originali e dei più-
belli della GéTWS., parve al Tasso, finito il'
poema, poco storico; ed ai Revisori parve f
troppo amoroso e poco religioso: e il Poeta/
volendo che Erminia pure avesse maggior
fondamento nell'istorie scriveva fin dall.^7ff
[Lett. 57): «Trovo poi ne l'istoria, che la
moglie e la sorella di Solimano in Nicea-:
rimasero prigioni... sarà forse meglio di,
fare Erminia sorella di Solimano ». E se-
guendo poi più. dappresso questo suo con-
cetto, nella Conquisi, (vii 36) cangiò il nome
di Erminia, che gli pareva poco adatto ad
una saracina, in Nicsa; e la disse liglia a
Solimano. Nicea è cosi dal P. dipinta nella;
Conquisi.: ¥ Sol con quattro donzelle ap-
parve fora, E lagrime spargea de' suoi be-
gli occhi, Come candida rosa in su l'aurora.
In cui la pioggia e'I sol risplenda e fiocchi »,
e cosi è descritto il suo comparire davanti
al re (vii 39) : « Ma come giunta fu, levando
il velo Da gli occhi sparsi d'amorose stille,
Scaldò ne' vecchi petti il pigro gelo, E dcn-j
ero vi destò dolci faville. Tutti dicean: Mag-
gior bellezze il cielo Non vide; e dura vita,
(oiuièl) sortine. Quando ebber mai gli an
tichi imperi e i regni D'amor si cari e pre
z'iosi pegni? • . Le modificazioni, a che il T.
assoggettò nella Conquisi. Erminia come
donna innamorata, si veggano nelle note al
e. VII 1 e XIX 103. — 8. morto, ucciso. — suo
padre: Cassano o Acciano,cfr. e. vi 56,1-4.
H, 7. Gardo: Gugl. Tir., da cui il T. prese
I
CANTO III
33
Ma nou già tal ch'a lei resister possa.
15
Gardo a quel fero scontro è spinto a terra
In su gli occhi de' Franchi e de' Pagani,
Ch'allor tutti gridar, di quella guerra
Lieti augùri prendendo, i quai fur vani.
Spronando a dosso gli altri ella si serra;
E vai la destra sua per cento mani:
Seguirla i suoi guerrier per quella strada
Che spianar gli urti, e che s'apri la spada.
16
Tosto la preda al predator ritoglie;
Cede lo stuol de' Franchi, a poco a poco,
Tanto ch'in cima a un colle ei si racco-
Ove aiutate son l'arme dal loco. [glie,
Allor, si come turbine si scioglie,
E cade da le nubi aereo fuoco,
Il buon Tancredi, a cui Goffredo accenna,
Sua squadra mosse, ed arrestò l'antenna.
17
Porta si salda la gran lancia, e in guisa
Vien feroce e leggiadro il giovenetto.
Che veggendolo d'alto il re s'avvisa
Che sia guerriero in fra gli scelti eletto;
Onde dice a colei ch'è seco assisa,
E che già sente palpitarsi il petto:
Ben conoscer dèi tu per si lungo uso
Ogni Cristian, ben che ne l'arme chiuso.
18
Chi è dunque costui, che cosi bene
S'adatta in giostra, e fero in vista è tanto?
A quella, in vece di risposta, viene
Su le labbra un sospir, su gli occhi il
[pianto.
Pur gli spirti e le lagrime ritiene.
Ma non cosi, che lor nou mostri alquanto :
Che gli occhi pregni un bel purpureo giro
Tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro.
19
Poi gli dice infìngevole, e nasconde
Sotto il manto de l'odio altro desio:
Ohimè! bene il conosco, ed ho ben d'onde
Fra mille riconoscerlo deggia io;
l'ispirazione di questo fatto (vii 25), lo chia-
ma Gistiis.
16, 5-6. Dante, Purg. xxxii 109: « Non sce-
se mai con si veloce moto. Fuoco rli spessa
nube ». — 8. arrostò l'antenna: mise la lan-
cia in resta. Ai'iosto, 0)-L xxvi 77: «Con
molto ardir vien Ricciardetto appresso E
nel venir arresta si gran lancia ».
17, 6. Novara: «Il poeta ci prepara al
grand'episodio d'Erminia, che è contenuto
nei canti vi, vii ».
18, 7-8. Boccaccio, Filoc, cap. iv: « E gli
cui occhi aveano, per lo molto piangere,
intorno a sé un purpureo giro»; e Catullo:
• Flendo turgiduli rubent ocelli».
19, 1. InAngoToIf»: secondo il Guastavini,
Che spesso il vidi i campi e le profonde
Fòsse del sangue empir del popol mio.
Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga
Ch'ei faccia, erba non giova od arte maga.
20
Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero
Mio fosse un giorno! e no '1 vorrei già
[morto:
Vivo il vorrei, perch'in me desse al fero
Desio dolce vendetta alcun conforto.
Cosi parlava: e de' suoi detti il vero
Da chi l'udiva in altro senso è torto;
E fuor n'uscì con le sue voci estreme
Misto un sospir che 'ndarno ella già pre-
21 Ime.
Clorinda in tanto ad incontrar l'assalto
Va di Tancredi, e pon la lancia in resta.
Ferirsi a le visiere, e i tronchi in alto
Volaro, e parte nuda ella ne resta;
Che, rotti i lacci a l'elmo suo, d'un salto
(Mirabil colpo!) ei le balzò di testa;
E, le chiome dorate al vento sparse, [se.
Giovane donna in mezzo '1 campo appar-
22 [sguardi,
Lampeggiar gli occhi, e folgorar gli
Dolci ne l'ira; or che sarian nel riso?
Tancredi, a che pur pensi ? a che pur
Non riconosci tu l'altero viso? [guardi?
Questo è pur quel bel volto, onde tutt'ar-
[di;
Tuo core il dica, ov'è'I suo esempio inci-
[so;
ha il valore di dissimulanter. — 7. a pia-
ga ecc.: Valerio Fiacco, Argon, vi 275: « vul-
nus referens, quod Carmine nullo Sustineat,
nullisque levet Medea venenis»; e l'Ario-
sto, Ori. XXXI 5: * Questa è la cruda e av-
velenata piaga, A cui non vai liquor, non
vale impiastro. ..Né quanta esperienza d'arte
maga Fece mai l'inventor suo Zoroastro ».
20, 5. il vero : sottintendi senso. — 6. è
torto: è vòlto.
21, Bellissima tutta questa strofa. Il Ga-
lilei la paragona allo scopriinento di Bra-
damante al trar dell'elmo, che è fn^ravU
glioso {Ori. xxxn 79). Il Pulci, Mor(j. Magg.
HI 17: «Orlando feri lei di furia pieno:
Giunse al cimier, ch'in sull'elmetto avea,
E cadde col pennacchio in sul terreno:
L'elmo gli usci: la treccia si vedea Che
raggia come stella per sereno; Anzi parea
di Venere iddea. Anzi di quella ch'è fatta
un alloro, Anzi parea d'argento, anzi pur
d'oro». — *1. parte nuda, resta nuda, per
questo colpo, in una parte del suo corpo,
cioè nel capo. — 6. ei, l'olmo.
22, 2. Ariosto, Ori. xiv 52, di Doralice: • E
c'ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso?)
Tesa d'Amor l' inestricabil ragna ». — A. al-
tero: CoNQ. e Os. amafOy che mi par meglio
pel suono. — 0. esempio, qui eflige; nello
Tasso, (Jerusalemine liberala.
34
GERUSALEMME LIBERATA
1
Questa è colei, che rinfrescar la fronte [
Vedesti g-ià nel solitario fonte. i
23 I
Ei, ch'ai cimiero ed al dipinto scudo |
Non badò prima, or lei veggendo, impO- |
[tra : \
Ella, quanto può meglio, il capo ignudo j
Si ricopre, e Tassale; ed ei s'arretra.
Va contra gli altri, e rota il ferro crudo :
Ma però da lei pace non impetra,
Che minacciosa il segue, e, Volgi, grida:
E di due morti in un punto lo sfida.
24
Percosso, il cavalier non ripercote;
Né si dal ferro a riguardarsi attende.
Come a guardar i begli occhi e le gote,
Ond'Amor l'arco inevitabil tende.
Fra sé dicea: Van le percosse vote,
Talor che la sua destra armata stende:
Ma colpo mai del bello ignudo volto
Non cade in fallo, e sempre il cor m'è
25 [còlto.
Risolve al fin, ben che pietà non spere.
Di non morir tacendo occulto amante.
Vuol ch'ella sappia ch'un prigion suo fere
Già inerme, e supplichevole e tremante:
stesso modo che esemplare vale ritrarre:
Petrarca, son.: *■ In qual parte del cielo in
quale idea Era resempio onde natura tolse
Quel bel viso leggiadro ecc.», * ma questo
del Petrarca è alquanto diverso. — 7-8. Come
il poeta ha raccontato nel e. i 46.
23, 2. impetra, impietra —8. due morti:
una morte corporale, amorosa 1' altra. —
sfida: sfidare di /nor^e tt^ìo, è Procurare di
dargli morte. Petrarca, son. Se il dolce
sguardo 7: «si che di morte Là dove or
m'assicura, allor mi sfide? » — Il Beni os-
servando che Clorinda, non avendo notizia
dell'amore di Tancredi, non poteva minac-
ciarlo di morte amorosa, intende che la se-
conda morte sia quella dell'onore. Io credo
che il T., scrivendo il verso, più che all'in-
tenzione di Clorinda, pensasse air effetto
che la donna doveva produrre su Tancredi,
il quale realmente si vide minacciato in un
punto dalla spada e da Amore. !
24, 1. Percosso ecc.: Si vegga nell'Ariosto ;
il duello di Bradamante con Ruggero da j
lei creduto Leone: Ori. xlv 76: « Ruggier
sta ne l'avviso e si difende Con gran de-
strezza, e lei mai non offende ». E altrove
(XXXVI 38): «Cosi lor lance van d'effetto
vuote...; e basta ben s'Amore Con Tun gio-
stra e con l'altro, e li percote D'un'amorosa
lancia in mezzo il core». — 4. Sente del pe-
trarchesco (son. Quel sempre acerb. Il):
« Ond'.\mor l'arco non tendeva in fallo ». —
*6. Talor ecc. Talora, quando ella stende
il braccio armato per colpire. i
Onde le dice: 0 tu, che mostri avere
Per nemico me sol fra turbe tante,
Usciam di questa mischia, ed in disparte
I' potrò teco, e tu meco provarte.
26
Cosi me' si vedrà s'al tuo s'agguaglia
Il mio valore. Ella accettò l'invito:
E, come esser senz'elmo a lei non caglia,
Già baldanzosa, ed ei seguia smarrito.
Recata s'era in atto di battaglia
Già la guerriera, e già l'avea ferito:
Quand'egli. Or ferma, disse, e siano fatti
Anzi la pugna de la pugna i patti.
27
Fermossi; e lui, di pauroso, audace
Rendè in quel punto il disperato amore ;
I patti sian, dicea, poi che tu pace
Meco non vuoi, che tu mi tragga il core:
II mio cor, non più mio, s'a te dispiace
Ch'egli più viva, volontario more:
È tuo gran tempo; e tempo è ben che
[trarlo
Ornai tu debbia; e non debb'io vietarlo.
28
Ecco io chino le braccia, e t'appresento
Senza difesa il petto : or che no 'i fiedi ?
Vuoi ch'agevoli l'opra? i'son contento
Trarmi l'usbergo or or, se nudo il chiedi.
Distinguea forse in più duro lamento
I suoi dolori il misero Tancredi,
Ma calca l'impedisce intempestiva
De' Pagani e de' suoi che soprarriva.
29
Cedean cacciati da lo stuol cristiano
I Palestini, o sia temenza od arte.
Un de' persecutori, uomo inumano,
Videle sventolar le chiome sparte,
E da tergo in passando alzò la mano
Per ferir lei ne la sua ignuda parte:
Ma Tancredi gridò (che se n'accòrse),
E con la spada a quel gran colpo occórse.
26, 8. Anzi : qui ha valore di preposizione ;
intendi: prima della pugna.
27, 1. e lui, di pauroso ecc. Intendi : Il di-
sperato amore cambiò in audace lui che
prima era pauroso. — 5. Il mio cor, non pili
mio: perché essendo Tancredi innamorato,
il suo cuore non apparteneva ornai più a^
lui, ma alla donna che in lui destò amore.
Concetto espresso in mille modi dai poeti
italiani.
28, 2. or che no '1 Aedi: ora a che, per-
ché, non lo ferisci? Cfr. sopra, 3, 3. — 4.
or or: l'avv. cosi replicato vale subito, in
questo punto. — nodo: il petto. — 5. Disi.:
spiegava, dimostrava più chiaramente. La
Crusca porta un es. di Sennuccio.
29, S. occ: BoN.2 CoNQ. e Os.; ma Bon.ì-3
accorse.
CANTO III
35
30
Pur non gi tutto in vano, e, ne' confini
Del bianco collo, il bel capo ferille.
Fu Icvissima piaga; e i biondi crini
Rosseggiaron cosi d'alquante stille,
Come rosseggia l'or che di rubini
Per man d'illustre artefice sfaville.
Ma il prence infuriato allor si spinse
A dosso a quel villano, e'I ferro strinse.
31
Quel si dilegua; e questi acceso d'ira
Il segue; e van come per l'aria strale.
Ella riman sospesa, ed arabo mira
Lontani molto, né seguir le cale,
Ma co' suoi fuggitivi si ritira:
Talor mostra la fronte e i Franchi assale;
Or si volge, or rivolge: or fugge, or fuga;
Né si può dir la sua caccia né fuga.
32
Tal gran tauro talor ne l'ampio agone,
Se volge il corno a i cani ond'è seguito,
S'arretran essi; e s'a fuggir si pone
Ciascun ritorna a seguitarlo ardito.
Clorinda nel fuggir da tergo oppone
Alto lo scudo, e'I capo è custodito:
Cosi coperti van ne' giochi mori
Da le palle lanciate i fuggitori.
33
Già questi seguitando e quei fuggendo
S'eran a l'alte mura avvicinati,
30, 1. Pur non gi ecc.: pur non andò
tutto invano quel gran colpo. — 6. sfavine,
sfavilli.
32. Ricorda Omero [II. xvii) ove i troiani
inseguenti Menelao per torgli il corpo di
Patroclo sono paragonati a cani che inse-
guono un cignale: ed Ovidio, Met. xii 102:
« Haud secus exarsit, quam circo taurus
aperto, Cum sua terribili petit irritamina
corna »: V ampio agone corrisponde ap-
punto al circo. — 2. segnito. Cosi hanno
BoN.2 e Os.; e ho creduto si debba prefe-
rire alla st. BoN.\ che ha fuggito. — 7 gio-
chi morì: divertimento guerresco, venuto
dai mori, in uso nel Cinquecento. Era detto
volgarmente dei caroselli. In questo giuoco,
alcune schiere di cavalieri movendosi da un
dei lati dello steccato, inseguivano, perco-
tendole con palle lanciate, altre schiere che
fuggivano: e queste si difendevano dalle
palle ponendosi lo scudo dietro: giunti al
termine dello steccato gli inseguitori, vol-
tate le spalle, alle quali alla lor volta met-
tevano per difesa lo scudo, e fatti d'inse-
guitori inseguiti, ritornavano al punto di
partenza, percossi da nuove schiere mosse
dal luogo ove essi prima erano arrivati
incalzando.
33, 1. Virg., Aen. xi 621: *Jamque pro-
Quando alzaro i Pagani un grido orrendo
E in dietro si fur subito voltati;
E fecero un gran giro, e poi volgendo
Ritornaro a ferir le sj)alle e i lati.
E in tanto Argante giù movea dal monte
La schiera sua per assalirgli a froute.
34
Il feroce Circasso usci di stuolo;
Ch'esser vols'egli il feritor primiero:
E quegli, in cui feri, fu steso al suolo,
E sossopra in un fascio il suo destriero:
E pria che l'asta in tronchi andasse a vo-
Molti cadendo compagnia gli fero; [Io,
Poi stringe il ferro; e quando giunge a
[pieno
Sempre uccide, od abbatte, o piaga alme-
35 [no.
Clorinda, emula sua, tolse di vita
Il forte Ardelio, uom già d'età matura,
Ma di vecchiezza indomita, e munita
Di duo gran figli, e pur non fu secura;
Ch'Alcandro, il maggior figlio, aspra fe-
Rimosso avea da la paterna cura; [rita
E Poliferno, che restògli a presso,
A gran pena salvar potè se stesso.
36
Ma Tancredi, da poi ch'egli non giunge
Quel villan, che destriero hapiù corrente,
Si mira a dietro, e vede ben che lunge
Troppo è trascorsa la sua audace gente;
Vedela intorniata, e'I corsier punge
Volgendo il freno, e là s'invia repente:
Ned egli solo i suoi guerrier soccorre.
Ma quello stuol ch'a tutt'i rischi accorre;
37
Quel di Dudon avventurier drappello,
Fior de gli eroi, nerbo e vigor del campo.
Rinaldo, il più magnanimo e il più bello,
Tutti precorre, ed è men ratto il lampo.
Ben tosto il portamento e '1 bianco augello
Conosce Erminia nel celeste campo,
E dice al re, che in lui fisa lo sguardo:
Eccoti il domator d'ogni gagliardo.
38
Questi ha nel pregio de la spada eguali
Pochi, 0 nessuno; ed è fanciullo ancora:
Se fosser tra' nemici altri sei tali.
Già Soria tutta vinta e serva fora;
pinquabant portis: rursusque Latini Clamo-
rem toUunt et moUia colla reflectuut*.
35, 4. gran; magnanimi, — *6. Rimosso
ecc.; una ferita lo aveva allontanato dal
padre, del quale non poteva aver più cura.
37,5-6. bianco augello... nel celeste campo:
l'aquila bianca in campo azzurro, stemma
degli Estensi.
38, 3. Virg., Aen. XI 285 (parlando di Enea):
« Si duo praeterea tales Idaea tulisset Terra
viros, nitro Inachias venisset ad urbes Dar-
danus ».
36
GERUSALEMME LIBERATA
E già dòmi sarebbouo i più australi |
Regni, e i regni più prossimi a l'aurora;
E forse il Nilo occulterebbe in vano
Dal giogo il capo incognito e lontano.
39
Rinaldo ha nome; e la sua destra irata
Teman più d'ogni raaechina le mura.
Or volgi gli occhi ov'io ti mostro, e guata
Colui che d'oro e verde ha l'armatura:
Quegli è Dudone, ed è da lui guidaca
Questa schiera, che schiera è di ventura :
È guerrier d'alto saugue,e molto esperto,
Che d'età vince, e non cede di raerto.
40
Mira quel grande, ch'è coperto a bruno ;
È Gernando, il fratel del re norvegio:
Non ha la terra uom più superbo alcuno ;
Questo sol de' suoi fatti oscurai) pregio.
È son que'duo che van si giunti in uno,
E c'hau bianco il vestir, bianco ogni fregio,
Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi,
In valor d'arme e in lealtà famosi.
41
Cosi parlava; e già vedean là sotto
Come la strage più e più s' ingrosse,
Che Tancredi e Rinaldo il cerchio han
[rotto
Ben che d'uomini denso e d'armi fosse :
E poi lo atuol, ch'è da Dudon condotto,
Vi giunse, ed aspramente anco il percos-
[se:
Argante, Argante istesso, ad un grand'
[urto
Di Rinaldo abbattuto, a pena è surto.
42
Né sorgea forse; ma in quel punto stesso
Al figliuol di Bertoldo il destrier cade:
E, restandogli sotto il piede oppresso,
Convien ch'indi a ritrarlo alquanto bade.
Lo stuol pagan fra tanto, in rotta messo.
Si ripara fuggendo a la cittade.
Soli Argante e Clorinda argine e sponda
Sono al furor che lor da tergo inonda.
43
Ultimi vauno, e l'impeto seguente
In lor s'arresta alquanto, e si reprime,
Si che poteaii raeu perigliosaraente
Quelle genti fuggir che fuggéan prime.
Segue Dudon ne la vittoria ardente
39, 2. * Teman, cosi le B; evale debbono
teriiere, che è più energico del temono. —
8. vìnce : in senso assoluto, è ùiaggiore.
— non cede: pure in senso assoL, non è
inferiore.
40, 6. E e'han: Os. Ed han. — 7. Cfr. e. i
56,6.
41, 3. 11 cerchio, dei pagani. — 8. a pena:
a mala pena, a fatica.
4S, 1. seguente: incalzante.
I fuggitivi, e'I fier Tigrane opprime
Con l'urto del cavallo, e con la spada
Fa che scemo del capo a terra cada.
44
Né giova ad Algazzare il fino usbergo,
Ned a Corban robusto il forte elmetto;
Che in guisa lor feri la nuca e'I tergo.
Che ne passò la piaga al viso, al petto.
E per s^a mano ancor del dolce albergo
L'alma usci d'Amurate, e di Meemetto,
E del crudo Almansor; né') gran Circasso
Può securo da lui movere un passo.
45
Freme in sé stesso Argante, e pur tal volta
Si ferma, e volge, e poi cede pur anco:
Al fin cosi improviso a lui si volta,
E di tanto rovescio il coglie al fianco,
Che dentro il ferro vi s'immerge, e tolta
È dal colpo la vita al duce franco.
Cade; e gli occhi, ch'a pena aprirsi ponno,
Dura quiete preme e ferreo sonno.
46
Gli apri tre volte, e i dolci rai del cielo
Cercò friiire, e sovra un braccio alzarsi;
E tre volte ricadde; e fosco velo ràrsi. i
Gli occhi adombrò, che stanchi al fin ser-
Si dissolvono i membri, e'I mortai gelo
Irrigiditi e di sudor gli ha sparsi.
Sovra il corpo già morto il fero Argante
Puuto non bada; e via trascorre inante.
47
Con tutto ciò, se ben d'andar non cessa,
Si volge a i Franchi, e grida : 0 cavalieri ,
Questa sanguigna spada è quella stessa
Che '1 signor vostro mi donò pur ieri:
Ditegli come in uso oggi l'ho messa,
Ch'udirà la novella ei volentieri:
E caro esser gli dee che '1 suo bel dono
Sia conosciuto al paragon si buono.
48
Ditegli che vederne omai s'aspetti
Ne le viscere sue più certa prova;
E, quando d'assalirne ei non s'affretti,
Verrò, non aspettato, ove si trova.
Irritati i Cristiani a i feri detti,
Tutti vèr' lui già si moveaiio a prova:
45, 7-S. Il Guastavini cita Omero, II. xi:
« Cosi egli quivi cadendo dormi un sonno di
ferro »; Virg., Aen. x 7-15; « Olii dura quies
oculos et ferreus urget Somnus ».
46. Il Galilei pure ammirò questa ot-
tava come di sentenza e di locuzione per-
fettissima. Per i primi quattro versi, Virg.,
Aen. IV 6SS: «Illa {Dido) graves oculos co-
nata attollere,rursus Deficit; infìxura stridii
sub pectore vulnus. Ter sese attoìlens cubi-
toque innixa levavit; Ter revolut«i toro est;
oculisque errantibus alto Quaesivit ccelo lu-
cem ingemuitque reperta ».
CANTO III
37
Ma con gli altri esso è già corso in securo
Sotto la guardia de Taraico muro.
49
I difensori a grandinar le pietre
Da l'alte mura in guisa incominciaro,
E quasi innumerabili faretre
Tante saette a gli archi ministraro,
Che forza è pur che'l Franco stuol s'arre
E i 8aracin ne la cittade entrare, [tre;
Ma già Rinaldo, avendo il pie sottratto
Al giacente destrier, s'era qui tratto.
50
Venia per far nel barbaro omicida
De l'estinto Dudone aspra vendetta;
E fra' suoi giunto, alteramente grida:
Or quale indugio è questo? e che s'aspetta?
Poi eh' è morto il signor che ne fu guida,
Che non corriamo a vendicarlo in fretta ?
Dunque in si grave occasion di sdegno
Esser può fragil muro a noi ritegno?
51
Non, se di ferro doppio, o d'adamante
Questa muraglia impenetrabil fosse,
Colà dentro securo il fero Argante
S'appiatteria da le vostr'alte posse:
Andiam pure a l'assalto! Ed egli iuante
A tutti gli altri in questo dir si mosse;
Che nulla teme la secura testa
0 di sassi 0 di strai nembo o tempesta.
52
Ei, crollando il gran capo, alza la faccia
Piena di si terribile ardimento,
Che sin dentro a le mura i cori agghiaccia
A i difensor d'insolito spavento.
Mentre egli altri rincora, altri minaccia,
Sopravien chi reprime il suo talento;
Che Goffredo lor manda il buon Siglerò
De' gravi imperii suoi nunzio severo.
53
Questi sgrida in suo nome il troppo ardi-
E incontinente il ritornar impone. [re.
Tornatene, dicea, ch'a le vostr'ire
49, 1. I difensori a grandinar ecc.: Virg.
Aen. IX 509: « Telorum eflfundere centra
Omne genus Teucri, ac duris detrudere
contis,.'. Saxa quoque infesto volvebaiit
pendere ». — 2. In guisa: Collegato col Che
del verso 5. — 6. Saracin: detto generica-
mente per Musulmani,
61, 1. Non, se di ferro ecc.: Stazio, The-
baid. Il 453: «Non si te ferreus agger Am-
biai, aut triplices alio tibi Carmine muros
Amphion auditus agat; nil tela nec ignes
Obstiterint quin ausa luas, notrisque sub
armis Captivo moribundus humum diade-
mate pulsus ».
62, 1. El: leggono le tre Bon. e Os., ma
CoNQ. E. — 6. talento: desiderio, intenzione.
Non è '1 loco opportuno o la stagione:
Goffredo il vi comanda. A questo dire
Rinaldo si frenò, ch'altrui fu sprone, [gno
Ben che dentro ne frema, e in più d'un se-
Dimostri fuore il mal celato sdegno.
54
Tornar le schiere in dietro, e da i nemici
Non fu il ritorno lor punto turbato;
Né in parte alcuna de gli estremi uffici
Il corpo di Dudon restò fraudato.
Su le pietose braccia i fidi amici
Portarlo, caro peso ed onorato.
Mira in tanto il Buglion d'eccelsa parte
De la forte cittade il sito e l'arte.
55
Gierusalem sovra duo colli è posta
D'impari altezza, e vòlti fronte a fronte:
Va per lo mezzo suo valle interposta,
Che lei distingue, e l'un da l'altro monte.
Fuor da tre lati ha malagevol costa;
Per l'altro vassi, e non par che si monte:
Ma d'altissime mura è più difesa
La parte piana, e 'n centra Borea è stesa.
66
La città dentro ha lochi in cui si serba
L'acqua che piove, e laghi e fonti vivi;
Ma fuor la terra intorno è nuda d'erba,
E di fontane sterile e di rivi;
Né si vede fiorir lieta e superba
D'alberi, e fare schermo a i raggi estivi,
Se non se in quanto oltrasei migliaun bo-
[sco
53, 4. loco opp. o: CoNQ. loco opp. e. —
la stagione: l'era, il momento, come nel
Petrarca, son. Già fiamme gg.: «E gli amanti
pungea quella stagione Che per usanza a
lagrimar gli appella». — 6. fu sprone: fu
prima d'incitamento all'inseguire.
65. Descrizione bella e minuziosa. Il
Tasso cercava sempre di attenersi al vero
(Leu. 25): «Nel none (libro) io ho aggiunto
alcune cose che mi parevano necessarie, e
conformi ad una mia intenzione che ho,
d'accompagnar la poesia, quanto sia pos-
sibile, con passi de l'istoria e con descri-
zione de' paesi ». E da altro luogo dell'Epi-
stolario sappiamo che si dava gran cura
per avere una tavola di Gerusalemme. —
1. duo colli, il Sion da occidente, e il Mo-
ria da oriente. — 4. distingue: divide. —
6. monte, monti, salga. — 8. Borea »: cosi
legge anche la Conq., ma Os. Borea stesa.
66, 1. lochi ecc.: Gugl. Tir. viii 4: «Qui
intus erant, praeter aquarum fluvialiura,
quam habebant, ubertatem maximam, fon-
tes etiam a partibus deductos exterioribus
et aquae ductus invectos ia piscinas duas
maximae quantitatis, quae circa templi am-
bitura, exterius tamen, sed intra urbom
continentur, rccipiebant ». — 7. So non se
in q : ha il valore di eccetto che. — un bo-
38
GERUSALEMME LIBERATA
Sorge d'ombre nocenti orrido e fosco.
57.
Ha da quel lato donde il giorno appare
Del felice Giordan le nobil onde;
E da la parte occidental, del mare
Mediterraneo l'arenose sponde.
Verso Borea è Betel, ch'alzò l'altare
Al bue de l'oro, e la Samaria; e d'onde
Austro portar le suol piovoso nembo, [bo.
Betelèm che '1 gran parto ascose in grem-
08
Or mentre guarda e l'alte mura e '1 sito
De la città Goffredo e del paese,
E pensa ove s'accampi, onde assalito
Sia il muro osti! più facile a l'offese;
Erminia il vide, e dimostrollo a dito
Al re pagano, e cosi a dir riprese:
Goffredo è quel, che nel purpureo amman-
Ha di regio e d'augusto in sé cotanto, [to
Veramente è costui nato a l'impero,
Si del regnar, del com.andar sa l'arti;
E non minor che duce, è cavaliero.
Ma del doppio valor tutte ha le parti:
Né fra turba si grande uom più guerriero
O più saggio di lui potrei mostrarti.
Sol Raimondo in consiglio, ed inbattaglia
Sol Rinaldo e Tancredi a lui s'agguaglia.
60
Risponde il re pagan: Ben ho di lui
Contezza, e'I vidi a la gran corte in Fran-
Quand'io d'Egitto messaggier vi fui; ■eia,
E '1 vidi in nobil giostra oprar la lancia:
E, se ben gli anni gioveuetti sui
Non gli vestian di piume ancor la guancia,
Pur davaaidetti.a Topre, ale sembianze,
Presagio omai d'altissime speranze;
61
Presagio ahi troppo vero ! E qui le ciglia
Turbate inchina, e poi le inalza, e chiede:
8C0: anche questo bosco è messo suU'auto-
rità degli storici ; cfr. st. 74, 3. — 8. Sorge
ecc. : Vip.G. Ae)i. 1 165: « horrentique atrum
nemus imminet umbra ».
57, 8. il gran parto: Gesù Cristo.
58, 3-4. onde ecc. Da qual parte, a chi
l'abbia assalito, il muro nemico sia più fa-
cile alle offese.
59, 3. Petrarca, Tr. Fam. i 99: «Non so
se miglior duce o cavaliero ». — 4. Ma del
doppio ecc. : Intendi : E ha tutte le parti
del valore che deve avere un duce e un
cavaliero.
60, 4. oprar, per adoprare, come nel Boc-
caccio. Decam. nov. 37: « non potendo com-
prendere costei in questa cosa aver operata
malizia». — 5-6. Virg. Aen. viii 160: * Tum
mihi prima genas vestibat flore iuventa
ecc. ».
Dimmi chi sia colui c'ha pur vermiglia
La sopravesta, e seco a par si vede:
Oh quanto di sembianti a lui somiglia!
Se ben alquanto di statura cede.
E Baldovin, risponde; e ben si scopre
Nel vólto a lui fratel ma più ne l'opre.
62
Or rimira colui, che, quasi in modo
D'uom che consigli, sta da l'altro fianco:
Quegli è Raimondo, il qual tanto ti lodo
D'accorgimento, uom già canuto e bianco:
Non è chi tesser me' bellico frodo
Di lui sapesse, o sia Latino o Franco;
Ma quell'altro più in là, ch'orato ha l'elmo,
Del re britanno è il buon figliuol Gugliel-
63 [mo.
V'è Guelfo seco; e gli è d'opre leggiadre
Emulo, e d'alto sangue, e d'alto stato:
Ben il conosco a le sue spalle quadre.
Ed a quel petto colmo e rilevato.
Ma 'Igran nemico mio tra queste squadre
Già riveder non posso, e pur vi guato;
Io dico Boemondo il micidiale,
Distruggitor del sangue mio reale.
64
Cosi parlavan questi: e '1 Capitano
Poi eh" intorno ha mirato, ai suoi discende:
E, per che crede che la terra in vano
S'oppuguaria dov'il più erto ascende.
Centra la porta Aquilonar. nel piano
Che con lei si cougiunge, alza le tende;
E quinci procedendo in fra la torre,
Che chiamano Angolar, gli altri fa porre.
61, 6. cede: cfr. 39, 8.
62, 5. frodo, lo stesso che frode.
63, 7. Boemondo: cfr. e. i 9, 5.
61, 3. e seg-.: Gugl. Tir. viii 5: « Post-
quam ad urbem accesserunt, habito dili-
genti tractatu, unde facilius et commodius
urbem possent impugnare, cum his qui lo-
corum habebant peritiam, videntes quod
neque ab oriente, neque ab austro propter
vallium profunditatem possunt proflcere, a
septentrione eam obsidere decreverant. Ab
ea igitur porta, quae hodie dicitur Sancti
Stephani, quae ad aquilonem respicit, usque
ad eam quae turri David subiecta est, et ab
eodem rege cognominabatur, sicuti et tur-
ris quae in parte eiusdem civitatis sita est
occidentali, nostri principes castrametati
sunt». — 4. oppugnarla; cosi realmente pare
che scrivesse il P. e non oiypugneria^ ben-
ché sia regola che i verbi della prima co-
niug. mutino la vocale tematica a, in e
quante volte l'accento da quella vocale te-
matica si trasporta nella seguente. — 7. in
fra: Os. in fin: e in fin era scritto ancora
da principio; il T. cambiò, credo, per pia-
cere a qualcuno dei Revisori. {Lett. 30) « In
CANTO III
39
65
Da quel giro del campo è contenuto
De la cittade il terzo, o poco meno;
Che d'ognintorno non avria potuto
(Cotanto ella volgea) cingerla a pieno;
Ma le vie tutte, oud'aver puote aiuto,
Tenta Goffredo d'impedirle almeno;
Ed occupar fa gli opportuni passi,
Onde da lei si viene, ed a lei vassi.
66
Impon che sian le tende indi munite
E di fosse profonde e di trinciere,
Che d'una parte a cittadine uscite,
Da l'altra oppone a correrie straniere.
Ma, poi che fur quest'opere fornite,
Vols'egli il corpo di Dudon vedere;
E colà trasse ove il buon duce estinto
Da mesta turba e lagrimosa è cinto.
67
Di nobll pompa i fidi amici ornaro
Il gran feretro ove sublime ei giace.
Quando Goffredo entrò, le turbe alzare
La voce assai più flebile e loquace:
Ma con vólto né torbido né chiaro
Frena il suo affetto il pio Buglione, e tace;
E, poi che 'n lui pensando alquanto fisse
Le luci ebbe tenute, al fin si disse:
68
Già non si deve a te doglia né pianto;
Che, se mori nel mondo, in Ciel rinasci;
E qui dove ti spogli il mortai manto
Di gloria impresse alte vestigia lasci.
Vivesti qual guerrier cristiano e santo,
E come tal sei morto; or godi, e pasci
In Dio gli occhi bramosi, o felice alma;
Ed hai del bene oprar corona e palma.
69
Vivi beata pur, che nostra sorte.
Non tua sventura, a lacrimar n'invita,
Poscia ch'ai tuo partir si degna e forte
Parte di noi fa co '1 tuo pie partita.
Ma se questa, che '1 vulgo appella morte^
Privati ha noi d'una terrena aita.
Celeste aita ora impetrar ne puoi,
Che '1 Ciel t'accoglie infra gli eletti suoi.
fin la torre è ben detto, senza alcun dub-
bio. Dante, Giovanni Villani, il Boccaccio
accompagnano questa particella inflno con
l'accusativo, senza la preposizione a ecc. ».
66, 1. Impon ecc.: Virg. Aen. vii 157:
< Rumili designai moenia fossa Moliturque
locum, primasque in litore sedes Castrorum
in morem pinnis atque aggere ciugit ».
67, A. loquace: aggiunto censurato dal
Galilei come posto quasi per far rima; né
mi pare a torto. — 5. né torbido nò chiaro:
perché avente compostezza nella mestizia.
69, 4. co '1 tuo pie: metafor. : insieme
con te.
70
E come a nostro prò veduto abbiamo
Ch'usavi, uom già mortai, l'arme mortali.
Cosi vederti oprare anco speriamo,
Spirto divin, l'arme del Ciel fatali:
Impara i vóti ornai, ch'a te porgiamo,
Raccórre, e dar soccorso a i nostri mali :
Indi vittoria annunzio; a te devoti
Solverem trionfando al tempio i vóti.
71
Cosi diss'egli; e già la notte oscura
Avea tutti del giorno i raggi spenti,
E con l'oblio d'ogni noiosa cura
Ponea tregua a le lagrime, a i lamenti.
Ma il Capitan, ch'espugnar mai le mura
Non crede senza i bellici tormenti.
Pensa ond'abbia le travi, ed in qnai forme
Le macchine componga; e poco dorme.
72
Sorse a pari co '1 sole; ed egli stesso
Seguir la pompa funeral poi volle.
A Dudon d'odorifero cipresso [colle
Composto hanno un sepolcro a pie d'un
Non lunge a gli steccati; e sovra ad esso
Un'altissima palma i rami estolle.
Or qui fu posto; e i sacerdoti in tanto
Quiete a l'alma gli pregar co '1 canto.
73
Quinci e quindi fra i rami erano appese
Insegne e prigioniere arme diverse,
Già da lui tolte in più felici imprese
A le genti di Siria ed a le Perse.
De la corazza sua, de l'altro arnese.
In mezzo il grosso tronco si coperse.
Qui (vi fu scritto poi) giace Dudone:
Onorate l'altissimo campione.
70, 3. yederti oprare anco speriamo ecc.:
cfr. e. XVIII 95. — *6. Raccorrò: dipende da
impara.
71, 6. tormenti: ma B0N.1-^ stromenti.
1-2, 1. a pari: insieme; cfr. i, 15, 7.— 2.
pomp.*;, qui vale processione, corteo. — 4.
nn sepolcro: Os. il sepolcro. — 6. palma:
simbolo (li vittoria. — 7-8. Ariosto, Ori. xliii
175: * Andavan con lungo ordine accoppiati.
Per ralma del defunto Dio pregando Che
gli donasse requie tra' beati >*.
73, 5. de l'altro arnese: intendi della ri-
manente armatura. La parola arnese tal
volta è usata a significare, come qui, tutta
l'armatura, tal altra una parte precisa di
essa, la corazza. « Già spezzato Io scudo e
l'elmo infranto, E forato e sanguigno avea
l'arnese >, dice il Tasso in altro luogo
(vii 40). — 6. In mezzo; nella parte di mezzo.
Virg. Aen. xi 5. « Ingentem quercum
Constituit tumulo, fuigentiaque induit arma
Mezentl ducis exuvins ♦. -- 7-8 Bellissima
iscrizione, imitata dal iv dell'/nA: «Ono-
rate l'altissimo poeta ».
40
GERUSALEMME LIBERATA
•: 74
Ma il pietoso Buglioli, poi che da questa
Opra si tolse dolorosa e pia,
Tutti i fabri del campo a la foresta
Con buona scorta di soldati invia.
Ella è tra valli ascosa, e manifesta
L'avea fatta a i Francesi uom di Soria.
Qui per troncar le macchine n'andaro,
A cui non abbia la città riparo.
75
L'un l'altro esorta che le piante atterri,
E faccia al bosco inusitati oltraggi.
Caggion recisi da i taglienti ferri
Le «acre palme, e i frassini selvaggi ;
I funebri cipressi, e i pini, e i cerri,
74, 3. foresta. Distava, secondo gli storici,
sei mij^lia da Gerusalemme, e fu veramente
da un uomo di Scria fatta conoscere ai cri-
stiani. Cfr. Gugl. Tir. viri 6. — 8. A cui:
contro le quali.
75-76. Virg. Aen. vi 179: « Itur in anti-
quain silvam, stabula alta ferarura; Pro-
cumbunt piceae: sonat icta securibus ilex
Fraxineaettue trabes, cuneis et fissile robur
L'elei frondose, e gli alti abeti, e i faggi,
Gli olmi mariti, a cui talor s'appoggia
La vite, e conpiètortoal ciel se'n poggia.
76
Altri i tassi, e le guercie altri percote,
Che mille volte rinnovar le chiome.
E mille volte ad ogni incontro immote
L'ire de' venti han rintuzzate e dome; j
Ed altri impone a le stridenti rote i
D'orni e di cedri l'odorate some.
Lasciano al suon de l'arme, al vario grido,
E le fere e gli augei la tana e '1 nido.
Scinditur: advolvunt ingentes montibus or.
nos » ; e ancora (xi 13-4) ; * Per silvas Teucri
mixtique impune Latini Erravere iugis.
Ferro sonat alta bipenni Fraxinus; ever-
tunt actas ad sidera pinus, PvOboranec cu-
neis et olentem scindere cedruni, Nec plau-
stris cessant vectare gementibus brnos »;
cfr. anche Stazio, Thebaid. vi ; per gii ul-
timi due versi dei canto, anche l'Ariosto
Ori. XXVII 101, 3: « Rimbombò il suoii sino
alla selva Ardenna, Si che lasciar tutte la
fere il nido ».
CANTO lY.
Scena nclf Inferno: conci-
lio dei demoni ^ Idraòte
-jAr Armida nel campo
cristiano -^ Eustazio ii^
Parlata d' Armida che
chiede soccorsi i^ Rispo-
sta del Buglione, che nega
di aiutarla prima che sia
presa Gerusalemme -jAr
Dolore d'Armida -k Par-
lata d'Eustajio che le
ottiene dieci cavalieri ^kr
Arti di Armida per di-
stornare dall'impresa il
maggior numero possi-
bile di cristiani.
1. Il Tasso in una nota alla Leti. 82 av-
verte : « Da questo canto (dal quarto), come
da fonte, derivano tutti gli episodi », e in
fine della Lett. cit. * Nei tre primi canti sé-
guito l'istoria, non solo ne la somma del
fatto, ma in tutte le circostanze ancora:
nulla vario nulla aggiungo, se non che al-
cune poche cose di Clorinda e d'Erminia.
Fatto questo fondamento di verità, comin-
cio a mescolare il vero col falso verisimile.
Ne la morte del principe di Dania, nel caldo,
ne la sete che alHisse i fedeli, ne le litanie
cantate da loro, ne la presa de la colomba,
ne la venuta di Guglielmo il ligure, ne la
composizione de le macchine, ne' due as-
salti dati a la città, ne la presa di essa, e
ne la espugnazione del tempio di Salomone,
0 nulla 0 poco mi allontano da gli storici.
1 fatti sono aggranditi da me, ma per altro
passarono cosi ». Il cauto s'apre col consi-
glio dei demòni, che il Galilei alla st. 11
giudica,: « tutto benissimo ». Gli antichi
1
Mentre son questi a le bell'opre inteuti,
Perché debbiauo tosto in uso pòrse;
Il gran neraj.co de l'umane genti
Contra i Cristiani i lividi occhi torse:
E scorgendogli ornai lieti e contenti,
commentatori del Tasso additarono i poeti
che egli imitò nel concilio diabolico. Il Bi-
rago, per citarne uno, scrive: «Ila gareg-
giato in questa congregazione infernale il
poeta con-due altri grandi poeti latini, con
Claudiano nel primo della Rapita Proser-
pina^ e col Vida nella Cristiade, nel primo
libro ». — I. Come noi legge pure la Conq.,
ma OS. Mentre fan questi i bellici instru-
menti. — 3. Il gran noiiiico ecc.: il demo-
nio. Dante, Inf. vi 15: •• Quivi trovammo
J.Juto il gran nemico ♦. — 4. torse: Cfr. ii
8974./— 5. Come noi legge questo verso la
CoN^I.; ma Os. £ lor veggendo a le bel-
42
GERUSALEMME LIBERATA
Ambo le labra per furor si morse;
E, qual tauro ferito, il suo dolore
Versò mugghiaudo e sospirando fuore.
2
Quinci, avendo pur tutto il pensier vòlto
A recar ne' Cristiani ultima doglia,
Che sia, comanda, il popol suo raccolto
(Concilio orrendo !) entro la regia soglia;
Come sia pur leggiera impresa, ahi stolto!,
Il repuguare a la divina voglia:
Stolto,ch'al Ciels'agguaglia, e in obliopo-
Come di Dio la destra irata tuone. [ne
3
Chiama gli abitator de l'ombre eterne
Il rauco suon de la tartarea tromba.
Treman le spaziose atre caverne,
E l'aer cieco a quel romor rimbomba:
Né si stridendo mai da le superne
Regioni del cielo il folgor piomba,
Né si scossa giammai trema la terra
Quando i vapori in sen gravida serra.
4
Tosto gli dèi d'Abisso in varie torme
l'opre intenti. — 6. Dante, Inf. xxxiii 58:
« Ambo le mani per dolor mi morsi ». —
7-8. Virg. Aen. ii 223: « Qualis mugitus fugit
cum saucius aram Taurus, et incertam
excussit cervice securim ». Frequente nei
nostri scrittori la similitudine del toro fe-
rito: Cfr. Dante, Inf. xii 22, e l'Ariosto Ori.
XI 42. Qui nel Tasso è appena accennata.
2, 3-4. Vida, Christiados i 133: « Proti-
nus acciri diros ad rey:ia fratres Limina,
concilium horrendum. et genus omne suo
rum Imperat». Virg. Aen.ui 679: «Conci-
lium horrendum >. — 5. Come sia pnr: Cosi
pure la CoxQ.. ma Os. Quasi che sia. —
6. repugnare: opporsi ; come in Dante, Co/i-
Vito 87: * Repugnaudo a questo, commenda
e abbellisce la memoria di quella gloriosa
Beatrice ». — 7. ch'ai Ciel: Os.cJi'a Dio. —
7-8. Vida, loc. cit. 130: < Demens. qui id
propter tantum non viderat ipsum Demis-
sum coeio juvenem, quo sponte piaret Morte
obita veterum culpam, et scelus omne pa-
rentum ».
3, 1. Chiama ecc. : Vida, loc. cit. 135 :
«Ecce igitur dedit ingens buccina signum:
Quo subito intouuit caecis domus aita ca-
vernis Undique opaca ingens : antra into-
nuere profunda, Atque procul gravido tre-
mefacta est corpore tellus ». Virg. Aen. vii
513: « cornuque recurvo Tartaream intendit
vocem, qua protinus orane Contremuit ne-
mus, et silvae intonuere profundae ». Poli-
ziano {Stanze, i 28) : •• Con tal romor qualor
Paer discorda, Di Giove il foco d'alta nube
piomba.... Con tale orror del latin sangue
ingorda Sonò Megera la tartarea tromba ».
— 5. Os. legge: Xe stridendo cosi.
4, 1. Tosto gli dèi ecc.: Vida, loc. cit.
Coucorron d'ognintorno a l'alte porte.
Oh come strane, oh come orribil forme!
Quaut'è ne gli occhi lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferine orme,
E 'n fronte umana han chiome d'angui at-
[torte;
E lor s'aggira dietro immensa coda
Che, quasi sferza, si ripiega e snoda.
5
Quimilleimmonde Arpie vedresti e mille
Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni;
Molte e molte latrar voraci Scille,
E fischiar Idre, e sibilar Pitoni,
E vomitar Chimere atre faville;
E Politemi orrendi e 'Jerioni;
E in novi mostri, e non pili intesi o visti,
Diversi aspetti in un confusi e misti.
139: « Continuo ruit ad portas gens om.ìis: ^
et adsunt Lucifugi coetus varia, atque bi-
corpora monstra; Pube tenus hominum fa-
cies, verum hispida in anguem Desinit in-
genti sinuata volumine cauda». — 6. Vir-
gilio,dellaDiscordia, Aen. vi 281 : «Vipereum
crinem vittis innesa cruentis ». Il Vida, loc-
cit. 152: « Omnibus intorti pendent prò cri-
nibus angues*. — 7-8. Virg., Aen. ii 207:
« pars caetera pontum Pone legit sinuatque
immensa volumine terga ». E l'Ariosto, delle
arpie, Ori. xxxiii 120: « e lunga coda, Come
di serpe che s'aggira e snoda ».
6, 1. Qui mille immonde ecc. ; Vida. loc.
Cit. 143: «Gorgonas hi, Sphingasque ob-
scoeno corpore reddunt, Centaurosque, Hi-
drasque illi. ignivomasque Chimaeras, Cen-
tum alii Scyllas, ac foedificas Harpyas, Et
quae multa homines simulacra horrentia
fingunt », Virg., Ae/7. vi 285: «Multaque
praeterea variarum monstra ferarum Cen-
tauri in foribus stabulant Sc^llaeque bifor-
mes. Et centurageminus Briareus, ac bellua
Lernae Horrendum stridens, flammisque
armata Chimaera, Gorgoues Harpyaeque
et forma tricorporis umbrae ». — Arpie:
uccelli favolosi, con viso e collo di donzella.
Cfr. Virg. Aen. vi zSl : Dante, l7if. xiii
10-101. — 2. Centauri: mostri mezzo uomini
e mezzo cavalli. Cfr. Ovidio, Met. xii; Dante,
Inf. xii 56, XXV 17, e Purg. xxxv 121. —
Sfingi: animali mostruosi. Cfr. Dante, Purg.
xxxiii 47. — Gorgoni: Cfr. Ovidio, Met. iv
769 e Dante, Inf. ix f»6. — 3. Scilla: mostro
marino a sei teste, cinto intorno di cani. —
4. Idra: serpente favoloso figurato con sette
teste. Cfr. Dante, Lnf. ix 40. — Pitone: ser-
pente spaventevole, che, perseguitando La-
tona, fu ucciso da Apolline. — • 5. Chimera:
mostro parte leone, parte capra, e parte
drago. — 6. Poliremo: gigante antropofago
con un solo occhio in mezzo alla fronte.
Cfr. Omero neWOdiss. ix, Virg., Aen. in,
641 segg. — Gerione, Dante, Inf. xvu.
CANTO IV
43
D'essi parte a sinistra e parte a destra
A seder vanno al crudo re davaiite.
Siede Pluton nel mezzo, e con la destra
Sostien lo scettro ruvido e pesante;
Né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra,
Né pur Calpe s'inalza, o'I magno Atlante,
Ch'anzi lui non paresse un picciol colle;
Si la gran fronte e le gran corna estolle.
7
Orrida maestà nel fero aspetto
Terrore accresce, e più superbo il rende;
Rosseggian gli occhi, e di veneno infetto,
Come infausta cometa, il guardo splende;
Gl'involve il mento, e su l'irsuto petto
Ispida e folta la gran barba scende;
E in guisa di voragine profonda
S'apre la bocca d'atro sangue immonda.
8
Qual i fumi sulfurei ed infiammati
Escon di Mongibello, e '1 puzzo e '1 tuono ;
Tal de la fera bocca i negri fiati,
Tale il fetore e le faville sono.
Mentre ei parlava, Cerbero i latrati
Ripresse, e l'Idra si fé' muta al suono;
Restò Oocito, e ne tremar gli abissi;
E in questi detti il gran rimbombo udissi :
9
Tartarei numi, di seder piiì degni
Là sovra il sole, ond'è l'origin vostra,
Che meco già da i più felici regni
6,3. Siede ecc.: Claudiano, De Raptu
Proser^nnae i 79 (pur di Plutone) : « Ipse
rudi fultus solio, nigraque verendus Maie-
statesedet: squalent iixiinaniafoedo Sceptra
situ: sublime caput maestissima nubes Aspe-
rat, et dirae riget inclementia formae: Ter-
rorem dolor augebat». — 6. Calpe: il pro-
montorio di Gibilterra. — 7. Ch'anzi: che
dinanzi a lui, in suo paragone.
7, 1-2. Cfr. i versi di Claudiano cit. ulti-
mamente. — 3. Rosseggian ecc.: Virg., Aen.
II 210: « Ardentisque oculos suffecti san-
guine et igni». — infetto: iniettato [lo
sguardo].
8, 5. Mentre ei parlava ecc. : Claudiano,
loc. cit. 84: « tremefacta silent, dicente ty-
ranno, Atria; latratum triplicem compe-
scuit ingens lanitor, et presso lacrimarura
fonte resedit Cocytoa, tacitisque Acheron
obmutuit undis ». — Cerbero, cane infernale
con tre teste ; cfr. Dante, Inf. vi 13-33. —
7. Restò, fermò il suo córso. — Cocìto :
fiume infernale; cfr. Dante, Inf. xiv 119,
XXXI 123 e XXXIV f)2.
9, 1. Tartarei numi acc: Vida, loo. cit.
167: «Tartarei proceres, caelo gens orta
sereno, Quos olim huc superi, mecuni in-
clementia regis Aethere disiectos llagranti
fulmine adegit, Dum regno cavet, ac sceptris
Spinse il gran caso in questa orribil chio-
[stra;
Gli antichi altrui sospetti e i fieri sdegni
Noti son troppa, e l'alta impresa nostra.
Or Colui regge a suo voler le stelle,
E noi Siam giudicate alme rubelle.
10
Ed in vece del di sereno e puro,
De l'aureo sol, de gli stellati giri,
N'ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro;
Né vuol ch'ai primo onor per noi s'aspiri:
E poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
Quest'è quel che più inaspra i miei martiri)
Ne' bei seggi celesti ha l'uom chiamato,
L'uom vile e di vii fango in terra nato.
11
Né ciò gli parve assai; ma in preda amor-
Sol per farne più danno, il figlio diede, [te,
Ei venne, e ruppe le tartaree porte.
multa invidus ille Permetuit, refugitque
parem; quae praelia toto Egerimus coelo,
quibus olim denique utrimque Sit certatum
odiis, notum, et meminisse necesse est. Ille
astris potitur, parte et plus occupat aequa
Aetheris, ac poenas inimica a gente recepit
Crudeles». — 4. il gran cago: la gran ca-
duta. Altri credono che Lucifero, nell'or-
goglio suo, chiami gran caso la forza che
lo precipitò nell'abisso. — chiostra. Chio-
stra 0 chiostro (lat. claustrum) vale luogo
chiuso. Dante, Inf. xxix 40: «Quando noi
fummo in sull' ultima chiostra Di Male-
bolge», e Purg. vii 21: «Dimmi, se vien
d'Inferno, e di qual chiostra ». — 8. rubelle,
per ribelle fu già della lingua poetica.
10, 1. Ed in vece del di ecc. : Vida, loc. cit.
176 : « ... prò sideribus prò luce serena No-
bis senta situ loca, sole carentia tecta Red-
didit, ac tenebria jussit torquere sub imis
Immites animos hominum. Illaetabile re-
gnum. Ilaud superae aspirare poli datur
amplius aulae: Ingens ingenti claudit nos
obice tellus ; In partemque homini nostri
data regia caeli est». — 5. duro: incresce-
vole; Dante, Inf. i4: «Ahi quanto a dir
qual era è cosa dura ».
11, 1. Né ciò gli parve ecc.: Vida, loc.
cit. 183: « Nec satis : arma iterura molitur,
et altera nobis Bella ciet, regnisque etiam
nos pellit ab imis. Id propter iuvenem
aetherea demisit ab arce Seu natum, sive
alitibus de fratribus unum, lamque aderit,
fretusque armis caelestibus ille Sedibus cxi-
tium vehet bis, et regna recludet Infera,
concessasque animas nostro eximet orbe.
Fors quoque nos, nisi non segnes occurri-
raus, ipsos Arcta in vincla dabit, vinctosque
indticet Olympo, Victor, ovans. Superi illu-
dent toto aethere captis ». — 3. Petrarca,
di Cristo, son. Non può far morte 6 ; « Che
44
GERUSALEMME LIBERATA
E porre osò ne' regni nostri il piede,
E trarne l'alme a noi dovute in sorte,
E riportarne al Ciel si ricche prede,
Vincitor trionfando, e in nostro scherno
L'insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
12
Ma che rinnovo i miei dolor parlando?
Chi non ha già l'ingiurie nostre intese?
Ed in qual parte si trovò, né quando,
Ch'egli cessasse da l'usate imprese?
Non pili dessi a l'antiche andar pensando,
Pensar dobbiamo a le presenti offese.
Deh! non vedete ornai com'egli tenti
Tutte al suo culto richiamar le genti?
13
Noi trarrem neghittosi i giorni e l'ore,
Né degna cura fia che '1 cor n'accenda?
E soffrirem che forza ognor maggiore
Il suo popol fedele in Asia prenda?
E che Giudea soggioghi? e che '1 suo onore.
Che '1 nome suo più si dilati e stenda?
Che suoni in altre lingue, e in altri carmi
Si scriva, eincida innovibronzie marmi?
14
Che sian gl'idoli nostri a terra sparsi?
Che inostri altari il raondoaluiconverta?
Ch'a lui sospesi i vóti, a lui sol arsi
Siano gl'incensi, ed auro e mirra offerta?
Ch'ove a noi tempio non solca serrarsi.
Or via non resti a l'arti nostre aperta?
Che di tant'alme il solito tributo
Ne manchi, e in vóto regno alberghi Fiuto ?
15
Ah! non fia ver; chénon sono anco estinti
Gli spirti in voi di quel valor primiero,
Quando di ferro e d'alte fiamme cinti
Pugnammo già contra il celeste impero.
Fummo, io no'l nego, in quel conflitto vinti:
Pur non mancò virtute al gran pensiero.
col pie ruppe le tartaree porte ». — 5-6.
Dante, Inf. xii 3S-39: « Colui che la gran
preda Levò a Dite ». — 8. iri, nel cielo. Qui
insegne significa segyii, indizi; e son le
anime che Cristo strappò al Tartaro e che
spiegate, messe in mostra, in cielo, atte-
stano della sua vittoria sull'inferno.
12, 3. né quando: e quando: il né ha qui
valore di semplice congiunzione; come nel
Petrarca, canz. Che deòb' io far TI: * Se gli
occhi suoi ti fur dolci né cari ».
13, 5-6. e che '1 sao onore, Che '1 nome
suo ecc.: Intendi: che l'onore, cioè il culto,
e il nome del Dio cristiano ecc. Suo si ri-
ferisce qui, come nel verso 4, a Dio; e non
a popol fedele, che pure è soggetto di sog-
gioghi. — 8. e marmi: Os. e in marmi.
16, 6. Pnr non mancò ecc.: Intendi che
al gran pensiero di pugnare contro il ce-
leste impero corrispose, nell'atto, la virtù,
Diede che che si fosse a lui vittoria:
Rimase a noi d'invitto ardir la gloria.
16
Ma perché più v'indugio? Itene, o miei
Fidi consorti, o mia potenza e forze;
Ite veloci, ed opprimete i rei.
Prima ch'il lor poter più si rinforze:
Pria che tutt'arda il regno de gli Ebrei.
Questa fiamma crescente omais'aramorze,
Fra loro entrate; e in ultimo lor danno
Or la forza s'adopri, ed or l'inganno.
17
Siadestin ciò ch'io voglio: altri disperso
Se 'n vada errando ; altri rimanga ucciso ;
Altri, in cure d'amor lascive immerso,
Idol si faccia un dolce sguardo e un riso:
Sia'l ferro in contro al suo rettor converso
Da lo stuol ribellante e 'n sé diviso:
Péra il campo e riiini, e resti in tutto
Ogni vestigio suo con lui distrutto.
18
Non aspettar già l'alme a Dio rubelle
Che fosser queste voci al fin condotte;
Ma fuor volando a riveder le stelle
Già se n'usciau da la profonda notte,
Come sonanti e torbide procelle
Che vengan fuor de le natie lor grotte
Ad oscurar il cielo, a portar guerra
A i gran regni del mar e de la terra.
19
Tosto, spiegando in varii lati i vanni.
Si furon questi per lo mondo sparti,
E 'ncominciaro a fabricar inganni
Diversi e novi, ed ad usar lor arti.
Ma di' tu, Musa, come i primi danni
ossia il valore. — Ovidio, Met. ix 5 ; * Nec
tam Turpe fuit vinci quam coutendisse de-
corum est, Magnaque dat nobis tantus so-
latia Victor». — 7. che che sì fosse: una
qualunque potenza.
16, 1. t' indugio : vi trattengo : Virg. Ae7i.
XI 175 : « quid iam vos demoror armis? Va-
dite». — 2. Virg., Aen. i 664: «Nate, meae
vires, mea magna potentia, solus *. — 8.
forza: mischiandosi nella guerra, infiam-
mando i pagani, commovendo le tempeste.
— inganno: le arti d'Armida, la violaz. del
patto fra Raimondo ed Argante, il sogno
di Arginano, la prigionia di Tancredi, T in-
cantamento del bosco ecc.
17, 1. Sia destin ciò ch'io TOglio : Clau-
diano, De Rapt. Proserp. : « Sit fatum quod-
cumque velis ►. — 5-6. Vuol dire: sia uc-
ciso Goffredo da' suoi, e i ribelli si dividano
le cose e i regni acquistati; e, nel fatto,
mancò poco che questo avvenisse per la
sedizione di Argillano, nell'ottavo canto.
19, 1. vanni: voce poetica che si usa solo
nel plurale, e vuol dire ali.
CANTO IV
45
Mandassero a' Cristiani, e di quai parti:
Tu 'i sai; e di taiit'opra a noi si Innge
Debil aura di fama a i)ena giunge.
20
Reggea Damasco e le città vicine
Idraote, famoso e nobil mago,
Che tin da' suoi prim'anni a l'indovine
Arti si diede, e ne fu ognor più vago.
Ma che giovar, se non potè dei fine
Di quell' incerta guerra esser presago?
Ned aspetto di stelle erranti o fìsse,
Né risposta d'inferno il ver predisse.
21
Giudicò questi (ahi, cieca umana mente,
Come i giudizi tuoi son vani e torti!)
Che a l'esercito invitto d' Occidente
Apparecchiasse il Ciel mine e morti:
Però, credendo che l'egizia gente
La palma de l'impresa al fin riporti,
Desia che '1 popol suo ne la vittoria
Sia de l'acquisto a parte e de la gloria.
22
Ma perché il valor Franco ha in grande
Di sanguigna vittoria i danni teme; [stima,
E va pensando con qual arte in prima
Il poter de' Cristiani in parte sceme,
Si che pili agevolmente indi s'opprima
Da le sue genti e da l'Egizie insieme:
In questo suo pensier il sovragiunge
L'angelo iniquo, e più l'instiga e punge.
23
Esso il consiglia, e gli ministra i modi
Onde l'impresa agevolar si puote.
Donna, a cui di beltà le prime lodi
Concedea l'Oriente, è sua nepote:
Gli accorgimenti e le più occulte frodi,
Ch'usi 0 femifia o maga, a lei son note:
Questa a sé chiama, e seco i suoi consigli
Comparte, e vuol che cura ella ne pigli.
20, 2. Idraote: pei maghi cfr. la nota ad
Isvneno, cant. ii st. 1. É personaggio fittizio
e non è vero che reggesse Damasco. Nella
Conquisi, v 20: * Reggea Meraclea, e le
città vicine De' Fenici, Idraote occulto ma-
go ». — 2-8. Ricorda AlTeo nell'Ora. Fu7\
xviii 174: «Medico e mago e pien d'astro-
logia ; Ma poco a questa volta gli sovvenne;
Anzi gli disse in tutto la bugia ».
21, 1-2. ahi ecc. Ariosto, Ori. i 7: «Ecco
il giudicio uman come spesso erra! ».
23, 3-6. Ritratto d'Armida. — Gli accor-
gimenti ecc.: Dante fa dire a Guido da Mon-
tefelfro, Inf. xxvii 76 : «Gli accorgimenti
e le coperte vie Io seppi tutte ». — feniina
0 maga: Armida è ora donna ora maga
nella Liber.; ma nella Conquist. la parte
umana sparisce quasi interamente, ed ella
è contemplata dal poeta solamente nel se-
condo modo. — 8. Comparte: partecipa.
24
Dice: 0 diletta una, elle sotto biondi
Capelli, e fra si teucre sembianze,
Canuto senno e cor virile ascondi,
E già ne l'arti mie me stesso avanza,
Gran pensier volgo; e, se tu lui secondi,
Segiiiteran gli effetti a le speranze.
Tessi la tela ch'io ti mostro ordita,
Di cauto vecchio esecutrice ardita.
25
Vanne al campo nemico: ivi s'impieghi
Ogn'arte feminil ch'amore alletti;
Bagna di pianto e fa' melati i preghi;
Tronca e confondi co' sospiri i detti:
Beltà dolente e raiserabii pieghi
Al tuo volere i più ostinati petti:
Vela il soverchio ardir con la vergogna,
E fa' manto del vero a la menzogna.
2G
Prendi, s'esser potrà, Goffredo a l'esca
De' dolci sguardi e de' be' detti adorni.
Si ch'a l'uomo invaghito ornai rincresca
L'incominciata guerra, e la distorni.
Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca:
Menagli in parte ond'alcnn mai non torni.
Poi distingue i consigli; al fin le dice:
Per la fé, per la patria il tutto lice.
27
La bella Armida, di sua forma altera,
E de' doni del sesso e de l'etate.
L'impresa prende; e in su la prima sera
Parte, e tiene sol vie chiuse e celate:
24. A proposito delle urti d'Armida il T.
scrive {Leu. i;5): « Credo che in molti luoghi
troveranno forse alquanto di vaghezza so-
verchia, ed in particolare ne l'arti d'Ar-
mida ». E ancora: « La contenzione (di Ger-
nando e Rinaldo) in se stessa, e l'arti d'Ar-
mida sono ex arte, come quelle che procedono
da una fonte, cioè dal consiglio infernale,
e tendono ad un fine medesimo e principa-
lissimo, eh' è il disturbo de l'impresa».
Vedi la nota alla st. 1 di questo canto.— 3.
Petrarca, son. Grazie cWa pochi 3: «Sotto
biondi capei canuta mente ». — ó. Os. legge :
Seguiranno gli. — 7-8. Vuol dire: metti in
effetto con le opere quanto io ho divisato
nella niente.
26, 3. melati: aspersi di miele, cioè di
dolcezza: Boccaccio, Decam. nov. 7: «i
prieghi. i quali io nel vero non seppi ba-
gnare di lagrime né far melati ». — 5.
misorabil ecc.: compassionevole. Ovidio,
FAeg. I x : « Ut voto potiare tuo, miserabilis
esto». — 7. con la vergogna: con modi ri-
trosi e pudichi. Vedi Sofronia e. ii 18.
26, 7. distìngue: spiega. AKialilei questa
frase sapeva di pedantesco. Cfr. cant. ni
28, 5.
46
GERUSALEMME LIBERATA
E 'n treccia e 'n gonna feminile spera
Vincer popoli invitti e schiere armate.
Ma son del suo partir tra -1 vulgo ad arte
Diverse voci poi diffuse e sparte.
28
Dopo non molti di vien la donzella
Dove spiegate i Franchi avean le tende.
A l'apparir de la beltà novella
Nasce un bisbiglio e'I guardo ognun v'in-
Si come là dove cometa o stella, [tende,
Non più vista di giorno, in ciel risplende:
E traggon tutti per veder chi sia
Si bella peregrina, e chi l'invia.
29
Argo non mai, non vide Cipro o Delo
D'abito 0 di beltà forme si care.
D'auro ha la chioma, ed or dal bianco velo
Traluce involta, or discoperta appare:
Cosi, qualor si rasserena il cielo,
Or da candida nube il sol traspare,
Or da la nube uscendo i raggi intorno
Più chiari spiega, e ueraddoppia il giorno.
30
Fa nove crespe l'aura al crin disciolto,
Che natura per sé riucrespa in onde;
27, 5. Petrarca, madr. Or vedi, Amor i:
«Tu se' armato ed ella è in treccia e in
gonna »•.
28, 3. Ricorda un po' l'apparire di Elena
{II. m) dinanzi ai vecchi troiani : e l'entrata
di Angelica (a cui in parte è simile Armida,
ancóra pel fine che è di portar via prigioni
i migliori cavalieri) nella sala di Carloma-
gno, in Boiardo, Ori. Inn. i 20 e segg. —
4. e '1 guardo ecc.: Boiardo, Ori. Inn. i23:
« Ogni barone e principe cristiano In quella
parte ha rivoltato il viso ecc. ». — 5-S. Il
Guastavini osserva che qui pure si ricorda
Claudiano (De Rapt. Proserp. i 230), quando
Venere, Pallade e Diana vanno, per comando
di Giove, ad ingannar la fanciulla : « augu-
rium qualis laturus iniquum Praepeps san-
guineo delabitur igne cometes l'rodigiale
rubens: non illam navita tuto. Non impune
vident populi ; sed crine minaci Nunciat
aut ratibus ventos, aut urbibus hostes ».
29, 1. Argo, città del Peloponneso, patria
di Eleua; Cipro, isola, di fronte alle coste
della Siria, sacra a Venere ; Delo, una delie
Gicladi, sacra a Diana e ad Apollo. Il poeta
vuol dire che Armida era più bella di Elena,
di Venere e di Diana. — 5. Cosi ecc.: Ovi-
dio, Met. v 570: « ut sol qui tectus aquosis
Nubibus ante fuit, victis e nubibus exit».
Cfr. Ariosto [Ori. xi 65). — 6. candida nube,
risponde al bianco velo.
30, 1-2. Petrarca, son.: « Aura che quelle
chioyne bionde e crespe, Circondi e movi,
e se' mossa da loro Soavemente e spargi
quel dolce oro, E po' il raccogli e 'n bei
Stassi l'avaro sguardo in sé raccolto,
E i tesori d'Amore e i suoi nasconde.
Dolce color di rose in quel bel vólto
Fra l'avQrio si sparge e si confonde:
Ma ne la bocca, ond'esce aura amorosa.
Sola rosseggia e semplice la rosa.
31
Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
Onde il foco d'Amor si nutre e desta;
Parte appar de le mamme acerbe e crude,
Parte altrui ne ricopre invida vesta:
Invida, ma s'a gli occhi il varco chiude,
L'amoroso peusier già non arresta,
Che non ben pago di bellezza esterna,
Ne gli occulti secreti anco s'interna.
32
Come per acqua o per cristallo intiero
Trapassa il raggio, e no '1 divide o parte,
Per entro il chiuso manto osa il pensiero
Si penetrar ne la vietata parte:
Ivi si spazia, ivi contempla il vero
Di tante meraviglie a parte a parte;
Poscia al desio le narra e le descrive,
E ne fa le sue fiamme in lui più vive.
33
Lodata passa e vagheggiata Armida
Fra le cupide turbe; e se n'avvede:
No 'l mostra già, benché in suo cor ne rida,
E ne disegni alte vittorie e prede.
Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida
Che la conduca al Capitan richiede,
Eustazio occorse a lei, che del sovrano
Principe de le squadre era germano.
nodi il rincrespe ». — 3. Petrarca, ball. Las-
sare il vel. 10: « E l'amoroso sguardo in
sé raccolto » ; cfr. e. ti IS, 3. — S. semplice:
senza mescolanza, pura.
31, 1. neri ignude ecc.: Novara: ♦ Il Pe-
trarca chiama un volto candido calda neve;
da questa antitesi del Petr. par derivata
questa del T. che dalla neve fa nascere il
fuoco ».
32, La maggior parte di questa strofa può
sembrar condotta con troppa sottigliezza
d'analisi.
33, 1. Cfr. e. II 19, 1. — 7. Eustazio: cfr,
e. I 54, I. Di questo sùbito innamorarsi di
Eustazio e delle fervide parole di poi ri-
volte ad Armida [Donna se mai tal nome
ecc.), scrive il T. {Lett. 31) che egli ha vo-
luto descrivercelo come •< giovinetto incon-
siderato *, e avverte: • Il poeta deve espri-
mere ed imitare in Eustazio il costume ed
il parlare de' giovani o amanti o proni al-
l'amore ; a' quali apparendo nova bellezza^
e maravigliosa, sono rapiti dall'affetto a
dir cose sovra la lor credenza, a chiamare
il luogo, dove appare la donna, paradiso,
e lei dea ecc. ».
1
1
CANTO IV
47
34
Come al lume farfalla, ei si rivolse
A lo splendor de la beltà divina;
E rimirar da presso i lumi volse,
Che dolcemente atto modesto inchina;
E ne trasse gran fiamma, e la raccolse,
Come da foco suole ésca vicina;
E disse verso lei (ch'audace e baldo
Il fea de gli anni e de l'amore il caldo):
35
Donna, se pur tal nome a te conviensi;
Che non simigli tu cosa terrena,
Né v'è figlia d'Adamo in cui dispensi
Cotanto il Ciel di sua luce serena;
Che da te si ricerca? ed onde viensi?
Qual tua ventura, o nostra, or qui ti mena ?
Fa' che sappia chi sei: fa' ch'io non erri
Ne l'onorarti; e, s'è ragion, m'atterri,
36
RiHponde: II tuo lodar troppo alto sale;
Né tanto in suso il raerto nostro arriva:
Cosa vedi, signor, non pur mortale,
Ma già morta a i diletti, al duol sol viva;
Mia sciagura mi spinge in loco tale,
Vergine peregrina e fuggitiva:
Ricovro al pio Goffredo, e in lui confido;
Tal va di sua bontate intorno il grido.
37
Tu l'adito m'impetra al Capitano,
S'hai, come pare, alma cortese e pia.
Ed egli: È ben ragion ch'a l'un germano
L'altro ti guidi, e intercessor ti sia.
Vergine bella, non ricorri in vano;
Non è vile appo lui la grazia mia:
Spender tutto potrai, come t'aggrada,
Ciò che vaglia il suo scettro, o la mia spada.
38
Tace; e la guida ove tra i grandi eroi
Allor dal vulgo il pio Bugliou s'invola.
Essa inchinollo riverente, e poi
35, 1. Donua: In Omero, Odiss. vi, Ulisse
a Nausicaa: «supplichevolmente ti prego,
0 regina; o Dio alcuno, o mortale tu ti
sia ». Cfr. Virg., Aen. i 327. — 3-4. Petrarca,
son. Deh, porgi man 12. « Forma tal non
fu mai dal di che Adamo Aperse gli occhi
in prima ». — 8. atterrì. Atterrarsi per pro-
strarsi è in Dante, Puyci.ix 129: «Pur che
la gente a' piedi mi s'atterri»; e nel Pe-
trarca, son. Più di me lieta 3: • Quando la
gente di pietà dipinta Su per le rive a rin-
graziar s'atterra *.
36, 2. Né tanto ecc. : Virg., Aen. i 335 :
« Tum Venus: Haud equidem tali me dignor
honore ». — 3. Petrarca, son. Soleasi nel
m,io cor. 3: « Or son fatt'io... Non pur mor-
tai, ma morto, ed ella è diva».
37, 6. Non è poco il favore che io godo
presso di lui.
Vergognosetta non facea parola.
Ma quei rossor, ma quei timori suoi
Rassecura il guerriero e riconsola;
Si ch'i pensati inganni al fine spiega
In suon che di dolcezza i sensi lega.
39
Principe invitto, disse, il cui gran nome
Se 'u vola adorno di si ricchi fregi.
Che l'esser da te vinte e in guerra dome
Recansi a gloria le'provincie e i regi;
Noto per tutto è il tuo valor: e come
Sin da i nemici avvien che s'ami e pregi,
Cosi anco i tuoi nemici affida, e invita
Di ricercarti e d'impetrarne aita.
40
Ed io, che nacqui in si diversa fede
Che tu abbassasti e ch'or d'opprimer tenti,
Per te spero acquistar la nobil sede
E lo scettro regal de' miei parenti:
E s'altri aita a i suoi congiunti chiede
Centra il furor de le straniere genti.
Io, poi che 'n lor non ha pietà più loco,
Centra il mio sangue il ferro ostile invoco.
41
Io te chiamo, in te spero; e in quell'altezza
Puoi tu sol pormi, onde sospinta io fui;
Né la tua destra esser dee meno avvezza
Di sollevar, che d'atterrar altrui;
Né meno il vanto di pietà si prezza.
Che '1 trionfar de gl'inimici sui:
E s'hai potuto a molti il regno torre,
Fia gloria egual nel regno or me riporre.
42
Ma se la nostra fé varia ti move
A disprezzar forse i miei preghi onesti,
38, 7. Cfr. l'atteggiamento e la parlata di
Angelica nel Boiardo (Orì.Inn. i23 esegg.).
— S. Petrarca, Son. Quand'a^nor i begli 9:
« Ma '1 suon che di dolcezza i sensi lega ».
39, « Questa narrazione d'Armida è tutta
buona, eccetto alcune poche cosette ». Cosi
il Galilei, giudice non certo benevolo. — 1.
Principe ecc.: Boiardo, Ori. Inn. i 24:
« Magnanimo signor, la tua virtute E le
prodezze de' tuoi paladini, Che sono in terra
tanto conosciute Quanto distende il mare i
suoi confini, Mi dan speranza ecc. ». — 2.
ricchi: CoxQ. e Os. chiari. — 5-6. Cicerone
{i;i Pisonem): « Habet hoc virtus, ut viros
fortes species eius ac pulcritudo etiara in
hoste delectet ». —7. affida: rende fiduciosi.
40, 4. parenti: genitori, alla latina.
41, 1. Io te chiamo. In : Cosi pur la Conq.;
ma Os. Te chiamo ed in. — 6. iniinìci:
« La parola inimici — scriveva il T. nel
l.')7tì {Leu. 87) — non la vorrei per niente »;
perciò troviamo nell'Os. la sostituzione av-
versarii, ma nella Conq. il T. tornò all'an-
tica lezione. — sul: vale proprii.
48
GERUSALEMME LIBERATA
La fé, c'ho certa in tua pietà, mi giove;
Né dritto par ch'ella delusa restì.
Testimone è quel Dio ch'a tutti è Giove,
Ch'altrui più giusta aita uiiqua non desti.
Ma perché il tutto a pieno intenda, or odi
Le mie sventure insieme e l'altrui frodi.
43
Figlia i'son d'Arbilan, che'l regno tenne
Del bel Damasco, e in minor sorte nacque:
Ma la bella Cariclia in sposa ottenne,
Cui farlo erede del suo imperio piacque.
Costei co 'I suo morir quasi prevenne
Il nascer mio; ch'in tempo estinta giacque,
Ch'io fuori uscia de l'alvo; e fu il fatale
Giorno, ch'a lei die morte, a me natale.
44
Ma il primo lustro a pena era varcato
Dal di ch'ella spogliossi il mortai velo,
Quando il mio genitor, cedendo al fato,
Forse con lei si ricongiunse in Cielo;
Di me cura lassando e de lo stato
Al fratel, ch'egli amò con tanto zelo,
Che, se in petto mortai pietà risiede,
Esser certo dovea de la sua fede.
45
Preso dunque di me questi il governo.
Vago d'ogui mio ben si mostrò tanto,
Che d'incorrotta fé. d'amor paterno,
E d'immensa pietade ottenne il vanto:
0 che '1 maligno suo pensiero interno
Celasse allor sotto contrario manto;
42, 5. 11 Gentile annota: « sente quella
sentenza d'Ennio tolta da Euripide, appo
Cicerone, De nat. Deor.: -Aspice hoc su-
blime candensquem invocantomneslovem-.
Perciocché Giove è detto dal giovare, ciò
che é proprio d'Iddio: e per tale è adorato
da tutte le nazioni della terra ». Etimologia
falsa della parola Giove, ma accettata per
buona dal Tasso.
43. Ancora Angelica nel Boiardo {Ori.
Inn. loc. cit.ì chiede aiuto a Carlo Magno
accampando falsamente d'essere stata cac-
ciata dal regno. Gli annotatori, per quanto
concerne la persecuzione d'Armida, ricor-
dano il racconto d'Olimpia perseguitata da
Cimosco perché non voleva sposarne il fi- ■
glio, nell'Ariosto {Ori. ixi; e per quanto ri- j
guarda la nascita, causa di morte alla ma-
dre, il nascere di Marfisa nello stesso poeta. |
— 1. regno: Cosi pure CoxQ., ma Os. freno. ■
— 4. imperio: Os. regno. — 7. fatale: nel
senso di funesto : il fatale giorno diventò
poi nella Conquisi, (v 45] Vemoia fortuna. \
44,3. cedendo al fato: morendo; in la- 1
tino cedere o concedere fato vale appunto j
morire.
45, 2. Tago, desideroso. — 6. Petrarca,
son. Cesare poi ch'il 9: • l'animo ciascuna 1
0 che sincere avesse ancor le voglie,
Perch'ai figliuol mi destinava in moglie.
46
Io crebbi, e crebbe il figlio; e mai né stile
l'i cavalier, né nobil arte apprese:
Nulla di pellegrino o di gentile
Gli piacque mai, né mai troppo alto intese;
Sotto diforme aspetto animo vile,
E in cor superbo avare voglie accese;
Ruvido in atti, ed in costumi è tale,
Ch'è sol ne' vizi a sé medesmo eguale.
47
Ora il mio buon custode ad uora si degno
Unirmi in matrimonio in sé prefìsse,
E farlo del mio letto e del mio regno
Consorte : e chiaro a me più volte il disse.
Usò la lingua e l'arte, u?ò l'ingegno,
Perché '1 bramato effetto indi seguisse:
Ma promessa da me non trasse mai;
Anzi, ritrosa ognor, tacqui o negai.
48
Partissi al fin con un sembiante oscuro,
Onde l'empio suo cor chiaro trasparve:
E ben l'istoria del mio mal futuro
Leggergli scritta in fronte allor mi parve.
Quinci i notturni miei riposi furo
Turbati ognor da strani sogni e larve;
Ed un fatale orror ne l'alma impresso
M'era presagio de' miei danni espresso.
49
Spesso l'ombra materna a me s'oflfria,
Pallida imago e dolorosa in atto:
Quanto diversa, oìmè, da quel che pria
Visto altrove il suo vólto avea ritrattol
Fuggi, figlia, dicea, morte si ria
Sua passion
copre
sotto '1 contrario manto Ri-
sincere: pure : già osservato.
48, 3. Petrarca, canz. QueW antiquo 129:
« Quanta ha del pellegrino e del gentile ».
— 4. intese: pose la mira. Petrarca, Tr.
Fam. II 160: « Il buon re Sicilian ch'in alto
intese». — 6. avare, cupide, bramose; più
sotto dice (58) avara fame; e nel e. i 55, 4,
avare prede; e altrove ancora. — *Ai versi
5-6 deve sottintendersi il verbo ebbe — 8,
Intendi : Che ne' vizi è uguale soltanto a sé
medesimo, cioè non ha chi lo uguagli.
48, 2. chiaro: avv. chiaramente.
49, 1. Spesso l'ombra ecc.: Aen. i 353
« Ipsa sed in somnis inhumati venit imago
Coniugis; ora modis attollens pallida miris^
Crudeles aras, traiectaque pectora ferro
Nudavit, caecumque domus scelus omne
retexit. Tum celerare fugam, patriaque
eccedere suadet; Auxiliumque viae ecc.».
— 3. Quanto diversa ecc.: Virg. Aen. u 274:
« Hei mihi, quaiis erat! quantum mutatus
ab ilio ». E il Petrarca, son. Già fiarnmegg.^
12: «Quanto cangiata, oimè, da quel d;
CANTO IV
49
Che ti sovrasta ornai; partiti ratto:
Già veggio il tòsco e'I ferro in tuo sol dan-
Appurecchiar dal perfido tiranno. [no
50
Ma che giovava, oimè! che del periglio
Vicino ornai fosse presago il core,
S' irresoluta in ritrovar consiglio
La mia tenera età rendea il timore?
Prender, fuggendo, volontario esiglio,
E ignuda uscir del patrio regno fuore,
Grave era si, ch'io fea minore stima
Di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima.
51
Temea, lassa! la morte; e non avea
(Chi '1 crederla?) poi di fuggirla ardire:
E scoprir la mia téma anco temea,
Per non affrettar l'ore al mio morire.
Cosi inquieta e torbida traea
La vita in un continuo martire;
Qual uom ch'aspetti che su'l collo ignudo
Ad or ad or gli caggia il ferro crudo.
52
In tal mio stato, o fosse amica sorte,
O ch'a peggio mi serbi il mio destino,
Un de' ministri de la regia corte,
Che '1 re mio padre s'allevò bambino.
Mi scoperse che '1 tempo a la mia morte
Dal tiranno prescritto era vicino;
E ch'egli a quel crudele avea promesso
Di porgermi il venen quel giorno stesso.
53
E mi soggiunse poi, ch'a la mia vita,
Sol fuggendo, allungar poteva il córso:
E, poi ch'altronde io non sperava aita,
Pronto offri se medesmo al mio soccorso;
E confortando mi rendè si ardita.
Che del timor non mi ritenne il morso.
Si, ch'io non disponessi a l'aer cieco,
La patria e '1 zio fuggendo, andarne seco.
54
Sorse la notte oltra l'usato oscura,
Che sotto l'ombre amiche ne coperse;
Onde con due donzelle uscii secura.
Compagne elette a le fortune avverse;
Ma pure in dietro a le mie patrie mura
Le luci io rivolgea di pianto asperse,
pria».— 6. ratto, prestatnentc, iu modo av-
verbiale.
60, 7. minore stima: faceva minor conto,
m'importava meno; cioè m'era menograve,
doloroso. — 8. ore gli aporsi In prima, ove
gli aprii la prima volta, cioè ove nacqui.
61, 6. eontiniio: cosi pure legge la Conq.,
ma Os. continovo.
63, 3. altronde: da altro che non fosse la
fuga. — 6. del timor il morso: Intendi morso
nel senso di freno.
64, 3. Onde: Cosi pure Conq.; ma Os. Tal
che. — 5-6. Lucano, Phars. ni 3 : * Oranis
Né de la vista del natio terreno
Potea, partendo, saziarle a pieno.
55 [ro,
Fea ristesso cammin l'occhio e'I pensie-
E mal suo grado il piede inanzi giva;
Si come nave ch'improviso e fero
Turbine scioglia da l'amata riva.
La notte andammo e '1 di seguente intero
Per lochi ov'orma altrui non appariva:
Ci ricovraramo in un castello al fine,
Che siede del mio regno in su 'i confine.
56
E d'Aronte il Castel; ch'Aronte fue
Quel che mi trasse di periglio, e scòrse.
Ma, poi che me fuggito aver le sue
Mortali insidie il traditor s'accòrse,
Acceso di furor contra ambidue,
Le sue colpe medesme in noi ritorse;
Ed ambo fece rei di quell'eccesso
Che commettere in me vols'egli stesso.
57
Disse ch'Aronte i' avea con doni spinto
Fra sue bevande a mescolar veneno.
Per non aver, poi ch'egli fosse estinto,
Chi legge mi prescriva o tenga a freno;
E eh' io, seguendo un mio lascivo instinto,
Volea raccòrrai a mille amanti in seno.
Ahi, che fiamma del cielo anzi in me sceu-
[da,
Santa onestà, ch'io le tue leggi offenda!
58
Ch'avara fame d'oro e sete insieme
Delmio sangue innocenteil crudo avesse,
Grave m' è si ; ma via più il cor mi preme
Clie'l miocandido onor macchiar volesse.
L'empio, ch'i popolari impeti teme,
Cosi le sue menzogne adorna e tesse,
Che la città, del ver dubbia e sospesa,
Sollevata non s'arma a mia difesa.
59 [fronte
Né, per ch'or sieda nel mio seggio, e in
in loniosspectabat navita fluctus: Solus ab
Hesperia non flexit lumina terra Magnus ».
— 7-8. Fu osservato che il Poeta dimentica
di aver detto chela notte era oltra l'nsato
oscura. Ma si dovrà intendere che la donna
teneva gli occhi fissi dalla parte ove era la
patria.
65, ]-2. Petrarca, Trionf. Am. iv 166:
« Ohe '1 pie va innanzi, e l'occhio torna
indietro ».
66, 2. scòrse: guidò. — 8. In me: con-
tro me.
67, 7-8. Virg., Aen. iv 2-1: « Sed mihi vel
tellus optera prius ima dehiscat, Vel pater
orauipotena adigat me fulmine ad umbras,
Pallentes umbras Èrebi noctemque profun-
dam, Ante, Pudor, quain te violo, aut tua
jura rosolvo ».
4 — Tasso, Qerumlemnic liberata.
50
GERUSALEMME LIBERATA
Giàgli risplenda la regal corona,
Pone alcun fine a iniiei gran danni, a Tonte;
Si la sua feritale oltra lo sprona.
Arder minaccia entro '1 castello Aronte,
Se di proprio voler non s' imprigiona;
Ed a me. lassai e insieme a i miei consorti
Guerra annunzia non pur. ma strazii e
60 [morti.
Ciò dice egli di far, perché dal vólto
Cosi lavarsi la vergogna crede,
E ritornar nel grado, ond'io Tho tolto,
L'onor del sangue e de la regia sede :
Ma il timor n"è cagion, che non ritolto
Gli sia lo scettro ond'io son vera erede;
Che, sol s'io caggio, por fermo sostegno
Con le ruine mie puote al suo regno.
E ben quel fine avrà Tempio desire
Che già il tiranno ha stabilito in mente;
E saran nel mio sangue estinte Tire
Che dal mio lagrimar non fìano spente,
Se tu no '1 vieti. A te rifuggo o sire,
10 misera fanciulla, orba, innocente:
E questo pianto ond' ho i tuoi piedi aspersi.
Vagliami si.che'l sangueio poi non versi,
6-2
Per questi piedi, onde i superbie gli erapi
Calchi; per questa man che '1 dritto aita,
Per l'alte tue vittorie, e per que' temp'
Sacri, cui desti e cui dar cerchi aita;
11 mio desir, tu che puoi solo, adempi
E in un col regno a me serbi la vita
La tua pietà: ma pietà nulla giove,
S'anco te il dritto e la ragion non mcve,
63
Tu, cui concesse il Cielo e dièlti ìl fato
Voler il giusto e poter ciò che vuoi,
A me salvar la vita, a te lo stato
(Che tuofìa s'io'l ricovro) acquistarpuoi.
Fra numero si grande a me sia dato
Diece coudur de' tuoi più forti eroi:
Ch'avendo i padri amici e "1 popol fido,
Bastan questi a riporrai entro '1 raio nido.
64
Anzi un de' primi, a la cui fé commessa
È la custodia di secreta porta,
Promette aprirla, e ne la reggia stessa
Pòrci di notte tempo; e sol m'esorta
Ch'io da te cerchi alcuna aita; e in essa,
Per picciola che sia, si riconforta
Più che s'altronde avesse un grande stuo-
Tanto l'insegne estiraa e'I nome solo, [lo:
65
^iò detto, tace, e la risposta attende
Con atto che 'n silenzio ha voce e preghi.
Goffredo il dubbio cor volve e sospende
Fra pensier vari, e non sa dove il pieghi.
Terae i barbari inganni, e ben comprende
Che non è fede in uora ch'a Dio la neghi.
Ma d'altra parte in lui pietoso affetto
Si desta, che non dorme in nobil petto.
66
Né pur l'usata sua pietà natia
Vuol che costei de la sua grazia degni;
Ma il move util ancor; ch'util gli fia
Che ne l'imperio di Damasco regni
Chi da lui dipendendo apra la via
Ed agevoli il córso a i suoi disegni,
E genti ed arme gli ministri ed oro
Centra gli Egizii e chi sarà con lorO.
67
Mentre ei cosi dubbioso a terra vòlto
Lo sguardo tiene, e'I pensier volve e gira;
La donna in lui s'affissa, e dal suo vólto
Intenta pende, e gli atti osserva e mira;
E per che tarda, oltra il suo creder, molto
La risposta, ne terae e ne sospira.
Quegli la chiesta grazia al fin negolle,
Ma die risposta assai cortese e molle:
60, 1. dal volto ecc. Petrarca, canz. i' ro
pensando 86: « Signor mio, che non togli.
Ornai dui volto mio questa vergogna? >•. —
3. ritornar: ricondurre, come tornare per
condurre: Ariosto, Ori. xxxii '2i): « 0 tor-
nami nel grado onde m'hai tolto ».
61, 5. A te rifuggo: Qui con;incia la con-
clusione dell'orazione. — 6. orba; privata
[dei genitori].
62, 2. dritto: ragione che uno ha sopra
qualche cosa o contro di alcuno. — 7. ma
pietà ecc. Intendi : ma nulla mi giovi la tua
pietà, se non debbano spingerti ad aiutarmi
anche il diritto e la ragione.
63, 4. ricorro, ricupero. — 7. padri: i pa-
trizi. — 8. nido: patria; cfr. e. i 22 1.
64, 1. primi : riferiscilo a padri. — 7.
altronde: da altra parte o da altra persona.
Cfr. 53, 3.
65,2. Con atto ecc. Derivato dal Petrarca,
son. In nobil sangue il: « EJ un atto che
parla con silenzio». — 6. fede: questa pa-
rola é qui adoperata con doppio senso :
lealtà e credenza religiosa. Non bene, a
mio credere. Cfr. e. i 31, 5-6, nota. — 7.
pietoso affetto: affetto che spinge a soccor-
rere i miseri.
66, 1. pur: solamente: frequente in que-
sto senso negli antichi.
67, 1. Mentre ei ecc.: A un dipresso come
Latino, udita la parlatt^di Ilioneo, in Virg.
Aen. VII 249: « Talibus Ilionei dictis defixa
Latinus Obtutu tfenet ora, soloque immo-
bilis haeret ». — 3. e dal sno rólto Intenta
pende : sta attenta ai movimenti di Goffredo:
cfr. ancora e. i 10, 7. — 8. molle: mite e
con modi piacevoli.
CANTO IV
61
68
S'in servigio di Dio, cli'a ciò n'elesse,
Non s'impiegasse!" qui le nostre spade,
Ben tua speme fondar potresti in esse
E soccorso trovar, non che pleiade;
Ma se queste sue greggie, e queste opprcs-
Mura non torniam prima in libertade, [se
Giusto non è, con iscemar le genti,
Che di nostra vittoria il corso alienti.
09
Ben ti prometto (e tu per nobil pegno
Mia fé ne prendi, e vivi in lei secura)
Che, se mai sottrarremo al giogo indegno
Queste sacre e dal Ciel dilette mura,
Di ritornarti al tuo perduto regno.
Come pietà n'esorta, avrem poi cura.
Or mi farebbe la pietà men pio,
S'auzi il suo dritto io non rendessi a Dio.
70
A quel parlar chinò la donna, e fisse
Le luci a terra, e stette immota alquanto;
Poi soUevolle rugiadose, e disse,
Accompagnando i flebil atti al pianto:
Misera! ed a qual altra il Ciel prescrisse
Vita mai grave ed immutabil tanto.
Che si cangia in altrui mente e natura
Pria che si cangi in me sorte si dura?
71
Nulla speme più resta; in van mi doglio:
Non han più forza in uman petto i preghi.
Forse lece sperar che '1 mio cordoglio
Che te non mosse, il reo tiranno pieghi?
Né già te d'inclemenza accusar voglio
Perché '1 picciol soccorso a me si neghi ;
MailCieloaccuso, ondeilmio mal discen-
Che 'n te pietate inesorabil rende. [de
72
Non tu, signor, né tna bontade è tale.
Ma '1 mio destino è che mi nega aita.
68, 5. greggio: metaforic. i fedeli. — 6.
torniam: e nella st. seg. ritornarti: cfr.
sopra, st. 60, 3.
69, 7-8. Qui pure pietà e pio hanno senso
diverso, e dritto serve a due sensi, donde
nasce il gioco di parole. L'amore per gli
uomini {pietà) mi distorrebbe dall'amore
divino {mi farebbe tnen pio), se io prima
(anzi) di rendere il tributo {dritto) che a
Dio si spetta, rendessi a te ciò su cui hai
diritto. — rendessi : nella Conquist. v 69, 8,
cambiato in solvessi.
70, 7. Che si cangia ecc. Armida attri-
buisce a sua sventura, che, proprio trattan-
dosi di lei, Goffredo (altrui) cangi in con-
trario il solito animo e la solita indole ge-
nerosa.
72, 1. Non tu ecc.: nella st. 70 Armida
ha già detto che Goffredo aveva abbando-
uato, trattandosi di lei, la sua solita bontà.
Crudo destino, empio destin fatale,
Uccidi omai questa odiosa vita.
L'avermi priva, oimè!, fu picciol male,
De' dolci padri in loro età fiorita.
Se non mi vedi ancor del regno priva,
Qual vittima al coltello andar cattiva.
73
Che, poi che leggo u onestate e zelo
Non vuol che qui si lungamente indugi,
A cui ricovro in tanto? ove mi celo?
0 quai centra il tiranno avrò rifugi?
Nessun loco si chiuso è sotto il cielo [gi?
Ch'a l'or non s'apra: or perché tanti indù-
Veggio la morte, e se '1 fuggirla è vano
In contro a lei n'andrò con questa mano.
74
Qui tacque; e parve ch'un regale sdegno
E generoso l'accendesse in vista:
E 'I pie volgendo, di partir fea segno.
Tutta ne gli atti dispettosa e trista.
Il pianto si spargea senza ritegno,
Com'ira suol produrlo a dolor mista;
E le nascenti lacrime a vederle
Erano a i rai del sol cristallo e perle.
75
Le guancie asperse di que' vivi umori
Che giù cadeau sin de la veste al lembo,
Parean vermigli insieme e bianchi fiori,
Se pur gli irriga un rugiadoso nembo,
Quaudo su l'apparir de' primi albori
Spiegano a l'aure liete il chiuso grembo;
E l'alba, che li mira e se n'appaga,
D'adornarsene il crin diventa vaga.
76
Ma il chiaro umor, che di si spesse stille
— 3. fatale: se qui non istesse nel senso di
funesto, più che ridondante, sarebbe addi-
rittura fuor d'ogni ragione: destino voluto
dal destino!?; cfr. e. ii 41, 7. — 6. padri:
genitori. — fiorita: giovanile. Petrarca,
son. Tornami a 'diente 3: « Com'io la vidi
(Laura) in sull'età fiorita». — 8. cattiva:
prigioniera: latinismo della lingua poetica.
73, 3. A cui ecc. Virg., Aen. ii 69: « Heu!
quae uuuc tellus, inquit, quae me aequora
possunt Accipere ? Aut quid iam misero
mihi denique restat?». — ricorro : cosi an-
cora legge GONQ., ma Os. ricorro. — 5. si
chiuso: Cosi Conq. e Os.r invece, e può es-'
sere err., rinchiuso le 3 st. Bon. — 6. a
l'or: ho seguito la Conq. e Os. ; le 3 st. Bon.
leggono: a lor.
74, 7-8. Per le imagini di questi versi e
dell'ottava seguente, cfr. Petrarca, dove del
viso di Laura piangente dice (son. Quel
sempre acerb. 13): «Perle e rose vermi-
glie, ove l'accolto Dolor formava ardenti
voci e belle, Fiamma i sospir, le lagrima»
cristallo »
62
GERUSALEMME LIBERATA
Le belle gote e '1 seno adorno rende,
Opra effetto di foco, il qual in mille
Petti serpe celato, e vi s'apprende.
0 miracol d'Amor, che le faville [cende!
Tragge dal pianto, e i cor ne l'acqua ac-
Sempre sovra natura egli ha possanza,
Ma in virtù di costei sé stesso avanza,
77
Questo fìnto dolor da molti elice
Lacrime vere, e i cor più duri spetra.
Ciascun con lei s'atfligge. e tra sé dice:
Se mercé da Goffredo or non impetra,
Ben fu rabbiosa tigre a lui nutrice,
E '1 produsse in aspr'alpe orrida pietra.
0 l'onda, che nel mar si frange e spuma:
Cradel, che tal beltà turba e consuma.
78
Ma il giovenetto Eustazio, in cui la face
Di pietade e d'amore è più fervente.
Mentre bisbiglia ciascun altro o tace.
Si tragge avanti, e parla audacemente:
0 germano e signor, troppo tenace
Del suo primo i)ropo.sto è la tua mente,
S'al consenso coraun, che brama e prega,
Arrendevole alquanto or non si piega.
79
Non dico io già che i principi, che a cura
Si stanno qui de' popoli soggetti.
Torcano il pie da l'oppugnate mura,
E siau gli ufticii lor da lor negletti;
Ma fra noi, che guerrier slam di ventura,
Senz'alcun proprio peso, e meno astretti
A le leggi de gli altri, elegger diece
Difensori del giusto a te ben lece;
80
Ch'ai servigio di Dio già non sì toglie
L'uom ch'innocente vergine difende;
Ed assai care al Ciel son quelle spoglie
Che d'ucciso tiranno altri gli appende.
Quando dunque a l'impresa or non m'invo-
Quell'util certo che da lei s attende, [glie
Mi ci move il dover, ch'a dar tenuto
E l'ordin nostro a le donzelle aiuto.
76, 5-6. Solite antitesi concettose. — 7-8.
Sempre ecc.: Intendi: Amore (e^li) sempre
ha impèro sulla natura, ma in virtù di Ar-
mida {di costei) egli supera questa volta il
suo solito potere.
77, 1. elice: lat. elicit, cava, trae. — 2.
spetra: rammollisce: cfr. e. ii 83, 8. — 5 e
segg. Virg., Aen. iv 366: « duris genuit te
cautibus horrens Caucasus hyrcanaeque ad-
raorunt ubera tigres». —8. consuma : più
tosto che nel senso di distruggere (come
pure può intendersi), spiegherei consuma-
re nel senso di tormentare.
80, 6. otil: la presa di Damasco, ove poi
segga persona amica. — 8. l'ordin nostro:
81
Ah! non sia ver, per Dio, che si ridica
In Francia, o dove in pregio è cortesia,
Che si fngga da noi rischio o fatica
Per cagion cosi giusta e cosi pia.
Io per me qui depongo elmo e lorica,
Qui mi scingo la spada, e più non fia
Ch'adopri indegnamente arme o destriero,
0 '1 nome usurpi mai di cavaliere.
82
Cosi favella; e seco in chiaro suono
Tutto l'ordine suo concorde freme,
E chiamando il consiglio utile e bnono
Co' preghi il Capitan circonda e preme.
Cedo (egli disse allora^ e vinto sono
Al concorso di tanti uniti insieme:
Abbia, se parvi, il chiesto don costei,
Da i vostri si, non da i consigli miei.
83
ila se Goffredo di credenza alquanto
Pur trova in voi, temprate i vostri affetti.
Tanto ei sol disse; e basta lor ben tanto.
Perché ciascun quel che concede accetti.
Or che non può di bella donna il pianto.
Ed in lingua amorosa i dolci detti?
Esce da vaghe labra aurea catena
Che l'alme a suo voler prende ed affrena.
84
Eustazio lei richiama, e dice: Ornai
Cessi, vaga donzella, il tuo dolore;
Che tal da noi soccorso in breve avrai,
Qual par che più '1 richieggia il tuo timore,
"serenò allora i nubilosi rai
Armida, e si ridente apparve fuore,
Ch'innamorò di sue bellezze il cielo
Asciugandosi gli occhi co '1 bel velo.
la cavalleria, per la quale si dovea giurare
di aiutare i deboli e le donne.
81, 2. doTe In pregio è: Cosi BoN.2 Conq.
e Os. ; solo Bon.i è in pregio.
82, 2. Virg., Aen.i 559: «Talibus Ilioneus;
cuncti simul ore fremebant Dardanidae ».
— 4. Co' preghi... circonda e preme: No-
vara: «Il Galilei invita altri a mostrargli
se questa locuzione é ciceroniana o virgi-
I liana. Ma se non Virgilio, Orazio disse:
j Ambii sollicita prece, e Cicerone ha verbo
premere ».
83, 7. Esce da vaghe ecc.: Gentile: « Al-
lude a quello che gli antichi finsero di Er-
cole, che cioè dalla sua bocca uscis^^ero
molte catene d'oro attaccate alle orecchie
dei popoli barbari, per dimostrare che l'elo-
quenza rende gli uomini da fieri mansueti
e civili ecc. ». ~ 8. affrena; ritiene col
freno; in modo figurato.
81, 7-8. Petrarca, canz. Chiare fresche
e dolc. 38: « E faccia forza al cielo, Asciu-
gandosi gli occhi col bel velo ».
CANTO IV
63
85
Rendè lor poscia, in dolci e care note,
Grazie per l'alte grazie a lei concesse,
Mostrando che sariano al mondo note [se:
Mai sempre, e sempre nel suo core impres-
E ciò che lingua esprimer ben non puote,
Muta eloquenza ne' suoi gesti espresse:
E celò si sotto mentito aspetto
Il suo peusier, ch'altrui non die sospetto.
86
Quinci vedendo che fortuna arriso
Al gran principio di sue frodi avea,
Prima che '1 suo pensier le sia preci:o,
Dispon di trarre al fin opra si rea,
E far con gli atti dolci e co '1 bel viso,
Più che con l'arti lor Circe o Medea;
E in voce di Sirena a i suoi concenti
Addormentar le pili svegliate menti.
87
Usa ogn'arte la donna, onde sia còlto
Ne la sua rete alcun novello amante:
Né con tutti, né sempre un stesso vólto
Serba, ma cangia a tempo atti e sembiante.
Or tien pudica il guardo in sé raccolto,
Or lo rivolge cupido e vagante:
La sferza in quelli, il freno adopra in que-
Come lor vede in amar lenti o presti, [sti,
88
Se scorge alcun che dal suo amor ritiri
L'alma, e i pensier per diffidenza afifrene,
Gli apre un benigno riso, e in dolci giri
Volge le luci in lui liete e serene:
E cosi i pigri e timidi desiri
Sprona, ed affida la dubbiosa spene;
Ed infiammando l'amorose voglie
Sgombra quel gel che la paura accoglie.
85, 2. Grazie ecc.: la parola grazie è poco
felicemente adoperata prima nel senso di
ringraziamento e poi di favori. — 6. Muta
eloquenza ecc.: cfr. sopra, st. 65, 2.
86, Queste arti di Armida hanno fonda-
meato storico, al dire del Tasso (Lett. 82),
perché nelle istorie si legge che « le donne
Saracino procurarono di allettare i cristiani
nel loro amore e di convertirli alla loro
fede ». — 3. preciso : lat. jjraeciòus tron-
cato ; e qui, più propriamente, interrotto:
cfr. Dante, Par. xxx '28-30. — 6. Circe o
Medea, maghe — 7. Sirena: le sirene erano
mostri mitologicv, mezzo donne e mezzo
pesci, che lusingavano col canto e traevano
a perdizione i naviganti.
87, 6. Or io rÌTOlge : Dante, Purg. xxxii
VA: " Ma perché l'occhio cupido e vagante,
A me rivolse ».
SS, 0. affida: rendo fiduciosa, come sopra
alla st. 39, 7. — S. accoglie: condensa nel-
l'animo ; paura è soggetto.
89
Ad altri poi, ch'audace il segno varca
Scòrto da cieco e temerario duce,
De' cari detti e de' begli occhi è parca,
E in lui timore e riverenza induce.
Ma fra lo sdegno, onde la fronte è carca,
Pur anco un raggio di pietà riluce;
Si ch'altri teme ben, ma non dispera;
E più s'invoglia, quanto appar più altera.
90
Stassi tal volta ella in disparte alquanto,
E '1 vólto e gli atti suoi compone e finge
Quasi dogliosa; einfin su gli occhili pianto
Tragge sovente, e poi dentro il respinge:
E con quest'arti a lagrimar in tanto
Seco mill'alme semplicette astringe;
E in foco di pietà strali d'amore
Tempra, onde péra a si fort'arme il core.
91
Poi, si come ella a quel pensier s'invole,
E novella speranza in lei si deste.
Vèr' gli amanti il pie drizza e le parole,
E di gioia la fronte adorna e veste ;
E lampeggiar fa, quasi un doppio sole,
Il chiaro sguardo e '1 bel riso celeste
Su le nebbie del duolo oscure e folte,
Ch'avea lor prima intorno al petto accolte.
92
Ma mentre dolce parla e dolce ride,
E di doppia dolcezza inebria i sensi,
Quasi dal petto lor l'alma divide.
Non prima usata a quei diletti immensi.
Ahi crudo Amor, ch'egualmente n'ancide
L'assenzio e'I mèi che tu fra noi dispensi;
E d'ogni tempo egualmente mortali
Vengon da te le medicine e i mali!
89, 2. duce: Amore, cieco ed audace. —
8. E pili s'invoglia. Il soggetto è altri del
verso precedeufe, cioè Vamatore.
90, 2. compone: Cosi CoNQ. e Os. ; credo
perciò che la lez. comparte delle 3 st. Box.
sia una svista. — 8. onde: pei quali: se pure
non ha ragione il Casini di spiegare af-
finché: onde'^er affinché è riprovato dai
custodi del ben dire.
91, 1-2. Intendi : J'oi, come persona che
sia riuscita a rimuovere i tristi pensieri, e
senta in sé destarsi nuova speranza, ecc. —
deste: verbo, desti.
92, 1. dolce parla e dolce ride: È l'ora-
ziano {Od. I xxii): «Dulce ridentem Lalagen
amabo, Dulce loquentem ». Petrarca, son.
lìi qual parte 14: «< E come dolce parla e
dolce ride». — 5. Ahi crudo ecc.: 1 lauto
(Mostellaria) : «Narnque ecastor Amor, et
melle, et felle est foecundissimus: Gustu
dat dulce, amore m ad satietntem usque
aggerit *. — ancide : uccide, forma poet. da
non usarsi oggi.
54
GERUSALEMME LIBERATA
93 [foco,
Fra si contrarie tempre, in ghiaecio e in
In riso e in pianto, e fra paura e spene,
Inforsa ogni suo stato; e di lor gioco
L'ingannatrice donna a prender viene;
E s'alcun mai con suon tremante e fioco
Osa, parlando, d'accennar sue pene.
Finge, quasi in amor rozza e inesperta,
Non veder l'alma ne' suoi detti aperta.
94
0 pur le luci vergognose e chine
Tenendo, d'onestà s'orna e colora;
Si che viene a celar le fresche brine
Sotto le rose onde il bel viso infiora;
Qual ne l'ore più fresche e mattutine
Del primo nascer suo veggiam l'aurora:
E '1 rossor de lo sdegno insieme n'esce
Con la vergogna, e si confonde e mesce.
95
Ma se prima ne gli atti ella s'accorge
93, 3. Inforsa: fa dubbioso. Petrarca, son.
Quest'uni il fera, 3: « In riso e 'n pianto fra
paura e spene Mi rota si ch'ogni mio stato
inforsa ».
M, 7-8. Il rossore dunque è in lei dato
dallo sdegno vero e dalla vergogna finta.
D'nom che tenti scoprir l'accese voglie,
Or gli s'invola e fugge, ed or gli porge
Modo onde parli, e in un tempo il ritoglie:
Cosi il di tutto in vano error lo scorge;
Stanco e deluso, poi di speme il toglie.
Ei si riman qual cacciator ch'a sera
Perda al fin l'orma di seguita fera.
96
Queste fur l'arti onde mill'alme e mille
Prender furtivamente ella poteo ;
Anzi pur furon Tarme onde rapille,
Ed a forza d'Amor serve le feo.
Qual meraviglia or fia, s'il fero Achille
D'Amor fu preda, ed Ercole e Teseo,
S'ancor chi per Giesù la spada cinge,
L'empio ne' lacci suoi talora stringe?
95, 5. Cosi tutto il di lo guida, lo avvolge,
in un vano errore.
96, 5. Achille: s'innamorò di Briseide,
sua schiava, che gli fu tolta da Agamen-
none. — 6. Ercole : mori per amore di Deia-
nira. — Teseo: s'invaghì di Arianna figlia
di Minos re di Creta, poi l'abbandonò nel-
l'isola di Nasso. — 7. Petrarca, son. Il suc-
cessor 14: «E |>er Gesù cingete ornai la
i spada • — 8. empio: Amore.
CANTO V.
Go-iffcdo tenta opporsi
dirarti d'Armida il^ Con-
tenzione fra Rinaldo e
Gernando ^ Ucciso Ger-
nando, Rinaldo, abban-
donando il campo per
consiglio di Tancredi e
di Guelfo, rende vana Tira
di Goffredo ^ I cam-
pioni d'Armida estratti
a sorte ^ Partenza d'Ar-
mida e de' suoi cavalieri
■y^ Annunzio cìie arriva
l'armata d'Egitto • E-
sortazioni di Goffredo.
Mentre in tal guisa i cavalieri alletta
Ne ramor suo l' insidiosa Armida,
Né solo i diece a lei promessi aspetta,
Ma di furto menarne altri confida;
Volge tra sé Goffredo a cui commetta
Ladu'bbiaìmpresa,ov'ella esser dèe guida;
Cile de gli avventiirier la copia e '1 merto
E '1 desir di ciascuno il fanno incerto.
2
Ma con provido avviso al fin dispone
Ch'essi un di loro scelgano a sua voglia,
Che succeda al magnanimo Dudone
E quella elezion sovra sé toglia.
Cosi non avverrà ch'ei dia cagione
Ad alcun d'essi che di lui si doglia;
E insieme mostrerà d'aver nel pregio,
In cui deve a ragion, io stuolo egregio.
3
A sé dunque li chiama, e lor favella;
deve : sottint. avere,
Stata è da voi la mia sentenza udita,
Ch'era, non di negare a la donzella,
Ma di darle, in stagion matura, aita.
Di uovo or la propongo: e ben puote ella
Esser dal parer vostro anco seguita,
Che nel mondo mutabile e leggiero
Costanza è spesso il variar pensiero.
4
Ma, se stimate ancor che mal convegna
Al vostro grado il rifintar periglio;
E se pur generoso ardire sdegna
Quel che troppo gli par cauto consiglio;
Non fia ch'involoutarii io vi ritegna;
3, 4. matura: acconcia; adopera la pa
rola -matura perché il tempo opportuno
all'impresa d'Armida doveva venir dopo la
presa di Gerusalemme. — 7-8. Cicerone, ad
Attic. * Nemo enim doctus mutationera
consilii inconstantiam dixerit».
4, 5. Conquist. V 4: e Non avverrà ch'a
forza io vi ritegua » * il qual luogo dà ra-
56
GERUSALEMME LIBERATA
Né quel che già vi diedi, or mi ripiglio:
Ma sia con esso voi, com'esser deve,
Il fren del nostro imperio lento e lieve.
5
Dunqnelo starne o '1 girne i' son contento
Che dal vostro piacer libero penda.
Ben vo' che pria facciate al duce spento
Successor novo e di voi cura ei prenda;
E tra voi scelga i diece a suo talento,
Non già di diece il numero trascenda.
Ch'in questo il sommoimperio ame riser-
Non fia l'arbitrio suo per altro servo, [vo :
6
Cosi disse Goffredo; e '1 suo germano,
Consentendo ciascun, risposta diede:
Si come a te conviensi, o Capitano,
Questa lenta virtù che lunge vede,
Cosi il vigor del core e de la mano,
Quasi debito a noi, da noi si chiede.
E saria la matura tarditate,
Che in altri è previdenza, in noi viltate.
7
E poi che '1 rischio è di si lieve danno
Posto iu lance co '1 prò che '1 contrapesa,
Te permettente, i diece eletti andranno
Con la donzella a l'onorata impresa.
Cosi conclude; e con si adorno inganno
Cerca di ricoprir la mente accesa
Sotto altro zelo: e gli altri anco d'onore
Fingou desio quel eh' è desio d'amore.
8
Ma il più giovin Buglione, il qual rimira
Con geloso occhio il figlio di Sofia,
glene del fla invece del sia ritenuto a torto
da alcuni, e anche dal Solerti. — 8. lento:
allentato: contrario di stretto: nel e. ii str.
40,2: «Strinse e lento d'un corridore il
morso ».
B, 1. Io starne ecc.: Boccaccio, Decam.
nov. 92: «da quest'ora innanzi sia e l'an-
dare e lo stare nel piacer vostro ». — o '1;
CoKQ. e Os. e 7. — 3. duce: Dudone. — 4.
Successor: Il Galilei avverte che, sebbene
Goffredo dia qui l'ordine di eleggere un
successore, non se ne sa poi più altro; il
poeta se ne dimentica. — 8. per altro: in
altra cosa che non sia il numero fissato.
C, 1. germano: Eustazio. — 4. lenta: che
procede adagio: la lenta virtù di questo
vers. è la matura tarditate del vers. 7; e
fa da soggetto a conviensi. — 5-6. Intendi
(se pur colgo nel segno): Cosi il mondo ri-
chiede da noi vigore di cuore e di mano,
quasi che questo vigore debba di necessità
trovarsi in noi; sia, il possederlo, un ob-
bligo che abbiamo verso di noi [debito a
noi).
7, 2. lance: è detto per bilancia. — co '1
prò: con l'utile.
8, 2. figlio di Sofia: Rinaldo: cfr. e. i 59, 2.
La cui virtute invidiando ammira,
Che 'n si bel corpo più cara venia, [ra
No'l vorrebbe compagno, e al cor gli inspi-
Cauti pensi er l'astuta gelosia;
Onde, tratto il rivale a sé in disparte,
Ragiona a lui con lusinghevol arte:
9
O di gran genitor maggior figliuolo.
Che '1 sommo pregio in arme hai giove-
Or chi sarà del valoroso stuolo, [netto,
Di cui parte noi siamo, iu duce eletto?
Io, ch'a Dndon famoso, a pena, e solo
Per l'onor de l'età, vivea soggetto;
Io, fratel di Goffredo, a chi più deggio
Cedere ornai? Se tu non sei, no '1 veggio.
10
Te, la cui nobiltà tutt'altre agguaglia,
Gloria e merito d'opre a me prepone;
Né sdegnerebbe in pregio di battaglia [ne:
Minor chiamarsi anco il maggior Biiglio-
Te dunque in duce bramo, ove non caglia
A te di questa schiera esser campione:
Né già cred'io che quell'onor tu curi
Che da' fatti verrà notturni e scuri.
U
Né mancherà qui loco ove s'impieghi
Con più lucida fama il tuo valore:
Or io procurerò, se tu no '1 ne.'hi,
Ch'ate concedan gli altri il sommo onore.
Ma perché non so ben dove si pieghi
L'irresoluto mio dubbioso core,
Impetro or io da te, ch'a voglia mia
0 segua poscia Armida, o teco stia.
12 [centi
Qui tacque Eustazio; e questi estremi ac-
Non proferi senza arrossarsi in viso,
E i mal celati suoi pensier ardenti
L'altro ben vide, e mosse ad un sorriso:
Ma per ch'a lui colpi d'amor più lenti
Non hanno il petto oltra la scorza inciso^
Né molto impaziente è di rivale,
Né la donzella di seguir gli cale;
~ 4. Virg., Aen. v 344 : « Gratior et pulchro
veiiiens in corpore virtus ». — 8. lusin-
gherol: carezzevole, ma con inganno.
10, 4. maggior Buglione: Goffredo. — 6.
schiera; che doveva seguitare Armida: Os.
legge Sira (Armida sira di Damasco). — 8.
nott.: Riprende con arte la parlata di Ar-
mida, per la quale la reggia di Damasco
sarebbe stata consegnata ai cristiani di notte
e ])er tradimento: fatti perciò scuri, di poca
gloria ; cfr. e. iv 61.
12, 8. cale: importa. Le stampe moderne
pongono dopo cale un punto e virgola, in
modo che il senso abbia suo compimento
solo nella st. seg.; ma le stampe antiche e
la CONQ. pongono un punto fermo: credo
di dover seguire le moderne.
CANTO V
67
13
Ben altamente ha nel pensier tenace
L'acerba morte di Dudou scolpita;
E si reca a dìsnor, ch'Argante audace
Gli soprastia lunga station in vita:
E parte di sentire anco gli piace
Quel parlar ch'ai dovuto ouor l'invita:
E '1 giovenetto cor s'appaga e gode
Del dolce snon de la verace lode.
14
Onde cosi rispose: I gradi primi
Più meritar che conseguir desio;
Né, pur che me la mia virtù sublimi,
Di scettri altezza invidiar degg'io:
Ma s'a l'onor mi chiami, e che lo stimi
Debito a me, non ci verrò restio:
E caro esser mi dee che sia dimostro
Si bel segno da voi del valor nostro.
15 [quando
Dunque io no '1 chiedo e no '1 rifiuto; e
Duce io pur sia, sarai tu de gli eletti.
Allora il lascia Eustazio, e va piegando
De' suoi compagni al suo voler gli affetti;
Ma chiede a prova il principe Geruando,
Quel grado; e, ben ch'Armida in lui saetti,
Men può nel cor superbo amor di donna
Ch'avidità d'onor che se n'indonna.
16
Sceso Gernando è da' gran re norvegi.
Che di molte Provincie ebber l'impero;
E le tante corone e i scettri regi
E del padre e de gli avi il fanno altero.
Altero è l'altro de' suoi propri pregi
Più che de l'opre ch'i passati fero;
Ancor che gli avi suoi cento e più lustri
Statisian chiari inpace, e'nguerraillustri.
17
Ma il barbaro signor, che sol misura
Quanto l'oro o '1 domino oltre si stenda,
E per sé stima ogni virtute oscura,
Cui titolo regal chiara non renda,
Non può soffrir che 'n ciò, ch'egli procura,
Seco di merto il cavalier contenda;
E se ne cruccia si, ch'oltra ogni segno
Di ragione il trasporta ira e disdegno.
14, 6. Debito: dovuto: Petrarca, Tr.Mort.
I 139: < Debito al mondo e debito allie-
tate Cacciar me innauzi ». — 7. che sia
dimostro; cosi pure Conq. ; ma Os. che ini
sia mostro. — 8. roi; Conq. te. — del valor
nostro: cosi Bon.2 Conq. e Os.; ma Bon.*-^
voler vostro.
IB, 6. indonna: insignorisce, come in
Dante, Par. vii 13: «Ma quella reverenza
che s'indonna Di tutto me ».
10. Questa contenzione è figlia delle arti
infernali (cfr. e. iv 24, in nota). — 1. Sceso
ecc. : cfr. e. ni 40, 1-4.
17, 5. procura: cerca, studia di ottenere.
18
Tal che '1 maligno spirito d'Averno,
Ch'in lui strada si larga aprir si vede.
Tacito in sen gli serpe, ed al governo
De' suoi pensieri lusingando siede.
E qui più sempre l'ira e l'odio interno
Inacerbisce, e '1 cor stimola e fiede;
E fa che 'n mezzo a l'alma ognor risuona
Una voce, ch'a lui cosi ragiona:
19
Teco giostra Rinaldo: or tanto vale
Quel suo numero van d'antichi eroi?
Narri costui, ch'a te vuol farsi eguale,
Le genti serve, e i tributarli suoi:
Mostri gli scettri; e in dignità regale
Paragoni i suoi morti a i vivi tuoi.
Ah quanto osa un signor d'indegno stato,
Signor che ne la serva Italia è nato.
20
Vinca egli o perda ornai, che vincitore
Fu in sino allor ch'emulo tuo divenne,
Che diràil mondo? (e ciò fia sommo onore):
Questi già con Geruando in gara venne.
Poteva a te recar gloria e splendore
Il nobil grado che Dudon pria tenne;
Ma già non meno esso da te n'attese;
Costui scemò suo pregio allor che '1 chiese.
21
E se, poi ch'altri più non parla o spira,
De' nostri affari alcuna cosa sente.
Come credi che 'n Ciel di nobil ira
Il buon vecchio Dudon si mostri ardente,
18, 1. maligno spirito d'Àverno : fa qui
l'ufficio che la Discordia nell'Ori. dell'Ario-
sto. — 7-8. risuona... ragiona; Os risuoni...
ragioni.
19, 1. giostra: figurat. contende. Intendi:
Quel numero di antichi eroi che Rinaldo
vanta, numero vano perché non gli ha con-
quistato regni o imperi, è adunque di tanto
peso da poterlo spingere ad agguagliarsi a
te?: senso che è giustificato da quanto si
dice nei versi seguenti.
20, 1-2. che vincitore Fn inflno allor; Os.
fu vincitore Sin da quel di. * Io ho resti-
tuito la punteggiatura delle B., tenuta an-
che dal Solerti, ma che il Ferravi aveva
cambiato, per cavarne un senso, che egli
intendeva, ma che non resulta dalla lezione
di B. — Intendi: vinca egli o perda (poiché
in ogni modo fu vincitore fin da quel punto
che divenne tuo emulo) il mondo dovrà
dire, con sommo onore per lui : Questi ecc.
— 7-S. Intendi: se il grado, che ebbe Du-
done, avrebbe illustrato te, tu non meno
avresti nobilitato quello; Rinaldo invece,
soltanto chiedendolo, lo avvili.
21, 1. Intendi: E se chi è morto ha tut-
tavia interesse alle nostre cose (o, ha no-
58
GERUSALEMME LIBERATA
Mentre in questo superbo i lumi gira,
Ed al suo temerario ardir pon mente,
Che seco ancor, l'età sprezzando e 'Imerto,
Fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?
E Tosa pure, e U tenta, e ne riporta
In vece di castigo onor e laude;
E v'è chi ne '1 consiglia, e ne l'esorta,
(0 vergogna comuuel) e chi gli applaude.
Ma se Goffredo il vede, e gli comporta
Che di ciò, ch'a te dessi, egli ti fraude,
No '1 soffrir tu: né già soffrir lo dei,
Ma ciò che puoi dimostra, e ciò che sei.
23
Al suon di queste voci arde lo sdegno
E cresce in lui quasi commossa face;
Né capendo nel cor gonfiato e pregno,
Per glioccbi n'esceeper lalingna audace
Ciò che di riprensibile e d'indegno
Crede in Rinaldo, a suo disnor non tace:
Superbo e vano il finge, e '1 suo valore
Chiama temerità pazza e furore.
24
E quanto di magnanimo e d'altero
E d'eccelso e d'illustre in lui risplende,
Tutto, adombrando con mal arte il vero,
Pur come vizio sia, biasma e riprende;
E ne ragiona si che '1 cavaliero,
Emulo suo, publico il suon n'intende,
Non però sfoga l'ira, o si raffrena
Quel cieco impeto in lui ch'a morte il mena;
25
Ché'l reo demòn, che la sua lingua move
Di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
Fa che gl'ingiusti oltraggi ognor rinnove,
Esca aggiungendo a rinfiammato petto.
Loco è nel campo assai capace, dove
S'aduna sempre un bel drappello eletto:
E quivi insieme in torneameuti e in lotte
Rendon le membra vigorose e dotte
26
Or quivi, allor che v'è turba più folta,
Pur, com'è suo destin, Rinaldo accusa,
E quasi acuto strale in lui rivolta
La lingua, del venen d'Averno infusa:
E vicino è Rinaldo, e i detti ascolta,
Né puote l'ira omai tener più chiusa,
tizia delle nostre cose). — 5. questo superbo:
Rinaldo. — 6. pon mente ; osserva : Petrarca,
canz. 0 aspettata in del 81 : •• Pon' mente
al temerario ardir di Serse >.
23, 3. Né capendo ecc. Petrarca, son. Fu
forse un terap. 13: «il duol nell'alma ac-
colto, Per la lingua e per gli occhi sfogo e
verso». — 6. disnor: disonore. Poet. — 7.
finge : rappresenta.
25, 4. a l'infiammato petto, di Rinaldo.
26, 3. rivolta: 3* pers. indie, pres. da W-
voltare.
Ma grida: Menti; eaddossoaluisìapingei
E nudo ne la destra il ferro stringe.
27
Parve un tuono la voce, e '1 ferro un lampo]
Che di folgor cadente annunzio appòrte.l
Tremò colui, né vide fuga o scampo
Da la presente irreparabil morte:
Pur, tutto essendo testimonio il campo,
Fa sembianti d'intrepido e di forte:
E '1 gran nemico attende, e '1 ferro tratto,;
Fermo si reca di difesa in atto.
28
Quasi in quel punto mille spade ardenti
Furon vedute fiammeggiar insieme; •
Che varia turba di mal caute genti
D'ogn' intorno v'accórre e s'urta e preme.
D'incerte voci e di confusi accenU
L'n suon per l'aria si raggira e freme,
Qual s'ode in riva al mare, ove confonda
11 vento i suoi co' mormorii de l'onda.
29
Ma per le voci altrui già non s'allenta
Ne l'offeso guerrier l'impeto e l'ira:
Sprezza i gridi e i ripari e ciò che tenta
Chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
E fra gli uomini e l'armi oltre s'avventa,
E la fulminea spada in cerchio gira;
Si che le vie si sgombra, e solo, ad onta
Di mille difensor, Gernando affronta.
30
E con la man, ne l'ira anco maestra,
Mille colpi vèr' lui drizza e comparte:
Or al petto, or al capo, or a la destra
Tenta ferirlo, or a la manca parte;
E impetuosa e rapida la destra [te;
È in guisa tal, che gli occhi inganna el'ar-
Tal ch'improvisa e inaspettata giunge
Ove manco si teme, e fere e punge.
31
Né cessò mai, fin che nel seno immersa
27, 8. si reca di difesa in atto: Recarsi
in atto di difesa, è come recarsi in guardia,
cioè accomodarsi in positura di star coperto
sulla difesa. Nella Conquist. e vi 40: «^
'1 gran nemico attese, e 'I ferro tratto, Si
dimostrò gran difensore in atto ».
28, 6. si raggira: Varia, al bisogno, il
paragone che ha già luogo al e. iii str.
imitando Dante {Inf. in 22). — 7. ore: là
ove; ma si potrebbe intendere se, quando.
29, 6. Virg. Aen. ix 44 1 : « ac rotat ensem
Fulmineum ». x
30, 1 . ne l' ira anco maestra: T ira non ne
scemava la maestria. — 2. Mille colpi: in-
dica la furia e Tira di Rinaldo, poiché a
lui, tanto superiore a tutti di forza, bastava
poco per finirlo. Dante, di Ercole a Caco
(Inf, XXV 2òj: «Glie ne die cento e non
senti le diece ».
CANTO V
59
Gli ebbe una volta e due la fera spada.
Cade il meschin su la ferita, e versa
Gli spirti e Talma fuor per doppia strada.
L'arme ripone ancor di sangue aspersa
Il vincitor, né sovra lui più bada;
Ma si rivolge altrove, e insieme spoglia
L'animo crudo e l'adirata voglia.
32
Tratto al tumulto il pio Goffredo in tanto,
Vede fero spettacolo improviso:
Steso Gernando, il crin di sangue e'I manto
Sordido e molle, e pien di morte il viso:
Ode i sospiri e le querele e '1 pianto
Che molti fan sovra il guerrier ucciso.
Stupido chiede: or qui, dove men lece,
Chi fu ch'ardi cotanto e tanto fece?
33
Arnaldo, un de' più cari al prence estinto.
Narra (e'I caso in narrando aggrava mol-
Che Rinaldo l'uccise, e che fu spinto [to)
Da leggiera cagion d'impeto stolto;
E che quel ferro, che per Cristo è cinto,
Ne' campioni di Cristo avea rivolto;
E sprezzato il suo impero, e quel divieto
Che fé' pur dianzi, e che non è secreto:
34
E che per legge è reo di morte, e deve,
Come l'editto impone, esser punito;
Si perché il fallo in sé medesmo è greve.
Si perché 'n loco tale egli è seguito;
Che se de l'error suo perdón riceve,
Fia ciascun altro per l'esempio ardito;
E che gli offesi poi quella vendetta
Vorranno far ch'a i giùdici s'aspetta:
3.5
Onde per tal cagion discordie e risse
Germoglieraii fra quella parte e questa.
Rammentò i merti de l'estinto, e disse
Tutto ciò eh' 0 pietate o sdegno desta.
Ma s'oppose Tancredi, e contradisse,
E la causa del reo dipinse onesta.
Goffredo ascolta, e in rigida sembianza
Porge più di timor che di speranza.
36 [gna,
Soggiunse allor Tancredi: Or ti sovve-
31, 3. Cade ecc.: Virg., Aen. ii 532: « Con-
cidit, ac multo vitam cum sanguine fudit ».
— 4. per doppia strada: per due ferite mor-
tali. — 6. bada: sta a bada, attende. — 7-8.
Ariosto, di Orlaii-^o, Ori. xLii 19, 5: «Che
dopo il fatto nulla di maligno In sé tenea,
ma tutto era clemente ».
32, 4. Sordido: bruttato, sporco. — 7. Stu-
pido: stupito.
33, 7. il suo, di Goffredo,
34, 7. E che. Rileva dal contesto e sot-
tintendi aggiunge che ecc.
36, 4. ch'o piotate o sdegno: Cosi P.0N.--3 e
Os. ; che pietate o Conq.; ma, cA'a piei.aie
e BON.i — 6. ouesta: giusta.
Sapgio signor, chi sia Rinaldo, e quale;
Qual per sé stesso onor gli si convegna,
E per la stirpe sua chiara e regaie,
E per Guelfo suo zio. Non dee chi regna
Nel castigo con tutti esser eguale:
Vario è l'istesso error ne' gradi vari;
E sol l'egualità giusta è co' pari.
37
Risponde il Capitan: Da i più sublimi
Ad ubbidire imparino i più bassi.
Mal, Tancredi, consigli; e male stimi.
Se vuoi eh' i grandi in sua licenza io lassi.
Qual fora imperio il mio, s'a vili ed imi,
Sol duce de la plebe, io comandassi?
Scettro impotente, e vergognoso impero:
Se con tal legge è dato, io più no '1 chero.
38
Ma libero fu dato e venerando,
Né vo' ch'alcun d'autorità lo scemi.
E so ben io come si deggia e quando
Ora diverse impor le pene e i premi,
Ora, tener d'egualità serbando,
Non separar da gl'infimi i supremi.
Cosi dicea; né rispondea colui.
Vinto da riverenza, a i detti sui.
39
Raimondo, imitator de la severa
Rigida antichità, lodava i detti.
Con quest'arte, dicea, chi bene impera
Si rende venerabile a i soggetti;
Che già non è la disciplina intera,
Ov'uom perdóno e non castigo aspetti.
Cade ogni regno, e ruinosa è senza
La base del timor ogni clemenza.
40
Tal ei parlava; e le parole accolse
Tancredi, e più fra lor non si ritenne;
Ma vèr' Rinaldo immantinente volse
Un suo destrier, che parve aver le penne.
Rinaldo, poi ch'ai fier nemico tolse
L'orgoglio e l'alma, al padiglion se'n ven-
Qui Tancredi trovollo, e de le cose [ne.
Dette e risposte a pien la somma espose.
37, 4. In sna licenza: in loro licenza, cosi
che ad essi sia lecito di fare ciò che agli
altri non è concesso. — 5. tìIì: Non ha qui
senso cattivo, e vale umili di grado. — 8.
chero: chiedo. Cfr. e. ii, 8, in nota.
38, 6. Non separar: non distinguere nel
giudizio.
39, 3. qnest'arte: Cosi pure Conq., ma
OS. quest'arti. — 7-8. Cicerone {De Ojfjlc):
« Keipublicae causa adhibenda est severitas
clementiae, siue qua administrari recte ci-
vitas non potest ».
40, 8. la somma: il sunto, la sostanza;
ma potrebbe anche intendersi che Tancredi
espose appieno, largamente, nell'ordine lorp
tx{,tte le cose dette e risposte.
60
GERUSALEMME LIBERATA
41 [esterna
Soggiunse poi: Ben ch'io sembianza
Del cor non stimi testimon verace,
Ché'n parte troppo cupa e troppo interna
Il pensier de' mortali occulto giace;
Pur ardisco affermar, a quel ch'io scema
Ne '1 Capitan, ch'in tutto anco no '1 tace.
Ch'egli ti voglia a l'obligo soggetto
De' rei comune, e in suo poter ristretto.
42
Sorrise allor Kinaldo; e, con un vólto
In cui tra "1 riso lampeggiò lo sdegno :
Difenda sua ragion ne' ceppi involto
Chi servo è, disse, o d'esser servo è degno.
Libero i" nacqui e vissi, e morrò sciolto
Pria che man porga o piede a laccio inde-
Usa a la spada è questa destra, ed usa [gno:
A le palme, e vii nodo ella ricusa.
4.3
Ma, s' a i meriti miei questa mercede
Goffredo rende, e vuole imprigionarme,
Purcom'io fossi un uom del vulgo, e erede
A carcere plebeo legato trarme;
Venga egli o mande, io terrò fermo il piede:
Giùdici fìan tra noi la sorte e l'arme;
Fera tragedia vuol che s'appresenti
Per lor diporto a le nemiche genti.
44
Ciò detto, l'armi chiede; e ^1 capo e '1 busto
Di finissimo acciaio adorno rende,
E fa del grande scudo il braccio onusto,
E la fatale spada al fianco appende ;
E in sembiante magnanimo ed augusto,
Come folgore suol, ne l'arme splende.
Marte, e' rassembra te, qualor dal quinto
Cielo di ferro scendi e d'orror cinto.
45
Tancredi in tanto i feri spirti e '1 core
Insuperbito d'ammollir procura.
Giovene invitto, dice, al tuo valore
So che fia piana ogni erta impresa e dura;
So che fra l'arme sempre e fra '1 terrore
La tua eccelsa virtute è più secura;
Ma non consenta Dio ch'ella si mostri
Oggi si crudelmente a' danni nostri.
46
Dimmi, che pensi far? vorrai le mani
Del civil sangue tuo dunque bruttarte?
E con le piaghe indegne de' Cristiani
Trafigger Cristo, ond'eison membra e par-
Di transitorio onor rispetti vani 'te?
Che, qual onda del mar, se 'n viene e parte,
Potranno in te più che la fede e il zelo
Di quella gloria che n' eterna in Cielo? •
Ahnon.perDio! vinci testesso, espoglia
Questa feroce tua mente superba;
CediI non fia timor, ma santa voglia;
Ch' a questo ceder tuo palma si serba:
E se pur degna, ond'altri esempio toglia,
È la mia giovanetta etate acerba,
Anch'io fui provocato, e pur non venni
Co' Fedeli in contesa, e mi contenni;
48
Ch'avend'io preso di Cilicia il regno,
E l'insegne spiegatevi di Cristo,
BaMovin sopraggiunse, e con indegno
Modo occupollo. e ne fé' vile acquisto:
Che. mostrandosi amico ad ogni segno,
Del suo avaro pensier non m'era avvisto :
Ma con l'arme però di ricovrarlo
Non tentai poscia; e forse i' potea farlo.
49
E se pur anco la prigion ricusi,
E i lacci schivi, quasi ignobil pondo,
E seguir vuoi l'opinioni e gli usi
41, 1-4. Geremia: « Pravum est cor om-
nium, et inscrutabile ». — 5-6. a quel ch'io
scerna ecc. : Mazz. e Pad. : « A quanto scorgo
nel capitano (Goffredo) che non celò ai tutto
quel pensiero ». — 7-8. Costruisci e intendi:
Che egli ti voglia soggetto al comune ob-
bligo de' rei e prigioniero.
44, 1. e '1 capo e '1 busto ecc. : Ariosto
Ori. XVII 11 : « ."Sta su la porta il Re d'Algier
lucente Di chiaro acciar che '1 capo gli orna
e '1 busto ». — 7-8. Marte, nel sistema tole-
maico, dava il nome al quinto pianeta.
Ariosto XXVI 20: « E talor si credea che
r" s-se Marte Sceso dal quinto cielo a quella
• arte»: e la stanza deriva da Omero, II.
VII (trad. Guastavini i : « Ma poi che tutte in-
torno al corpo s'ebbe vestite Tarme, — Si
nios.se poi quale va '1 grande Marte, — Che
s' intromette nella guerra degli uomini ecc. ».
46, 2, bruttarti: macchiarti. — 5. ri-
■ spetti: riguardi, ragioni. — 6. Che: relativo
i da riferirsi ad onore. — S. n'eterna: ci fa
immortali: Petrarca, canz. Poi che per mio
68: «Simile a quella che nel cielo eterna
j 47, 1. spoglia è usato transitivamente,
j come sopra alla st. 3L —2. mente: come al-
j trove, vale animo. — 5. Storico a un dipresso
j quanto Tancredi qui imprende a raccon-
; tare. Vedi in Gugl. Tir. il cap. 24 del libr.
Ini che ha per titolo: < Balduinus, Tarso
I capta, Mamistram venit. Pugnant ad invi
I cem ipse et Tancredus: sed mox reconcl
! liantur ».
48, 6, avaro: mosso da cupidigia, giè
I not. — 7. ricovrarlo: recuperarlo; come
: per citare un esempio, nel Petrarca, sor
I Quand'io veggio 5: «0 felice Titon, tu sai
! ben l'ora Da ricovrare il tuo caro tesoro »,
Lo storico sopr. cit. (iii 24; narra ancóra
come Tancredi conquista.sse la Cilicia, Is
quale poi ebbe Baldovino : cfr. ancóra il
Guel. Tir. libr. x 10.
CANTO V
61
Che per leggi d'onore approva il mondo;
Lascia qui me, ch'ai Capitan ti scusi;
E 'n Antiochia tu vanne a Bocmondo:
Che né sopporti in questo impeto primo
A' suoi giudizii assai securo stimo.
50
Ben tosto fia, se pur qui contra avremo
L'arme d'Egitto, o d'altro stuol pagano,
Ch'assai più chiaro il tuo valore estremo
N'apparirà, mentre sarai lontano;
E senza te parranne il campo scemo,
Quasi corpo cui tronco è braccio o mano.
Qui Guelfo sopragiunge, e i detti approva,
E vuol che senza indugio indi si mova.
51
A i lor consigli la sdegnosa mente
De l'audace garzon si volge e piega;
Tal ch'egli di partirsi immantinente
Fuor di quell'oste a i fidi suoi non nega.
Molta in tanto è concorsa amica gente,
E seco andarne ognun procura e prega:
Egli tutti ringrazia, e seco prende
Sol duo scudieri, e su '1 cavallo ascende.
52
Parte, e porta un desio d'eterna ed alma
Gloria, ch'a nobil core è sferza e sprone:
A magnanime imprese intenta ha l'alma;
Ed insolite cose oprar dispone:
Gir fra i nemici; ivi o cipresso o palma
Acquistar per la fede ond'è campione;
Scorrer l'Egitto, e penetrar sin dove
Fuor d'incognito fonte il Nilo move.
53
Ma Guelfo, poi che '1 giovene feroce
Affrettato al partir, preso ha congedo,
Quivi non bada, e se ne va veloce
Ove egli stima ritrovar Goffredo,
Il qual, come lui vede, alza la voce:
Guelfo, dicendo, a punto or te richiedo,
E mandato ho pur ora in varie parti
Alcun de' nostri araldi a ricercarti.
49, 7. né sopporti : neppure sottoporti.
60, 3. estremo : sommo. Cfr. ii 63, 2 e 69,
8. — 5. Si è già notato che pe '1 Tasso Gof-
fredo era il capo dell'impresa, Rinaldo la
destra esecutrice. L'allontanamento di Ri-
naldo è dannoso ai cristiani quasi quanto
, ai greci quello d'Achille.
61, Il Tasso, nel Giudiz. sovr. Rifortn.
■ dice di Riccardo (Rinaldo) opponendolo ad
I Achille: « Riccardo è immagine de la parte
[irascibile nella quale è riposta l'ambizione
ed il desio d'onore ; però molta contesa fa
colla ragione, ma non tanto che nieghi di
•prestarle obbedienza».
62, 5. 0 cipresso o palma: o morte o
: trionfo.
l 53, 3. bada: s'indugia: cfr. str. 3J 6.
54
Poi fa ritrarre ogn'altro, e in basse note
Ricomincia con lui grave sermone:
Veracemente, o Guelfo, il tuo nepote
Troppo trascorre, ov' ira il cor gli sprone ;
E male addursi, a mia credenza, or puote
Di questo fatto suo giusta cagione;
Ben caro avrò ch'ella ci rechi tale;
Ma Goffredo con tutti è duce eguale;
55
E sarà del legitìmo e del dritto
Custode in ogni caso e difensore,
Serbando sempre al giudicare invitto
Da le tiranne passioni il core.
Or, se Rinaldo a violar l'editto
E de la disciplina il sacro onore
Costretto fu, come alcun dice, a i nostri
Giudizii venga ad inchinarsi, e 'l mostri.
56
A sua retenzion libero vegna:
Questo, ch'io posso, a i merti suoi consen-
Ma s'egli sta ritroso, e se ne sdegna, [to.
(Conosco quel suo indomito ardimento)
Tu di condurlo a proveder t'ingegna
Ch'ei non isforzi uom mansueto e lento
Ad esser de le leggi e de l'impero
Vendicator, quanto è ragion, severo.
57
Cosi disse egli; e Guelfo a lui rispose:
Anima non potea d'infamia schiva
Voci sentir di scorno ingiuriose,
E non farne repulsa, ove l'udiva.
E se l'oltraggiatore a morte ei pose,
Chi è che mèta a giust'ira prescriva?
Chi conta i colpi, o la dovuta offesa
Mentre arde la tenzon misura e pesa?
64, 1. basse note: contrapposto all' a^^-a
la voce della str. preced. — 4. or' ira:
quando ira. — 7. Avrò caro che tu ci ap-
porti che egli avesse giusta cagione {tale).
* Le B. leggono ch'ella. Il Solerti non reca
a questo luogo nessuna variante : la lezione
dunque par certa. Il Ferrari aveva invece
stampato c?ie la, molto più chiaro, ma senza
appoggi. Dunque ella è usato come com-
plemento riferito a ca(/ione.
66, 3-L Intendi che Goffredo, nel giudi-
care, non lascerà mai vincersi il cuore da
tiranne passioni. — 8. '1 mostri: mostri che
fu costretto.
66, 1. retenzion: arresto; venga libera-
mente, spontaneamente a porsi in arresto.
La Crusca cita un esemp. del Guicciardini.
67, 4. E non farne; cosi BoN.2-3 Conq. e
Os.; ma BON.i Ne' farne ivi rep. — farne
rep. : rigettarla. — 7. Chi conta i colpi, o la:
Cosi legge BoN.2-3 ; Chi conia i colpi ? o la
CoNQ.; Chi contrai co:pi, o la Bon.I; Cì^l
contra i colpi, la Oa-
62
GERUSALEMME LIBERATA
58
Ma quel che chiedi tu, ch'ai tuo soprano
Arbitrio il garzon veuga a sottoporse,
Duolmi ch'esser non può ; ch'egli lontano
Da l'oste immantinente il passo tòrse.
Ben m'offro io di provar con questa mano
A lui ch'a torto in falsa accusa il morse,
0 s'altri v'è di si maligno dente,
Ch'ei puni Tonta ingiusta giustamente.
Ò9
A ragion, dico, al tumido Gernando
Fiaccò le corna del superbo orgoglio:
Sol, s'egli errò, fu ne l'oblio del bando;
Ciò ben mi pesa, ed a lodar no '1 toglio.
Tacque, e disse Goffredo: Or vada errando,
E porti risse altrove: io qui non voglio
Che sparga seme tu di nove liti:
Deh., per Dio, siau gli sdegni anco forniti.
60
Di procurare il suo soccorso in tanto
Non cessò mai l'ingannatrice rea.
Pregava il giorno, e ponea in uso quanto
L'arte e l'ingegno e la beltà potea;
Ma poi, quando stendendo il fosco manto
La notte in occidente il di chiudea,
Tra duo suoi cavalieri e due matrone
Ricovrava in disparte al padiglione.
61
Ma ben che sia mastra d'inganni, e i suoi
Modi gentili, e le maniere accorte,
E bella si, che '1 ciel prima né poi
Altrui non die maggior bellezza in sorte;
Tal che del campo i più famosi eroi
Ha presi d'un piacer tenace e forte;
Non è però ch'a l'esca de' diletti
11 pio Goft'redo lusingando alletti.
62
In van cerca invaghirlo, e con mortali
Dolcezze attrarlo a l'amorosa vita;
Che, qual saturo augel, che non si cali
Ove, il cibo mostrando, altri l'invita.
Tal ei, sazio del mondo, i piacer frali
Sprezza; ese'npoggiaal Ciel per via romi-
E quante insidie al suo belvolo tende fta
L'infido amor, tutte fallaci rende.
63
Né impedimento alcun torcer da l'orme
Puote, che Dio ne segna, i peusier santi.
Tentò ella mill'arti, e in mille forme.
Quasi Proteo novel. gli apparve inanti;
E desto Amor, dove più freddo ei dorme,
Avrian gli atti dolcissimi e i sembianti,
Ma qui (grazie divine) ogni sua prova
Vana riesce e ritentar non giova.
64
La bella donna, ch'ogni cor più casto
Arder credeva ad un girar di ciglia,
Oh come perde or l'alterezza e '1 fasto!
E quale ha di ciò sdegno e meraviglia!
Rivolger le sue forze ove contrasto
Men duro trovi al fin si ricousiglia;
Qual capitan ch'inespugnabil terra
Stanco abbandoni, e porti altrove guerra.
65
Ma contra l'arme di costei, non meno
Si mostrò di Tancredi invitto il core.
Però ch'altro desio gli ingombra il seno,
Né vi può loco aver novello ardore:
Che si come da l'un l'altro veneno
Guardar ne suol, tal l'un da l'altro amore.
Questi soli non vinse; o molto o poco
Avvampò ciascun altro al suo bel foco.
66
Ella, se ben si duol che non succeda
Si pienamente il suo disegno e l'arte,
Pur fatto avendo cosi nobil preda
Di tanti eroi, si riconsola in parte.
E pria che di sue frodi altri s'avveda,
Pensa condurgli in i.iù secura parte,
Ove gli stringa poi d'altre catene
Che non son quelle ond'or presi li tiene.
67
E sendo giunto il termine che fisse
Il Capitano a darle alcun soccorso,
A lui se 'n venne riverente e disse:
Sire, il di stabilito è già trascorso;
E se per sorte il reo tiranno udisse
69, 1. tumido: superbo o gonfio d'ira.
Conquisi, vi 91 : « A ragion, dico, le su-
perbe corna Fiaccò del folle e temerario
orgoglio ».
60, 2. l'ingannatrice: Armida.
61, 2. maniere : Cosi anc. la CoxQ. : ma
Os. parole (forse per ovviare la ripet. modi,
manie-re). — 7-S. Angelica, invece, nel
Boiardo Ori. Inn.{i 3^) aveva preso ne' lacci
d'amore persino « il duca Namo eh' è ca-
nuto e bianco » e • anche il re Carlone >.
62, 1. mortali: contrario di divine. — 2.
Dolcezze ec: Petrarca, canz. QuelVantiquo
26: < Con sua falsa dolcezza La qual m'at-
trasse a l'amorosa schiera». — 7. volo:
cosi anc. Conq.; ma Os. ro7?o. S'intende il
volo dell'anima di Goffredo verso il cielo.
63, 1-2. Costruisci : Né impedimento al-
cuno puote torcere i pensier santi da l'orme
! che Dio ne segna.
I 64, 3. fasto: orgoglio: Ariosto, Ori. xix
18: «In tanto fasto in Tanto orgoglio crebbe».
! 6.5, 5-6. Un po' più speditamente nella
Conquisi, vi 97: « E come guarda l'un d'al-
tro veneno, Tal antica d'Amor da nuova
fiamma ».
66, 2. l'arte: arte d'amore. — 7. altre
catene: non metaforiche, d'amore, ma reali,
di ferro.
67, 1. E sendo: cosi, Bon.2.3 e Conq., ma
Essendo, Bon.i e Os. — 5. Armida ricorda
CANTO V
63
Ch'i' abbia fatto a l'arme tue ricorso,
Prepareria sue forze a la difesa,
Né cosi agevol poi fora l'impresa.
68
Dunque, prima cli'a lui tal nova apporti
Voce incerta di fama, o certa spia,
Scelga la tua pietà fra i tuoi più forti
Alcuni pochi, e meco or or gì' invia:
Che se non mira il Ciel con occhi torti
L'opre mortali, o l'innocenza oblia,
Sarò riposta in regno; e la mia terra [ra.
Sempre avrai tributaria in pace e in guer-
69
Cosi diceva: e '1 Capitano a i detti
Quel che negar non si potea, concede;
Se ben, ov'ella il suo partir affretti,
In sé tornar l'elezìon ne vede:
Ma nel numero ognun de' diece eletti
Con insolita instanza esser richiede;
E Temuiazion, che 'n lor si desta.
Più importuni li fa ne la richiesta.
70
Ella, che 'n essi mira aperto il core,
Prende, vedendo ciò, novo argomento,
E su '1 lor fianco adopra il rio timore
Di gelosia per ferza e per tormento;
Sapendo ben ch'ai fin s'invecchia amore
Senza quest'arti e divien pigro e lento;
Quasi destrier che men veloce corra
Se non ha chi lui segua, o chi '1 precorra.
71
E in tal modo comparte i detti sui
E '1 guardo lusinghiero e '1 dolce riso,
Ch'alcun non è, che non invidii altrui.
Né il timor de la speme è in lor diviso.
e ripiglia quanto disse nella parlata a Gof-
fredo del canto quarto. — 6. Ch'i' abbia:
cosiBoN.2 e Os.; Che s'aéèia, invece, BonJ---
68, 5. con occhi torti: in modo avverso,
cfr. e. II 89, 4, e iv 1-4.
69, 3-4. « Se bene comprenda che, affret-
tando ella la sua partenza, ricadrà in lui il
carico di procedere all'elezione dei dieci
campioni » (Nota delPediz. dei Classici, Mi-
lano 1823). *É un luogo ritenuto general-
mente oscuro, —tornar: cadere. *Meg'lio:
tornare a cadere, perché se Armida ritar-
dasse, verrebbe eletto il successore di Ger-
naudo, cui spetterebbe la elezione dei dieci
(Ar. St. 5). Se Armida affretta la partenza,
questa elezione ritorna a cadere su Goffredo.
70, 1. aperto: dalle ferite d'amore; se
pure apeì'to non istà per apertamente,
chiaratnente. — 7. men: cosi hanno BON.2
CoNQ. e Os.: ma BoN.2.3 non, per err. di st.
forse.
* 71, 4. Os, da la speme. Ma i migliori
testi de la. * lì contesto mostra chiaro che
il secondo caso qui sta invece del sesto : e
La folle turba de gli amanti, a cui
Stimolo è l'arte d'un fallace viso.
Senza fren corre, e non li tien vergogna;
E loro indarno il Capitan rampogna.
72
Ei, ch'egualmente satisfar desira
Ciascuna de le parti, e in nulla pende;
Se ben alquanto or di vergogna or d'ira
Al vaneggiar de' cavalier s'accende;
Poi ch'ostinati in quel desio li mira,
Novo consiglio in accordargli prende:
Scrivansi i vostri nomi, ed in un vaso
Pongansi, disse, e sia giudice il caso.
73
Subito il nome di ciascun si scrisse,
E in picciol'urna posti e scossi fòro,
E tratti a sorte: e '1 primo che n'uscisse
Fu il conte di Pembrosia Artemidoro;
Legger poi di Gherardo il nome udisse;
Ed usci Vincilao dopo costoro;
Vincilao, che, si grave e saggio inante,
Canuto or pargoleggia e vecchio amante.
74 [predai
Oh come il vólto han lieto, e gli occhi
Di quel piacer che dal cor pieno inonda.
Questi tre primi eletti, i cui disegni
La fortuna in amor destra seconda!
D'incerto cor, di gelosia dan segni
Gli altri, il cui nome avvien che l'urna
E da la bocca pendon di colui [asconda.
Che spiega i brevi, e legge i nomi altrui.
75
Guasco quarto fuor venne, a cui successe
Ridolfo, ed a Ridolfo indi Olderico;
Quinci Guglielmo Ronciglion si lesse,
E '1 Bavaro Eberardo, e '1 Franco Enrico;
Rambaldo ultimo fu; che farsi elesse.
Poi fé cangiando, di Giesù nemico; [se
( Tanto puote Amor dunque?) e questi chiu-
II numero de' diece, e gli altri escluse.
76
D'ira, di gelosia, d'invidia ardenti,
si potrebbe provare anche con gli autografi
delle rime che il Tasso si piaceva, all'oppor-
tunità, di cotale costrutto » (Cavedoui). —
6. arte: BoN.2-3 Conq. e Os. ; ma Bon.^ aer.
72, 2. nulla: sottint. parte.
73, 4. * Osan. legge Pembrozia. — 8. par-
goleggia: fa atti da fanciullo.
74, 4, seconda : favorisce. — 5. incerto
cor: cuore che sta in dubbio. Conquisi, vi
94: * Fanno di gelosia turbati segni *. — 7.
da la bocca pendon: frase comune nel Tasso :
cfr. e. I, str. 10. — 8. breyi: Crusca: «stri-
scia di carta pergamena, o simile, con breve
iscrizione »•
75, 5-6. Due versi duri di suono e di co-
strutto.
76, 1. Petrarca Tr. Ani. in 107: * D'amor
64
GERUSALEMME LIBERATA
Chiaman gli altri fortuna ingiusta e ria;
E te accusano. Amor, che le consenti
Che ne l'imperio tuo giudice sia.
Ma perché iustiuto è de l'umane genti
Che ciò che pili si vieta, uora più desia,
Dispongon molti ad onta di fortuna
Seguir la donna come il ciel s'imbruna.
77
Voglion sempre seguirla a l'ombra al so-
E per lei combattendo espor la vita. [le.
Ella fanne alcun motto, e con parole
Tronche e dolci sospiri a ciò gli invita;
Ed or con questo ed or con quel si duole
Che far convienle senza lui partita.
S'erano armati in tanto, e da Goifredo
Togliean i diece cavalier congedo.
78 [te:
Gli ammonisce quelsaggio aparte apar-
Come la fé pagana è incerta e leve.
E mal securo pegno ; e con qual arte
L'insidie e i casi avversi uom fuggir deve:
Ma 8on le sue parole al vento sparte;
Né consiglio d'uom sano Amor riceve:
Lor dà commiato al fin, e la donzella
Non aspetta al partir l'alba novella.
79
Parte la vincitrice; e quei rivali,
Quasi prigioni al suo trionfo inanti,
Seco n'adduce, e tra infiniti mali
Lascia la turba poi de gli altri amanti.
Ma come usci la notte, e sotto Tali
Menò il silenzio e i levi sogni erranti,
Secretamente. com'Amor gì' informa.
Molti d'Armida seguitarou l'orma.
80
Segue Eustazio il primiero, e puote a pena
Aspettar l'ombre che la notte adduce;
Vassene frettoloso ove ne'l mena
Per le tenebre cieche un cieco duce.
Errò la notte tepida e serena :
di gelosia, d'invidia ardente ». — 5. genti;
CoNQ. e Os. menti.
77, 1. a l'ombra al sole: di notte e di
giorno. Petrarca, sest. A qualunque anini.
21 : • Come costei eh' io piango a l'ombra e
al sole ». — 8. Togliean : cosi Box.- e Os. ;
Prendeano, Conq.; Togliono, Bon.i-3
79, 5-5. Ovidio, Fasti, iv 661 : « Tnterea
placidam redimita papavere frontem Nox
venit, et secum sorania nigra trahit ». — 7.
informa: ammaestra: Petrarca, canz. Poi-
ché per mio dest. 53. « Or quinci, or quindi,
com'Amor m'informa».
80, 4. cieco duce. Amore. Cfr. e. iv 89, 2.
— 5. Ecco alcuni raflFronti del Guastavini :
» Il Casa: - Vegghiar le notti gelide e se-
rene - ; e si deriva da Virgilio, che disse
prima - nocte-j vigilare serenas -. Il poeta
dice qui - tepida - perché era state in que-
sto tempo che ei finge ».
Ma poi ne l'apparir de l'alma luce [pollo,
Gli apparse insieme Armida e '1 suo drap-
Dove un borgo lor fu notturno ostello.
81
Ratto ei vèr' lei si move; ed a l'insegna
Tosto Rarabaldo il riconosce, e grida
Che ricerchi fra loro, e perché vegna.
Vengo, risponde, a segaitarne Armida;
Xed ella avrà da me, se non la sdegna,
Men pronta aita, o servitù men fida.
Replica l'altro: Ed a cotanto onore.
Di', chi t'elesse? Egli soggiunge: Amore.
82
Me scelse Amor, te la Fortuna : or quale
Da più giusto elettore eletto parti?
Dice Rambaldo allor: Nulla ti vale
Titolo falso; ed usi inutil'arti:
N('' potrai de la vergine regale
Fra i campioni legitimi meschiarti,
Illegitimo servo. E chi, riprende
Cruccioso il giovenetto, a me il contende?
83
Io te '1 difenderò, colui rispose.
E feglisi a l'incontro in questo dire;
E con voglie egualmente in lui sdegnose
L'altro 8i mosse, e con eguale ardire.
Ma qui stese la mano, e si frappose
La tiranna de l'alme in mezzo a l'ire;
Ed a l'uno dicea: Deh! non t' incresca
Ch'a te compagno, a me campion s'accre-
84 |8ca.
S'ami che salva i' sia, perché mi privi
In si grand" uopo de la nova aita?
Dice a l'altro: Opportuno e grato arrivi
Difensor di mia fama e di mia vita:
Né vuol ragion, né sarà mai ch'io schivi
Compagnia nobil tanto e si gradita.
Cosi parlando, ad or ad or tra via
Alcun nuovo campion le sorvenia.
85
Chi di là giunge, e chi di qua: né l'uno
Sapea de l'altro; e il mira bieco e torto.
Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno
; Mostra del suo venir gioia e conforto.
Ma già ne lo schiarir de l'aer bruno
S'era del lor partir Goflfredo accorto;
E la mente, indovina de' lor danni.
D'alcun futuro mal par che s'affanni.
82, "2. partì : ti pare.
83, 1. difenderò. Difendere ha. q\ii il senso
di contendere, vietare ; cosi nell'Ariosto,
Ori. xxvii, 77: « Ma più chiaro ti dico ora
e più piano Che tu non faccia in quel de-
strier disegno Che te lo difend' io tanto
che in mano Questa vindice mia spada so-
stegno ».
85, 7-8. indovina ecc.: Nel fatto Armida
li rende schiavi, come si racconta ai e. x
50 e segg.
CANTO V
65
8G
Mentre a ciò pur ripensa, un messo appare
Polveroso, anelante, in vista afflitto,
In atto d'uora ch'altrui novelle amare
Porti, e mostri il dolore in fronte scritto.
Disse costui: Signor, tosto nel mare
La grande armata apparirà d'Egitto;
E l'avviso Guglielmo, il qual comanda
A i liguri navigli, a te ne manda.
87
Soggiunse a questo poi, che, da le navi
Sendo condotta vettovaglia al campo,
I cavalli e i caramelli onusti e gravi
Trovato aveanoa mezza stradainciampo;
E che i lor difensori uccisi o schiavi
Restar pugnando, e nessun fece scampo,
Da i ladroni d'Arabia in una valle
Assaliti a la fronte ed a le spaile.
83
E che rintano ardire e la licenza
Di que' barbari erranti è omai si grande,
Che 'n guisa d'un diluvio intorno senza
Alcun contrasto si dilata e spande:
Onde convien ch'a porre in lor temenza
Alcuna squadra di guerrier si mando,
Ch'asseciiri la via che da l'arene
Del mar di Palestina al campo viene.
89
D'una in un'altra lingua in un momento
Ne trapassa la fama e si distende;
E '1 vulgo de' soldati alto spavento
Ha de la fame che vicina attende.
II saggio Capitan, che l'ardimento
Solito loro in essi or non comprende.
Cerca con lieto vólto e con parole
Come li rassecuri e riconsole:
86,7. Gnglielino: Guglielmo Embriaco,
che conduceva la flotta ligure. Cfr. per la
notta, e. I 78-79.
90
0 per mille perigli e mille affanni
Meco passati in quelle parti e in queste,
Campion'di Dio, ch'a ristorare i danni
De la cristiana sua fede nasceste;
Voi, chel'armedi Persia e i greci inganni,
E i monti e i mari e '1 verno e le tempeste,
De la fame i disagi e de la sete
Superaste, voi dunque ora temete?
91
Dunque il Signor, che v'indirizza e move,
Già conosciuto in caso assai pili rio.
Non v'assecura, quasi or volga altrove
La man de la clemenza e '1 guardo pio?
Tosto un di fia che rimembrar vi giove
Gli scorsi affanni, e sciorre i voti a Dio.
Or durate magnanimi, e voi stessi
Serbate, prego, a i prosperi successi.
92
Con questi detti le smarrite menti
Consola, e con sereno e lieto aspetto;
Ma preme mille cure egre e dolenti
Altamente riposte in mezzo al petto.
Come possa nutrir si varie genti
Pensa fra la penuria e fra '1 difetto;
Come a Tarmata in mar s'opponga, e come
Gli Arabi predatori affreui e dome.
90-92. Virg. Aen. i 197: «et dictis mae-
reutia pectora mulcet: O socii ... O passi
graviora, dabit deus bis (malis) quoque
finem, Vos et Scyllaeam rabiem penitusque
sonantis Accestis scopulos, vos et Cyclopia
saxa Experti, revocate animos maestumque
timorem Mittite, forsau et haec olira memi-
nisse iuvabit.... Durate et vosmet rebus ser»
vate secundis. Talia voce refert, curisque
ingentibus acger Spera viiltu simuiat, pre-
mit altum corde dolorem >.
5 — Tasso, Gerusalemme liberata.
CANTO VI.
Argante propone ad
Aladino di terminare
la guerra con un duello
•^ Aladino s^oppone:
pur gli concede di af-
frontarsi privato cava-
liere coi cristiani -^ Sua
disfida ^ Tancredi, che
gli si fa incontro, s'in-
dugia a un tratto esta-
tico ad ammirare Clo-
rinda : allora spingesi in-
nanzi Ottone che è fatto
prigioniero ^Ar Duello
fra Tancredi ed Ar-
gante tAt Sopravviene
la notte, e gli araldi
dividono la contesa -^
Erminia va, sotto le
armi di Clorinda, per
curare Tancredi :Ar Ag-
guato di Poliferno -^
Erminia inseguita.
Ma d'altra parte l'assediate genti
Speme miglior conforta e rasseciira;
Ch'oltra il cibo raccolto, altri alimenti
Sou lor dentro portati a notte oscura:
Ed han munite d'armi e d'instruraenti
Di guerra verso Taquilou le mura:
Che d'altezzaaccresciiite,e sode e grosse,
Non mostran di temer d'urti o di scosse.
2
E'I re pur sempre queste parti e quelle
Lor fa inalzare e rafforzare i fianchi,
O l'aureo sol rispleiida, od a le stelle
Ed a la luna il fosco ciel s'imbianchi;
E in far continuamente arme novelle
Sudano i fabri affaticati e stanchi.
1, 6. Terso l'aqnilon: poiché da questa
prxrte si era accampato GofTredo, e di qui
Kf;io 'a città era espugnabile. Cfr. e. in di.
In si fatto apparecchio, intollerante
A lui se 'n venne, e ragionògli Argante:
3
E in sino a quando ci terrai prigioni
Fra queste mura in vile assedio e lento?
Odo ben io stridere incuJi, e suoni
D'elmi e di scudi e di corazze sento;
Ma non veggio a qual uso: e quei ladroni
Scorrono i campi e i borghi a lor talento;
Né v'è di noi chi mai lor passi arresti,
Né tromba che dal sonno almen gli desti.
3. Gentile: -Questa orazione di Argante
al re Aladino è da conferirsi colla storia
di quei soldati romani appo Livio (Hist.
XXII 14) i quali non altrimenti rampognava-
no Fabio Massimo, dal quale erano sempre
tirati su per le cime dei monti altissimi;
mentre Annibale scorreva a suo talento le
pianure e le ville loro avanti i loro occhi ».
CANTO VI
67
A lor né i prandi mai turbati e rotti,
Né molestate son le cene liete;
Anzi egualmente i di lunghi e le notti
Traggon con securezza e con quiete.
Voi da i disagi e da la fame indótti
A darvi vinti a lungo andar sarete;
Od a morirne qui come codardi,
Quando d'Egitto pur l'aiuto tardi.
5
Io per me non vo' già eh'ignobil morte
I giorni miei d'oscuro oblio ricopra;
Né vo' ch'ai novo di fra queste porte
L'alma luce del sol chiuso mi scopra.
Di questo viver mio faccia la sorte
Quel che già stabilito è là di sopra:
Non farà già che senza oprar la spada
Inglorioso e invendicato io cada.
6
Ma quando pur del valor vostro usato
Cosi non fosse in voi spento ogni seme,
Non di morir pugnando ed onorato,
Ma di vita e di palma anco avrei speme.
A incontrare i nemici e '1 nostro fato
Andianne pur deliberati insieme;
Che spesso avvien, che ne' maggior perigli
Sono i più audaci gli ottimi consigli.
7
Ma se nel troppo osar tu non isperi,
Né sei d'uscir con ogni squadra ardito,
Procura almen, che sia per duo guerrieri
Questo tuo gran litigio or diftinito.
E, perch'accetti ancor più volentieri
II capitan de' Franchi il nostro invito,
L'arme egli scelga, e '1 suo vantaggio to-
E le condiz'ion formi a sua voglia, [glia,
8
Che, se '1 nemico avrà due mani, ed una
Anima solo, ancor ch'audace e fera,
Temer non dèi, per isciagura alcuna.
Che la ragion da me difesa péra.
Puote in vece di fato e di fortuna
Darti la destra mia vittoria intera:
4, 6. a lango nndar: per quanto é detto,
benché in persona del poeta, sopra alla st.
1, 1-4.
6, 5-6, Guastavini: « Opinione di circasso,
che dal cielo ogni cosa, che avviene, imrau
labilmente e necessariamente dipenda ». —
7. Non farà: sottind. lo sorte: secondo il
carattere d'Argante definito dal P. al e. ii
59, 7-8. — 8. invendicato: cfr. Virg. Aen.
II 670.
6, 1. Virg. Aen. xi 415: « Quamquam, o,
si solitae quidquam virtutis adSfeset... «•.
8, 1-2. Virg. Aen. x 375: « mortali urge-
mur ab hoste Mortales, totidem nobis ani-
macque, manusque ». — solo: avv. sola-
mente.
Ed a te sé medesma or porge in pegno
Che, se '1 confidi in lei, salvo è il tuo regno.
9
Tacque; e rispose il re: Giovene ardente,
Se ben me vedi in grave età senile.
Non sono al ferro queste man si lente,
Né si quest'alma è neghittosa e vile
Ch'anzi morir volesse ignobilmente
Che di morte magnanima e gentile,
Quaud'io temenzaavessi, odubbioalcuno
De i disagi ch'annunzi e del digiuno.
10 [te
Cessi Dio tanta infamia! Or quel ch'ad ar-
Nascondo altrui, vo' ch'a te sia palese.
Soliman di Nicea, che brama in parte
Di vendicar le ricevute offese,
De gli Arabi le schiere erranti e s parte
Raccolte ha fin dal libico paese;
E, i nemici assalendo a l'aria nera.
Darne soccorso e vettovaglia spera.
11
Tosto fia che qui giunga: or se fra tanto
Son le nostre castella oppresse e serve,
Non ce ne caglia, pur che '1 regal manto
E la mia nobil reggia io mi conserve.
Tu l'ardimento e questo ardore alquanto
Tempra, per Dio, ch'in te soverchio ferve;
Ed opportuna la stagione aspetta
A la tua gloria ed a la mia vendetta.
12
Forte sdegnossi il Saracino audace.
Ch'era di Solimano emulo antico;
Si amaramente ora d'udir gli spiace
Che tanto se 'n prometta il rege amico.
A tuo senno, risponde, e guerra e pace
Farai, Signor: nulla di ciò più dico.
S'indugi pure, e Soliman s'attenda;
Ei, che perde il suo regno, il tuo difenda.
13
Vengane a te, quasi celeste messo,
9, 1. Giovene ardente: .Virg. Aen. xii 19
di Turno: « 0 praestans animi iuvenis ecc. ».
10, I. Cessi; Os. ha taglia, e in vero qui
cessi vale tolga, come nel Boccaccio, Fiam
•inetta., lib. iir. • Dio cessi, che questo av^
venga». — 3. Soliman: soldano di Nicea
poi capo delle squadre erranti degli Arabi.
Veramente costui combattè i cristiani per
conto proprio; non come alleato del re
d'Egitto. — 4. offese: la presa di Nicea, la
moglie e due figli prigionieri ecc., come
narra Gugl. Tir.
11, 3. regal manto: cioè la dignità reale.
— 6. Tempra: modera.
12, 4. amico: alleato di Solimano. — 8.
perde: Ariosto, Ori. xxxviii 52, 7: • Cbé
poco saggio si può dir colui Che perde il
suo per acquistar l'altrui ».
13, 1. coleste messo. Sa d'ironia
68
GERUSALEMME LIBERATA
Liberator del popolo pagano; j
Ch'io, quanto arac, bastar credoamestes- j
E sol vo' libertà da questa mano. [so,
Or nel riposo altrui siami concesso |
Ch'ionediscendaaguerreggiar nelpiano: ;
Privato cavalier, non tuo campione, |
Verrò co' Franchi a singoiar tenzone. !
14 i
Replica il re: Se ben l'ire e la spada |
Dovresti riserbare a miglior uso; ]
Che tu sfidi però, se ciò t'aggrada,
Alcun guerrier nemico, io non ricuso.
Cosi gli disse: ed ei punto non bada:
Va', dice ad un araldo, or colà giuso;
Ed al duce de' Franchi, udendo Toste,
Fa' queste mie non picciole proposte;
15 [sto
Ch'nn cavalier, che d'appiattarsi in que-
Forte cinto di muri a sdegno prende,
Brama di far con l'armi or manifesto
Quanto la sua possanza oltra si stende;
E eli'a duello di venirne è presto
Nel pian, eh' è fra le mura e l'alte tende.
Per prova di valore, e che disfida
Qual più de' Franchi in sua virtù si fida.
16
E che non solo è di pugnare accinto
E con uno e con duo del campo ostile:
Ma dopo il terzo, il quarto accètta, e '1 qui n-
Sia di vulgare stirpe o di gentile: jto,
Dia, se vuol, la franchigia; e servail vinto
Al vincitor, come di guerra è stile.
Cosi gli impose; ed ei vestissi allotta
La purpurea de Tarme aurata cotta.
17
E, poi che giunse a la regal presenza
Del principe Goffredo e de' baroni,
Chiese: 0 signore, a i messaggier licenza
16. Coii leggono questa slrofa le 3 st. del
Box.; e cosi Conq. salvo qualche varietà;
ma Os.:«< Che un cavaliero, il qual si sde-
gna in questo Cerchio ap2nattarsi fra ri-
pari e fòsse. Vuol far con Varrae in campo
or manifesto. Ove alcun di negarlo ardito
fosse. Che non zelo di fede o d'altro one-
sto Titolo i Franchi in contra l'Asia mosse,
Ma solo ambiziose avare ìjrame E del re-
gnare e del rapir la farne*.
16. 3. Ariosto, Ori. XLVi 106 7 : « Se non
basta una [persona , e quattro e sei n'ac-
cetto ». — 5. Dia, se vuol, Goffredo, fran-
chigia, 0 securtà (come il T. cambiò nella
Conquisi.) pel duello; e il patto sia, che il
vinto serra ecc. — 7. ed ei: cosi le 3 st.
BON.; e quel Os. — 8. cotta: sopravveste
che portavano gli araldi. Ariosto, OrZ. xxvii
52, 5: « Già, con la cotta d'arme alla divisa
Del re Agramante, in campo venut' era
L'araldo ».
Dassi tra voi di liberi sermoni?
Dassi, rispose il Capitano; e senza
Alcun timor la tua proposta esponi.
Riprese quegli: Or si parrà se grata
0 formidabil fia l'alta ambasciata.
18
E segui poscia, e la disfida espose
^"ou parole magnifiche ed altere.
Fremer s'udirò, e si mostrar sdegnose
Al suo parlar quelle feroci schiere;
E senza indugio il pio Buglion rispose:
Dura impresa intraprende il cavaliere;
E tosto io creder vo' che glie ne incresca
Si, che d'uopo non fia che '1 quinto n'esca.
19 [traggio
Ma venga in prova pur; che d'ogn'ol-
Gli offero campo libero e securo;
E seco pugnerà senza vantaggio
Alcun de' miei campioni: e cosi giuro.
Tacque: e tornò il re d'arme al suo viaggio
l'er l'orme ch'ai venir calcate furo;
E non ritenne il frettoloso passo
.^iu che non die risposta al fier Circasso.
20
Armati, dice, alto signor; che tardi?
La disfida accettata hanno i Cristiani;
E d'affrontarsi teco i men gagliardi
Mostran desio, non chei guerrier soprani.
IC mille i' vidi minacciosi sguardi,
E mille al ferro apparecchiate mani:
Loco securo il duce a te concede.
Cosi gli dice: e Tarme esso richiede.
21
E se ne cinge intorno, e impaziente
Di scenderne s'affretta a la campagna.
Disse a Clorinda il re, ch'era presente:
Giusto non è ch'ei vada e tu rimagna.
Mille dunque con te di nostra gente
Prendi in sua securezza, e l'accompagna;
Ma vada inanzi a giusta pugna ei solo;
Tu lunge alquanto a lui ritien lo stuolo.
22
Tacque ciò detto ; e, poi che furo armati.
Quei del chiuso n'uscivano a l'aperto:
E giva inanzi Argante, e de gli usati
Arnesi in su '1 cavallo era coperto.
Loco fu tra le mura e gli steccati.
Che nulla avea di diseguale e d'erto.
Ampio e capace; e parca fatto ad arte,
Perch'egli fosse altrui campo di Marte.
23
Ivi solo discese, ivi fermosse
In vista de' nemici il fero Argante,
19, 5. re d'arme: Taraldo.
20, 7. Loco securo: la frayichigia della
str. 16.
23. Mella (Torino 1831) «Da questo e da
altri duelli cosi ben pennelleggiati, scor-
gesi quanto Torquato fosse perito nella
CANTO VI
69
Per gran cor, per gran corpo, e per gran
[posse
Superbo e rainaccievole in sembiante;
Qual Encelado i n Flegra, o qual mostrosse
Ne rima valle il filisteo gigante:
Ma pur molti di lui tema non hanno,
Ch'anco quanto sia forte a pien non sanno.
24
Alcun però dal pio Goffredo eletto,
Come il migliore, ancor non è fra molti.
Ben si vedean con desioso affetto
Tutti gli occhi in Tancredi esser rivolti;
E dichiarato in fra i miglior perfetto
Dal favor manifesto era de' vólti:
E s'udia non oscuro anco il bisbiglio;
E l'approvava il Capitan co '1 ciglio.
25
Già cedea ciascun altro; e non secreto
Era il volere ornai del pio Buglione:
Vanne, a lui disse; a te l'uscir non vieto;
E reprimi il furor di quel fellone.
E tutto in vólto baldanzoso e lieto,
Per si alto giudizio il fìer garzone,
A lo scudier chiedea l'elmo e'I cavallo;
Poi, seguito da molti, uscia del vallo.
26
Ed a quel largo pian fatto vicino,
Ove Argante l'attende, anco non era,
Quando in leggiadro aspetto e pellegrino
S'offerse a gli occhi suoi l'alta guerriera.
Bianche via più che neve in giogo alpino
scherma. Altri dirà leggiadramente, poter
il suo poema pressoché servire di scuola a
cólti giovani militari in quell'arte. E a di-
mostrar vera questa asserzione leggasi la
Scuola della scherma del Rosaroli e del
Grisetti, due bravi ufficiali italiani al tempo
dell'Impero. Inserirono essi nel loro trat-
tato,illustrandoli, passi moltissimi del Tasso,
e con essi confermarono le loro teorie ecc.
Vedi pure il bell'opuscolo del Napione sulla
Scienza Militare del Tasso ». — 5. Encelado:
gigante fulminato da Giove nei campi di
Flegra; e Flejra, secondo Strabene, è il
territorio di Cuma nella Campania. — 6.
filisteo gigante: Golia. — 8. Il Galilei dice
il concetto di questa stanza, snervato e ain-
pollosatneyite espresso e con tnala grazia,
— e gli contrappone Valtiera e terribile
positura nella quale l'Ariosto (Ori. xvii 11)
ci descrive Rodomonte.
24,5-6. Costruisci: era dichiarato per-
fetto infra i migliori dal favore manifesto
dei vólti (vólti che chiaramente mostravano
preferenza per lui). — 7. non oscuro: ri-
chiama il manifesto del verso precedente.
26, 6. Cosi leggono il v. le ò st. Bon.;
Per si alto giudicio. Iddio lodando Conq.;
Poiché d'impresa tal fallo e campione Os.
26, 3. pellegrino: insolito, raro. — 5-8. I
Avea le sopraveste, e la visiera
Alta tenea dal vólto, e, sovra un'erta,
Tutta, quanto ella è grande, era scoperta.
27
Già non mira Tancredi ove il Circasso
La spaventosa fronte al cielo estolle;
Ma move il suo destrier con lento passo,
Volgendo gli occhi ov'è colei su '1 colle.
Poscia immobil si ferma, e pare un sasso;
Gelido tutto fuor, ma dentro bolle:
Sol di mirar s'appaga, e di battaglia
Sembiante fa che poco or più gli caglia.
28
Argante, che non vede alcun ch'in atto
Dia segno ancor d'apparecchiarsi in gio-
Da desir di contesa io qui fui tratto, [stra:
Grida; or chi viene inanzi, e meco gio-
L'artro, attonito quasi e stupefatto, [stra?
Pur là s'affisa, e nulla udir ben mostra.
Ottone inanzi allor spinse il destriero,
E ne l'arringo vóto entrò primiero.
29
Questi un fu di color cui dianzi accese
Di gir contra il Pagano alto desio:
Pur cedette a Tancredi, e 'n sella ascese
Nella Conquisi. , vii 29, meno bene, a parer
nostro: «Bianche, via più di candido ar-
mellino. Le sopravveste avea con pompa
altera; Su l'elmo, d'aureo fior quasi co-
rona; Al fianco, di fin òr gemmata zona. -
Parte scopria del vólto a chi più basso Ri-
mira, quale e quanta al ciel s'estolle ».
27. Il Galilei berteggia il Tasso perché
impone al suo eroe questa debolezza amo-
rosa. Al sentimento nostro moderno ciò
pare invece bellissimo. — 5. L'Ariosto, di
Olimpia, Ori. x 34, 8: * Ké men d'un vero
sasso, un sasso pare». — 6. Questa nota di
un contemporaneo (il Guastavini) spiega ciò
che il Tasso abbia voluto dire: «Nell'in-
coutrarsi nella cosa amata, per la riverenza
che ad essa si porta, e per la paura, che
per diverse cagioni può nascer nell'amante
in quel tempo, il sangue si ritira al cuore:
perché, rimanendo freddissime le parti di
fuori, quelle di dentro ardono maggior-
mente». Tasso, Madriy.: * io son ghiaccio
di fóre, E '1 foco ho dentro accòlto ». — 8.
caglia: importi.
28, 7. Ottone: questi è il medesimo Ot-
tone Visconti ricordato dal Poeta nella ras-
segna del e. 1 55, 7-8; la sfida del Visconti
è storica. — 8. arringo e aringo, luogo dove
si corre giostrando, o si combatte. Varchi
(Ercotano): «Aringo, usato più volte non
solo da Dante ma dal Boccaccio, significa
cosi lo spazio dove si córre giostrando, o
si favella orando, comò osso córso o gio-
stra, ed esso parlare ovvero orazione ».
70
GERUSALEMME LIBERATA
Fra gli altri che seguirlo, e seco uscio, j
Or veggendo sue voglie altrove intese, \
E starne lui quasi al pugnar restio,
Prende, gioveue audace e impaziente,
L'occasione offerta avidamente;
30
E veloce cosi, che tigre o pardo
Va men ratto talor per la foresta,
Corre a ferire il Saracin gagliardo,
Che d'altra parte la gran lancia arresta.
Si scote allor Tancredi, e dal suo tardo
Pcnsier, quasi da un sonno, al fin si desta;
E grida ei ben: La pugna è mia; rimanti.
Ma troppo Ottone è già trascorso inanti.
31
Onde si ferma; e d'ira e di dispetto
Avvampa dentro, e fuor qual fiamma è
Perché ad onta si reca ed a difetto, [rosso;
Ch'altri si sia primiero in giostra mosso.
Maintauto amezzo ilcórso insurelmetto
Dal giovin forte è il Saracin percosso:
Egli a l'incontro a lui co 'l ferro nudo
Fende l'usbergo, e pria rompe lo scudo.
32
Cade il Cristiano; e ben è il colpo acerbo.
Poscia ch'avvien che dal'arcion lo svella.
Ma il Pagan di più forza e di più nerbo
Non cade già, né pur si torce in sella:
Indi con dispettoso atto superbo
Sovra il caduto cavalier favella:
Renditi vinto, e per tua gloria basti
Che dir potrai che contra me pugnasti.
33
No, gli risponde Otton, fra noi non s'usa
Cosi tosto depor l'arme e l'ardire;
Altri del mio cader farà la scusa;
Io vo' far la vendetta, o qui morire.
29, 4. segnirlo: cosi 3 st. Bon. e CONQ. ;
che 'l segv.iro Os.
30, 1-2. Orazio, Od. II xvi: «Odor cer-
vis, et agente nimbos Ocior Euro >. — 4. ar-
resta, mette in resta.
31, 1-2. Virg., Aea. iv 532: « magnoque
irarum fluctuat aestu ». — 7. a l'incontro,
alla sua volta. — nudo: cosi le 3 st, BoN. ;
acuto Os. — 8. Fende: le 3 st. del Box.;
FdraOs. — sondo: le 3 st. del Box.; ^cw^o Os.
■32, 2. Poscia che: poiché, con valore cau-
sale, non temporale. — 7-8. Virg., Aen. x
829: « Hoc tamen, infelix, mi.seram solabere
mortem: Aeneae magni dextra cadis ». Ovi-
dio, Met. IX 5: « nec tam Turpe fuit vinci,
quam contendisse decorum est ».
33, 1-4. Il Gentile osserva: «Nota che il
Tasso mai fa che un cristiano, per vinto che
si sia, si arrenda o supplichi ad un pagano.
Ciò che fece ad imitazione d'Omero: del
cui consiglio parlando Plutarco, scrive, che
gli è cosa dei barbari lo esser suppliche-
vole nel combattere, o avvolgersi ai piedi
In sembianza d' Aletto e di Medusa
Fremeil Circasso, eparche fiamma spire;
Conosci or, dice, il mio valor a prova,
Poi che la cortesia sprezzar ti giova.
34
Spinge il destrier in questo, e tutto oblia
Quanto virtù cavalleresca chiede.
Fugge il Franco l'incontro, e si desvia,
E'I destro fianco nel passar gli fiede;
Ed è si grave la percossa e ria,
Che '1 ferro sanguinoso indi ne riede;
Ma che prò, se la piaga al vincitore
Forza non toglie, e giunge ira a furore?
35
Argante il corridor dal córso affrena,
E in dietro il volge: e cosi tosto è vòlto,
Che se n'accorge il suo nemico a pena,
E d'un grand'urto a l'improviso è còlto.
Tremar le gambe, indebolir la lena.
Sbigottir Talraa. e im))allidir il vólto
Fégli l'aspra percossa, e frale e stanco
Sovra il duro terren battere il fianco.
36
Ne Tira Argante infellonisce, e strada
Sovra il petto del vinto al destrier face;
E: Cosi, grida, ogni superbo vada,
Come costui che sotto i pie mi giace.
Ma l'invitto Tancredi allor non bada,
Che l'atto crudelissimo gli sjiiace;
E vuol che '1 suo valor con chiara emenda
Copra il suo fallo, e. come suol, risplenda.
37
Fassi inanzi gridando: Anima vile,
del nimico: ma de' Greci è il vincere com-
battendo 0 morire ... Ma questo non osservò
già Virgilio : perché ugualmente s'avea pro-
posto d'ingrandire la gente troiana e la la-
tina, dalle quali doveva uscire, come dice
Dante, il gentil seme de' romani ». — 5-6.
Ariosto, Ori. xxxvi 55: « Una furia infernal
quando si- sferra, Sembra Marflsa ». —
Aletto: una delle Furie. — Med.: una delle
Gorgoni. — spire: spiri.
34, 1. in questo: frattanto, mentre cosi
parla. — 3. si desvia ecc.: Ottone che è a
terra si toglie a tempo dalla linea tenuta
dal destriero di Argante, cosi che questo
non incontrandolo passa oltre, ed esso Ot-
tone può ferire il Saracino al fianco destro.
— 8. ginnjje: aggiunge. — * ira a furore.
Cosi ros. — B e molti altri ira e furore,
che forse non è lezione disprezzabile, per-
ché furore è più che ira.
* 35, 7. Fégli. Os. Gli fé.
36, 1-2. Virg. Aen. x 495: « Et laevo pres-
sit pede, talia fatus, Exanimem ». — 5. bada :
sta a bada, s'intrattiene più oltre.
37. Il Galilei: « Inveisce assai nobilmente
qui Tancredi contro alla fellonia di Ar-
gante . E di tutto il luogo : « Non si può
CANTO VI
71
Che ancor ne le vittorie infame sei,
Qual titolo di lande alto e gentile
Da modi attendi si scortesi e rei?
Fra i ladroni d'Arabia, o fra simile
Barbara tnrba avvezzo esser tu dei.
Fuggi la luce, e va' con l'altre belve
A incrudelir ne' monti e tra le selve.
33
Tacque; e'I Pagano, al sofiferir poco uso,
Morde le labra, e di furor si strugge:
Risponder vuol; ma'l suono esce confuso,
Si come strido d'animai che rugge;
0 come apre le nubi, ond'egli è chiuso,
Impetuoso il fulmine, e se 'n fugge,
Cosi pareva a forza ot,nn suo detto
Tonando uscir da rinfiammato petto.
39
Ma, poi ch'in ambo il minacciar feroce
A vicenda irritò l'orgoglio e l'irà,
L'un come l'altro rapido e veloce,
Spazioalcorsoprendendo,ildestriergira.
Or qui, Musa, rinforza in nae la voce,
E furor pari a quel furor m'inspira,
Si che non sian de l'opre indegni i carmi,
Ed esprima il mio canto il suon de l'armi.
40
Posero in resta e dirizzare in alto
1 duo guerrier le noderose antenne;
Né fu di córso mai, né fu di salto,
Né fu mai tal velocità di penne.
Né furia eguale a quella, ond'a l'assalto
Quinci Tancredi, e quindi Argante venne.
Rupper l'aste su gli elmi e volar mille
Tronconi e scheggie e lucide faville.
41
Sol dei colpi il rimbombo intorno mosse
L'immobil terra, e risonarne i monti;
veramente negare che questo duello fra Ar-
gante e Tancredi non sia buono e che in
esso l'autore non meriti lode». Vedi Ario-
sto, Ori. XXXVI 8.
38, 1. e '1 Pagano ecc.: Ariosto, Fur.
XXXVI 21, 5: « Marfisa a quel parlar fremer
s'udia, Come un vento marino in uno sco-
glio. Grida, ma si per rabbia si confonde,
Che non può esprimer fuor quel che ri-
sponde ».
39, 5. Dante, Inf. xxxii 10: «Ma quelle
donne aiutino il mio verso Ch'aiutaro An-
fione a chiuder Tebe, Si che dal fatto il
dir non sia diverso ».
40, 7. Meglio ne gli elmi, come disse
nella Conquist. vii 61, 7, altrimenti par-
rebbe (come osservò il Galilei, alla st. 31),
« che questi campioni non si ferissero con
le lancia incontrandosi, ma si bastonassero
sugli elmetti ». — 8. Tronconi: le 3 st. del
BoN. ; E tronchi Os. e Conq.
41, 1-2. Virg., Aen. ix 706, e xii 709. Ario-
sto, Oìi. XIX 92, 7: «Ecco la terra e l'aria
Ma l'impeto e '1 furor de le percosse
Nulla piegò de le superbe fronti.
L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse,
Che non fur poi cadendo a sorger pronti.
Tratte le spade, i gran mastri di guerra
Lasciar le staffe, e i i)iè fermare in terra.
42
Cautamente ciascuno a i colpi move
La destra, a i guardi l'occhio, a i passi il
Si reca in atti varii, in guardie nove; [piede;
Or gira intorno, or cresce inaiizi, or cede;
Or qui ferire accenna, e poscia altrove,
Dove non minacciò, ferir si vede;
Or di sé discoprire alcuna parte,
E tentar di schernir l'arte con l'arte.
43
De la spada Tancredi e de lo scudo
Malguardato al Pagan dimostrai! fianco:
Corre egli per ferirlo, e in tanto nudo
Di riparo si lascia il lato manco.
Tancredi con un colpo il ferro crudo
Del nemico ribatte, e lui fere anco:
Né poi, ciò fatto, in ritirarsi tarda,
Ma si raccoglie, e si ristringe in guarda.
44
Il fero Argante, che se atesso mira
Del proprio sangue suo macchiato e molle,
Con insolito orror freme e sospira,
Di cruccio e di dolor turbato e folle:
E, portato da l'impeto e da l'ira,
Con la voce la spada insieme estolle,
E torna per ferire; ed è di punta
Piagato, ov'è la spalla al braccio giunta.
45
Qual ne le alpestri selve orsa, che senta
Duro spiedo nel fianco, in rabbia monta,
E centra l'arme sé medesma avventa,
E i perigli e la morte audace affronta;
e il mar rimbomba, Nel muover loro al
primo suon di tromba », — 5. Verso del-
rAriost'o (Ori. XXXI '14, 1). — 7-8. Ariosto,
Ori. XXXI 14, 7: « Il cavalier che '1 destrier
morto vede Lascia le staffe ed è sùbito in
piede ».
42, 8. schernir; Forse il Tasso ebbe l'oc-
chio a quel di Catone: « sic ars doluditur
arte ». Boccaccio, nov. 11: « Spesse volte av-
viene che l'arte è dall'arte schernita».
43, 1-2: Costruisci: Tancredi dimostra al
Pagano il fianco mal guardato (difeso) dalla
[de la) spada e dallo [de lo) scudo. — 8.
guarda: guardia.
44, 8. giunta: congiunta.
45, 1-4. Virg., Aen. xii 4 « Poenorum qua-
lis in arvis Saucius ille gravi venantum
vulnero pectus, Tum demum movet arma
leo, gaudetque comantes Excutieus cervice
toros, flxumque latronis Impavidus frangit
telum et fremii ore cruento ». Ed anche
72
GERUSALEMME LIBERATA
Tale il Circasso indomito diventa,
Giunta or piaga a la piaga, ed onta al'onta;
E la vendetta far tanto desia,
Che sprezza i rischi, e le difese oblia.
46
E congiungendo a temerario ardire
Estrema forza e infaticabil lena,
Vien che si impetuoso il ferro gire,
Che ne trema la terra, e '1 ciel balena:
Né tempo ha l'altro, oud'un sol colpo tire,
Onde si copra, onde respiri a pena;
Né schermo v'è ch'assecurar il possa
Da la fretta d'Argante e da la possa.
47
Tancredi, in sé raccolto, attende in vano
Che de' gran colpi la tempesta passi:
Or v'oppon le difese, ed or lontano
Se 'n va co' giri e con veloci passi ;
Ma, poi che non s'allenta il fìer Pagano,
È forza al fin che trasportar si lassi,
E cruccioso egli ancor con quanta puote
"Violenza maggior la spada rote.
48
Vinta da l'ira è la ragione e l'arte,
E le forze il furor ministra e cresce.
Sempre che scende il ferro, o torà o parte
0 piastra 0 maglia; e colpo in van non esce.
Sparsa è d'arme la terra, e l'arme sparte
Di sangue, e '1 sangue co '1 sudor si mesce.
Lampo nelfiammeggiar, nelromor tuono,
Fulmini nel ferir le spade sono.
49
Questo popolo e quello incerto pende
Da si novo spettacolo ed atroce;
E fra tema e speranza il fin n'attende,
Mirando or ciò che giova, orcio che nóce:
E non si vede pur, né pur s'intende
Picciol cenno fra tanti, o bassa voce;
Ma se ne sta ciascun tacito e immoto,
?e non se in quanto ha il cor tremante in
[moto.
(IX 551): « Ut fera, quae densa venantum
Baepta corona, Centra tela furit seseque
haud nescia morti Inicit, et saltu supra
venabula fertur ».
46, 3. Vien: avvieu. — gire: giri.
47, 4. veloci: le 3 st. Box. e Conq.; niae-
stH Os. — {>. rote: ruoti, coordinato a si lassi.
48, 2. Virg.. Aen. i 150: « Furor arma mi-
nistrai ». — cresce: accresce: usato transi-
tivamente, come in Dante, Par. xviii 61:
«Si m'accors'io che il mio girare intorno
Col cielo insieme avea cresciuto l'arco ». —
3. parte: divide.
49, 5-8. Ariosto, Ori. xix 93, 1: « Trar
fiato, bocca aprir, o battere occhi Non si
vedea de' riguardanti alcuno; Tanto a mi-
rare a chi la palma tocchi Dei due cam-
pioni, intento era ciascuno ». — S. Se non
se: se ne togli; eccetto che.
50
Già lassi erano entrambi, e giunti forse
Sarian pugnando ad immaturo fine;
Ma si oscura la notte in tanto sorse
Ch'3 nascondea le cose anco vicine.
Quinci un araldo, e quindi un altro accórse
Per dipartirli, e li partirò al fine.
L'unoèilfranco Arideo, Pindoro è l'altro,
Che portò ladisfida, uomsaggio e scaltro.
51
I pacifici scettri osar costoro
Fra le spade interpor de' combattenti,
Con quella securtà che porgea loro
L'antichissima legge de le genti.
Séte, 0 guerrieri, incominciò Pindoro,
Con pari cuor, di pari ambo possenti.
Dunque cessi la pugna, e non sian rotte
Le ragioni e '1 riposo de la notte.
52
Tempoèda travagliar mentre ilsoldura;
Ma ne la notte ogni animale ha pace:
E generoso cor non molto cura
Notturno pregio che s'asconde e tace.
Risponde Argante: A me per ombra oscura
La mia battaglia abbandonar non piace:
Ben avrei caro il testimon del giorno!
Ma che giuri costui di far ritorno!
53
Soggiunse l'altro allora: E tu prometti
Di tornar, rimenando il tuo prigione;
Perch'altrimenti non tìa mai ch'aspetti
Per la nostra contesa altra stagione.
Cosi giuraro: e poi gli araldi, eletti
A prescriver il tempo a la tenzone,
Per dare spazio a le lor piaglie onesto,
Stabilirò il mattin del giorno sesto.
54
Lasciò la pugna orribile nel core
50, 5. Scioglimento imitato da Omero,
II. VII.
61, Guastavini: « Omero loc- cit. - Non
più, 0 figliuol cari, contendete, ne fate bat-
taglia;- lerciocché ambo due voi ama,
cougregator delle nubi. Giove; - Ed ambi
sete guerrieri; e questo veramente cono-
sciamo tutti. - La notte è oramai presente:
è bene alla notte ubbidire >. Si avverta che
nei versi precedenti ai tradotti, Omero fa
che il saggio Ideo, prima di dire le cose
riportate, ponga fra le nude spade il paci-
fico scettro.
62, 1. travagliar: operare: Petrarca, sest.
«A qualunque animai alberga in terra...
Tempo da travagliare è quanto è il giorno
ecc.».— 3-1. Orazio, Od. IV ix: « Paulura
sepultae distat inertiae Celata virtus ». —
* 8. Ma clie giuri. Os. Ma che? giuri.
63, 4. stagione: tempo. —7. onesto: con-
veniente.
CANTO VI
73
De' Saracini e de' Fedeli impressa
Un'alta, meraviglia ed un orrore
Che per lunga stagione in lor non cessa.
Sol de l'ardir si parla e del valore
Che l'un guerriero e l'altro ha mostro in es-
Ma qual si debbia di lor due preporre, [sa;
Vario e discorde il vulgo in sé discorre:
55
E sta sospeso in aspettando quale
Avrà la fera lite avvenimento;
E se U furore a la virtù prevale,
0 se cede l'audacia a l'ardimento.
Ma più di ciascun altro, a cui ne cale,
La bella Erminia n'ha cura e tormento,
Che da i giudizii de l'incerto Marte
Vede pender di sé la miglior parte.
56
Costei, che figlia fu del re Cassano,
Che d'Antiochia già l'imperio tenne,
Preso il suo regno, al vincitor cristiano,
Fra raltreprede,anch'ellain poter venne.
Ma fulle in guisa allor Tancredi umano.
Che nulla ingiuria in sua balia sostenne ;
Ed onorata fu, ne la mina
De l'alta patria sua, come reina.
57
L'onorò, la servi, di libertate
Dono le fece il cavaliero egregio;
E le furo da lui tutte lasciate
Le gemme e gli ori eciò ch'aveadi pregio.
Ella vedendo in giovanetta etate
E in leggiadri sembianti animo regio.
Restò presa d'Amor, che mai non strinse
Laccio di quel più fermo onde lei cinse.
65, 2. ayTenimento: esito, successo. —
3-4. Il furore e V audacia Bono in Argante,
la virtù e Vardimento in Tancredi. — Pe-
trarca, canz. Italia mia 93: «Virtù contra
furory Prenderà l'armi ».
66. AI Galilei questo episodio di Erminia
parve difettoso, perché privo specialmente
di decoro e di verisimiglianza. A noi no,
sembrandoci consentaneo e convenevole al
mite carattere di Erminia quale il poetala
ideò. Prima che il Galilei, altri al T. ave-
Vano già mosse queste accuse; e dotta di-
scolpa ne fa egli in una lettera [Epist. 61),
ove cita anche l'opinione di Aristotele nella
Poetica: « che non è inverisimile che molte
cose avvengano fuori del verisimile » : cfr.
la nota alla st. 60 e 89. — 1. Cassano: ho
seguita la lez. dell' Os.; le 3 st. Bon. hanno
Aciano seguendo il nome che al re d'An-
tiochia assegna Gugl. Tir.: ma altrove il
T. l'ha già chiamato Cassano: cfr. e. ii
71, 4. — 6. nulla: nessuna. — in sua balia,
essendo in potestà di lui. — sostenne: soffri ;
come in Dante, Pury. xi 136: « E li, per
trar l'amico suo di pena. Che sostenea nella
prigion di Carlo ».
58
Cosi se '1 corpo libertà riebbe,
Fu l'alma sempre in servitute astretta.
Heii molto a lei d'abbandonar increbbe
11 signor caro e la prigion diletta:
Ma l'onestà regal, che mai non debbe
Da magnanima donna esser negletta,
La costrinse a partirsi, e con l'antica
Madre a ricoverarsi in terra amica.
59
Venne a Gierusalemme; e quivi accolta
Fu dal tiranno del paese ebreo:
Ma tosto pianse in nere spoglie avvolta
De la sua genitrice il fato reo.
Pur né '1 duol che le sia per morte tolta,
Né l'esilio infelice unqua poteo
L'amoroso desio sveller dal core.
Né favilla ammorzar di tanto ardore.
60
Ama ed arde la misera; e si poco
In tale stato che sperar le avanza,
Che nudrìsce nel sen l'occulto foco
Di memoria via più, che di speranza:
E, quanto è chiuso in più secreto loco.
Tanto ha l'incendio suo maggior pos-
(sanz.i
Tancredi al fine a risvegliar sua spene
Sovra Gierusalemme ad oste viene.
61
Sbigottir gli altri a l'apparir di tante
Nazioni e si indomite e si fere:
Fé' sereno ella il torbido sembiante,
E lieta vagheggiò le squadre altere;
E con avidi sguardi il caro amante
60. Tasso {Leti. 75): < Quanto a gli amori
e a gli incanti, quanto più vi penso, tanto
più mi confermo che siano materia per sé
convenevolissima al poema eroico; parlo
de gli amori nobili, non di quelli de la
Fiammetta, né di quelli che hanno alquanto
del tragico. Né tragici io chiamo solamente
gli infelici di fine (sebbene questi maggior-
mente son tragici), perché la infelicità del
fine, come testimonia Aristotele, non è ne-
cessaria ne la tragedia; ma tragici chiamo
tutti quelli che sono perturbati con grandi
e maravigliosi accidenti, e grandemente
patetici; e tale è l'amore di Erminia, de la
quale accennerei volentieri nel poema il
fine {il che poi non fece), e '1 vorrei santo
e religioso » — 1-4. Ovidio, 3Iet. ix 749:
« Spes est, quae capiat, spes est, quae pa-
scal amorem »: Petrarca, canz. Solea della
fontan. 6: « Di memoria e di speme il cor
pascendo*, e poco dopo: «Sol memoria
m'avanza; E pasco il gran desir sol di que-
st'una». — che sperar, da sperare. — 5-6.
Ricorda Ovidio, Met. iv 64: « Quoque ma-
gia tegitur, tectua magia aeatuat ignia ».
74
GERUSALEMME LIBERATA
Cercando gio fra quelle armate schiere.
Cercollo iu van sovente, ed anco spesso:
Eccolo, disse; e '1 riconobbe espresso.
62
Nel palagio regal sublime sorge
Antica torre aSsai presso a le mura,
Da la cui sommità tutta si scorge
L'oste cristiana, e '1 monte e la pianura.
Quivi, da che il suo lume il sol ne porge,
In sin che pei la notte il mondo oscura
'
Con sollecito moto il cor le scote;
Ma de le piaghe, ch'egli avea, l'affanno
È cagion che quetar l'alma non puote:
E i fallaci roraor, ch'intorno vanno,
Crescou le cose incognite e remote;
Si ch'ella avvisa che vicino a morte
Giaccia oppresso languendo il gnerrier
67 ^ [foi'te.
E però ch'ella da la madre apprese,
Qual più secreta sia virtù de l'erbe,
S'asside, e gli occhi verso il campo gira, i e con quai carmi ne le membra offese
E co' pensieri suoi parla e sospira.
63
Quinci vide la pugna, e "1 cor nel petto
Senti tremarsi in quel punto si forte,
Che parea che dicesse: 11 tuo diletto
È quegli là ch'in rischio è de la morte.
Cosi d'angoscia piena e di sospetto
Mirò i successi de la dubbia sorte,
E, sempre che la spada il Pagan mosse.
Senti ne l'alma il ferro e le percosse.
Ma, poi ch'il vero intese, e intese ancora
Che dee l'aspra tenzon rinovellarsi,
Insolito timor cosi l'accora
Che sente il sangue suo di ghiaccio farai.
Talor scerete lagrime, e talora
Sono occulti da lei gemiti sparsi:
Pallida, esangue, e sbigottita in atto,
Lo spavento e '1 dolor v'avea ritratto.
65
Con orribile imago il suo pensiero
Ad or ad or la turba e la sgomenta;
E, via più che la morte, il sonno è fiero;
Si strane larve il sogno le appresenta.
Parie veder l'amato cavaliero
Lacero e sanguinoso ; e par che senta
Ch'egli aita le chieda; e, desta in tanto.
Si trova gli occhi e '1 sen molle di pianto.
66
Né sol la tema di futuro danno
Sani ogni piaga, e il duol si disacerbe,
(Arte che per usanza in quel paese
Ne le figlie de i re par che si serbe),
Vorria di sua man propria a le ferute
Del suo caro signor recar salute.
68
Ella l'amato medicar desia;
E curar il nemico a lei conviene:
Pensa talor d'erba nocente e ria
Succo sparger in lui che l'avvelene;
Ma schiva poi la man vergine e pia
Trattar l'arti maligne, e se n'astiene.
Brama ella al men ch'in uso tal sia vota
Di sua virtude ogn'erba ed ogni nota.
69
I Né già d'andar fra la nemica gente
: Temenza avria: che peregrina era ita,
j ìjL viste guerre e stragi avea sovente,
I E scorsa dubbia e faticosa vita;
{ Si che per l'uso la feminea mente
I
61, 8. Le 3 st. Don. e Conq. leggono cosi
il verso; ma Os. Rafflgv.rollo e disse: Egli
è pur desso.
62. Ovidio, Met. viii 14: «Regia turris
erat... Saepe illuc solita est ascendere lilia
Nisi... be.lo quoque saepe solebat Spectare
ex illa rigidi certamina Martis » — 8. Pe-
trarca, cauz. Pùi che per mio destino 76;
• sento già stancar la penna Del lungo e
dolce ragionar con lei, Ma non di parlar
meco i pensier miei ».
64, 3. Insolito timor ecc. Virg., AeM.ni29:
• mihi frigidus horror Membra quatit ge-
lidusque coit formidioe sanguis ». E ancóra:
III ì:59: « At sociis subita gelidus formidine
sanguis Diriguit ». — 8. t'area ritratto: di.
pinto. Il vi si riferisce ad atto.
66, 1. Petrarca, Tr. Mort. ii 48: « Ma più
la tema dell'eterno danno ». Ariosto. Ori.
xxvm 161: * Ma più è la tema del futuro
danno ».
67. Mella: * Tutti i romanzi di cavalle-
ria, avverte lo Chateaubriand, rammentano^
figlie di re e gentili donne istrutte nell'arte
di medicare. Queste arcane cognizioni sulla
virtù dell'erbe e la potenza di superstiziosi
amuleti facevan parte della educazione so-
lita darsi alle donzelle nobili e di corte: le
une alle altre si trasmettevano la cono-
scenza delle virtù delle erbe <»- — L'Ariosto,
di Angelica, Ori. xix21: «E rivocando alla
memoria l'arte Che in India imparò già di
chirurgia (Che par che questo studio in
quella parte Nobile e degno e di gran
laude sia; E, senza molto rivoltar di carte,
Che '1 padre ai figli ereditario il dia). Si di
spose operar con succo d'erbe Ch'a più ma-
tura vita lo riserbe ». — 7. ferate, per fe-
rite., già usato da Dante; e si troverà spesso
nel Nostro.
68, 2. nemico à^W amato., cioè Argante.
— 7. ch'in nso tal sia ròta: che nell'uso a
che deve servire, di medicar Argante, sia
priva ecc. — 8. nota: formula magica: cor-
risponde alla parola carmi della st. prece-
dente.
CANTO VI
75
Sovra la sua natura è fatta ardita-,
E di leggier non si conturba e pavé
Ad ogni imagin di terror raen grave.
70
Ma, più ch'altra cagion, dal molle seno
S;?ombra Amor temerario ogni paura;
E crederla fra l'ugne e fra'l veneno
De l'africane belve andar secura:
l'iir, se non de la vita, avere al meno
De la sua fama dee temenza e cura;
E fan dubbia contesa entro al suo core
Duo potenti nemici, Onore e Amore.
71
L'uD cosi le ragiona: 0 verginella,
Che le mie leggi in sino ad or serbasti,
, Io, mentre ch'eri de' nemici ancella,
i Ti conservai la mente e i membri casti;
E tu, libera, or vuoi perder la bella
Verginità ch'in prigionia guardasti?
Ahi! nel tenero cor questi pensieri
Chi svegliar può? che pensi, oimè? che
72 [speri?
Dunque il titolo tu d'esser pudica
Si poco stimi, e d'onestate il pregio,
Che te n'andrai fra nazì'on nemica.
Notturna amante, a ricercar dispregio?
Onde il superbo vincitor ti dica:
Perdesti il regno, e in un l'animo regio;
Non sei di me tu degna: e ti conceda
Vulgare a gli altri e mal gradita preda.
73
Da l'altra parte, il consiglier fallace
Con tai lusinghe al suo piacer l'alletta:
Nata non sei tu già d'orsa vorace.
Né d'aspro e freddo scoglio, o giovanetta;
Ch'abbia a sprezzar di Amor l'arco e la
Ed a fuggir ognor quel che diletta; [face,
Né petto hai tu di ferro o di diamante,
Che vergogna ti sia l'essere amante.
74
Deh ! vanne omai dove il desio t' invoglia.
Ma qual ti fingi vincitor crudele?
Non sai com'egli al tuo doler si doglia,
Come compianga al pianto, a le querele?
Crudt'l sei tu, che con si pigra voglia
Movi a portar salute al tuo fedele.
Langue, o fera ed ingrata, il pio Tancredi :
E tu de l'altrui vita a cura siedi!
69, 7. E di leggici- non si conturba: Né
così di leggier si turba Os. — pare: s'inti-
morisce.
70, 7-8. Ovidio, Amor, iii Eleg. x 27:
* Vidit et ut teuerae flammam rapuere me-
duUae, Hinc Pudor, ex alia parte trahebat
Amor •.
73, 3-6. Cfr. cant. iv 77; x, 4-8, e canto
XVI str. 56: Ariosto, Ori. ii 32: tE costei,
che né d'orso né di Aero Leone usci, non
sdegnò tal amante ».
75
Sana tu pure Argante, acciò che poi
Il tuo liberator sia spinto a morte;
Cosi discioiti avrai gli oblighi tuoi,
E si bel premio fia ch'ei ne riporte.
È possibil però che non t'annoi
Questo empio ministero or cosi forte.
Che la noia non basti e l'orror solo
A far che tu di qua te 'n fugga a volo?
76
Deh! ben fora, a l'in centra, uffizio umano,
E ben ne avresti tu gioia e diletto.
Se la pietosa tua medica mano
Avvicinassi al valoroso petto;
Che per te fatto il tuo signor poi sano
Colorirebbe il suo smarrito aspetto:
E le bellezze sue, che spente or sono,
Vagheggiaresti in lui quasi tuo dono.
77
Parte ancor poi ne le sue lodi avresti,
E ne l'opre ch'ei fésse alte e famose;
Ond'egli te d'abbracciamenti onesti
Faria lieta, e di nozze avventurose.
Poi mostra a dito ed onorata andresti
Fra le madri latine e fra le spose
Là ne la bella Italia, ov'è la sede
Del valor vero e de la vera fede.
78
Da tai speranze lusingata (ahi stolta!)
Somma felicitate a sé figura;
Ma pur si trova in mille dubbi avvolta
Come partir si possa indi secura; [volta
Perché vegghian le guardie, e sempre in
Van di fuori al palagio e su le mura ;
Né porta alcuna, in tal rischio di guerra,
Senza grave cagion mai si disserra.
79
Soleva Erminia in compagnia sovente
De la guerriera far lunga dimora.
Seco la vide il sol da l'occidente, \
Seco la vide la novella aurora; \
E quando son del di le luci spente.
Un sol letto le accolse ambe talora:
E nuU'altro pensier, che l'amoroso,
L'una vergine a l'altra avrebbe ascoso.
80
Questo sol tiene Erminia a lei secreto,
E s'udita da lei talor si lagna.
Reca ad altra cagion del cor non lieto
Gli affetti, e par che di sua sorte piagna.
Or, in tanta amistà, senza divieto
Venir sempre ne puote a la compagna;
Né stanza al giunger suo già mai si serra,
Siavi Clorinda, o sia in consiglio, o 'n guer-
[ra.
* 75, 3-4. Questi due versi sono ironici.
Os. legge: ne riporte?
76, 8. Yagiioggiarcsti: vagheggeresti.
80, 3. Bccu: riferisce.
76
GERUSALEMME LIBERATA
81
Vennevi un giorno ch'ella in altra parte
Si ritrovava, e si fermò pensosa,
Par tra sé rivolgendo i modi e l'arte
De la bramata sua partenza ascosa.
Mentre in varii peusier divide e parte
L'incerto animo suo, clie non lia posa,
Sospese di Clorinda in alto mira
L'arme e le sopraveste : allor sospira.
62
E tra sé dice sospirando: 0 quanto
Beata è la fortissima donzella!
Quant'io la invidio! euonle invidioil van-
O '1 feminil ouor de l'esser bella, [to
A lei non tarda i passi il lungo manto,
Né'l suo valor rinchiude invidii cella;
Ma veste l'arme, e se d'uscirne agogna
Vassene, e non la tien tema o vergogna.
83
Ah perché forti a me natura e '1 cielo
Altrettanto non fèr le membra e '1 petto
Onde potessi anch'io la gonna e '1 velo
Cangiar ne la corazza e ne l'elmetto?
Che si non riterrebbe arsura o gelo, [fetto,
Non turbo o pioggia il mio infiammato af-
Ch'al sol non fossi ed al notturno lampo,
Accompagnata o sola, armata in campo.
84
Già non avresti, o dispietato Argante,
Co '1 mio signor pugnato tu primiero;
Ch'io sarei córsa ad incontrarlo inante:
E forse or fora qui mio prigioniero,
E sosterria da la nemica amante
Giogo di servitù dolce e leggiero;
E già per li suoi nodi i' sentirei
Fatti soavi e alleggeriti i miei.
85
0 vero a me da la sua destra il fianco
Sendo percosso, e riaperto il core,
Pur risanata in cotal guisa al manco
Colpo di ferro avria piaga d'Amore:
Ed or la mente in pace e '1 corpo stanco
Riposariansi; e forse il vincitore
Degnato avrebbe il mio cenere e l'ossa
D'alcun onor di lagrime e di fossa.
8»5
Ma, lassa! i' bramo non possibil cosa,
E tra folli pensier in van m'avvolgo:
Io mi starò qui timida e dogliosa
Com'una pur del vii femineo vólgo.
Ah! non starò: cor mio. confida ed osa.
Perch'nna volta anch'io l'arme non tolgo?
Perché per breve spazio non potrolle
Sostener, ben che sia debile e molle?
87
Si potrò, si: che mi farà possente
A tollerarne il peso Amor tiranno;
Da cui spronati, ancor s'arman sovente
D'ardire i cervi imbelli e guerra fanno.
i Io guerreggiar non già, vuo' solamente
Far con quest'arme un ingegnoso ingan-
Finger mi vo' Clorinda; e. ricoperta [no;
Sotto Timagin sua, d'uscir sou certa.
83
Non ardirieno a lei far i custodi
De l'alte porte resistenza alcuna.
Io pur ripenso, e non veggio altri modi:
Aperta è, credo, questa via sol una.
Or favorisca l'innocenti frodi
Amor, che le m'inspira, e la fortuna.
E ben al mio partir comoda è l'ora,
Mentre co '1 re Clorinda anco dimora.
89
Cosi risolve: e, stimolata e punta
Da le furie d'Amor, più non aspetta:
Ma da quella a la sua stanza congiunta
L'arme involate di portar s'afi"retta:
E far lo può; che, quando ivi fu giunta,
Die loco ogn'altro, e si restò soletta;
E la notte i suoi furti ancor copria,
Ch'a i ladri amica ed a gli amanti uscia.
90
Essa veggendo il ciel d'alcuna stella
Già sparso intorno divenir più nero,
Senza frapporvi alcuno indugio, appella
Secretameute un suo fedel scudiero
Ed una sua leal diletta ancella,
E parte scopre lor del suo pensiero:
Scopre il disegno de la fuga, e finge
Ch'altra cagion a dipartir l'astringe.
81, 5-6. Virgilio, Aen. iv 285: « Atque
animum nane huc celerem, nuuc dividit 11-
luc: In partesque rapit varias ».
83, 7. lampo: raggio: notturno lampo: la
luna.
85, 6. Kipos.iriansi: riposeriansi.
86, 3. Io mi starò: cosi leggono le 3 st.
BoN. e CONQ., e mettono punto fermo ove
termina il vers. seg. ; ma Dunque io stxrò
con punto interrog. dopo volgo Os.
87, 2. A sostenerne il peso legge Conq.;
Amoi\ onde alta forza i raen forti hanm
03. — 3-4. «Boccaccio, Fiararixeita: — B
ne' boschi timidi cervi fatti fra sé feroci,
quando costui {Amore) gli tocca, perle d(
siderate cerve combattendo ecc. ». (Guastai
vini).
89, \. Cosi risolte ecc.: Il T. a chi pareva
strano che Erminia s'armi, che monti a ca-
vallo, che ésca della città, opponeva (Lett. 61
già cit.) i fatti di Scilla che, per tradire il
padre, uscita dalla città andò al campo ne-
mico, e di Clelia, che, in compagnia delle
vergini date in ostaggio, ingannò le guar-
die, parti dai nemici e passò a nuoto il
Tevere ; aggiungendo che la forza che spinse
le vergini, cioè l'emulazione delle civili
virtù, appar meno efficace di quella che
spinge Erminia: l'amore.
CANTO VI
77
91
I.o scudiero fedel sùbito appresta
Ciò eli'al lor uopo necessario crede.
Knuiuia in tanto la pomposa vesta
Si spoglia, clic le scende in sino al piede.
E in ischietto vestir leggiadra resta
E snella si, ch'ogni credeiiza eccede:
Né, trattane colei ch'a la partita
Scelta s'avca, compagna altra l'aita.
92
Co '1 durissimo acciar preme ed offende
11 delicato collo e Taurea chioma;
E la tenera man lo scudo prende,
l'ur troppo grave e insopportabil soma.
Cosi tutta di ferro intorno splende,
E in atto militar sé stessa doma.
(jode Amor, eh' è presente, e tra sé rido,
Cora'allorgià ch'avvolse in gonna Alcide.
93
Oh! con quanta fatica ella sostiene
L'inegual peso, e move lenti i passi;
Ed a la fida compagnia s'attiene,
Clie per appoggio andar dinanzi fassi.
Ma rinforzan gli spirti Amore e spene,
E iiiinistran vigore a i membri lassi;
si che giungono al loco ove le aspetta
Lo scudiero, e in arcion sagliouo in fretta.
94
Travestiti ne vanno, e la più ascosa
E più riposta via prendono ad arte:
Pur s'avvengono in molti, e l'aria ombrosa
Veggion lucer di ferro in ogni parte;
Ma impedir lor viaggio alcun non osa,
E, cedendo il sentier, ne va in disparte;
Che quel candido ammanto e la temuta
Insegna anco ne l'ombra è conosciuta,
95
Erminia, ben che quinci alquanto sceme
Del dubbio suo, non va però secura;
Che d'essere scoperta a la fin teme,
E del suo troppo ardir sente or paura:
Ma pur, giunta a la porta, il timor preme,
Ed ingannò colui che n'ha la cura.
Io son Clorinda, disse; apri la porta;
Ché'J re m'invia dove l'andare importa.
96
La voce feminil sembiante a quella
91, 3-6. Ariosto, di Marfisa, Ori. xxvi
SO 5: « Trasse la gonna ed in farsetto uscio;
E le belle fattezze e il ben disposto Corpo
mostrò ». — 5. {.schietto: semplice.
92, 6. doma: fa violenza a se stessa; Pe-
trarca, Tr. Am. HI 30: «Or in atto servii
sé stessa doma ».
93, 2. ine^nal; sproporzionato alle forze
di ei.
91, 7-8. la temuta Insegna: cioè la tigre
Che fiulVelmo ha per cimiero^ cfr. e. ii 38, 5.
95 1. quinci. Os. quivi.
De la guerriera, agevola l'inganno,
(Chi crederla veder armata in sella
Una de l'altre, ch'arme oprar non sanno?) :
Si che'l portier tosto ubbidisce; ed ella
N'esce veloce, e i duo che seco vanno:
E per lor securezza entro le valli
Calando prendon lunghi obliqui calli.
97
Ma, poi ch'Erminia in solitaria ed ima
Parte si vede, alquanto il córso allenta.
Ch'i primi rischi aver passati estima,
Né d'esser ritenuta omai paventa.
Or pensa a quello a che pensato in prima
Non bene aveva; ed or le s'appresenta
Difficil più, ch'a lei non fu mostrata
Dal frettoloso suo desir, l'entrata.
93
Vede or che sotto il militar sembiante
Ir tra feri nemici è gran follia;
Né d'altra parte palesarsi, iiiante
Ch'ai suo signor giungesse, altrui vorria.
A lui secreta ed improvisa amante
Con secura onestà giunger desia;
Onde si ferma, e da miglior pensiero
Eatta più cauta, parla al suo scudiero:
99
Essere, o mio fedele, a te conviene
Mio precursori ma sii pronto e sagace.
Vattene al campo, e fa' ch'alcun ti mene
E t'introduca ove Tancredi giace:
A cui dirai che donna a lui ne viene,
Che gli apporta salute e chiede pace:
Pace; poscia ch'Amor guerra mi move,
Ond'ei salute, io refrigerio trove :
100
E ch'essa ha in lui si certa e viva fede,
Ch'in suo poter non teme onta né scorno.
Di'sol questo a lui solo; es'altro ei chiede
Di' non saperlo; e affretta il tuo ritorno.
lo (che questa mi par secura sede)
In questo mezzo qui farò soggiorno.
Cosi disse la donna; e quel leale
Gin veloce cosi come avesse ale.
101
E 'n guisa oprar sapea, ch'amicamente
Entro a 1 chiusi ripari era raccolto,
E poi condotto al cavalier giacente,
Che l'ambasciata udia con lieto vólto:
E già lasciando ei lui, che ne la mente
Mille dubbii pensier avea rivolto,
Ne riportava a lei dolce risposta:
Ch'entrar potrà, quanto più lice, ascosta.
102
Ma ella in tanto impaziente, a cui
Troppo ogni indugio par noioso e greve,
0-
101, 1. E 'n guisa oprar sapca: cosi le
f5t. BoN. e CoNQ.; E seppe in guisa oprar
OS. — * 4. udi'a. Os, udì.
73
GERUSALEMME LIBERATA
Numera fra se stessa i passi altrui,
E pensa: or giunge, or entra, or tornar de-
E già le sembra, e se ne duol, colui [ve.
Men del solito assai spedito e leve.
Spingesi al fine inauti, e 'n parte ascende
Onde comincia a discoprir le tende.
10 i
Era la notte, e '1 suo stellato velo
Chiaro spiegava e senza nube alcuna;
E già spargea rai lumino-?! e gelo
Di vive perle la sorgente luna.
L'innamorata donna iva co '1 cielo
Le sue fiamme sfogando ad una ad una;
E secretarli del suo amore antico
Fea i muti campi e quel silenzio amico.
104
Poi, rimirando il campo, ella dicea:
0 belle a gli occhi miei tende latine!
Aura spira da voi che mi ricrea,
E mi conforta pur che m'avvicina:
Cosi a mia vita combattuta e rea
Qualche onesto riposo il ciel destine,
Come in voi solo il cerco, e solo parmi
Che trovar pace io possa in mezzo a Tarmi.
105
Raccogliete me dunque: e in voi si trove
Quella pietà che mi promise Amore,
E ch'io già vidi, prigioniera altrovje,
Nel mansueto mio dolce signore:
Né già desio di racquistar mi move
Co '1 favor vostro il mio regale onore:
Quando ciò non avvenga, assai felice
lo mi terrò, se "n voi servir mi lice.
lOG
Cosi parla costei; che non prevede
Qual dolente fortuna a lei s'ajìpreste.
Ella era in i)nrte ove per dritto tìede.
L'armi sue terse il bel raggio celeste;
Si che da lunge il lampo lor si vede
Co'l bel candor che le circonda e veste;
E la gran tigre ne l'argento impressa
Fiammeggia si, ch'ognun direbbe: E des-
io? [sa.
Come volle sua sorte, assai vicini
102, 3-6. L'Ariosto, di Ruggiero, Ori. va
25, 5: « Tra sé dicea sovente : or si part'ella,
E cominciava a noverar i passi Ch'esser,
potean da la sua stanza a quella, Donde
aspettando sta ch'Alcina passi ».
103, 5-8. Petrarca, son. Quaìido '/ sol ba-
gna 3: ' Col cielo e con le stelle e con la
luna Un'angosciosa e dura notte innarro.
Poi, lasso, a tal che non m'ascolta narro
Tutte le mie fatiche ad una ad una »•
105, 8. se 'n voi: se accolta entro di voi.
106, 3. per dritto flede: dirittamente feri-
sce. Vijg., Aen. IX 373: »^t galea Euryalum
Bublustri noctis in umbra ProdiJit imme-
morem, radiisque adversa refulsit >.
Molti guerrier disposti avean gli agguati;
E n'eran duci duo fratei latini,
.Meandro e Poliferno; e fiir mandati
Per impedir che dentro a i Saracini
Greggenonsiano, enonsian buoi menati:
E se '1 servo passò, fu perché torse
Più lunge il passo, e rapido trascorse.
108
Al giovin Poliferno, a cui fu il padre
Su gli occhi suoi già da Clorinda ucciso,
Viste le spoglie candide e leggiadre,
Fu di veder l'alta guerriera avviso -.
E contra le irritò le occulte squadre;
Né frenando del cor moto iniproviso
(Come era in suo furor sùbito e folle)
Gridò: Sei morta, e l'asta in van lanciolle.
109
Si come cerva, ch'assetata il passo
ilOva a cercar d'acque lucenti e vive,
Ove un bel fonte distillar d'un sasso,
0 vide un fiume tra frondose rive,
Se incontra i cani allor che '1 corpo lasso
Ivistorar crede a l'onde, a l'ombre estive,
Volge in dietro fuggendo, e la paura
La stanchezza obliar face e l'arsura;
HO
Cosi costei, che de l'amor la séte.
Onde l'infermo core è sempre ardente,
Spegner ne Taccoglienze oneste e liete
Credeva, e riposar la stanca mente;
Or che contra lei'vien chi gliel diviete,
E '1 suon del ferro e le minacele sente,
Sé stessa e '1 suo desir primo abbandona,
E '1 veloce destrier timida sprona.
Ili
Fugge Erminia infelice; e'isuodestriero
Con prontissimo piede il 'suol calpesta.
Fugge ancor l'altra donna ; e lor quel fero
Con molti armati di seguir non resta.
Ecco che da le tende il buon scudiero
Con la tarda novella arriva in questa,
E l'altrui fuga ancor dubbio accompagna,
E gli sparge il timor per la campagna.
112 ^ '
Ma il più saggio fratello, il quale anch'es-
La non vera Clorinda avea veduto, [so
Non la volle seguir, ch'era men presso;
;Ma ne l'insidie sue s'è ritenuto:
E mandò con l'avviso al campo un messo,
Che non armento od animai lanuto.
Né preda altra sirail, ma eh' è seguita
109. Cfr. la fuga d'Angelica nell'Ariosto,
Ori. I 13 e segg.
110, 3. Cfr. Dante, Purg. vii 1. — 5. Sé-
guito la lez. della Conq.; le 3 st. Bonn. Or
che contra gli v. * Solerti, con l'Os., legge:
! Or che vien contra lei.
I 111, 6. in qnesta: in questo tempo. — 8.
I sparge: sbanda. '
CANTO VI
79
Dal suo german Clorinda impaurita:
113
E ch'ei non crede già, né '1 vuol ragione,
Ch'ella, ch'è duce, e non è sol guerriera,
Elegga a l*Trscir suo tale stagione,
Per opportunità che sia leggiera:
Ma giudichi e comandi il pio Buglione;
Egli farà ciò che da lui s'impera.
Giunge al campo tal nova, e se n'intende
Il primo suon ne le latine tende.
114
Tancredi cui dinanzi il cor sospese
114, 1. cui dinanzi: cosi leggono le 3
Quell'avviso primiero, udendo or questo,
Pensa: Deh! forse a me venia cortese,
E 'n periglio è per me, né pensa al resto.
E parte prende sol del grave arnese.
Monta a cavallo, e tacito esce e presto;
E seguendo gli indizi e l'orme nove,
Kapidaraente a tutto córso il move.
Box.; a cui diami Conq.; cui già il nun-
cio Os. — sospese: rese dubbioso; Dante,
Par. xxxii: ♦< Che quantunque [iutlo quello
che] io avea visto davaute, Di tanta amrni-
razion non mi sospese <*. — 5.
matura, già nof,.
arnc8e: ar-
1
In tanto Erminia in fra l'ombrose piante
D'antica selva dal cavallo è scórta;
Né più governa il fren la man tremante,
E mezza quasi par tra viva e morta.
1. Tasso (Leu. 25) : « potrà forse parer ...
che nel principio del settimo canto ne g-li
errori di Erminia e di Tancredi io mi slar-
ghi troppo da la favoia; ma in questa parte
io ho apparecchiate gagliardissime difese...
Insomma mi è parato, sin che le machine
non erano fatte, né v'era che fare, ch'io
mi potessi slargare alquanto, senza però
perdere di mira il fine del tutto * Nella
Conquisi.., e. viii, riduce l'episodio a poche
ottave, stralciando tutta la parte che ri-
guarda il pastore: cfr. sotto, str. 6 nota.
— 1. fra l' ombrose piante ecc. Ariosto,
d'Angelica, Ori. i 3H, 1: «Fugge tra selve
spaventose e scure Per lochi inabitati,
ermi e selva^rgi ». — 2. scòrta: condotta. —
CANTO VII.
Fuga d' Erminia, e sua
vita tra i pastori -^^ Tan
credi inseguc la creduta
Clorinda, poi, volendo ri-
tornare al campo, capita
nel castello incantato sul
mar morto, dove pugna
con Rambaldo ; e resta
prigioniero d'Armida V^
Argante nel giorno stabi-
lito esce per combattere
Tancredi ^ Sgomento dei
cristiani : Goffredo vuol
andargli contro -^kr È ratte-
nuto ^ Raimondo, tratto
a sorte, combatte con Ar
gante -^ L'inferno fa si che
Gradino turbi il duellò
-k Ziiilà generale dei due
eserciti TÉr Temporale
mosso dai demòni -^ I
cristiani hanno la peggio*
Per tante strade si raggira e tante
Il corridor ch'in sua balia la porta,
Ch'ai fin da gli occhi altrui pur si dilegua:
Ed è soverchio omai ch'altri la segua.
2
Qual dopo lunga e faticosa caccia
Tornansi mesti ed anelanti i cani,
Che la fera perduta abbian di traccia,
7. Ch'ai fin ecc.: Il sogg. di questa proposiz,
consequenziale non è il corridore, ma Er-
minia, come dimostra il verso successivo,
— 8. soverchio: inutile.
2. Ariosto, Ori. XXXIX 69, di Bradamanttì
e Marfisa: «Come due belle e genero
pavde, Che fuor del lascio sien di pari
uscite. Poscia che i cervi o le capre ga-
gliarde Indarno aver si veggono seguite.
Vergognandosi quasi che fur tarde. Sde-
gnose se ne tornano e pentite; Cosi tornàfi
le due donzelle, quando Videro il pagani
salvo, sospirando »; cfr. il Nostro e. iv 95, *
il
CANTO VII
81
Nascosa in selva da gli aperti piani;
Tal pieni d'ira e di vergogna in faccia
Riedono stanchi i cavalier cristiani.
Ella pur fugge, e timida e smarrita
Non si volge a mirar s'anco è seguita.
3
Fuggi tutta la notte, e tutto il giorno
Errò senza consiglio e senza guida.
Non udendo o vedendo altro d'intorno,
Che le lagrime sue, che le sue strida.
Me ne l'ora che '1 sol dal carro adorno
Scioglie i corsieri, e in grembo al mar s'an-
[nida,
Giunse delbelGiordanoalechiare acque,
E scese in riva al fiume, e qui ai giacque,
4
Cibo non prende già; che de' suoi mali
Solo si pasc«, e sol di pianto ha séte:
Ma '1 sonno, che de' miseri mortali
È co '1 suo dolce oblio posa e quiete,
Sopi co' sensi i suoi dolori, e l'ali
Dispiegò sovra lei placide e chete;
Né però cessa Amor con varie forme
La sua pace turbar mentre ella dorme.
5
Non si destò sin che garririgli augelli
Non senti lieti e salutar gli albori,
E mormorar il fiume e gli arboscelli,
E con l'onda scherzar l'aiira e co i fiori.
Apre i laug^uidi lumi, e guarda quelli
Alberghi solitarii de' pastori;
E parie voce udir tra l'acqua e i rami,
Ch'a i sospiri ed al pianto la richiami.
7-8. — 4. da gli aperti plani: sott. fuggendo
dagli ecc. — 8. s'anco : se tuttora.
3, 1-2. Ariosto, di Angelica, Orl.i 35, 1:
« Quel di e la notte e mezzo l'altro giorno
S'andò aggirando, e non sapeva dove »,
4, 1-2. Ovidio, di Clizia, Met. iv 262:
« Perque novem luces expers undaeque ci-
bique, Rore mero lacrimJsque suis ieiunia
pascit»; e d'Orfeo (x 73): « Septera tamen
ille diebus Squallidus in ripa, Cereris siue
munere, sedit: Cura, dolorque animi lacri-
maeque alimenta fuere ». E il Petrarca,
son. Poi che il cammin 5; « l'asco '1 cor di
sospir ch'altro non chiede, E di lagrime
vivo >. — 3-6. Ovidio Met. xi 625: « Somne,
quies rerum, placidissime, Somne, deorura,
i'ax animi quo.m cura fugit, qui corpora
duris Fessa ministeriis mulces reparasque
labori ! ».
6, 1-4. Virg. Aen. viii 455: « Evandrum
ex humili tecto lux suscitai alma Et matu-
tini volucrum sub culmine cantus ». — 7.
parie roce udir. 1 romori delle acque e dei
rami, richiamando Ern\inia alla realtàdella
vita, la richiamano al pianto. — Bonn. 2
legge uscir, ma udir Bonn. 1-3 e Conq.
Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti
Rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene,
Che sembra, ed è, di pastorali accenti
Misto e di boscareccie inculte avene.
Risorge, e là s' indrizza a passi lenti,
E vede un uom canuto a l'ombre amene
Tesser fiscelle a la sua greggia a canto,
Ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
7
Vedendo quivi comparir repente
L'insolite arme, sbigottir costoro;
Ma gli saluta Erminia, e dolcemente [ro:
Gli affida, e gli occhi scopre eibei crind'o-
Seguite, dice, avventurosa gente
Al Ciel diletta, il bel vostro lavoro;
Che non portano già guerra quest'armi
A l'opre vostre, a i vostri dolci carmi.
8 [torno
Soggiunse poscia: 0 padre, or che d'iu-
D'alto incendio di guerra arde il paese.
Come qui state in placido soggiorno
Senza temer le militari ofì:ese?
Figlio, ei rispose, d'ogni oltraggio e scorno
La mia famiglia e la mia greggia illese
Sempre qui fur; né strepito di Marte
Ancor turbò questa remota parte.
9
0 sia grazia del Ciel, che l'umiltade
D'innocente pastor salvi e sublime;
0 che, si come il folgore non cade
In basso pian ma su l'eccelse cime,
6, Nella Conquisi, volendo, come si è
detto, togliere l'episodio del pastore, riunì
la stanza 6 con la 22 in questo modo e. vii 6:
« Piange e sospira; e quando i caldi raggi
Fuggon le greggie, a la dolce ombra as-
sise. Ne la scorza de' pini, o pur de' faggi
Segnò l'amato nome in mille guise: E de la
sua fortuna i gravi oltraggi, E i vari casi
in dura scorza incise: E 'n rileggendo poi
le proprie note Spargea di pianto le ver-
miglie gote ». — i boscareccie: boscherec-
cie. — inculte avene: rozze zampogne. —
7. fiscelle: cestelle, zane tessute di vinchi.
7, 4. Gli affida: li assicura: cfr. e. iv39, 7.
8, 4. le militari: cosi leggono BON.^-^^ e
Os. ; de gl'inimici Bon.^, e certo in questo
idtirao modo scrisse da primo il T., ma tìn
dal 1576 avvertiva (come si è già not., e.
IV 41) che la parola inimici non ^M gar-
bava. ~ 5. Con qualche ragione il Galilei:
« Questo è un pastore da recitar in Arcadia
in qualche tragedia pastorale, e non da
parlare in un'epica poesia; cosi ragiona in
punta di forchetta ». Pure è da notarsi che
il pastore era stato lungamente a corte, in
Menfi: cfr. sotto, st. 12.
9, 3-4. Seneca, Octavia, Act. v 895: « Qua-
tiunt altaa saepe procellae. Aiit evertit For-
6 — Tasso, Ocrusalemme liberata.
82
GERUSALEMME LIBERATA
Cosi il furor di peregrine spade
Sol de' gran re l'altere teste opprime;
Né gli avidi soldati a preda alletta
La nostra povertà vile e negletta:
10
Altrui vile e negletta, a me si cara,
Che non bramo tesor né regal verga;
Né cura o voglia ambiziosa o avara
Mai nel tranquillo del mio petto alberga.
Spengo la séte mia ne l'acqua chiara,
Che non tem'io che di venen s'asperga;
E questa greggia e Torti cel dispensa
Cibi non compri a la mia parca mensa.
11
Che poco è il desiderio, e poco è il nostro
Bisogno, onde la vita si conservi.
Son figli miei questi ch'addito e mostro,
Custodi de la mandra, e non ho servi.
Cosi me 'n vivo in solitario chiostro,
Saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
Ed i pesci guizzar di questo fiume,
E spiegar gli augelletti al ciel le piume.
12
Tempo giàfu, quando più l'uora vaneggia
Ne l'età prima, ch'ebbi altro desio,
E disdegnai di pasturar la greggia,
E fuggii dal paese a me natio:
E vissi in Mentì un tempo, e ne la reggia
Fra i ministri del re fui posto anch'io;
E, ben che fossi guardian de gli orti,
Vidi e conobbi pur l'inique corti.
tuna domos ». E Claadiano, Epist. i 39:
- Nec parvi frutices iram raeruere Toaan-
tis: Ingentes quercus, annosas fulgurat or-
nos '. — 7-S. Lucano, Phars. v 526, del pe-
scatore Amicla parlante a Cesare: «Securus
belli praedam civilibus armis Scit non esse
casas >.
10, 2. regal verga: scettro. — 3. arara:
bramosa di ricchezze cfr. e. ii 83, 1. —7-8.
Orazio, Epod. ii 47: «Et horna dulci vina
promens dolio, Dapes inemptas apparet ».
11, 3. Sembra al Galilei inopportuno che
il pastore insista a mostrare ed additare i
propri figliuoli quando altri non v' è in quel
luogo. — 5. chiostro, o chiostra, che pro-
priamente significa liiogo chiuso (cfr. e. iv
9, 7), prende vari significati a seconda degli
aggettivi che l'accompagnano: qui solitario
chiostro vale luogo appartato e solitario; e
solitudine secreta è chiamato questo luogo
alla st. 14. 6.
12, 5. Henfl: ove, secondo il T. era la
corte del re di Egi:to ; il che, come osserva
giustamente il Mella, é contrario alla sto-
ria, perché Menfi era stata distrutta fin dal
650 dalle orde devastatrici di Ebnas, gene-
rale del tremendo Omar. Al tempo della
prima crocirtta la capitale dell'Egitto era
13
Pur lusingato da speranza ardita
Soffrii lunga stagion ciò che più spiace;
Ma poi ch'insieme con l'età fiorita
Mancò la speme e la baldanza audace
Piansi i riposi di quest'umil vita
E sospirai la mia perduta pace;
E dissi: 0 corte, addio. Cosi, a gli amici
Boschi tornando, ho tratto i di felici.
14
Mentr'ei cosi ragiona, Erminia pende
Da la soave bocca intenta e cheta;
E quel saggio parlar, ch'ai cor le scende,
De' sensi in parte le procelle acqueta.
j Dopo molto pensar, consiglio prende
In quella solitudine secreta
In sino a tanto almen farne soggiorno,
Ch'agevoli fortuna il suo ritorno.
15
Onde al buon vecchio dice: 0 fortunato,
Ch'un tempo conoscesti il male a prova.
Se non t'invidi il Ciel si dolce stato,
De le miserie mie pietà ti mova;
E me teco raccogli in cosi grato
Albergo, ch'abitar teco mi giova.
Forse tìa che'l mio core in fra quest'ombre
Del suo peso mortai parte disgombre.
16
Che se di gemme e d'or, che '1 vulgo adora
Si come idoli suoi, tu fossi vago.
Potresti ben, tante n'ho meco ancora,
Renderne il tuo desio contento e pago.
Quinci, versando da' begli occhi fora
E1 Caira {la vittoriosa), che é l'odierno
Cairo.
13, 1. Par; ma Os. E. — laslngato: qui
pure usato nel suo vero senso: allettato in-
gannevolmente.
U, 1. pende: Virg. Aen. iv 79: «pendetque
iterum narrantis ab ore »: cfr. e. i 10, 7.
15, 3. Se: deprecativo, lat. sic; d'uso fre-
quente nei nostri classici. Dante, Purg. v
85: < Deh, se quel disio Si compia che ti
tragge all'alto monte. Con buona p'ietate
aiuta il mio ». Boccaccio, Decani, nov. 76:
«Se io non sia impiccato per la gola, che
egli m'è stato imbolato». — invidi: tolga.
— 5. cosi; Os. questo. — 6. giova: giovare
per piacere, esser caro. Poliziano [Stanze
I 18): «Quanto giova a mirar pender da
un'erta Le capre, e pascer questo e quel
virgulto ».
16, 1-4. Lucano, nella Phars, v 532, fa
che Cesare cosi induca il povero pescatore
Amicla a traghettarlo in Italia: « Expecta
votis malora modestis, Spesque tuas laxa,
iuvenis: si lussa secutus, Me vehis Hespe-
riam, non ultra cuncta carinae Debebis,
raanibusque inopem duxisse sonecta?:^ ».
CANTO VII
83
Umor di doglia cristallino e vago,
Parte narrò di sue fortunq; e in tanto
Il pietoso pastor pianse al suo pianto.
17
Poi dolce la consola, e si l'accoglie,
Come tutt'arda di paterno zelo;
E la conduce ov' è l'antica moglie,
Che di conforme cor gli ha data il Cielo.
La fanciulla regal di rozze spoglie
S'ammanta, e cinge al crin ruvido velo;
Ma nel moto de gli occhi e de le membra
Non già di boschi abitatrice sembra.
18
Non copre abito vii la nobil luce,
E quanto è in lei d'altero e di gentile;
E fuor la maestà regia traluce
Per gli atti ancor de l'esercizio umile.
Guida la greggia a i paschi e la riduce
Con la povera verga al chiuso ovile;
E da l'irsute mamme il latte preme,
E'n giro accolto poi lo stringe insieme.
19
Sovente, allor che su gli estivi ardori
Giacean le pecorelle a l'ombra assise,
Ne la scorza de' faggi e de gli allori
Segnò l'amato nome in mille guise:
E de' suoi strani ed infelici amori
Gli aspri successi in mille piante incise;
E in rileggendo poi le proprie note
Rigò di belle lagrime le gote.
— 6. doglia: ha qui significato di dolor mo-
rale.
17, 5. di rozze spoglie ecc.: Ariosto, di
Angelica, Ori. xi 10: « In certi drappi rozzi
avviluppossi. Dissiinil troppo ai portamenti
suoi ... Non le può tòr però tant'uniil gonna,
Che bella non rassembri e nobil donna ».
18, 1. Non copre ecc.: Guastavini: «da
Lucano, Phars. v 538 - ... quamquam ple-
beio tectus amictu indocilis privata loqiii -
e da Eliodoro nel v dell'/scoria Etioj)ìca
in discrivendo la bellezza di Oarichia ve
stita da naendica in questo modo: - E quan
tunque fusse già tutto caldo e ripieno de
la bellezza di Carichia (appariva Io splen-
dor della bellezza sua in quell'abito villesco,
non altrimenti che soglia la luna fra le nu-
vole risplendere) non di meno ecc. - ». —
8, E'n givo ecc. Guastavini: «Con meravi-
gliosa felicità et energia, apportando mi-
nute circostanze, senza discendere a bas-
sezza alcuna, descrive bassissimo effetto,
com'è il far del formaggio ».
19, 1. Sovente ecc. Ariosto Ori. Kix 108:
• ovunque un arbor dritto Vedesse ombrare,
0 fonte 0 rivo puro; V'avea spillo o coltel
sùbito fitto; Cosi se v'era alcun sasso meu
duro. Ed era fuori in mille luoghi scritto,
E cosi in casa in altri tanti il muro, Ange-
20
Indi dicea piangendo: In voi serbate
Questa dolente istoria, amiche piante;
Perché, se fia ch'a le vostr'ombrc grate
Giammai soggiorni alcun fedele amante,
Senta svegliarsi al cor dolce piotate
De le sventure mie si varie e tante;
E dica: Ah troppo ingiusta empia mercede
Die fortuna ed amore a si gran fede!
21
Forse avverrà, se '1 Ciel benigno ascolta
Affettuoso alcun prego mortale,
Che venga in queste selve anco tal volta
Quegli a cui di me forse or nulla cale;
E, rivolgendo gli occhi ove sepolta
Giacerà questa spoglia inferma e frale.
Tardo premio conceda a' miei martiri
Di poche lagrimette e di sospiri:
22
Onde, se in vita il cor misero fue,
Sia lo spirito in morte almen felice,
E '1 cener freddo de le fiamme sue
Goda quel ch'or godere a me non lice.
Cosi ragiona a i sordi tronchi; e due
Fonti di pianto da' begli occhi elice.
Tancredi in tanto, ove fortuna il tira
Lunge da lei, per lei seguir, s'aggira.
23
Egli, seguendo le vestigia impresse,
Rivolse il córso a la selva vicina;
Ma quivi da le piante orride e spesse
Nera e folta cosi l'omhra dechina.
Che più non può raffigurar tra esse
L'orme novelle, e 'u dubbio oltre cammi na,
Porgendo intorno pur l'orecchie intente
Se calpestio, se romor d'armi sente.
24
E se pur la notturna aura percote
Tenera fronde mai d'olmo o di faggio,
0 se fera od augello un ramo scote,
lica e Medoro in vari modi Legati insieme
di diversi nodi ».
20, 1. Indi: OS. poscia; forse per isfug-
gire la ripetiz. del suono Indi dicea. — 7,
E dica ecc.: Imitato da Teocrito cosi tra-
dotto dal Gentile: « Amor m'uccise, o vian-
dante; resta, E di', restando: empio com-
pagno avesti ».
21, 8. Petrarca, son. Avventicroso più 13:
« Prega, Sennuccio mio, quando '1 vedrai,
Di qualche lagrimetta o d'un sospiro ».
Tutta la stanza, nella sua intonazione, ci
richiama a un altro luogo del Petrarca, alle
strofe 2-3 della canz. Chiare fresche e dolci
acque.
22, 4. quel ch'or godere ecc.: cioè d'es-
sere corrisposto da Tancredi. — 6. elico;
tragge, spreme: cfr. e. iv 77, 1.
* 24, 2. fronde. Cosi leggono le tre B o
84
GERUSALEMME LIBERATA
Tosto a quel picciol suon drizza il viaggio.
Esce al fin de la selva; e per iguote
Strade il conduce de la luna il raggio
Verso un romor che di lontano udiva.
In sin che giunse al loco ond'egli usciva.
25
Giunse dove sorgean da vivo sasso
In molta copia chiare e lucide onde;
E fattosene un rio volgeva a basso
Lo strepitoso pie tra verdi sponde.
Quivi egli ferma addolorato il passo,
E chiama; e sola a i gridi Eco risponde:
E vede in tanto con serene ciglia
Sorger l'aurora candida e vermiglia.
26 _ _ [gna
Geme cruccioso, e 'n contra il ciel si sde-
Che sperata gli neghi alta ventura;
Ma de la donna sua, quand'ella vegna
Offesa pur, far la vendetta giura.
Di rivolgersi al campo al fiu disegna,
Che la via ritrovar non s'asseciira;
Che gli sovvien che presso è il di prescritto
Che pugnar dee col cavalier d'Egitto.
27
Partesi; e mentre va per dubbio calle,
Odeun córso appressar ch'ognor s'avanza:
Ed al fine spuntar d'angusta valle
Vede uom che di corriere avea sembianza.
Scotea mobile sferza, e da le spalle
Pendea il corno su'l fianco a nostra usanza.
Chiede Tancredi a lui, per quale strada
Al campo de' Cristiani indi si vada.
23
Quegli italico parla: Or là m'invio
Dove m'ha Boemoudo in fretta spinto.
Os. Il Solerti tace di queste fonti e legge
froyicla.
25, 8. Ariosto, Ori. iv 68: -Poi che la
luce candida e vermiglia De l'altro giorno
aperse l'emispero ».
26, 6. Che la ria ritrorar; BoN.^ e Os.
leggono: Benché la via, trovar,
27, Tancredi che per inganno e per in-
canti è distornato dal trovarsi nel giorno
prefisso alla pugna, ricorda (se bene il Tasso
cerchi di riaccostarsi più al verosimile) Ri-
naldo nel Boiardo, parte lev dt-UOrZ.
I/in., tolto al duello con Gradasso per arte
di Malagigi; il castello in che Tancredi
riman prigione, ne riconduce, e alla nave
sulla quale neU'OW. Inn. arrivano i due
combattenti, ed al palazzo d'Atlante ove
arrivano neirAriosto (Ori. xn e xiii) Or-
lando, Ruggero e Bradamante; il messag-
gero in fine (trattone sempre che qui è
reale e là finzione), è una sostituzione di
Draghignazzo, e delle larve mosse da Atlante,
che nei due poeti romanzeschi sono d'occa-
sione e di guida all' imprigionamonto.
Segue Tancredi lui che del gran zio
Messaggio stima, e crede al parlar finto.
Giungono al fin là dove un sozzo e rio
Lago impaluda, ed un Castel n'è cinto,
Ne la stagion che '1 sol par che s'immerga
Ne l'ampio nido ove la notte alberga.
29
Suona il corriero, in arrivando, il corno,
E tosto giù calar si vede un ponte:
Quando latin sia tu, qui far soggiorno
Potrai, gli dice, in fin che'l sol rimonte;
Che questo loco, e non è il terzo giorno,
Tolse a i Pagani di Cosenza il conte.
Mira il loco il guerrier, che d'ogni parte
Inespugnabil fanno il sito e l'arte.
30
Dubita alquanto poi, ch'entro si forte
Magione alcuno inganno occulto giaccia.
Ma come avvezzo a i rischi de la morte,
Motto non fanne, e no '1 dimostra in faccia;
Ch'ovunque il guidi elezione o sorte,
Vuol che sicuro la sua destra il faccia.
Pur l'obligo ch'egli ha d'altra battaglia
Fa che di nova impresa or non gli caglia.
31
Si ch'in contraal castello, ovein uaprato
Il curvo ponte si distende e posa,
Ritiene alquanto il passo, ed invitato
Non segue la sua scorta insidiosa.
Su '1 ponte in tanto un cavaliero armato
Con sembianza apparia fera e sdegnosa,
Ch'avendo ne la destra il ferro ignudo
In suon parlava minaccioso e crudo:
32
0 tn, che (siasi tua fortuna o voglia)
Al paese fatai d'Armida arrive,
Pensi indarno al fuggir: or l'arme spoglia
E porgi a i lacci suoi le man cattive;
Ed entra pur ne la guardata soglia
Con queste leggi ch'ella altrui prescrive:
Né più sperar di riveder il cielo
Per volger d'anni o per cangiar di pelo,
33
Se non giuri d'andar con gli altri sui
Contra ciascun che da Giesù s'appella.
S'aflìsa a quel {)arlar Tancredi in lui
E riconosce l'arme e la favella.
Rambaldo di Guascogna era costui
Che parti con Armida, e sol per ella
Pagan si fece, e difeusor divenne
Di quell'usanza rea ch'ivi si tenne.
28, 6. Lago: il mar morto: cfr. cant. x
61. — 7. Xe la stagion: nell'ora.
30, 7. altra battaglia: Quella del giorno
sesto con Argante.
3-2, 4. cattire: prigioniere. — 5. Ed entra
par ne: Cosi anche Conq.; ma Os. Entra
pur dentro a. — 7. Dante, Inf. xxx S5:
« Non i.sperate mai veder lo cielo ».
CANTO VII
85
34
Di Banto sdegno il pio prnerrier si tinse
Nel vólto, e gli rispose: Empio fellone,
Quel Tancredi son io che '1 ferro cinse
Per Cristo sempre, e fui di lui campione;
E in sua virtute i suoi rubelli vinse,
Come vo' che tu vegga al paragone;
Che de l'ira del Ciel ministra eletta
È questa destra a far in te vendetta.
35
Turbossi, udendo il glorioso nome,
L'empio guerriero e scolorissi in viso.
Pur celando il timor, gli disse: Or corno,
Misero, vieni ove rimanga ucciso?
Qui saran le tue forze oppresse e dome,
E questo altero tuo capo reciso;
E manderollo a i duci Franchi in dono,
S'altro da quel che soglio oggi non sono.
36
Cosi dicea il Pagano; e, perché il giorno
Spento era ornai, si che vedeasi a pena,
Apparir tante lampade d'intorno,
Che ne fu l'aria lucida e serena.
Splende il Castel come in teatro adorno
8aol fra notturne pompe altera scena ;
Ed in eccelsa parte Armida siede.
Onde, senz'esser vista, ed ode e vede.
37
lì magnanimo eroe fra tanto appresta
A la fera tenzon l'arme e l'ardire;
Né su '1 debil cavallo assiso resta,
Già veggendo il nemico a pie venire.
Vien chiuso ne lo scudo, e l'elmo ha in te-
La spada nuda, e in atto è di ferire, [sta,
Gli move in centra il Principe feroce
Con occhi torvi e con terribil voce.
38
Quegli con larghe ruote aggira i passi
Stretto ne l'armi, e colpi accenna e finge;
Questi, se ben ha i membri infermi e lassi.
Va risoluto, e gli s'appressa e stringe;
E là donde Rambaklo a dietro tassi
Velocissimamente egli si spinge;
E s'avanza, e l'incalzn, e fulminando
Spesso a la vista gli dirizza il brando.
39
E più ch'altrove, impetuoso fere
Ove più di vital formò natura,
34, 5. rubelU: ribelli; già visto.
37, 5. cUinso: tutto nascosto dietro lo
scudo, che, essendo curvo, quasi lo chiude
dentro di sé.
38, 1. aggira ì passi: nel senso di muove
in giro i passi, non ha esempi nel Vocab.;
né so se sia bello. — * L'Ariosto, Ori. xii
18, H; xxvii 23, 5 ha aggirare gli occhi;
xxiv 106, 2 aggirare la spada (Durindana;.
— 8 a la vista: fra gli occhi.
89, 2. formò; Cosi Conq. e Os.; ma le st.
A le percosse le raiuaccie altere
Accompagnando, e'I danno a la paura.
Di qua di là si volge, e sue leggiere
Membra il presto Guascone ai colpi fura:
E cerca or con lo scudo, or con la spada,
Che '1 nemico furore indarno cada.
40
Ma veloce a lo schermo ei non è tanto,
Che più l'altro non sia pronto a l'oiTese;
Già spezzato lo scudo e l'elmo infranto
E forato e sanguigno avea l'arnese;
E colpo alcun de' suoi, chetante o quanto
Impiagasse il nemico, anco non scese:
E teme, e gli rimorde insieme il core
Sdegno, vergogna, conscienza, amore.
41
Dispensi al fin con disperata guerra
Far prova ornai de l'ultima fortuna;
Getta lo scudo, ed a due mani aiferra
La spada eh' è di sangue ancor digiuna;
E co '1 nemico suo si stringe e serra,
E cala un colpo ; e non v'^è piastra alcuna
Che gli resista si,- che grave angoscia
Non dia, piagando, a la sinistra coscia.
42
E poi su l'ampia fronte il ripercote [la:
Si ch'il picchio rimbomba in suon di squil-
L'elmo non fende già; ma lui ben scote,
Tal ch'egli si rannicchia e ne vacilla.
Infiamma d'ira il Principe le gote,
E ne gli occhi di foco arde e sfavilla;
E fuor de la visiera escono ardenti
Gli sguardi, e insieme lo stridor de' denti.
43
Il perfido Pagan già non sostiene
La vista pur di si feroce aspetto.
Sente fischiare il ferro, e tra le vene
Già gli sembra d'averlo e in mezzo il petto.
Fugge da 'l colpo, e 'l colpo a cader viene
Dove un pilastro è centra il ponte eretto:
Ne van le scheggio e le scintille al cielo,
E passa al cor del traditor un gelo.
BoN. fornio, che può certo difendersi, ma
può essere ancóra err. di st. — 6. fura: to-
glie; ed è ancora del Petrarca.
40, 4. arnese: Cfr. m 73, 5 in nota. — 5.
tanto 0 quanto: pur un poco ; ve n' ha esem-
pio nel l'etrarca.
42, 4. si rannicchia: si ristringe in sé
stesso, si raccorcia quasi. — 5-8. (Jentile:
« Osserva tanti segni di un grandemente
adirato, i quali cosi espresse Seneca: - Fla-
grant et micant oculi; multus ore toto ru-
bor aestuante ab imis praecordiis sanguine;
labra quatiuntur, dentes comprimuntur *;
e Virg., Aen. xu 101: « totoque ariientis ab
ore Scintillae absiatunt, oculis micat acri-
bus iguis ♦.
86
GERUSALEMME LIBERATA
44
Onde al ponte rifugge, e sol nel córso
De la salute sua poue ogni speme.
Ma '1 seguita Tancredi, e già su '1 dorso
La man gli stende e '1 pie co '1 pie gii preme:
Quando ecco (al fuggitivo alto soccorso;
Sparir le faci, ed ogni stella insieme,
Né rimaner a l'orba notte alcuna.
Sotto povero ciel, luce di luna.
45
Fra l'ombre de la notte e de gli incanti
Il vincitor no '1 segue più, né U vede:
Né può cosa vedersi a lato o inanti,
E muove dubbio e mal securo il piede.
Su l'entrare d'un uscio i passi erranti
A caso mette, né d'entrar s'avvede;
Ma sente poi, che suona a lui di dietro
La porta, e 'u luogo il serra oscuro e tetro.
46
Come il pesce colà dove impaluda
Ne i seni di Comaccliio il nostro mare,
Fugge da l'onda impetuosa e cruda
Cercando in placide acque ove ripare;
E vien che da se stesso ei si rinchiuda
In palustre prigion, né può tornare.
Che quel serraglio è con mirabil uso
Sempre a l'entrar aperto, a l'uscir chiuso:
47
Cosi Tancredi allor, qual che si fosse
De l'estrania prigion l'ordigno e l'arte,
Entrò per sé raedesmo, e ritrovosse
Poilà rinchiuso, ov'uompersé non parte.
Ben con robusta man la porta scosse;
Ma fur le sue fatiche indarno sparte;
E voce in tanto udi, che. Indarno, grida,
Uscir procuri, o prigionier d'Armida.
48
Qui menerai (non temer già di morte)
44, 3. Ma '1 segnila ecc. Virg., Aen. II 530:
«Illum ardens infesto vulnere Pyrrus Inse-
quitur, iam iamque raauu tenet et premit
basta»; e xii 748: « Insequitur, trepidique
pedem pede fervidus urget > — S. povero
ciel: Tasso (Lett. 22): « Purpurei tiranni,
Pjcero cieU son miei capricci; ma però
prima che miei, faron d'Orazio (Od. Ixxxv)
Tuno, l'altro di Dante {Purg. xvi 2) ».
45, 5. Su l'entrare; E su l'entrar. Conq.;
roa Os. Su 'Z limitar.
46, Gentile: < La medesima considera-
zione usò Silio Italico, se non che egli dice
di una nassa (v 47 1: - Non secus ac vitreas
sollers piscator ad undas Ore levem patulo
texens de vimine nassam, Cautius interiora
ligat, mediamque per alvum Sensim fasti-
gans, compressa cacumiua nectit: Ac frau-
dem ardati remeareforaminisarcetlntroitu
faciiem, quem traxit ab aequore piscem ».
47, 4. per sé: senz'aiuto d'alcuno.
Nel sepolcro de' vivi i giorni e gli anni.
Non risponde, ma preme il guerrier forte
Nel 3or profondo i gemiti e gli affanni;
E fra se stesso accusa Amor, la sorte.
La sua sciocchezza e gli altrui feri inganni;
E talor dice in tacite parole:
Leve perdita fia perdere il sole;
49
Ma di più vago sol più dolce vista
Misero! i' perdo: e non so già se mai
In loco tornerò che l'alma trista
Si rassereni a gli amorosi rai.
Poi gli sovvien d'Argante, e più s'attrista:
E, troppo, dice, al mio dover mancai;
Ed è ragion ch'ei mi disprezzi e schema!
0 mia gran colpa! o mia vergogna eterna!
50
Cosi d'amor, d'onor cura mordace
Quinci e quindi al suerrier l'animo rode.
Or mentre egli s'affligge, Argante audace
Le molli piume di calcar non gode:
Tanto è nel crudo petto odio di pace,
Cupidigia di sangue, amor di lode,
Che, de le piaghe sue non sano ancora,
Brama che il sesto di porti l'aurora.
51
La notte che precede, il Fagan fero
A pena inchina per dormir la fronte;
E sorge poi che '1 cielo anco è si nero,
Che non dà luce in su la cima al monte.
Recami, grida, l'armi, al suo scudiero:
Ed esso aveale apparecchiate e pronte:
Non le solite sue, ma dal re sono
Dategli queste; e prezioso è il dono.
52
Senza molto mirarle egli le prende
Né dal gran peso è la persona onusta;
E la solita spada al fianco appende,
Ch'è di tempra finissima e vetusta.
Qual con le chiome sanguinose orrende
Splender cometa suol per l'aria adusta,
Che i regni muta e i feri morbi adduce,
A i purpurei tiranni infausta luce;
53
Tal ne l'arme ei fiammeggia, e bieche e
[torte
48, 3. preme ecc. Virg., Aen. i 209: « pre-
mit altum corde dolorem ».
I 61, 5. Recami, grida, l'armi; Portami,
griclaJ'armeCoscì.; Recami Var'tne (grida).
I Os. — 6. Ed esso; E quello Conq.; E que-
gli OS.
62, 5. Qnal ecc. Virgilio, di Turno pure
armato, Aen. x 272: • Non secus ac liquida
si quando nocte cometae Sanguinei lugubre
rubent, aut Sirius ardor, Ille sitim, morbos-
que ferens mortalibus aegris, Nascitur et
laevo contristai lumina caclum ». — 8. Ora-
zio, Od. I XXXV 12: « Purpurei metuunt ty-
ranni • ; cfr. str. 14 8, in nota.
CANTO VII
87
Volge le luci ebre di sanjjue e d'ira.
Spirano gli atti fòri orror di morte,
E minaccio di morte il vólto spira.
Alma non è cosi seciira e forte
Che non paventi, ove un sol guardo gira.
Nuda ha la spada, e la solleva e scote
Gridando; e l'aria e l'ombre in vanpercote.
54
Ben tosto, dice, il predator cristiano,
Ch'audace è si ch'a me vuole agguagliarsi,
Caderà vinto e sanguinoso 2I piano,
Bruttando uè la polve i crini sparsi;
E vedrà, vivo ancor, da questa mano
Ad onta del suo Dio l'arme spogliarsi.
Né morendo impetrar potrà co' preghi
Che in pasto a' cani le sue membra i' neghi.
55
Non altramente il tauro, ove l'irriti
Geloso amor co'stimuli pungenti,
Orribilmente mugge, e co' muggiti
Gli spirti in sé risveglia e l' ire ardenti ;
E '1 corno aguzza a i tronchi, e par ch'inviti
Con vani colpi a la battaglia i venti;
Sparge co '1 pie l'arena, e '1 suo rivale
Da lunge sfida a guerra aspra e mortale.
56
Da si fatto furor commosso appella
L'araldo, e con parlar tronco gì' impone:
Vattene al campo, e la battaglia fella
Nunzia a colui eh' è di Giesù campione.
Quinci alcun nonaspetta, e monta insella,
E fa condursi inauzi il suo prigione;
Esce fuor de la terra, e per lo colle
In córso vien precipitoso e folle.
6*5, 6. ove: se, quando ; ma in questo senso
condizionale e temporale più spesso col con-
giuntivo. Altri potrebbe intènderlo come
avverbio di luogo: là ove. — 7. e la solleva
ecc. ; Qui rifa Virgilio Aen. xii 93, ove dice
di Turno: « ...validam vi corripit hastam,
Actoris Aurunci spoliura, quassatque tre-
mentem, Vociferans: Nunc, 0 nunquam fru-
strata vocatus, Ilasta, raeos, nunc tempus
adest: te maximus Actor, Te Turni nunc
dextra gerit: da steruere corpus Loricam-
que manu valida lacerare revulsam Semi-
viri Phrygis, et foedare in pulvere crines »;
l'imit. seguita nella st. seg.
65. Il Guasta vini riportò giài luoghi imifc.
dal T.: Virg., Aen. xii 103: « Mugitus veluti
cum prima in proelia taurus Terrificos ciet,
atque irasci in cornua tentat Arboris ob-
nixus trunco, ventosque lacessit Ictibus, aut
sparsa ad pugnata proludit arena » ; e le
Georg, (iii, 23^-^34). E Lucano, Phars. 11,
601: «Pulsus ut armentis primo certamine
taurus Silvarum secreta petit, vacuosque
per agros Exul in adversis explorat coriiua
truncis ».
57
Dà fiato in tanto al corno; e n'esce un suo-
Ohe d'ogn'intorno orribile s'intende, [no
E 'n guisa pur di strepitoso tuono
Gli orecchi e '1 cor de gli ascoltanti offende.
Già i principi cristiani accolti sono
Ne la tenda maggior de l'altre tende:
Qui fé' l'araldo sue disfide, e incluse
Tancredi pria, né però gli altri escluse.
58
Goffredo intorno gli occhi gravi e tardi
Volge con mente allor dubbia e sospesa;
Né, perché molto pensi e molto guardi,
Atto gli s'offre alcuno a tanta impresa.
Vi manca il fior de' suoi guerrier gagliardi;
Di Tancredi non s'è novella intesa;
E lunge è Boemondo; ed ito è in bando
L'invitto eroe eh' uccise il fier Gernaudo.
59
Ed oltre i diece che fur tratti a sorte,
I migliori del campo e i più famosi
Seguir d'Armida le fallaci scorte,
Sotto il silenzio de la notte ascosi.
Gli altri di mano e d'animo men forte
Taciti se ne stanno e vergognosi ;
Né v' è chi cerchi in si gran rischio onore;
Che vinta la vergogna è dal timore.
60
Al silenzio, a l'aspetto, ad ogni segno,
Di lor temenza il Capitan s'accòrse:
E tutto pien di generoso sdegno
Dal loco, ove sedea, repente sorse,
E disse: Ben sarei di vita indegno,
Se la vita negassi or porre in forse,
Lasciando ch'un Pagan cosi vilmente
Calpestasse l'onor di nostra gente!
61
Sieda in pace il mio campo, e da secura
Parte miri ozioso il mio periglio.
Su su, datemi l'arme: e l'armatura
Gli fu recata in un girar di ciglio.
Ma il buon Raimondo, che in età matura
Parimente maturo avea il consiglio,
E verdi ancor le forze al par di quanti
Erano quivi, allor si trasse avanti,
62
E disse a lui rivolto: Ah non sia vero
Ch'in un capo s'arrischi il campo tutto!
60, 5. Ben; ma Bon,^ e Os. Ah ben.
61, 5. Ma il buon Raimondo ecc.: « Questa
riprensione di Raimondo a' cavalieri cri-
stiani (osserva il Guastavini), che, provocati
da Argante, non ardivano d'offerirsi alla
battaglia, come anche molte altre cose per-
tinenti a questo duello, è tolta da Omero
nel VII dell'i/, ecc.» dove Nestore rimpro-
vera e spinge i greci ad accettare la distida
di Ettore. Se non clie il cinquecentista giu-
dica il Tasso più giudizioso di Omero.
88
GERUSALEMME LIBERATA
Duce sei tu, non semplice guerriero;
Publico fora, e non privato il lutto.
In te la fé 3'appoggia e '1 santo impero:
Per te fia il regno di Babèl distrutto.
Tu il senno sol, lo scettro solo adopra;
Ponga altri poi Tardire e '1 ferro in opra.
63
Ed io, ben ch'a gir curvo mi condanni
La grave età, non fia che ciò ricusi.
Schivino gli altri i marziali affanni:
Me non vuo'giàche la vecchiezza scusi.
Oli I fo.?s'io pur su '1 mio vigor de gli anni,
Qual séte or voi, che qui temendo chiusi
Vi state, e non vi move ira o vergogna
Contra lui che vi sgrida e vi rampogna,
64
E quale allora fui, quando al cospetto
Di tutta la Germania, a la gran corte
Del secondo Corrado, apersi il petto
Al feroce Leopoldo e '1 posi a morte!
E fu d'alto valor più chiaro effetto
Le .spoglie riportar d'uom cosi forte,
Che s'aìcun or fugasse inerme e solo
Di questa iguobil turba un grande stuolo.
65
Se fosse in me quella virtù, quel sangue.
Di questo alter l'orgoglio avrei già spento.
Ma, qualunque io mi sia, non peròiangue
Il core in me, né vecchio anco pavento.
E. s'io pur rimarrò nel campo esangue,
Né il Pagan di vittoria andrà contento;
Armarmi i' vuo'; sia questo il di ch'illustri
Con novo onor tutti i miei scorsi lustri.
66
Cosi parla il gran vecchio : e sproni acuti
Son le parole, onde virtù si desta.
Quei che fur prima timorosi e muti
Hanno la lingua or baldanzosa e presta.
Né sol non v'è chi la tenzon rifiuti,
Ma ella ornai da molti a prova è chiesta;
Buldovin la domanda; e con Ruggiero
Guelfo, i due Guidi, e Stefano, e Gerniero,
67
E Pirro, quel che fé' il lodato inganno,
Dando Antiochia presa a Boemondo;
Ed a prova richiesta anco ne fanno
Eberardo, Ridolfo, e -1 prò' Rosmondo,
Un di Scozia, un d'Irlanda, ed un Britanno,
Terre che parte il mar dal nostro mondo;
' E ne son parimente anco bramosi
Gildippe ed Odonrdo, amanti e sposi.
I 68
I Ma sovra tutti gli altri il fero vecchio
■ Se ne dimostra cupido ed ardente.
, Armato è già: sol manca a l'apparecchio
j Uè gli altri arnesi il fino elmo lucente.
A cui dice Goffredo: 0 vivo specchio
Del valor prisco, in te la nostra gente
Miri, e virtù n'apprenda: in te di Marte
Splende Tonor, la disciplina e l'arte.
69
Oh! pur avessi fra l'etade acerba
Diece altri di valor al tuo simile.
Come ardirei vincer Babèl superba,
E la Croce spiegar da Battro a Tile.
Ma cedi or, prego, e te medesmo serba
A maggior opre e di virtù senile;
Pongansi poi tutti i nomi in un vaso,
Come è l'usanza, e sia giudice il caso;
70
Anzi giudice Dio, de le cui voglie
Ministra e serva è la fortuna e '1 fato.
Ma non però dal suo pensier si toglie
62, 5. Babèl : Mella : * Da Bagdad, la nuova
Babilonia, era co.si chiamata nel medio evo
la Siria, e imperator di Babilonia quel Ca-
liffo ».
63, 5. Ohi foss'io ecc.: Evandro in Virg.,
Aeìi. V III 550 « Oh mihi praeteritos referat
8i luppiter annos ! Qualis eram cum primam
aciem Praeneste sub ipsa Stravi, scutorum-
que incendi victor acerros, Et regem hac
Herilum dextra sub Tartara misi ».
6i, 1. E quale allora fai ecc.: Pare che
sia invenzione poetica del Tasso, perché
Raimondo IV di Tolosa, Marchese di I ro-
venza visse dal 1024 al 1110; e Corrado II,
detto il Salico, mori nell'anno 1039.
65, 1. Se fosse ecc.: Virg., .4cn. v 397, in
persona di Entello: « Si mihi quae quondam
fuerat, quaque improbus iste Ex'dtat fi-
4ens, si nunc foret illa iuventas ecc, ».
68, 6. a prora: Cosi ancóra Conq.; ma
Os a gara.
67, 1. Pirro: Mella: « Pirro, da altri
detto Piroo, é quel rinnegato armeno che
apri '1098) ai crociati le tre torri alla sua
custodia affidate, spinto dalle larghe pro-
messe del principe di Taranto ecc. >. Vedi
Gugl. Tir. V 11, che cita il fatto e dice che
il traditore aveva nome Erairferro; ma Ro-
berto Monaco pure lo chiama Pirro.
6S 7. Marte: il dio della guerra, per la
guerra stessa.
69, 5-8. Guastavini: «Omero nel ii del-
VII.. in persona di Agamennone: -In vero
tu pur nel consigliar vinci, o vecchio, i fi-
gliuoli dei Greci: - Ed, oh Giove padre, e
Minerva ed Apolline! - Tali diece consi-
glieri a me fossero de' Greci, - Che ben
tosto crollerebbe la città di l'riarao e il re ».
— 7-8. Cosi legge pure questi due versi,
salvo leggiera trasposizione nei primo {Pon-
gansi i nomi poi tutti), la Conq.; ma Os.
E lascia che de gli altri in picciol vaso
Pongansi i fiomi: e si >. giudici il caso ^.
Cfr. e. V 7%, 7-8
CAJNTO VII
89
Raimondo, e vuol aiich'egli esser notato.
Ne relmo suo Goffredo i brevi accoglie;
E, poi che l'ebbe scosso ed agitato,
Nel primo breve che di là traesse,
Del conte di Tolosa il nome lesse.
71
Fu il nome suo con lieto grido accolto,
Né di biasraar la sorte alcuno ardisce.
Ei di fresco vigor la fronte e '1 vólto
Riempie; e cosi allor ringiovenisce,
Qualserpefieiche innovespoglie avvolto
D'oro fiammeggi, e'n contrail sol si lisce.
Mapiùd'ogn'altro il Capitan gliapplaude,
E gli annunzia vittoria, e gli dà laude.
72
E la spada togliendosi dal fianco,
E porgendola a lui, cosi dìcea:
Questa è la spada che 'u battaglia il franco
Rubello di Sassonia oprar solca,
Ch' io già gli tolsi a forza ; e gli tolsi anco
La vita allor di mille colpe rea:
Questa, che meco ognor fu vincitrice,
Prendi, e sia cosi teco ora felice.
73
Di loro indugio in tanto è quell'altero
Impaziente, e li minaccia e grida:
0 gente invitta, o popolo guerriero
D' Europa, un uomo solo è che vi sfida.
Venga Tancredi omaì, che par si fero.
Se ne la sua virtù tanto si fida;
0 vuol, giacendo in piume, aspettar forse
La notte ch'altre volte a lui soccorse?
74
Vengaaltri, s'egli teme; a stuolo a stuolo
Venite insieme, o cavalieri, o f:inti;
Poi che di pugnar meco a solo a solo
Non v'èfra mille schiere uom che si vanti.
Vedete là il sepolcro, ove il figliuolo
Di Maria giacque; or che non gite avanti?
Che non sciogliete i vóti? ecco la strada:
A qual serbate uopo maggior la spada?
75
Con tali scherni il Saracino atroce
70. 4-8. Cfr. Ariosto, Ori. xxx 23-24. —
5, breri: cfr. e. v 74, 8 in nota. — 8. conte
di T. Raimondo.
71. 5. (Jual serpe ecc. Comparazione vir-
giliana Aen. Il 471: «Qualis ubi in lucem
coluber... Nunc po.sitis novus exuviis, niti-
dusque iuveuta Lubrica couvolvit, sublato
pectore, terga Arduus ad solem, et lingua
micat ore trisulci»; cfr. Ariosto, di Rodo-
monte, Ori. XVII 11.
72. 4. rubello: ribelle: Rodolfo duca di
Svevia eletto a succedere ad Arrigo IV, il
quale era stato deposto da Gregorio VII, fu
ucciso dal Buglione che lo passò da parte
a parte con lo stendardo: cfr. e. i 1, 1 in
QOtiì.
Quasi con dura sferza altrui percote:
Ma, più ch'altri, Raimondo a quella voce
S'accende, e l'onte sofferir non puote.
La virtù stimolata è più feroce,
E s'aguzza de Tira a l'aspra cote;
Si che tronca gli indugi, e preme il dorso
Del suo Aquilino, a cuidiè'l nome il córso.
76
Questo su '1 Tago nacque, ove talora
L'avida madre del guerriero armento,
Quando l'alma stagion, che n'innamora.
Nel cor le instiga il naturai talento,
Volta l'aperta bocca in coutra l'ora,
Raccoglie i semi del fecondo vento;
E de' tepidi fiati (oh meraviglia!)
Cupidamente ella concipe e figlia.
77
E ben questo Aquilin nato diresti
Di qual aura del ciel più lieve spiri;
0 se veloce si, ch'orma non resti,
Stendere il córso per l'arena il miri;
0 se '1 vedi addoppiar leggieri e presti
A destra ed a sinistra angusti giri.
Sovra tal corridore il Conte assiso
Move a l'assalto, e volge al Cielo il viso:
78
Signor, tu che drizzasti in contra l'empio
Golia l'armi inesperte in Terebinto,
Si ch'ei ne fu, che d'Israel fea scempio,
Al primo sasso d'un garzone estinto;
Tu fa' ch'or giaccia (e fia pari l'esempio)
76, 8. Aquilino a cui die '1 nome ecc.: il
córso veloce come quello del vento aquilone
gli dette il nome. É l'unico cavallo nella
Gerus. che abbia un nome e su cui il T. si
soffermi.
76, 1. Quest* sa '1 Tago: Cosi le 3 st. BON.
e CoNQ.: invece Su 'l Tago il destrier Os.
— talora ecc.: Tolto da Virgilio, se non che
disse ciò delle vacche (Georg, in 271): «Con-
tinuoque, avidis ubi subdita fiamma me-
dullis Vere magis, quia vere calor redit
ossibus,illaeOre omnes versaein Zephyrum
stant rupibus altis, Exceptantque leves auras;
et saepe sine ullis Coniugiis vento gravidae
(mirabile dictu) Saxa per et scopulos et de-
pressas convalles Diffugiunt ». * Ma princi-
palmente ebbe presente Plinio, S. N.: « Con-
stat in Lusitania circa Ulissiponem oppidum
et Tagum amnem equas favonio flauti ob-
versas animalera concipere spiritum, idque
partura fieri et gigni pernicissimura ». — 8.
Dante, Purg. xxviii 112: « E l'alta terra se-
condo eh' è degno, Per sé, o per suo cieJ
concepe e figlia ».
78, 1-4. Petrarca, Tr. Cast. 100: -Né
giacque si smarrito ne la valle Di Terebinto
quel gran Filisteo A cui tutto Israel dava
le spalle, Col primo sasso del garzon ebreo *■
90
GERUSALEMME LIBERATA
Questo fellon da me percosso e vinto:
E debil vecchio or la superbia opprima,
Come debil fanciul l'oppresse iu prima.
79
Cosi pregava il Conte; e le preghiere,
Mosse da la speranza in Dio secura,
S'alzar volando a le celesti spere,
Come va foco ai ciel per sua natura.
L'accolse il Padre eterno, e fra le schiere
De l'esercito suo tolse a la cura
Un che '1 difenda, e sano e vincitore
Da le man di ouell'empio il tragga fuore.
80
L'angelo, che fu già custode eletto
Da l'alta Providenza al buon Raimondo
In sin dal primo di che pargoletto
Se 'n venne a farsi peregrin del mondo,
Or che di novo il Re del Ciel gli ha detto
Che prenda in sé de la difesa il pondo.
Ne l'alta ròcca ascende, ove de l'oste
Divina tutte son l'arme riposte.
81
Qui l'asta si conserva, onde il serpente
Percosso giacque, e i gran fulminei strali,
E quegli ch'invisibili a la gente
Portan l'orride pesti e gli altri mali;
E qui sospeso è in alto il gran tridente,
Primo terror de' miseri mortali,
Quando egli avvien che i fondamenti scota
De l'ampia terra, e le città percota.
82
Si vedea fiammeggiar fra gli altri arnesi
Scudo di lucidissimo diamante,
Grande che può coprir genti e paesi
Quanti ve n'ha fra il Caucaso e l'Atlante;
E sogliono da questo esser difesi
Principi giusti, e città caste e sante.
Questo l'angelo prende, e vien con esso
Occultamente al suo Raimondo appresso.
83
Piene in tanto le mura erau già tutte
Di varia turba; e "1 barbaro tiranno
Manda Clorinda e molte genti instrutte,
Che. ferme a mezzo ilcolle, oltre non van-
Da l'altro lato in ordine ridutte [no.
Alcune schiere de' Cristiani stanno:
E largamente a' duo campioni il campo
Vóto riman fra l'uno e l'altro campo.
84
Mirava Argante, e non vedea Tancredi
Ma d'ignoto campion sembianze nove.
Fecesi il conte inanzi ; e, Quel che chiedi.
È, disse a lui, per tua ventura altrove.
79, 4. Seguita la scienza medievale, che
metteva la sede del fuoco nella sfera al di
sopra dell'aria. Cosi Dante dice che la fol-
gore scendendo a terra, va contro sua na-
tura-
Non superbir però, che me qui vedi
Apparecchiato a riprovar tue prove,
Chio di lui posso sostener la vice,
O venir come quinto a me qui lice.
85
Ne sorride il superbo, e gli risponde:
Che fa dunque Tancredi? e dove stassi?
Minaccia il ciel con Tarmi, e poi s'asconda
Fidando sol ne' suoi fugaci passi:
Ma fugga pur nel centro, e'nmezzol'onde;
Che non fia loco, ove securo il lassi.
Ménti, replica l'altro, a dir ch'uora tale
Fugga da te, ch'assai di te più vale.
86
Fremeil Circasso irato,edice: Or prendi
Del campo tu. ch'in vece sua t'accetto;
E tosto e' si parrà come difendi
L'alta follia del temerario detto.
Cosi mossero in giostra, e i colpi orrendi
Parimente drizzaro ambi a l'elmetto:
E '1 buon Raimondo, ove mirò, scontrollo,
Né dar gli fece ne l'arcion pur crollo.
87
Da l'altra parte il fero Argante corse
(Fallo insolito a lui) l'arringo in vano;
Che '1 difensor celeste il colpo torse
Dal custodito cavalier cristiano.
Le labra il crudo per furor si morse,
E ruppe l'asta bestemmiando al piano.
Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo
Impetuoso al paragon secondo.
83
E'I possente corsiero urta per dritto,
Quasiraonton ch'ai cozzoil capo abbassa.
Schiva Raimondo l'urto, al lato dritto
Piegando il córso, e'I fere in fronte, e passa:
Torna di nuovo il cavalier d'Egitto,
Ma quegli pur di novo a destra il lassa:
E pur su l'elmo il coglie,e'ndarno sempre
Che l'elmo adamantine avea le tempre.
89
Ma il feroce Pagan, che seco vuole
Più stretta zuffa, a lui s'avventa e serra.
L'altro, ch'ai peso di si vasta mole
Teme d'andar co '1 suo destriero a terra,
Qui cede, ed indi assale, e par che vole,
Intorniando con girevol guerra;
E i lievi imperii il rapido cavallo
Segue del freno, e non pone orma in fallo.
Si, S. quinto; Os. terzo. Ed è in vero il
terzo; ma forse il P. volle riprendere con
ironia la prima disfida d'Argante del e. vi
st. 13 e 18, ove invita non solo uno dei cri-
stiani ma il quarto e il quinto.
85, 3. Minaccia ecc.: Virg . Am. xi 350;
« dura Troia tentat Castra, fugae fidens, et
caelum territat arrais ». — 5. centro: della
terra. Cfr. xvi 31, 8.
CANTO VII
91
90
Qual Capitan, ch'oppugni eccelsa torre
In fra paludi posta o in alto monte,
Mille aditi ritenta, e tutte scorre
L'arti e le vie; cotal s'aggira il Conte:
E, poi che non può scaglia d'arme torre
Ch'armano il petto e la superba fronte,
Fere i men forti arnesi, ed a la spada
Cerca tra ferro e ferro aprir la strada.
91
Ed in due parti o in tre forate, e fatte
L'arme nemiche ha già tepide e rosse;
Ed egli ancor le sue conserva intatte.
Né di cimier, né d'un sol fregio scosse.
Argante indarno arrabbia, a vóto batte,
E spande senza prò l'ire e le posse:
Non si stanca però; ma raddoppiando
Va tagli e punte, e si rinforza errando.
92
Al fin tra mille colpi il Saracino
Cala un fendente; e '1 Conte è cosi presso,
Che forse il velocissimo Aquilino
Non sottraggeasi, e rimaneane oppresso :
Ma l'aiuto invisibile vicino
Non mancò lui di quel superno Messo,
Che stese il braccio, e tolse il ferro crudo
Sovra il diamante del celeste scudo.
93
Fragile è il ferro allor (che non resiste
Di fucina mortai tempra terrena
Ad armi incorrottibili ed imraiste
D'eterno fabro) e cade in su l'arena.
11 Circasso, ch'andarne a terra ha viste
Minutissime parti, il crede a pena;
Stupisce poi, scorta la mano inerme,
Ch'arme il campion nemico abbiasi ferme:
90, 1-4. Ariosto, Ori. XLV 75: « Come chi
assedia una città che forte Sia di buon
fianchi e a maraviglia grossa, Spesso l'as-
salta ... Né via sa ritrovar ch'entrar vi possa ;
Cosi molto s'affanna e si travaglia, Né può
la donna aprir piastra né maglia ». — 5.
d'arme; Os. a l'arme.
91, 8. e si rinforza errando: Guastavini:
« E non cogliendo ove avea disegnato, rin-
fresca e rinnuova i colpi ».
92, 1. Al fin ecc.: Imitato da Virg., Aen.
IX 743: « Ille rudem nodis et cortice crudo
Inr.orquet, summisaduixus viribus, hastam;
Excepere aui-ae vulnus; Saturnia luno De-
torsit veniens, portaeque infigitur basta ».
93, 1. Fragile è il: Cosi ancora la Conq.
ma Os. Frangesi il. — 1-1. Virg., Aen. xii
731: « at perfidus ensis Frangitur, in me-
dioque ardentem deserit ictu... postquara
arma dei ad Vulcania ventura est, Mortalis
mucro glacies ceu futilis, ictu Dissiluit;
fulva resplendent fragmina hìirena ».
94
E ben rotta la spada aver si crede
Su l'altro scudo, ond'è colui difeso;
E '1 buon Kaimondo ha la med( sma fedo,
Che non sa già chi sia dal Ciel disceso.
Ma, però ch'egli disarmata vede
La man nemica, si riman sospeso;
Che sti ma ignobil palma e vili spoglie [glie.
Quelle ch'altrui contai vantaggio uom to-
95
Prendi, volea già dirgli, un'altra spada;
Quando novo pensier nacque nel core.
Ch'alto scorno è de' suoi, dove egli cada,
Che di publica causa è difensore.
Cosi né indegna a lui vittoria aggrada,
Né in dubbio vuol porre il comune onore.
Mentre egli dubbio stassi, Argante lancia
Il pomo e l'else a la nemica guancia;
96
Einquel tempo medesmo ildestrier pun-
E per venirne a lotta oltra si caccia, [gè
La percossa lanciata a l'elmo giunge,
Si che ne pesta al Tolosan la faccia:
Ma però nulla sbigottisce, e lungo
Ratto si svia da le robuste braccia;
Ed impiaga la man ch'a dar di piglio
Venia più fera che ferino artiglio.
97
Poscia gira da questa a quella parte,
E raggirasi a questa indi da quella:
E sempre, e dove riede, e donde parte.
Fere il Fagan d'aspra percossa e fella.
Quanto avea di vigor, quanto avea d'arte,
Quanto può sdegno antico, ira novella,
A danno del Circasso or tutto aduna;
E seco il Ciel congiura e la fortuna.
98
Quei di fine arme e di se stesso armato,
A i gran colpi resiste, e nulla pavé;
E par senza governo in mar turbato.
Rotte vele ed antenne, eccelsa nave,
Che pur contesto avendo ogni suo lato
Tenacemente di robusta trave.
Sdruciti i fianchi al tempestoso flutto
Non mostra ancor, né si dispera in tutto.
94, 8. noni: è in Os. ; manca questa pa-
rola nelle st. Bon.
96, 2. venirne: Cosi ancóra Conq.; ma
Os. venire. — 5. nulla sbigottisce: Cosi an-
che la Conq.; ma Os. nulla ei sbigottisce.
97, 3. e dorè riede, e donde parte: Come
pur Conq.; ma Os. e quando riede e quando
parte.
98, 1. e di sé stesso: Intendi del proprio
valore. — 3-8. Imit. dall'Ariosto, Ori. xxxii
62: «Come nave che vento dalla riva, O
qualch'altro accidente abbia disciolta. Va
di nocchiero o di governo priva. Ove la
porti 0 meni il fiume in volta »
92
GERUSALEMME LIBERATA
99 I
Argante, il tuo periglio^ aìlor tal era,
Quando aiutarti Belzebù dispose.
Questi di cava nube ombra leggiera I
(Mirabil mostro) in forma d'uom compose:
E la sembianza di Clorinda nltera
Gli finse, e l'armi ricche e luminose:
Diègli il parlare, e senza mente il noto
Suon della voce, e'I portamento e '1 moto.
100
Il simulacro ad Oradin esperto
Sagittario famoso andonne e disse:
O famoso Oradin, ch'a segno certo,
Come a te piace, le qnadrella affisse,
Ah! gran danno saria, s'uom di tal merto,
Difeusor di Giudea, cosi morisse;
E di sue spoglie il suo nemico adorno
Securo ne facesse a i suoi ritorno.
101
Qui fa' prova de l'arte, e le saette
Tingi nel sangue del ladron francese; [te
Ch'oltrail perpetuo onor,vo' chen'aspet-
Premio al gran fatto egual dal re cortese.
Cosi parlò, né quegli in dubbio stette,
Tosto che '1 suon de le promesse intese:
Da la grave faretra un quadrel prende,
E su l'arco l'adatta, e l'arco tende.
102
Sibila il teso nervo, e fuore spinto
Vola il pennuto strai per l'aria, e stride ;
Ed a percoter va dove del cinto
Si congiungon le fibbie, e le divide:
Passa l'usbergo, e in sangue a pena tinto
Qui su ai ferma, e sol la pelle incide;
99, 2. Quando ecc.: scioglimento per mac-
china imitato da Omero, II. ni, nel duello
fra Paride e Menelao. In Virg. Giunone cosi
salva Turno: Aen. x 636 <Tum Dea nube
cava tenuem sine viribus urabram In fa-
ciem Aeneae(vi3u mirabile monstrura) Dar-
daniis oruat telis, clipeumque iubasque Di-
vini adsimulat capitis; dat inauia verba;
Dat sine mente sonum, gressusque effingit
euntis ». — 7. mente: conoscenza, cioè
anima. — Dopo questa stanza in Os. ne se-
guita un'altra che già era comparsa nella
stampa in quarto del Viotto 15S1: ma nelle
stampe Bon. manca, e manca nella Conq.
(Comincia; E perch'acquisti il simulacro
fede »).
109, 1-2. Cosi ancora la Conq.; ma Os.
Ad Oradin {che tal nomos.ii) esperto E
buon arder la finta itnago disse. — A. af-
fisse: affissi, figgi.
102, 1-2. Virg., Aen. xii 267: « Sonitum
dat stridula cornus et auras Certa secat».
— 3-6. Imitato dal iv dell'//., dove Pandaro
ferisce Menelao. — 6. Qui su ; Os. Quivi ;
Conq. ivi.
Che '1 celeste gnerrier soffrir non volse
Ch'oltra passasse, e forza al colpo tolse.
103
Da l'usbergo lo strai si tragge il Conte,
Ed ispicciarne fuori il sangue vede;
E con parlar pien di minacele ed onte
Rimprovera al Pagan la rotta fede.
Il Caiìitan, che non torcea la fronte
Da l'amato Raimondo, allor s'avvede
Che violato è il patto; e, perché grave
Stima la piaga, ne sospira e pavé;
104
E con la fronte le sue genti altere,
E con la lingua a vendicarlo desta.
Vedi tosto inchinar giti le visiere,
Lentare i freni, e por le lancie in resta,
E quasi in un sol punto alcune schiere
Da quella parte moversi e da questa.
Sparisce il campo; e la minuta polve
Con densi globi al ciel s'inalza e volve. ;
105
D'elmi e scudi percossi e d'aste infrante
Ne' primi scontri un gran romor s'aggira.
Là giacere un cavallo, e girne errante
Un altro là senza rettor si mira:
Qui giace un guerrier morto e q ni spirante
Altri singhiozza e geme, altri sospira.
Fera è la pugna; e, quanto più si mesce
E stringe insieme, più s'inaspra e cresce.
106
Salta Argante nel mezzo agile e sciolto,
E toglie ad un guerrier ferrata mazza;
E rompendo lo stuol calcato e folto.
La ruota intorno, e si fa larga piazza.
E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto
Ha il ferro e l'ira impetiiosa e pazza;
E, quasi avido lupo, ei par che brame
Ne le viscere sue pascer la fame.
107
Ma duro ad impedir vìengli il sentiero
E fero intoppo, acciò che '1 córso ei tardi.
SitrovaincontraOrmanno, e con Ruggie-
[ro
Di Balnavilla, un Guido e duo Gherardi.
Non cessa, non s'allenta, anzi è più fero,
Quanto ristretto è più da que' gagliardi;
:Si come a forza da rinchiuso loco
Se n'esce, e move alte ruine, il foco.
108
Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra
Ruggiero in fra gli estinti egro e languen-
[te,
103, 8. pare: paventa, teme: visto altra
volta.
104, 3. Vedi ecc. Virg., Aen. xn 27J<:
* Pars gladios stringunt manibus, pars mis-
sile ferrum Corripiunt, caecique ruunt:
quosagmina centra l'rocurrnnt I.aurentum.
Ilinc densi rursua inundant Troes .\gyUi-
nique *,
CANTO VII
93
M:i contra lui crescon le turbe, e '1 serra
D'uomini e d'arme cerchio aspro e puugeu-
Meutre, in virtù di lui pari la guerra [te.
Si inanteuea fra l'uua e l'altra gente,
Il l)Uon duce Buglioli chiama il fratello,
Ed a lui dice; Or movi il tuo drappello;
109
E là, dove battaglia è più mortale,
Vattene ad investir nel lato manco.
, Quegli si mosse; e fu lo scontro tale,
, Oud'egli urtò de gli nemici al fianco,
i Che parve il popol d'Asia imbelle e frale;
Né potè sostener l'impeto Franco,
Che gli ordini disperde, e co' destrieri
L'insegne insieme abbatte e i cavalieri.
110
Da l'impeto medesmo in fuga è vòlto
Il destro corno; e non v'è alcunché faccia,
Fuor ch'Argante, difesa: a freno sciolto
Cosi il timor precipiti gli caccia.
E.i(li sol ferma il passo, e mostra il vólto ;
Né chi cou mani cento e cento braccia
Cinquanta scudi insieme ed altrettante
Spade movesse, or più faria d'Argante.
Ili
Ei gli stocchi e le mazze, egli e de l'aste
E de' corsieri l'impeto sostenta;
E solo par che 'u contra tutti baste,
Ed ora a questo, ed ora a quel s'avventa.
Péste ha le membra, e rotte l'arme e guaste
E sudor versa e sangue, e par no '1 senta.
Ma cosi l'urta il popol denso e '1 preme
Ch'ai fin lo svolge, e seco il porta insieme.
112
Volge il tergo a la forza ed al furore
Di quel diluvio che '1 rapisce e '1 tira:
Ma non già d'uom che fugga ha i passi e '1
S'a l'opre de la mano il cor si mira, [core,
E serbano ancor gli occhi il lor terrore
E le minaccie de la solita ira;
E cerca ritener con ogni prova
La fuggitiva turba; e nulla giova.
113
Non può far quel magnanimo ch'almeno
Sia lor fuga più tarda o più raccolta;
Che non ha la paura arte né freno,
Né pregar qui, né comandar s'ascolta.
Il pio Buglion, ch'i suoi pensieri a pieno
Vede fortuna a favorir rivolta,
lOS, 7. fratello: Baldovino.
109, 4. de gli nemici; Conq. de'' suoi ne-
mici ; ma Os. degli avversari. * Os. il fianco.
— 8. L'insegne insieme abbatte e 1: ma Os.
L'insegne abbatte e insietne i.
Ili, l. egli e: cosi Bon.i Os. egli — 6. e
sador ecc.: Virg. Aen. ix 812: «tote cor-
pore sudor Liquitur, et piceum (nec respi-
rare potestas) Flumen a<jit ».
Segue de la vittoria il lieto córso,
E invia novello a i vincitor aoccorso.
lU
E, se non che non era il di che scritto
Dio ne gli eterni suoi decreti avea.
Quest'era forse il di che '1 campo invitto
De le sante fatiche al fin giungea.
Ma la schiera iufernal, ch'in quel conflitto
La tirannide sua cader vedea,
Sendole ciò permesso, in un momento
L'aria in nubi restrinse, e mosse il vento.
115
Da gli occhi de' mortali un negro velo
Rapisce il giorno e'I sole, e par ch'avvampi
Negro via più ch'orror d'inferno il cielo.
Cosi fiammeggia in fra baleni e lampi.
Fremono! tuoni; e pioggia accolta in gelo
Si versa, e i paschi abbatte, e inonda i cam-
Ipi.
Schianta i rami il gran turbo, e par che
[crolli
Non pur le querele, ma le ròcche e i colli.
116 [sta
L'acqua in un teinpo, il vento e la tempe-
Ne gli occhi a i Franchi impetuosa fere;
E l'improvisa violenza arresta
Con un terror quasi fatai le schiere.
La minor parte d'esse accolta resta
(Che veder non le puote) a le bandiere.
MaClorinda,che quindi alquanto è lunga,
Prende opportuno il tempo, e '1 destrier
117 [puuge.
Ella gridava a' suoi: Per noi combatte
Compagni, il Cielo, e la giustizia aita:
Da l'ira sua le faccie nostre intatte
Sono, e non è la destra indi impedita;
E ne la fronte solo irato ei batte
De la nemica gente impaurita.
114, 1. E, so non ecc.: Virg., Aen. ix 757:
« Et, si continuo victorem ea cura subissai,
Ramperà claustra raanu, sociosque immit-
tere portis, Ultinius ille dies bello gentique
fuisset ». E l'Ariosto, Ori. viii 69: « E se
non cne li vóti il Ciel placorno, Che dilagò
di pioggia oscura il piano, Cadea quel di
per l'atlricana lancia II santo imperio e '1
gran nome di Francia ». — 7. Sendole ciò
permesso: Iddio non impedi ai diavoli di
adoperare la lor potestà sull'atmosfera. Cfr.
Dante l'epis. di Buonconte {Purg. v). — 8.
Dante, loc. cit. W^: «e mosse il fumo e il
vento ».
115, 1. Da gli occhi ecc.: Virg., Aen. i 88:
« Eripiunt subito nubes caelumque diemque
Teucrorum ex oculis; ponto nox incubai
atra. Intonuere poli, et crebris micat igni-
bus aether ». — 7. crolli: usato transitiva-
mente. — S par: solamente.
94
GERUSALEMME LIBERATA
'[
E la scote de l'arme, e de la luce
La priva: andianue pur, che '1 fato edace.
118
Cosi spinge le greiiti: e, ricevendo
Sol ne le spalle T impeto d' inferno,
Urta i Francesi con assalto orrendo,
E i vani colpi lor si prende a scherno.
Ed in quel tempo Argante anco volgendo
Fa de' già vincitor aspro governo.
E quei lasciando il campo a tutto córso
Volgono al ferro, a le procelle il dorso.
119
Percotono le spalle a i fuggitivi
L'ire immortali e le mortali spade;
E '1 sangue corre, e fa, commisto a i rivi
De la gran pioggia, rosseggiar le-strade.
Qui tra '1 vulgo de' morti e de' mal vivi
E Pirro e'I buon Ridolfo estinto cade;
E toglie a questo il tìer Circasso l'alma,
E Clorinda di quello ha nobil palma.
120
Cosi fuggiano i Franchi; e di lor caccia
Non rimaueano i Siri anco o i demòni:
Sol contra l'armi e contra ogni minaccia
117, 7. scote: priva; Petrarca, son. Or
hai fatto Vestrem. 5: «Orbai spogliata
nostra vita e scossa D'ogni ornamento ». E
il Tasso neJl'Aminta (i, 2): «Ed altrettante
{volte) il verno ha scosso i boschi De le lor
verdi chiome •.
118, 5. Tolgendo: tornando indietro.
120, 1-2. Intendi: E i siri o i demòni non
ristavano ancora dal dar loro la caccia. —
Di gragnuole, di turbini e di tuoni
Volgea Goffredo la secura faccia,
Rampognando aspramente i suoi baroni;
E, fermo anzi la porta il gran cavallo,
Le genti sparse raccogliea nel vallo.
121
E ben due volte il corridor sospinse
Contra il feroce Argante, e lui ripresse;
Ed altrettante il nudo ferro spinse
Dove le turbe ostili erau più spesse;
Al fin con gli altri insieme ei si ristrinse
Dentro a i ripari e la vittoria cesse.
Tornano allora i Saracini; e stanchi
Kestan nel vallo e sbigottiti i Franchi.
122
Né quivi ancor de l'orride procelle
Ponno a pieno schivar la forza e l'ira;
Ma sono estinte or queste faci, or quelle,
E per tutto entra l'acqua, e'I vento spira:
Squarcia le tele, e spezza i pali, e svelle
Le tende intere, e lunge indi le gira;
La pioggia a i gridi, a i venti a i tuon s'ac-
[corda
D'orribile armonia che '1 mondo assorda.
7. fermo anzi la porta: avendo fermato in-
nanzi alla porta ecc.
121, 1-4. Virg., Ae;i. IX 799: < Quin etiam
bis tum medios invaserac hostes, Bis con-
fusa fuga per muros agmina vertit ». — 6.
cesse: cedette.
122, 6. e lunge indi le gira: e avvolgen-
dole nella sua rapina le spinge lontano
di li.
CANTO vili.
Un cavaliere racconta la
strage de' cristiani danesi
e la morte del lor duce
Sveno; e porta la spada
di quell'eroe perché sia af-
fidata a Rinaldo ^ Si ac-
cende vivo desiderio nel
campo cristiano ài riaver
Rinaldo ^ False notizie
sulla di lui morte -^ Ar-
gillano ha un sogno pel
quale desta tumulti contro
Goffredo e i francesi cre-
duti autori di quest' omi-
cidio ^ Goffredo seda il
tumulto: fa porre in cateac
Argiiiano.
1
Già cheti erano i tuoni e le tempeste,
E cessato il soffiai* d'austro e di coro :
E Talba uscia de la magion celeste
Con la fronte di rose e co' pie d'oro.
Ma quei che le procelle avean già deste,
Non rimaneansi ancor da l'arti loro;
Anzi l'un d'essi, ch'Astagorre è detto,
Cosi parlava a la compagna Aletto:
2
Mira, Aletto, venirne (ed impedito
Esser non può da noi) quel cavaliere
Che da le fere mani è vivo uscito
Del sovran difensor del nostro impero.
1, 2. coro: vento tra ponente e maestro.
— 4. Petrarca, deir Aurora, son. Quand'io
veggio 2: « Con la fronte di rosa e coi crin
d'oro». — 5. quei: i demòni. — 8. Aletto;
una delle Furie, come si è già osservato,
2, 4. difensor: Solimano. II fatto, che qui
si accenna, è raccontato più sotto dal ca-
valiere che qui i demòni vedono venire.
Questi, narrando del suo duce ardito
E de' compagni a i Franchi il caso fero,
Paleserà gran cose; onde è periglio,
Che si richiami di Bertoldo il figlio.
3
Sai quanto ciò rilevi, e se conviene
A i gran principii oppor forza ed inganno.
Scendi tra i Franchi adunque, e ciò ch'a be-
Colui dirà, tutto rivolgi in danno: [ne
Spargi le tìamme e '1 tòsco entro le vene
Del Latin, de l'EIvezio, e del Britanno;
Movi l'ire e i tumulti e fa' tal opra
Che tutto vada il campo al fin sossopra.
4
L'opra è degna di te: tu nobil vanto
3, 1. rilevi: importi; come nel Petrarca
canz. Mai non vo' più cantar 4: « Il sem-
pre sospirar nulla rileva». — 6. Latin: in-
tende gli italiani: e in questa enumerazione
esclude i francesi perché contro di essi ai
accende il tumulto: cfr. str. 72.
96
GERUSALEMME LIBERATA
Te'n desti già dinanzi al signor nostro.
Cosi le parla; e basta ben sol tanto
Perché prenda l'impresa il fero mostro.
Giunto è su '1 vallo de' Cristiani in tanto
Qnel cavaliero. il cui venir fu mostro;
E disse lor: Deh, sia chi m'introduca
Per mercede, o guerrieri, al sommo duca.
5
Molti scorta gli furo al Capitano,
Vaghi d'udir del peregrin novelle.
Egli inchinollo, e l'onorata mano
Volea baciar che fa tremar Babelle;
Signor, poi dice, che con l'oceano
Termini la tua fama e con le stelle.
Venirne a te vorrei più lieto messo.
Qui sospirava; e soggiungeva appresso:
6
Sveno, del re de' Dani unico figlio,
4, 2. signor: il re dell' In "erno. — 3. sol
tanto: solamente questo.
5, 1. foro; Os. fero. — 3. Egli: cosi le
st. BON. e CONQ.; ma Quegli Os. — 5-6. Virg.,
Aen. 1 287: «Imperium oceano, famam qui
terminet astri* ». La tua fama non ha altri
confini che quelli del mondo.
6, Sul passaggio di Sveno scrive il Tasso
yLett. 2D): «Il passaggio e la morte di Dano
(in tal modo lo aveva prima denominato) è
vero quasi in quel modo ch'é scritto da
me: e ne parla Guglielmo Arcivescovo di
Tiro nel iv libro. Ben è vero che non Dano
ma Sueno aveva nome il Cavaliero: non
mi piaceva il nome vero, né il ritrovato mi
piace =•. E veramente tutto l'episodio non è
che una larga e solenne e mrtgniflca rifio- j
ritura di quanto al cap. 20 del lib. citato I
scrive Gugl. Tir., fuor che lo storico pone '
il fatto come successo due anni prima. Si j
confronti: «de partibus Romaniae, rumor
quidam moerore plenus et anxietate uni- !
versorum corda perculerat, et praesentibus '
miseriis adiecerat cumulum tristiorem. Di-
cebatur enim, et vere sic erat, quod qui-
dam homo nobilis et potens, Danorum regis
qHus, Sueno nomine, vir genere, fama et
moribus conspicuus et illustris, eiusdem pe- ,
regrinationis accensiis desiderio, mille qui- ,
gentos optime armatos eiusdem nationisj
iuvenes secum trahens in subsidiura nostris, \
st ad praesentem properabat obsidionem. !
Hic de regno patris tardior egressus, più- j
rimum acceleraverat, ut se praecedentibus
cum omni suo comitatu adiungeret legio-
nibus: sed causis praepeditus familiaribus,
non potuit as.?equi quod optaverat. Seor-
sùm igitur trahens agmina, solua absque
alicuius aliorum consortio principum iter '
arripuit, et viam aliorum secutus, Gonstan- 1 lecitudine
tinopolim pervenerat, ubi ab imperatore
aatis honeste tractatus fuerat: et cum in-
Gloria e sostegno a la cadente etade.
Esser tra quei bramò che, '1 tuo consiglio
Seguendo, han cinto per Giesù le spade;
Né timor di fatica o di periglio.
Né vaghezza del regno, né pietade
Del vecchio genitor, si degno afifetto
Intepidir nel generoso petto.
7
Lo spingeva un desio d'apprender l'arte
De la milizia faticosa e dura
Da te, si nobil mastro; e sentia in parte
Sdegno e vergogna di sua fama oscura;
Già di Rinaldo il nome in ogni parte
Con gloria udendo in verdi anni matura:
Ma, più ch'altra cagione, il mo.sse il zelo
Non del terren ma de l'onor del Cielo.
8
Precipitò dunque gli indugi, e tolse
Str.ol di scelti compagni audace e fero;
E dritto in vèr' la Tracia il cammin volse
A la città che sede è de l'impero, [colse;
Qui il greco Augusto in sua magion l'ac-
Quipoi giunse in tuo nome un messaggie-
[ro;
columitate Nicaeam perveniens, in partea
Romaniae ad exercitura properans, cum
omni suo comitatu descenderat. Dumque
inter urbes Finimuris et Termam castra-
metatus esset, et minus provide se haberet
aliquantulum, irruentibus super eum clam
et de nocte Turcorum ingentibus copiis, in
ipsis castris gladio perempti sunt: tamen
advenientium strepitu praecognito, sed e
vicino, ad arma convolant, ubi antequam
plenius instructi hostes possent excipere,
ab improvisa oppressi multitudine, pene
oranes ceciderunt, sed tamen diu et viriliter
resistentes, ne gratis animas viderentur im-
peudisse, cruentam post se hostibus reli-
querunt victoriam ». L'episodio del T. si
può confrontare in Omero con quello di
Reso, ucciso da Diomede prima che potesse
recare aiuto ad Ettore. [11. x). — 2. a la
cadente etade, del vecchio padre. — 4.Cfr.
e. IV, C6, 7. — 6-7. Dante, Inf. xxvi 94: < Né
dolcezza di figlio né la pietà Del vecchio
padre .... Vincer poterò dentro a me l'ar-
dore ».
7. 1-3. Virg., Aen. viii 515; «sub te tolerare
magistro Militiam et grave Martis opus,
tua cernere facta Assuescat ». — 2. faticosa
e dura: riferiscilo ad arU. — t. Intendi;
zelo non della terrena gloria ma della ce-
leste.
8, 1. Precipitò: Precipitar gli indugi
{PrecijJitate raoras. dice Vulcano ai Ciclopi
in Virgilio) vale: affrettarsi con somma sol-
4. A la città ecc. Costantino-
j poli, poiché qui si paria dell'impero greco.
I — 6. un messagglero : quello di cui si parla
CANTO Vili
97
Questi a pien gli narrò come già presa
Fosse Antiochia, e come poi difesa;
9
Difesa in contraili Perso, il qual con tanti
Uomini armati ad assediarvi mosse.
Che sembrava, che d'arme e d'abitanti
Vóto il gran regno sno rimase fosse.
Di te gli disse, e poi narrò d'alquanti,
Sin ch'a Rinaldo giunse, e qui ferraosse:
Contò l'ardita fuga, e ciò che poi
Fatto di glorioso avea tra voi.
10
Soggiunse al fin comegicà ilpopol Franco
Veniva a dar l'assalto a queste porte;
E invitò lui ch'egli volesse al manco
De l'ultima vittoria esser consorte.
Questo parlare al giovenetto fianco
Del fero Sveno è stimolo si forte,
Ch'ogni ora un lustro pargli in fra Pagani
Rotar il ferro e insanguinar le mani.
Il
Par che la sua viltà rimproverarsi
Senta ne l'altrui gloria, e se ne rode;
E ch'il consiglia e ch'il prega a fermarsi,
0 che non l'esaudisce o che non l'ode.
Rischio non teme, fuor che '1 non trovarsi
De' tuoi gran rischi a parte e di tua lode:
Questo gli sembra sol periglio grave;
De gli altri o nulla intende, o nulla pavé.
12
Egli medesmo sua fortuna affretta;
Fortuna che noi traggo, e lui conduce:
Però ch'a pena al suo partire aspetta
1 primi rai de la novella luce.
nella st. 68 del primo canto, quando Gof-
fredo sospettando di aver contrario l'impe-
ratore, gli manda Enrico.
9, Della difesa di Antiochia si fa cenno
ancóra nel cant. i 3. Dicono gli storici che,
dopo che i crociati ebbero preso Antiochia,
sopraggiunse un generale dell'Imperatore
di Persia e vi rinchiuse i cristiani, fatti
cosi di assediatori assediati. Ma i cristiani
riuscirono a sortire dalla città ed a fugare
i nemici, che lasciarono, dicesi, centomila
morti sul terreno. Gugi. Tir. ne parla lun-
gamente. — 7. l'ardita fuga: narrata nel
cant. I 60.
10, 7. Ch'ogni ora uu lustro pargli: Parer
ogni ora un lustro, vale (come i modi più
frequenti parer milV anni, e ogni ora
"mille) aspettare con grande ansietà che
una cosa accada, non veder l'ora che ella
sia.
11, 4. l'esaudisce... l'ode: Cosi anc. Conq. ;
ma Os. esaudisce. . . ode,
12, 2. Il detto di Seneca: « Fata volentes
ducuut nolentes trahunt», rende ragione
del tragge e del conduce.
E per miglior la via pili breve eletta;
Tale ei la stima, eh' è signor e duce:
Né i passi pili difiicili o i paesi
Schivar si cerca de' nemici offesi.
13
Or difetto di cibo, or cammin duro
Trovammo, or violenza ed or agguati;
iMa tutti fur vinti i disagi, e furo
Or uccisi i nemici ed or fugati.
Fatto avean ne' perigli ogn'uom securo
Le vittorie, e insolenti i fortunati;
Quando un di ci accampammo ove i confini
Non lungo erano ornai de' Palestini.
14
Quivi da i precursori a noi vien detto
Ch'alto strepito d'arme avean sentito,
E visteinsegneeindi/Jiondehansospetto
Che sia vicino esercito infinito. [to.
Non pensier, non color, non cangia aspet-
Non muta voce il signor nostro ardito;
Ben che molti vi sian ch'ai fero avviso
Tingan di bianca pallidezza il viso.
15
Ma dice: Oh quale omai vicina abbiamo
Corona o di martirio o di vittoria!
L'unaspcroio beupiii: manonmen bramo
L'altra ov' è maggior raerto e pari gloria.
Questo campo, 0 fratelli, ove or noi siamo,
Fia tempio sacro ad immortai memoria,
In cui l'età futura additi e mostri
Le nostre sepolture, e i trofei nostri.
16
Cosi parla; e le guardie indi dispone,
E gli uffici comparte e la fatica. [ne
Vuol ch'armato ognun giaccia; e non depo-
Ei medesmo gli arnesi o la lorica.
Era la notte ancor ne la stagione
Ch'è pili del sonno e del silenzio amica,
Allor che d'urli barbareschi udissi
Roraor che giunse al cielo ed a gli abissi.
17 [volto
Si grida: A l'arme, a l'arme: e Sveno, in-
Ne l'armi, inanzi a tutti oltre si spinge:
E magnanimamente i lumi e '1 vólto
Di color d'ardimento infiamma e tinge.
11, 5-6. Dante, di Farinata, Inf. x 74:
« non mutò aspetto, Né mosse collo, né
piegò sua costa». — 8. Tingan ecc.: Pe-
trarca, son. L'aura celeste 13: « E di bianca
paura il viso tinge ».
15, 5-8. Ennio, Annal. lib. xiv: « Nunc
est ille dies, quum gloria maxuma se se
Ostendit nobis, si vivimus, sive morimur ».
16, 4. gli arnesi: Cfr. cant. in 73, nota.
— 5. stagione: punto, momento; dalla str. 18
(vv. 4-8) si capisce ancora meglio che il P.
vuole accennare qui alle ore più buie della
notte. — Si confronti per la realtà storica
la nota alla str. 6.
Tasso, Gerusalemme liberata.
98
GERUSALEMME LIBERATA
Ecco siamo assaliti; e un cerchio folto
Da tutti i lati ne circonda e stringe;
Eintorno un bosco abl)iam d'aste e di spa-
E sovra noi di strali un nembo cade, [de
18
Ne la pugna inegual (però che venti
Gli assalitori sono in contra ad uno)
Molti d'essi piagati e molti spenti
Son da cieche ferite a Taer bruno.
Ma il numero de gli egri e de' cadenti
Fra rombre oscure non discerne alcuno:
Copre la notte i nostri danni, e Topre
De la nostra virtute insieme copre.
19
Pur si fra gli altri Sveno alza la fronte
Ch'agevol cosa è che veder si possa;
E nel buio le prove anco son conte
A chi vi mira, e l'incredibil possa.
Di sangueuu rio, d'uomini uccisi un monte
D'ogni intorno gli fanno argine e fossa;
E dovunque ne va, sembra che porte
Lo spavento ne gli occhi, e in man la morte.
20
Cosi pugnato fu sin che l'albore
Rosseggiando nel ciel già h'apparia.
Ma, poi che sco.sso fu il notturno orrore
Che l'orror de le morti in sé copria.
La desiata luce a noi terrore
Con vista accrebbe dolorosa e ria;
Che pien d'estinti il campo, e quasi tutta
Nostra gente vedemmo omai distrutta.
21 [quau
Duo mila fummo, e non siam cento
Tanto sangue egli mira e tante morti,
Non so se '1 cor feroce al miserando
Spettacolo si turbi e si sconforti;
Magia no'l mostra; anzi lavoce alzando:
Seguiam, ne grida, quei compagni forti
Ch'ai Ciel lunge da i laghi averni e stigi
N'hau segnati col sangue alti vestigi.
22
Disse; e lieto, credo io, de la vicina
Morte cosi nel cor come al sembiante,
In contra a la barbarica mina
Portonne il petto intrepido e costante.
Tempra non sosterrebbe, ancor che fina
Fosse, e d'acciaio no, ma di diamante,
I feri colpi: onde egli il campo allaga,
E fatto è il corpo suo solo una piaga.
23
La vita no, ma la virtù sostenta
Quel cadavero indomito e feroce.
Kipercote percosso, e non s'allenta,
Ma quanto offeso è più, tanto più nóce.
Quando ecco furiando a lui s'avventa
Uom grande c'ha sembiante e guardo
E, dopo lunga ed ostinata guerra, [atroce;
Con l'aita di molti al fin l'atterra.
24
Cade il garzoneinvitto (ahi casoamaro!)
Né v'è fra noi chi vendicare il possa.
Voi chiamo in testimonio, o del mio caro
Signor sangue ben sparso e nobil ossa,
Ch'allor non fui de la mia vita avaro,
Né schivai ferro né schivai percossa:
E, se piaciuto pur fosse là sopra
Ch'io vi morissi, il meritai con l'opra.
25
Fra gli estinti compagni io sol cadei
Vivo; né vivo forse è chi mi pensi:
Né de' nemici più cosa saprei
[j(Jq jliidir, si tutti avea sopiti i sensi.
Qj. ^^la, poi che tornò il lume a gli occhi miei
^Ch'eran d'atra caligine condensi,
Notte mi parve; ed a lo sguardo fioco
S'offerse il vacillar d'un picciol foco.
18, 4. cieche: perché date a l'aer bruno,
Ovidio delle figliuole di lelia, quando in-
gannate da Medea, di notte, e con la faccia
voltata indietro, uccisero il padre, dice
(Met. VII 342): « Caecaque dant saevis aver-
sae vulnera dextris ».
19, 3. conte: manifeste. — 6. argine e
fossa: corrispondono l'uno diVrionte, l'altra
a no. — 7. porte: porti.
20, 3. scosso: rimosso, allontanato. — 6.
Con rista... dolorosa e ria; è da intendere
come complemento strumentale.
21, 3. feroce: non ha qui il suo significato
più comune, e vale animoso., forte al com-
battere. Boccaccio, Decam. nov. 41: « Nelle
cose belliche, cosi marine, come di terra,
espertissimo e feroce divenne ». Alla str. 37,
3. occorre ardir feroce\ dove pure feroce
è preso in buon senso.
22, 3. barbarica mina: l'astratto pel con-
creto: barbari rovinosi, che apportano ro-^
vina, danno. — 3-4. Virg., Aen. ii 407: « Non'
tulit hanc spem furiata mente Coroebus, Et
sese medium iniecit moriturus in agmen ».
— S. E fatto ecc.: Ovidio, Met. xv 528: ■• nul-
lasque in corpore partes Noscere quas pos-
ses: unumque erat omnia vulnus».
23, 1-2. Intendi: Non gli spiriti vitali, ma
la sola virtù dell'animo sostenta quel corpo,
che, quantunque sia ormai quasi un cada-
vere, pure resta indomito e animoso. — 6.
Uom grande: Solimano: come è in séguito
rivelato dagli eremiti l'str. 36).
24, 3-8. Virg., Aen. ii 431. « Iliaci ciueres,
et damma extrema meorum Testor in oc-
casu vestro, nec tela nec uUas Vitavisse
vices Danaum; et, si fata fuissent Ut cade
rem, meruisse manu ».
25, 5. lume: qui, senso della vista. — 7.
fioco: debole: con metafora che richiama
il dantesco [Inf. iii 75): « Com'io discerno
per lo fioco lume ».
CANTO Vili
99
26
Non rimaneva in me tanta virtude
Cli'a diseerner le cose io fossi presto;
Ma vedea come quei ch'or apre or chiude
Gli occhi, mezzo tra'l sonno el'esser desto;
E '1 duolo ornai de le ferite crude
Pili cominciava a farmisi molesto,
Che rinaspria l'aura notturna e '1 gelo
In terra nuda e sotto aperto cielo.
27
Più e più ognor s'avvicinava in tanto
Quel lume, e insieme un tacito bisbiglio,
Si ch'a me giunse e mi si pose a canto.
Alzo allor, ben che a pena, il debil ciglio.
E veggio due vestiti in lungo manto
Tener due faci; e dirmi sento: O figlio,
Confida in quel Signor ch'a' pii sovviene,
E con la grazia i preghi altrui previene.
28
In tal guisa parlommi: indi la mano,
Benedicendo, sovra me distese;
E susurrò con suon devoto e piano
Voci allor poco udite e meno intese.
Sorgi, poi disse: ed io leggiero e sano
Sorgo, e non sento le nemiche offese;
(Oh miracol gentile!) anzi mi sembra
Piene di vigor novo aver le membra.
29
Stupido lor riguardo, e non ben crede
L'anima sbigottita il certo e il vero;
Onde l'un d'essi a me : Di poca fede, [ro?
Chedubbii? o che vaneggiali tuo pensie-
Verace corpo è quel che 'n noi si vede:
Servi Siam di Giesù, che '1 lusinghiero
Mondo e'I suo falso dolce abbiam fuggito;
E qui viviamo in loco erto e romito.
30
Me per ministro a tua salute eletto
Ha quel Signor che 'n ogni parte regna;
Che per ignobil mezzo oprar effetto
Meraviglioso ed alto egli non sdegna:
Né men vorrà che si resti negletto
Quel corpo in cui già visse alma si degna;
Lo qual con essa ancor, lucido e leve
27, 3. Si che: fino a che: in questo senso
si è d'uso frequente negli antichi. Nella
CONQ. il T. pose Sin.
* 28, 1. parlommi. Si rileva agevolmente
dal contesto il soggetto uno di essi.
29, 1. Stupido: stupito. Cfr. v 32, 7. — 3.
Di poca fede: vocativo; come dicesse: o in-
credulo. Vangelo: * Modicae fidei, quare
dubitasti? » — 6. che '1 Insinjhiero ecc. Pe-
trarca, canz. r vo pensando 27: « fastidita
e lassa Se' di quel falso dolce fuggitivo Che
'1 mondo traditor può dar altrui ». — 8.
erto: cosi pure Conq.: ma Os. aspro.
30, 7. Incido • lev*: Nota del Gentiio:
E imraortal fatto, riunir si deve.
31
Dico il corpo di Sveno, a cui fìa data
Tomba a tanto valor conveniente;
La qual a dito mostra ed onorata
Ancor sarà da la futura gente.
Ma leva omai gli occhi a le stelle, e guata
Là splender quella, come un sol lucente:
Questa co' vivi raggi or ti conduce
Là dove è il corpo del tuo nobil duce.
32
Allor vegg' io che da la bella face,
Anzi dal sol notturno, un raggio scende
Che dritto là dove il gran corpo giace,
Quasi aureo tratto di pennel si stende:
E sovra lui tal lume e tanto face,
Cih'ogni sua piaga ne sfavilla e splende;
E sùbito da me si raffigura
Ne la sanguigna orribile mistura.
33
Giacca, prono non già; ma, come vòlto
Ebbe sempre a le stelle il suo desire,
Dritto ei teneva in verso il cielo il vólto
In guisa d'uom che pur là suso aspire.
Chiusa la destra e '1 pugno avea raccolto,
E stretto il ferro, e in atto è di ferire;
L'altra su '1 petto in modo umile e pio
Si posa, e par che perdón chieggia a Dio.
34
Mentre io le piaghe sue lavo co '1 pianto.
Né però sfogo il duol che l'alma accora,
Gli apri la chiusa destra il vecchio santo,
E '1 ferro che stringea trattone fora:
Questa,amedi3se, ch'oggi sparso ha tanto
Sangue nemico, e n'è vermiglia ancora,
È, come sai, perfetta; e non è forse
Altra spada che debba a lei preporse.
« Dice lucido e leve, in che modo gli filo-
sofi cristiani difflniscono il corpo glorifi-
cato: e gli stoici i loro dii. Cicerone, De
Natur. Deor., lib. i: - lUud video pugnare
te, species ut quaedara sit Deorum, quae
nihil concreti habeat, nihii solidi, nihil
expressi, nihil eminentis; sitque pura,levis,
perlucida - ».
32, 4. anreo tratto: Nota del Gentile:
« Cioè quasi aurea linea, la quale uon è
altro che un tratto o flusso del punto. Ed
apprese questa similitudine da Dante [Purg.
XXIX 73): - E vidi le fiammelle andare
avante Lasciando dietro a sé l'aer dipinto;
E di tratti pennelli avean sembiante - ». —
5. face: fa.
33, 5. Chiosa ecc. Intendi: Aveva la de-
stra chiusa e il pugno raccolto, cioè ser-
rato, e in questo teneva il ferro stretto, ed
era in atto di ferire.
100
GERUSALEMME LIBERATA
35
Onde piace là su, che, s'or la parte
Dal suo primo signor acerba morte,
Oziosa non resti in questa parte;
Ma di man passi in mano ardita e forte,
Che Tusi poi con egual forza ed arte,
Ma più lunga stagion con lieta sorte:
E con lei faccia, perché a lei s'aspetta,
Di chi Sveno le uccise aspra vendetta.
36
Soliman Sveno uccise; e Solimano
Dee per la spada sua restarne ucciso.
Prendila dunque, e vanne ov'il cristiano
Campo fia intorno a l'alte mura assiso:
E non temer che nel paewe estrano
Ti sia il sentier di uovo anco preciso;
Che t'agevolerà per l'aspra via
L'alta destra di Lui ch'or là t'invia.
37
Quivi Egli vuol che da cotesta voce,
Che viva in te servò, si manifesti
La pietate, il valor, l'ardir feroce.
Che nel diletto tuo signor vedesti;
Tei che a segnar de la purpurea croce
L'arme con tale esempio altri si desti;
Ed ora, e dopo un córso anco di lustri,
Infiammati ne sian gli animi illustri.
33
Resta che sappia tu chi sia colui
Che deve de la spada esser erede.
Questi è Rinaldo, il giovenetto, a cui
Il pregio di fortezza ogn'altro cede.
A lui la porgi, e di' che sol da lui
L'alta vendetta il Ciel e '1 mondo chiede.
Or, mentre io le sue voci intento ascolto,
Fui da miracol novo a sé rivolto:
89
Che là dove il cadavere giacca.
Ebbi iraproviso un gran sepolcro scòrto,
Che, sorgendo, rinchiuso in sé l'avea.
Come non so né con qual arte sorto:
E in brevi note altrui vi si sponea
11 nome e la virtù del guerrier morto.
35, 1. parte: divide, allontana. —7. s'aspet-
ta: spetta, si appartiene. Cfr. e. v 34, 8.
36, 1. Soliman: Cfr. str. 23, 5. Questi ed
Argante sono i più forti tra i guerrieri pa-
gani. — 4. assiso: posto per Passedio. As-
sidersi in un luogo, parlando di milizie,
vale accamparvisi. Dante usa il perfetto
dell'attivo dando al verbo il significato di
assediare {Inf. xiv 68) : ■« quel fu 1' un
de' sette regi Ch'assiser Tebe ». — 6. pre-
ciso: interrotto. Cfr. iv 86, 3. — 7. Dante,
Purg. IX, 57: « Si l'agevolerò per la sua
via ».
37, 5. segnar: cosi BoN.2-3 CoxQ. e Os., solo
BON.i seguir.
Io non sapea da tal vista levarmi,
Mirando ora le lettre ed ora i marmi.
40
Qui, disse il vecchio, appresso a i fidi ami-
Giacerà del tuo duce il corpo ascoso, [ci
Mentre gli spirti, amando, in Ciel felici
Godon perpetuo bene e glorioso.
Ma tu co 1 pianto omai gli estremi uffici
Pagato hai loro; e tempo è di riposo.
Oste mio ne sarai sin ch'ai viaggio
Mattutiu ti risvegli il novo raggio.
41
Tacque; e per lochi ora sublimi or cupi
Mi scòrse, ondeagranpenailtìancotrassi.
Sin eh', ove pende da selvaggie rupi
Cava spelonca, raccogliemmo i passi.
Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i
Co '1 discepolo'suo securo stassi; jlupi
Che difesa miglior, ch'usbergo e scudo,
È la santa innocenzia al petto ignudo.
42
Silvestre cibo e duro letto porse
Quivi a le membra mie posa e ristoro.
Ma, poi ch'accesi in oriente scòrse
I raggi del mattin purpurei e d'oro,
Vigilante ad orar subito sorse
L'uno e l'altro eremita, ed io con loro.
Dal santo vecchio poi congedo tolsi,
E qui, dov'egli consigliò, mi volsi.
43
Qui si tacque il Tedesco; e gli rispose
II pio Buglione: 0 cavalier, tu porte
Dure novelle al campo e dolorose,
Ond'a ragion si turbi e si sconforte;
Poi che genti si amiche e valorose
Breve ora ha tolte, e poca terra absorte;
E in guisa d'un baleno il signor vostro
S'è in un sol punto dileguato e mostro.
39, 7. Petrarca, Tr. Fam. in 1: « F non
sapea da tal vista levar me ». — * da tal.
Cosi leggono i migliori testi. Solerti di tal.
— 8. lettre: lettere, già annot.
•10, 7. Oste: ospite.
41, 2. scòrse: come già altrove, guidò. —
trassi: strascicai; come nel Petrarca, son.
Movesi 'l vecchie r el ó: «Indi traendo poi
l'antico fianco Per l'estreme giornate di sua
vita. — 7-8. Orazio, Odi^ I xxxii: « Integer
vitae, scelerisque purus Non eget Mauris
iaculis, neque arcu, Nec venenatis gravida
sagittis, Fasce, pharetra ». E Dante, Inf.
XXVIII 115: « Se non che coscienza mi assi
cura. La buona compagnia che l'uomfran
cheggia Sotto l'usbergo del sentirsi pura »
42, 1-2. Il Sannazznro, « Sylva tibi sedes
viridique e cespite lectus, Explebant men
sas amnis et herba tuas ».
43, 6, absorte: cfr. i 4.
CANTO Vili
101
44
Ma che? felice è cotal morte e scempio,
Via più ch'acquisto di proviucie e d'oro ;
Né dar Tautico Campidoglio esempio
D'alcun può mai si glorioso alloro.
Essi del ciel nel luminoso tempio
Han corona immortai del vincer loro:
Ivi credo io che le sue belle piaghe
Ciascun lieto dimostri, e se n'appaghe.
45
Ma tu, che a le fatiche ed al periglio
Ne la milizia ancor resti del mondo,
Devi gioir de' lor trionfi, e '1 ciglio
Render, quanto conviene, omai giocondo:
E, perché chiedi di Bertoldo il figlio.
Sappi, cli'ei fuor de l'oste è vagabondo;
Né lodo io già che dubbia via tu prenda,
Pria che di lui certa novella intenda.
46
Questo lor ragionar ne l'altrui mente
Di Rinaldo l'amor desta e rinnova;
E v'è chi dice: Ahi! fra pagana gente
Il giovenetto errante or si ritrova.
E non v' è quasi alcun che non raramente,
Narrando al Dano i suoi gran fattiaprova;
E de l'opere sue la lunga tela
Con istupor gli si dispiega e svela.
47
Or quando del garzon la rimembranza
Avea gli animi tutti inteneriti,
Ecco molti tornar, che per usanza
Eran d'intorno a depredare usciti.
Couducean questi seco in abbondanza
E mandre di lanuti e buoi rapiti,
Ebiadeancor,benche non molte, estrame
Che pasca de' corsier l'avida fame.
48
E questi di sciagura aspra e noiosa
Segno portar, che'n apparenza è certo:
Rotta del buon Rinaldo e sanguinosa
La sopravesta, ed ogni arnese aperto.
Tosto si sparse (e chi potria tal cosa
Tener celata?) un rumor vario e incerto.
Córre il vulgo dolente a le novelle
Del guerriero e de l'arme, e_^vuol vedelle,
49
Vede, e conosce ben l'immensa mole
Del grand'usbergo, e '1 folgorar del lume,
E l'arme tutte, ov'è l'augel ch'ai sole
Prova i suoi figli e mal crede a le piume;
Che di vederle già primiere, o sole,
45, 6. vagabondo: qui, errante.
46, 6. Dano: è il tedesco della st. 43, 1.
49, 3. l'augel: l'aquila. Intendi che i vv.
3-1 vogliono dire: ov'è l'aquila che rico-
nosce i suoi figli, più che dalle piume, dal
fatto che possono sostenere la vista del
soie.
Ne le imprese più grandi ebbe in costume;
Ed or non senza alta pietate ed ira
Rotte e sanguigne ivi giacer le mira.
50
Mentre bisbiglia il campo, e la cagione
De la morte di lui varia si crede,
A sé chiama Aliprando il pio Buglione,
Duce di quei che ne portar le prede,
Uom di libera mente, e di sermone
Veracissimo e schietto; ed a lui chiede:
Di' come e donde tu rechi quest'arme,
E di buono o di reo nulla celarrae.
51
Gli risponde colui: Di qui lontano [dria.
Quanto in duo giorni un messaggiero an-
Verso il confln di Gaza un picciol piano
Chiuso tra colli alquanto è fuor di via;
E in lui d'alto deriva, e lento e piano
Tra pianta e pianta un fiumicel s'invia;
E, d'arbori e di macchie ombroso e folto,
Opportuno a l'insidie il loco è molto.
52
Qui greggia alcuna cercavam,che fosse
Venuta a i paschi de l'erbose sponde;
E in su l'erbe miriam di sangue rosse
Giacerne un guerrier morto in riva a l'on-
[de.
A Tarme ed a l'insegne ogn'uora si mosse,
Che furon conosciute, ancor che immonde.
Io m'appressai per discoprirgli il viso:
Ma trovai ch'era il capo indi reciso.
53
Mancavaancor la destra; e'I busto grande
Molte ferite avea dal tergo al petto:
E non lontan, con l'aquila che spande
Le candide ali, giacca il vóto elmetto.
Mentre cerco d'alcuno a cui dimande,
Un vìUanel sopragiungea soletto.
Che 'n dietro il passo per fuggirne torse
Subitamente che di noi s'accòrse.
54
Ma Heguitato e preso, a la richiesta
Che noi gli facevamo, al fin rispose:
Che '1 giorno inanti uscir de la foresta
Scòrse molti guerrieri, onde ei s'ascose;
E ch'un d'essi tenea recisa testa
Per le sue chiome bionde e sanguinose,
La qual gli parve, rimirando intento,
D'uom giovenetto, e senza peli al mento ;
61, 3. un picciol piano ecc. Descrizione
tratta da Virgilio, Aen. xi 522: « Est curvo
anfractu valles, accomoda fraudi Armo-
rumque dolis, quam densisfraudibus atrum
Urget utrinque latus».
64, 5. Mella: «L'uso di decapitare i ca-
daveri dei vinti e di recarne i teschi ap-
pesi all'arcione a trofeo di vittoria, è tut-
tora praticato dagli arabi ». Si avverte.
iU2
GERUSALEMME LIBERATA
E che '1 medesmo poco poi l'avvolse
In un zendado da l'arcion pendente.
Soggiunse ancor, ch'a Tabito raccolse
Cli'erano cavalier di nostra gente.
Io spogliar feci il corpo, e si me 'n dolse,
Che piansi nel sospetto amaramente,
E portai meco Tarme, e lasciai cura
Ch'avesse degno onor di sepoltura.
56 [do,
Ma, se quel nobil tronco è quel ch'io ere-
Altra tomba, altra pompa egli ben merta.
Cosi detto, Aliprando ebbe congedo,
Però che cosa non avea più certa.
Rimase grave, e sospirò Goffredo;
Pur nel tristo pensier iion si raccerta:
E con più chiari segni il monco busto
Conoscer vuole e Tomicida ingiusto.
57
Sorgea la notte in tanto, e sotto Tali
Ricopriva del cielo i campi immensi ;
E '1 sonno, ozio de l'alme, oblio de' mali.
Lusingando sopia le cure e i sensi.
Tu sol punto, Argillan. d'acuti strali _
D'aspro dolor, volgi gran cose e pensi.
Né l'agitato sen né gli occhi ponno
La quiete raccorre o '1 molle sonno.
58
Costui pronto di man, di lingua ardito.
Impetuoso e fervido d'ingegno,
Nacque in riva del Tronto, e fu nudrito
Ne le risse civil d'odio e di sdegno:
Poscia in esilio spinto, i colli e '1 lite
Empiè di sangue, e depredò quel regno,
perché cosi T inganno immaginato dal T.
acquista più verisimiglianza.
65, 3. raccolse: comprese. In questo senso
il T. lo adopera ancora in prosa {Lett. i39):
«Ma più chiarara«rré si raccoglie da Er-
mogene quel che sia distorcimento di par-
lare ». — 5. e si: la congiunz. e manca in
Os.; è tuttavia nelle st. Box. e in Conq.
66, 5. grare, triste. Petrarca, Tr. Am. n
131: «Rimasi grave, e sospirando andai».
67, 1. Sorgea la notte ecc. Virg., Aen. ii
240: « ruit oceano nox, Involvens umbra
magna lerranique polumque ». — 3-4. Virg.,
Aen. II 268: « Tempus erat cum prima quies
mortalibuS|aegris Incipit et dono divum
gratissi^naBerpit ». — 5-8. Ariosto., Ori. viii
79: « Tu le/palpebre, Orlando, appena ab-
bassi Punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;
Né quel si breve e fuggitivo sonno Goder
in pace anco lasciar ti ponno ».
68, 3. Nacque in rira del Tronto ecc.: U
Xientile crede che il P. volesse fare Argil-
lano della città d'Ascoli che « sopra tutte le
altre città d'Italia, per le civili sedizioni è
stata chiara in ogni tempo ».
Sin che nel'Asia aguerreggiar se'u venne,
E per fama miglior chiaro divenne.
59
Al fin questi su l'alba i lumi chiuse:
Né già fu sonno il suo queto e soave,
Ma fu stupor ch'Aletto al cor gl'infuse,
Non men che morte sia, profondo e grave.
Sono le interne sue virtù deluse,
E riposo dormendo anco non have;
Che la furia crudel gli s'appresenta
Sotto orribili larve, e lo sgomenta.
60
Gli figura un gran busto, ond'è diviso
Il capo, e de la destra il braccio è mozzo;
E sostien con la manca il teschio inciso,
Di sangue e di pallor livido e sozzo.
I Spira, eparlaspirandoilm.orto viso; izo:
E'iparlarvienco'l sanr^ueeco'l singhioz-
Fuggi, Argillan ; non vedi ornai la luce?
Fuggi le tende infami e l'empio duce.
61
Chi dal fòro Goffredo, e da la frode
Ch'uccise me, voi, cari amici, affida?
D'astio dentro il fellon tutto si rode,
E pensa sol come voi meco uccida.
Pur, se cotesta mano a nobil lode
Aspira, e in sua virtù tanto si fida,
Non fuggir, no; plachi il tiranno esangue
Lo spirto mio co '1 suo maligno sangue.
62
Io sarò teco ombra di ferro e d'ira
Ministra, e t'armerò la destra e '1 seno.
Cosi gli parla e nel parlar gli spira
Spirito novo di furor ripieno.
Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira
Gli occhi gonfi di rabbia e di veneno;
Ed armato ch'egli è, con importuna
Fretta i guerrier d'Italia insieme aduna.
63
Gli aduna là dove sospese stanno
L'arme del buon Rinaldo; e con superba
69, 3. stnpor: stordimento. —4. Intendi:
non meno profondo e grave di quello che
sia la morte. — 7. furia: Aletto.
60, 1. Certo qui il T. ebbe a mente Ber-
tramo dal Bornio nell'Inferno dantesco
(XXVIII 121): cE'l capo tronco tenea perle
chiome Pésol con mano a guisa di lan-
terna ». — 3. inciso: tagliato; l'usa spesso
il Nostro. — 7-8. Virg., Aen. in 44: « Heu
fuge crudeles terras, fuge litus avarum ».
61, 8. maligno: cosi pur CoxQ.; ma Os.
malvagio. — maligno: cioè che è disposto
a nuocere, che ha in sé malvagità.
62, 1-2. Virg., Aen. vii 454: « adsum dira-
rum ab sede sorori;ra, Bella manu, letura-
que gero ». — 4. Rifa il dantesco [Purg.
XXV 71): • spira Spirito novo di virtù re-
pleto ».
X^i^
f /
CANTO vm
103
Voce il furore e '1 conceputo affanno
In tai detti divulj^a e disacerba:
Dunque un popolo barbaro e tiranno,
Che non prezza ragion che fé non serba,
Che non fu mai di sangue e d'or satollo,
Ne terrà '1 freno in bocca, e '1 giogo al collo?
64
Ciò che sofferto abbiam d'aspro e d'inde
Sette anni ornai sotto si iniqua soma, [gno
È tal ch'arder di scorno, arder di sdegno
Potrà da qui a mill'anni Italia e Roma.
Taccio che fu da l'arme e da l'ingegno
Del buon Tancredi la Cilicia dt)ma,
É ch'ora il Franco a tradigion la gode,
E j premi usurpa del valor la frode:
65
Taccio, ch'ove il bisogno e '1 tempo chiede
Pronta man, pensier fermo, animo audace,
Alcuno ivi di noi primo si vede
Portar fra mille morti o ferro o face:
Quando le palme poi, quando le prede
Si dispensan ne l'ozio e ne la pace,
Nostri in parte non son, ma tutti loro
I trionfi, gli onor, le terre e l'oro.
Tempo forse già fu, che gravi e strane
Ne potevan parer si fatte offese;
Quasi lievi or le passo; orrenda, immane
Ferità leggierissime l'ha rese.
Hanno ucciso Rinaldo, e con l'umane
L'alte leggi divine han vilipese.
E non fulmina il Cielo? e non l'inghiotte
La terra entro la sua perpetua notte?
67
Rinaldo hanmorto,il qualfu spadaescu-
Di nostra fede, ed ancor giace inulto? [do
63, 4. disacerba: indica che ruomo si
sente sollevato quando può versare nelle
parole il dolore e il furore.
CA, 2. Sette anni: In accordo col sesto
anno volgea del e. i 6, 1.
65. Guastavini: « Cosi Achille adirato con-
tro Agamennone nel i delT/Z. : — Non mai
veramente ho premio a te eguale, quando
i Greci - De' Troiani depredino alcuna ben
abitata città: - Ma veramente il più del-
l'impetuosa guerra - Le mani mie gover-
nano; e pure quando la divisione viene, -
A te premio molto ma3i,'-iore [tocca]: ma
io, e picciolo e caro - Mi porto, tenendolo,
a le navi, da poi ch'ho travagliato guer-
reggiando ». — 7. Nostri in parie non son:
d'accordo colla Conq. ; maOs.: Nostri non
sono (jih.
* 66, 7. non l'ingh. Alcuni intendono V
riferito a Goffredo, ma il contesto porta che
s'intenda per ^t riferendolo agli uccisori di
Rinaldo. Ma uou è chiaro.
Inulto giace; e su '1 terreno ignudo
Lacerato il lasciaro ed insepulto.
Ricercate saper chi fosse il crudo?
A chi puote, o compagni, esser occulto?
Deh! chi non sa quanto al valor latino
Portin Goffredo invidia e Baldovino?
68
Ma che cerco argomenti? Il Cielo io giuro
(11 Ciel che n'ode, e ch'ingannar non lice),
Ch'allor che si rischiara il mondo oscuro,
Spirito errante il vidi ed infelice.
Che spettacolo, oimè, crudele e duro!
Quai frode di Goffredo a noi predice!
Io '1 vidi; e non fu sogno, e, ovunque or miri,
Par che dinanzi a gli occhi miei s'aggiri.
69
Or che faremo noi? Dee quella mano.
Che di morte si ingiusta è ancora immonda.
Reggerci sempre? o pur vorrera lontano
Girne da lei, dove l'Eufrate inonda?
Dove a' popoli imbelli in fertil piano
Tante ville e città nutre e feconda,
Anzi a noi pur; nostre saranno, io spero;
Né co' Franchi comune avrem l'impero.
70
Andianne; e resti invendicato il sangue
(Se cosi parvi) illustre ed innocente:
Benché, se la virtù, che fredda laugue.
Fosse ora in voi quanto dovrebbe ardente,
Questo che divorò, pestifero angue,
Il pregio e'I fior de la latina gente,
Daria con la sua morte e con lo scempio
A gli altri mostri memorando esempio.
71
Io, io vorrei, se'l vostro alto valore,
Quanto egli può, tanto voler osasse.
Ch'oggi per questa man ne l'empio core,
Nido di tradigion, la pena entrasse.
Cosi parla agitato; e nel furore
E ne l'impeto suo ciascuno ei trasse.
Arme! arme! freme il forsennato,e insieme
La gioventù superba, arme ! arme ! freme.
67, 3-4. Virg., Aen. v 871: « Nudus in
ignota, Palinure, iacebis arena >.
6S, 5. duro: increscevole. — 7. non fu so-
gno ecc. : Virg., Aen. Ili 173: « Nec sopor
illud erat: sed coram agnoscere vultus, Ve-
latasque comas, praesentiaque ora videbar » .
69, 5. a' popoli imbelli; Bon."^ e Os. legg.:
a popolo imbelle: Conq. a timide genti.
70, 3-S. Guastavini: « Cosi Achille contro
ad Agamennone nel i dell'/;.: - Re divo-
rator del popolo, perché a gente da nulla
comandi; - Che veramente, 6 Agamennone,
ora ultimamente ci ingiurieresti ».
71, 7-8. Virg., Aen. vii 460: « Arma amens
fremii » ; e xi 464: • Arma manu trepidi pos-
cunt, frerait arma iuventus »; e Ovidio, nella
battaglia dei centauri con Teseo e riritoo.
104
GERUSALEMME LIBERATA
I
Rota Aletto fra lor la destra armata,
E co '1 foco il venen ne' petti mesce.
Lo sdegno, la follia, la scelerata
Sete del sangue ognor più infuria e cresce;
E serpe quella peste e si dilata,
E de gli alberghi Italici fuor n'esce,
E pa.ssa fra gli Elvezii, e vi s'apprende,
E di là poscia a gli Inghilesi tende.
73
Né sol l'estrane genti avvieu che mova
Il duro caso e il gran publico danno;
Ma l'antiche cagioni a l'ira nova
Materia insieme e nutrimento danno.
Ogni sopito sdegno or si rinnova; [no; |
Chiamano il popol Franco empio e tiran
E in superbe minacele esce diffuso iso. ;
L'odio, che non può starne ornai più chiù
74
Cosi nel cavo rame umor che bolle
Per troppo foco, entro gorgoglia e fuma;
Né capendo in sé stesso, altin s'estolle
Sovra gli orli del vaso, e inonda e spuma.
Non bastano a frenare il vulgo folle
Que" pochi a cui la mente il vero alluma:
E Tancredi e Camillo eran lontani,
Guglielmo, e gli altri in podestà soprani.
75
Corrono già precipitosi a l'armi
Confusamente i popoli feroci;
E già s'odon cantar bellici carmi
Sediziose trombe in fere voci.
Gridano in tanto al pio Buglion che s'armi
Molti di qua di là nunzii veloci;
E Baldovin dinanzi a tutti armato
Met. XII 240: « ardescunt germana caede bi-
membres, Cert^tiraqueomnes uno ore a/"ma,
arma loquuntur ».
72, 8. poscia a gì' Inghilesi; Os. poscia
anco a gli Inglesi. — tende: si avvia. *I1
Solerti legge, su Pautorità di alcuni mano-
scritti, a V inghilesi tende, alle tende in-
glesi, complem. di passa. Ma le migliori
stampe leggono come nel testo.
74, 1-4. Virg., Aen. vii 461: « magno ve-
lati quum fiamma sonore Virgea suggeri-
tur costisundantisaheiii Exultantque aestu
latices, furitiatus aquai Furaidus atque alte
spumis exuberat amais, Nec iam se capii
unda, volat vapor ater ad auras ». — 7-8.
Tancredi e Camillo avrebbero potuto fre-
nare gli italiani; Gngliolmo, gli inglesi. —
In potestà soprani: superiori a tutti in po-
tere.
75, 1-4. Virg., Aen. vii 519: «Tura vero
ad vocem celeres, qua buccina signum Dira
dedit. raptis concurrunt undique tel:s In-
domiti agricolae; nec non et Troia pubes
Ascanio auxilium castris effuudit apertis *.
— 7. Mella: «Questo Baldovino ha da es-
Gli s'appresenta e gli ai pone a lato.
76
Egli ch'ode l'accusa, i lumi al cielo
Drizza, e pur come suole a Dio ricorre:
Signor, tu che sai ben con quanto zelo
La destra mia del civil sangue abbovre,
Tu squarcia a questi de la mente il velo,
E reprimi il furor che si trascorre;
E l'innocenza mia, che costà sopra
E nota, al mondo cieco anco si scopra.
77
Tacque; e dal Cielo infuso ir fra le vene
Sentissi un novo inusitato caldo.
Colmo d'alto vigor, d'ardita spene
Che nel vólto si siiarge e '1 fa più baldo,
E da' suoi circondato, oltre se'n viene
Contra chi vendicar credea Rinaldo;
Né, perché d'arme e di minacele ei senta
Fremito d'ogni intorno, il passo allenta.
78
Ha la corazza in dosso, e nobil veste
Riccamente l'adorna oltre il costume.
Nudo è le mani e'I vólto, e di celeste
Maestà vi risplende un novo lume:
Scote l'aurato scettro, e sol con queste
Arme acquetar quegli impeti presume.
Tal si mostra a coloro, e tal ragiona;
Né come d'uom mortai la voce suona:
79
Quali stolte minaccie, e quale or odo
Vano strepito d'arme? e chi '1 commove?
Cosi qui riverito, e in questo modo
Noto son io, dopo si lunghe prove,
Ch'ancor v'è chi sospetti, e chi di frodo
Goffredo accusi, e chi l'accuse approve?
Forse aspettate ancor ch'a voi mi pieghi,
E ragioni v'adduca, e porga preghi?
sere il fratel cugino di Goffredo, signore
del Bourg. Del rimanente si sarebbe il Tasso
dimenticato di aver detto (e. i 9), che Bal-
dovino conte di Boulogne si stava nel suo
principato di Edessa. E veramente pare che
se ne scordasse (e. i 40, ». Certo il T. allu-
deva al fratello del re; cfr. vii 108, 7: Il
buon duce Buglion chiama il fratello, né
questi poteva essere Eustazio, il quale aveva
seguitato Armida.
* 76, 4. Os. dal cimi sangue. Le B, se-
guite anche dal Solerti, del e s. Si richiami
l'osservaz. del Cavedoni e. v, 71, n. 4.
77, 5. oltre; Os. iììdi.
78, 3. Virg., Aen. xii 312; « At plus Aeneas
dexlram tendebat inermem Nudato capite ».
— 8. Virg., Aen. i 328: « nec vox hominem
sonati e il Petrarca, son. Erano i cai ei 10:
< e le parole Souavan altro che pur voce
umana ».
79, 5. frodo: frode.
CANTO Vili
105
80
Ah non eia ver che tanta indìgnìtate
La terra piena del mio nome intenda:
Me questo scettro, me de l'onorate
Opre mie la memoria e '1 ver difenda:
E per or la giustizia a la piotate
Coda, né sovra i rei la pena scenda.
A gli altri nierti or questo error perdóno,
Ed al vostro Rinaldo anco vi dono.
81
Co'l sangue suo lavi il coraun difetto
Solo Argillan, di tante colpe autore;
Che, mosso a leggierissimo sospetto,
Sospinti gli altri ha nel medesmo errore.
Lampi e folgori ardean nel regio aspetto,
Mentre ei parlò, di maestà, d'onore;
Tal ch'Arginano attonito e conquiso
Teme (chi '1 crederia?) l'ira d'un viso.
82
E '1 vulgo ch'anzi irreverente, audace^
Tutto fremer s'udia d'orgogli e d'onte,
E ch'ebbe al ferro, a l'aste ed a la face
Che '1 furor ministrò, le man si pronte,
Non osa (e i detti alteri ascolta, e tace)
Fra timor e vergogna alzar la fronte;
81, 1. comun: comune a tutti. — 3. mosso
a: mosso da; • lasciatosi andare a.
82, 1. anzi: avverbio: innanzi, prima.
Questa stanza ricorda la famosa similitu-
dine virgiliana, per la quale Nettuno che
placa i venti è paragonato al grave perso-
naggio che riesce di un sùbito a reprimere
la ribellione del popolo, Aen. i 118: « Ac
veluti magno in populo cum saepe cohorta
est Seditio saevitque auimis ignobile vul-
gus; lamque faces et saxa volant, furor
arma ministrai; Tum pietate gravem ac
meritis si forte virura quem Conspexere,
sileut, arrectisque auribus adstant; Ille re-
git dictis animos et pectora mulcet ».
E sostien ch'Argillano, ancor che cinto
De l'arme lor, sia da' ministri avvinto.
83
Cosi leon, ch'anzi l'orribil coma
Con muggito scotea superbo e fero,
Se poi vede il maestro onde fu doma
La natia ferità del core altero.
Può del giogo soffrir l'ignobil soma,
E teme le minaccie e '1 duro impero;
Né i gran velli, i gran denti e l'unghie
[e' hanno
Tanta in sé forza insuperbir il fanno.
84
E fama che fu visto in vólto crudo
Ed in atto feroce e minacciante
Un alato guerrier tener lo scudo
De la difesa al pio Buglion davante,
E vibrar fulminando il ferro ignudo
Che di sangue vedeasi ancor stillante:
Sangue era forse di città, di regni.
Che provocar del Cielo i tardi sdegni.
85
Cosi, cheto il tumulto, ognun depone
L'arme, e molti con l'arme il mal talento :
E ritorna Goffredo al padiglione,
A varie cose, a nove imprese intento;
Ch'assalir la cittade egli dispone
Pria che '1 secondo o '1 terzo di sia spento:
E rivedendo va l'incise travi,
Già in macchine conteste orrende e gravi .
83, 1. anzi: Cfr. st. preced. 1, not. — 2.
mngafito, per ruggito. Boccaccio, Decani.
nov. 77: « cominciò a mugghiar che pareva
un leone ».
86, 7. incise: tagliate, come abbiam visto
ancora sopra. — 8. Già in macchino conteste:
Conteste accorda con travi, e vuol dire, già
unite insieme, commesse cosi da forma?
macchine.
CANTO IX.
Alette -^ Solimano mao-
vc di notte gli arabi con-
tro i cristiani, i quali cosi
restano presi in mezzo
-^ Morte di Latino e
de* suoi figli -^ Goffredo
oppone Guelfo a Clorin-
da e ad Argante ; egli
va contro a Solimano -y^r
Michele, per ordine di-
vino, pone in fuga i de-
mòni clic aiutano i sa-
racini ^ Morte di Lc-
sbino -y^ Eroica morte di
Arginano iì^ Arrivano
i guerrieri cristiani clie
avevano seguita Armida
•yif Aladino fa sonare a
raccolta ii[ Fuga di So-
limano,
Ma il gran mostro infernal, che vede queti
Que' già torbidi cori, e l'ire spente;
E cozzar contrari fato, e i grau decreti
Svolger non può de l'immutabil Mente,
Si parte; e dove jiassa, i campi lieti
Secca, e pallido il sol si fa repente;
E, d'altre furie ancora e d'altri mali
Ministra, a nova impresa affretta l'ali!
2
Ella, che da l'esercito cristiano.
1, 1. mostro: Aletto. — 3. cozzar ecc.: ri-
corda il dantesco (Inf. ix 97): « Che giova
nelle fata dar di cozzo?»; e dipende dal
non può del vers. seg. — 5. e dove passa
ecc.: Ovidio, Met. u 791: «Quacumque in-
greditur, flwrentia proterit arva, Exuritque
herbas ». — 7. furie: nel senso di cose fu-
ribonde.
Per industria sapea de' suoi consorti,
11 figliuol di Bertoldo esser lontano,
Tancredi e gli altri più temuti e forti.
Disse: Che pili s'aspetta? or Solimano
Inaspettato venga, e guerra porti.
Certo (0 ch'io spero) alta vittoria avremo
Di campo mal concorde e jn parte scemo.
3
Ciò detto, vola ove fra squadre erranti,
Fattosen duce, Soliman dimora;
Quel Soliman, di cui non fu, tra quanti
Ila Dio rubelli, uom più feroce allora;
Xé se per nova ingiuria i suoi giganti
Rinnovasse la terra, anco vi fora.
Questi fu re de' Turchi, ed in Nicea
La sede de l'imperio aver solca;
4
E distendeva in contra a i greci lidi
cfr.
i, 2. consorti: i diavoli.
e. VI 10 3 e in nota.
5. Solimano:
CANTO IX
107
Dal Sangario al Meandro il suo confine,
Ove albergar già Misi e Frigi e Lidi,
E le genti di Ponto e le Hitine:
Ma, poiché centra Turchi e gli altri infidi
Passar ne l'Asia l'arme peregrine,
Fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto
Ben fu due fiate in general conllitto.
5
Ma riprovata avendo in van la sorte,
E spinto a l'orza dal natio paese.
Ricoverò del re d'Egitto in corte,
4, 2. Sangavio: (oggi Sakaria) fiume di
Frigia che mette foce nel mar Nero; —
Mcandi'o: (oggi Meindres) fiume che si getta
neirArcipelago ad ostro dell'isola di Samo:
quali regioni siano racchiuse dai due fiumi
si vede nei seg. vv. 3-4. — S. Ben fu due
fiate; meglio Os. Ben due fiate. — due:
secondo Gugl. Tir., Solimano toccò una
grande sconfìtta sotto Nicea, e un'altra
quando improvvisamente assaltò i cristiani
sotto Antiochia. Di propria invenzione il T.
pone Solimano capo dell'assalto degli arabi,
che vieu descrivendo; ma il modo della de-
scrizione trasportò dal Tirio (vi 20) dove
questi narra il già citato assalto di Antio-
chia; e dalle istorie trasse pure l'improv-
viso apparire degli arabi. Attesta egli stesso
[Leu. 66): «Vero è l'assalto de gli arabi,
ma di questi solo parla una Cronica d'un
Rocoldo, conte diProchese, che fu in quella
guerra; pur se ne vede alcun vestigio in
Roberto monaco, ancor che debole ».
6. Questa e le due strofe segg. furono
agc^iunte dal T. già finita la Gerusalemme
per le ragioni da lui addotte nella Lett. 25
(dell'anno 1575); « per unire l'azione mag-
giormente in quanto a la parte che s'ap-
partiene a i saracini, e ridurre i lor pro-
gressi ad un capo, io avrei pensato di ag-
giungere nel nono canto, appresso le due
stanze aggiunte di Solimano, alcune altre
ne le quali si dicesse, che Solimano dopo
che fu cacciato dal regno, si ritirò ne la
corte del re d'Egitto e che da lui fu posto
al governo de l'Arabia; dove stando egli,
avea contratta amicizia co' capi di quelli
arabi che non han sede ferma, e gli avea
tirati a sua divozione e del Califfo; e che,
dopo il ritorno d'Alete, il Califfo gli fece
intendere con meravigliosa prestezza (o
forse prima, da ch'egli cominciò a sospet-
tare che i cristiani passassero a l'espugna-
zione di Gerusalemme), che cercasse di di-
sturbare in alcuu modo Goff"redo.... Questo
pensiero mi nacque già per alcuna ragione,
e per l'imitazioue di Virgilio e d'Omero,
che uniscono i nemici ecc. ». — 1. Ma ri-
provata; GoNQ. Ma ritentata; Os. E riten-
tata.
Ch'oste gli fu magnanimo e cortese;
Ed ebbe a grado che guerrier si forte
Gli s'offrisse compagno a l'alte imprese,
Proposto avendo già vietar l'acquisto
Di Palestina a i cavalier di Cristo.
6
Ma prima ch'egli apertamente loro
La destinata guerra annunziasse,
Volle che Solimano, a cui molto oro
Die per tal uso, gli Arabi assoldasse.
Or, mentre ei d'Asia e dal paese moro
L'oste accogliea, Soliman venne, e trasse
Agevolmente a sé gli Arabi avari,
Ladroni in ogni tempo o mercenari.
7
Cosi fatto lor duce, or d'ogn' intorno
La Giudea scorre, e fa prede e rapine;
Si che '1 venire è chiuso, e '1 far ritorno
Da l'esercito Franco a le marine:
1^, rimembrando ognor l'antico scorno,
E de l'imperio suo l'alte mine.
Cose maggior nel petto acceso volve;
Ma non ben s'assecura o ai risolve.
8
A costui viene Aletto; e da lei tolto
E 'l sembiante d'un uom d'antica etade:
Vota di sangue, empie di crespe il vólto.
Lascia barbuto il labro, e '1 mento rade;
Dimostra il capo in lunghe tele avvolto;
La veste oltre '1 ginocchio al pie gli cade;
La scimitarra al fianco, e '1 tergo carco
De la faretra, e ne le mani ha l'arco.
9
Noi, gli dice ella, or trascorriam le vote
Piaggie e l'arene sterili e deserte,
Ove né far rapina mai si puote,
Né vittoria acquistar che loda merte.
Goffredo in tanto la città percote,
E già le mura ha con le torri aperte;
E già vedrera, s'ancor si tarda un poco,
In sin di qua le sue mine e '1 foco.
10
Dunque accesi tuguri e greggie e buoi
Gli alti trofei di Soliman saranno?
Cosi racquisti il regno? e cosi i tuoi
Oltraggi vendicar ti credi e '1 danno?
Ardisci, ardisci: entro a i ripari suoi
Di notte opprimi il barbaro tiranno.
6, 5. ei: il re d' Egitto.
8, 1. e da lei tolto ecc.: Guastavini : « De-
scrizione e' ha mirabile evidenza. Meno
assai distinta, e perciò di minor energia,
è quella della stessa Aletto appo Virgilio,
{Aen. VII 415) quando essa in vecchia si
trasformò: - Allecto torvam faciem, et fu-
rialia membra Exuit; in vultus sese tran-
sformat aniles. Et frontem obscenam rugis
arat, induit albos Cum vitta crines ».
108
GERUSALEMME LIBERATA
Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio
E uel regno provasti e ne l'esiglio.
11
Nonciaspettaegli,enouci teme, esprez-
Gli Arabi ignudi in vero e timorosi; [za
Né creder mai potrà che gente avvezza
A le prede, a le fughe, or cotanto osi:
Ma feri li farà la tua fierezza
Coutra un campo che giaccia inerme e posi.
Cosi gli disse; e le sue furie ardenti
Spirògli al seno, e si mischiò tra' venti.
12
Gridai! guerrier, levando al ciel la mano:
0 tu. che furor tanto al cor m'irriti
(Ned uom sei già, se ben sembiante umano
Mostrasti), ecco io ti seguo ove m'inviti.
Verrò; farò là monti, ove ora è piano:
Monti d'uomini estinti e di feriti;
Farò fiumi di sangue. Or tu sia meco,
E reggi l'armi mie per laer cieco.
13
Tace : e senza indugiar I9 turbe accoglie,
E rincora parlando il vile e '1 lento;
E ne l'ardor de le sue stesse voglie
Accende il campo e seguitarlo intento.
Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie
Di sua man propria il gran vessillo al ven-
Marcia il campo veloce, anzi si corre [to.
Che de la fama il volo anco precórre.
14
Va seco Alettoj e poscia il lascia, e veste
D'uom che rechi novelle, abito e viso;
E ne l'ora che par che il mondo reste
Fra la notte e fra '1 di dubbio e diviso,
Entra in Gierusalemrae; e, tra le meste
Turbe passando, al re dà l'alto avviso
Del gran campo che giunge, e del disegno.
E del notturno assalto e l'ora e 'i segno.
15
Ma già distendon l'ombre orrido velo,
Che di rossi vapor si sparge e tigne;
La terra in vece del notturno gelo
Bagnan rugiade tepide e sanguigne;
S'empie di mostri e di prodigi il cielo;
S'odon fremendo errar larve maligne;
Votò Pluton gii abissi, e la sua notte
Tutta versò da le tartaree grotte.
16
Per si profondo orror verso le tende
De gli inimici il fèr Soldan cammina;
Ma quando a mezzo del suo córso ascende
La notte, onde poi rapida dechina,
A men d'un miglio, ove riposo prende
11 securo Francese, ei s'avvicina:
I Qui fé' cibar le genti; e poscia, d'alto
Parlando, confortoUe al crudo assalto:
17
Vedete là di mille furti pieno
Un campo più famoso assai che forte,
Che quasi un mar nel suo vorace suno
Tutte de l'Asia ha le ricchezze absorte?
Questo ora a voi (né già potria con meno
Vostro periglio) espon benigna sorte;
L'arme e i destrier, d'ostro guerniti e d'oro,
Preda fian vostra, e non difesa loro.
18
Né questa è già quell'oste, onde la Persa
Gente, e la gente di Nicea fu vinta;
Perché in guerra si lunga e si diversa
Rimasa u'è la mag^nor parte estinta;
E, s'anco integra fosse, or tutta immersa
In profonda quiete e d'arme è scinta.
Tosto s'opprime chi di sonno è carco;
Che dal sonno a la morte è un picciol varco.
19
Su sn, venite: io primo aprir la strada
Vo' su i corpi languenti entro a i ripari:
Ferir da questa mia ciascuna spada,
E l'arte usar di crudeltate impari.
Oggi fia che di Cristo il regno cada.
Oggi libera d'Asia, oggi voi chiari.
Cosi gli infiamma a le vicine prove;
Indi tacitamente oltre lor move.
20
Ecco tra via le sentinelle ei vede,
Per l'ombra mista d'una incerta luce;
Né ritrovar, come secura fede
11, 7-8. Virg., .\en. vii 456: «Sic effata,
facem iuveni coniecit, et atro Lumine fu-
maotes fixit sub pectore taedas ».
12, 4. ceco ecc.: Virg. in persona di
Turno, Aen. ix 21: « Sequor emina tanta,
Quisquis in arma vocas ». — 8. reegì: cosi
Os.: ma Bonn, tratta.
1.5, 1. ombre: Guastavini: «Le notti, le
quali altro non sono che ombra della terra ».
— orrido Telo: Guastavini: « qui è detto or-
rido per li prodigi spaventevoli che seguono
ne' versi appresso, e significano la morta-
lità futura». — 3-1. Guastavini: * Cosi ap-
presso Omero //. si: - e da l'alto fece scen-
dere rugiade - Di sangue bagnate da Paria,
perciocché egli avea- Molti importanti capi
air Inferno a mandare. — Leggesi anco nelle
istorie antiche (come è notato da Plinio)
per prodigio esser piovuto sangue *.
16, 2. De gli inimici: Os. De' suoi ne-
mici.
17, 1. Vedete là ecc.: Si ricordi che ha
già chiamatigli arabi coll'appellativo avari.
— 6. espon: mette in mostra.
19, 2. languenti: languirli nel sonno.
20, 2. Per l'ombra ecc.: attraverso l'om-
bra mista di una luce incerta, cioè rischia-
rata in modo incerto da quei rossi vapori
onde le potenze infernali hanno sparso e
tinto le tenebre notturne, come è detto
CANTO IX
109
Avea, pnote iraproviso il saggio duce.
Volgoli quelle gridando in dietro il piede,
Scòrto che si gran turba egli conduce;
Si che la prima guardia è da lor desta,
E, coni' può meglio, a guerreggiar s'appre-
21 [sta.
Dan fiato allora a i barbari metalli
Gli Arabi, certi ornai d'esser sentiti.
Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli
Co '1 suon del calpestio misti i nitriti.
Gli aiti monti muggir, muggir le valli,
E risposer gli abissi a i lor muggiti;
E la face inalzò di Flegetonte
Aletto, e '1 segno diede a quei del monte.
22
Corre inauzi ilSoldano,égiungeaquella
Confusa ancora e inordinata guarda
Rapido si, che torbida procella
Da' cavernosi monti esce più tarda.
Fiume ch'arbori insieme e case svella,
Folgore che le torri abbatta ed arda,
Terremoto che '1 mondo empia d'orrore,
Son picciole sembianze al suo furore.
nella st. 15. — 4. improTÌso, improvvisa-
mente. — il s. duce: Goffredo. — 7, guar-
dia: qui ha valore collett.: schiera, che
sta a guardia. — S. E, coni': cosi pure
CoNQ. ma Os. Che com\
21, 2. Arabi: Cfr. la nota alla st. 4, 8.
"Vedi pure la nota alla st. 55 del cant. in;
e aggiungi che nella Lett. ivi cit. il Tasso
avverte come nella prima tessitura del
poema avesse usato la parola inori invece
di arabi; e come poi correggesse, anche a
costo di peggiorare ì suoi versi, perché
* cosi bisognava, perché gli arabi non son
mori né tartari ». — 5-6. Virg., Aen. v 149:
« Consonat omne nemus, vocemque inclusa
volutant Litora, pulsati coUes clamore re-
sultant » ; e vii 514: « protinus omne Con-
tremuit nemus, et silvae insonuere pro-
fundae », e ancóra xii 928: « totusque re-
mugit Mons circum, etvocem late nemora
alta remittunt ». — 8. a quei del monte: a
quelli che erano sul monte, ossia dentro
Gerusalemme; e in vero poco dopo, diverso
il colle e la città (st. 44) vengono, condotti
da Clorinda e Argante, i soldati di Aladino.
22, 1. Corre inanzi: Virg., Aen. ix 47:
« Turnus ut ante volans tard.um praecesse-
rat agmen ». — 2. guarda, guardia: è la
prima guardia che le sentinelle hanno de-
stato. — 3-8. Silio Italico, De beli. pun. xv
712: «Ut torrens, ut tempestas, ut damma
corusci Fulminis, ut Boreara pontus fugit,
ut cava currunt Nubila, cum pelago cae-
luro permiscuit Eurus ». — 8. al sno furore,
in confronto al suo furore.
23
Non cala il ferro mai, ch'a pien non colga,
Ne coglie a pien, clie piaga anco non fac-
fcia,
Ne piaga fa, che l'alma altrui non tolga :
E più direi; ma il ver di falso ha faccia.
E par ch'egli o se 'nfìnga, o non se 'n dolga,
0 non senta il ferir de l'altrui braccia;
Se ben l'elmo percosso in suon di squilla
Rimbomba, e orribilmente arde e sfavilla.
24
Or, quando ei solo ha quasi in fuga vòlto
Quel primo stuol de le francesche genti,
Giungono in guisa d'un diluvio accolto
Di mille rivi gli Arabi correnti.
Fuggono i Franchi allora a freno sciolto:
E misto il vincitor va tra' fuggenti;
E con lor entra ne' ripari, e '1 tutto
Di ruine e d'orror s'empie e di lutto.
25
Porta il Soldan su l'elmo orrido e grande
Serpe che si dilunga e il collo snoda;
Su le zampe s'inalza, e l'ali spande,
E piega in arco la forcuta coda;
Parche trelingue vibri, e che fuor manda
Livida spuma, e che '1 suo fischio s'oda.
Ed or ch'arde la pugna, anch'ei s'infiamma
Nel moto, e fumo versa insieme e fiamma.
26
E si mostra in quel lume a i riguardanti
Formidabil cosi l'empio Soldano,
Come veggion ne l'ombra i naviganti
Fra mille lampi il torbido oceano.
Altri danno a la fuga i piò tremanti,
Danno altri al ferro intrepida la mano;
E la notte i tumulti ognor più mesce,
Ed occultando i rischi, i rischi accresce.
23, 4. ma il ver: Dante, In/", xvi 124:
«Sempre a quel ver c'ha faccia di menzo-
gna De' Tuom chiuder le labbra quant'éi
puote ». — * 5. se 'nfiuga. Le B hanno se 'n
finga., che il Ferrari Intendeva per se ne
finga. Invece è da intendere se infl?ìga; si
mostri diverso da quello che è dentro. Cosi
legge il Solerti secondo fonti attendibilis-
sime.
24, 3. diluvio: nel senso di inondazione;
come nel Petrarca, canz. Italia mia 28
♦<0h! diluvio raccolto Di che deserti strani
Per inondare i nostri dolci campi ».
25, 1. Porta ecc.: Virgilio, della chimera
sulPelmo di Turno, Aen. vii 785: «triplici
crinita iuba galea alta Chimaeram Sustinet,
Aetnaeos efflantem faucibus ignes; Tam
magis illa fremens et tristibus effera flam-
mis, Quam magis efifuso crudescunt san-
guine pugnae ». — 5. Par che tre iingne
vibri; Virg., del serpente, Aen. ii 475; « Jin-
guis micat ore trisulcis ».
no
GERUSALEMME LIBERATA
27
Fra color che mostrare il cor più franco,
Latin, su '1 Tebro nato, allor si mosse,
A cui né le fatiche il corpo stanco.
Né gli anni dome aveano ancor le posse.
Cinque suoi figli quasi eguali al fianco
Gli erano sempre, ovunque in guerra et
[fosse.
D'arme gravando, anzi illor tempo molto,
Le membra ancor crescenti e '1 mòlle vól-
28 [^0-
Ed eccitati dal paterno esempio
Aguzzavano al sangue il ferro e l'ire.
Dice egli lor: Andianne ove quell'empio
Veggiam ne' fuggitivi insuperbire:^
Né già ritardi il sanguinoso scempio,
Ch'ei fa de gli altri, in voi Tusato ardire:
Però che quello, o figli, è vile onore,
Cui non adorni alcun passato orrore.
29
Cosi feroce leonessa i figli
Cui dal collo la coma anco non pende,
Né con gli anni lor sono i fòri artigli
Cresciuti, e Tarme de la bocca orrende,
Mena seco a la preda ed a i perigli,
E con l'esempio a incrudelir gli accende
Nel cacciator, che le natie lor selve
Turba, e fuggir fa le men forti belve.
30
Segue il buon genitor l'incauto stuolo
De' cinque, e Solimano assale e cinge ;
Einun solpunto unsol consiglio, eunsolo
Spirito quasi, sei lunghe aste spinge:
Ma troppo audace ilsuo maggiorfigliuolo
L'astaabbandona,econquelfèrsi stringe;
E tenta in van con la pungente spada,
Che sotto il corridor morto gli cada.
31
Ma come a le procelle esposto monte,
Che percosso da i flutti al mar sovraste,
Sostien fermo in sé stesso i tuoni e l'onte
Del ciel irato e i venti e l'onde vaste:
Cosi il fèroSoldan l'audace fronte [l'aste;
Tieu salda in centra a i ferri e in contra a
Ed a colui che '1 suo destrier percote.
Tra i cigli parte il capo e tra le gote.
32
Aramante al fratel che giù mina,
Porge pietoso il braccio e lo sostiene;
Vana e folle pietà! ch'a la mina
Altrui la sua medesma a giunger viene;
Ché'lPagansu quel braccio il ferro inchi-
Ed atterra con lui chi a lui s'attjene. [na
Caggiono entrambi, e l'un su l'altro lan-
[gue,
Mescolando i sospiri ultimi e '1 sangue.
33
Quinci egli di Sabin l'asta recisa.
Onde il fanciullo di lontan l'infesta, [sa
Gli urta il cavallo a dosso e '1 coglie ingui-
Che giù tremante iì batte, indi il calpesta.
Dal giovenetto corpo usci divisa
Con gran contrasto l'alma, e lasciò mesta
L'aure soavi de la vita e i giorni
De la tenera età lieti ed adorni.
34
Rimanean vivi ancor Pico e Laurente,
Onde arricchì un sol parto il genitore; i
Sirailissima coppia, e che sovente l
Esser solea cagion di dolce errore. I
Ma, se lei fé' natura indifferente, «
Diflfercnte or la fa l'ostil furore : '
Dura distinzìon ch'a l'un divide
Dal busto il collo, a l'altro il petto incide.
3.Ó
Il padre (ah non più padre! ah fera sorte,
Ch'orbo di tanti figli a un punto il face!)
Rimira in cinque morti or la sua morte,
27, 3. stanco: stancato. — 5. quasi eguali:
poco differenti d'età. — 7. anzi... molto:
molto prima del tempo. — 7-8. Silio Itnlico
De beli, pun: ii 319: * Pubescit castris mi-
les, galeaque teruntur Nondum signatae
flava lanugine malae ».
28, 7-8. Claudiano (citato dal Guastavini):
« Vilis honor quem non exornat praevius
horror ».
.30, 3-4. Virg., Aen. x 328: «Ni fratrum
stipata cohors foret obvia, Phorci Proge-
nies, septem numero : septenaque tela Conii-
ciunt». — 8. Che il corridore cada morto
sotto ad esso Solimano.
31, 1-4. Cfr. Omero, IL XV ; e Virgilio,
Aen. X 693: « Ille, velut rupes, vastum quae
prodit in aequor, Obvia ventorum furiis,
expostaque ponto, Vim cunctam atque mi-
nas perfert caelique marisque, Ipsa im-
mota manens »; cfr. ancóra Aen. vii 586. —
S. parte: divide col taglio della spada.
32, 1-2. Virg., Aen. x 338: « Huic frater
subit Alcanor, fratremque ruentem Susten-
tat dextra ».
33, 5-S. Vedi Omero, //. xxii 463 (della
trad. Monti).
34, 1. Bìmanean ecc.: Virg., Aen. x 390
« Vos etiam, gemini, rutulis cecidistis in
arvis, Daucia, Laride Thymberque, simil-
lima proles, Indiscreta suis, gratusque pa-
rentibus error; At nunc dura dedit vobis
discrimina Pallas: Nunc tibi, Th\mbre, ca-
put Evandrius abstulit ensis; Te decisa
suum, Laride, dextera quaerit >. — 5. indif-
ferente: accorda con lei (coppia), e vale si-
mile. Cfr. e. I 38 4.
35, 1. Ovidio, di Dedalo, Met. viii 231:
« At pater infelix, nec iam pater ». — 2.
orbo: privo. — 3. Dante, Inf. xxxiii 56: «
io scòrsi Per quattro visi il mio aspetto
stesso ».
CANTO IX
IH
E de la stirpe sua che tutta giace.
Né so come vecchiezza abbia si forte
Ne l'atroci miserie, e si vivace,
Che spiri e pugni ancor: ma gli atti e i visi
Non mirò forse de' iìgliuoli uccisi;
36
E di si acerbo lutto a gli occhi sui
Parte l'amiche tenebre celaro:
Con tutto ciò nulla sarebbe a lui,
Senza perder sé stesso, il vincer caro.
Prodigo del suo sangue, e de l'altrui
Avidissimamente è tatto avaro;
Né si conosce ben qnal suo desire
Paia maggior, l'uccidere, o'I morire.
37
Ma grida al suo nemico: E dunque frale
Si questa mano, e in guisa ella si sprezza,
Che con ogni suo sforzo ancor non vale
A provocare in me la tua fierezza?
Tace; e percossa tira aspra e mortale.
Che le piastre e lemaglie insieme spezza,
E su '1 fianco gli cala, e vi fa grande
Piaga, onde il sangue tepido si spande.
33
A quel grido, a quel colpo, in lui converse
Il barbaro crudel la spada e l'ira;
Gli apri l'usbergo, e pria lo scudo aperse,
Cui sette volte un duro cuoio aggira,
E '1 ferro ne le viscere gli immerse.
11 misero Latin singhiozza e spira;
E con vomito alterno or gli trabocca
Il sangue per la piaga, or per la bocca.
39
Come ne l'Apennin robusta pianta
Che sprezzò d'euro e d'aquilon la guerra.
Se turbo inusitato al fin la schianta,
Gli alberi intorno ruinando atterra:
36, 1-2. Boccaccio, Filoc. lib. 7: . Ma le
notturne tenebre le furon graziose, e quella
celarono ». — 5. Prodigo: è l'oraziano {Od.
I XII : « animaeque inagnae prodigumPaul-
lum >♦. — 6. aravo: cupido, bramoso; è in
vero poco bello usato qui come contrap-
posto a prodigo. Il Nostro abusa di questo
aggettivo, altre volte già osservato.
37, 4, proTOcare: cosi pure legge Conq.,
ma Os. py^ocuraj^e. — in me: contro di me.
38, 1-5. Virg., Aen. x 783: « Tum pius
Aeneas hastam iacit; illa per orbera Aere
cavura triplici, per linea terga, tribusque
Transiit intextum tauris opus, imaque se-
dit Inguine ». — 6-8. Stazio, Thebaid. ni 90:
* extremisque animis singultibus errans Al-
ternus nunc ore venit, nunc vulnere san-
guis >».
39, Catullo, LXIV, 105: « Nam velut in
summo quatientem brachia Tauro Quercum,
aut conigeram sudanti cortice pinum, In-
domitus turbo contorquens flamine robur
Cosi cade egli, e la sua furia è tanta.
Che più d'un seco tragge a cui s'afferra:
E ben d'uom si feroce è degno fine.
Che faccia ancor morendo alte ruine.
40
Mentre il Soldan sfogando l'odio interno
Pasce un lungo digiun ne' corpi umani,
Gli Arabi inanimiti aspro governo
Anch'essi fanno de' guerrier cristiani;
L'inglese Enrico e '1 bavaro Oliferno
Muoiono, 0 fèr Dragutte, a le tue mani:
A Gilberto, a Filippo, Arìadeno
Toglie la vita, i quai nacquer su '1 Reno.
41
Albazzàr con la mazza abbatte Ernesto;
Cade sotto Algazelle Otton di spada.
Ma chi narrar potria quel modo o questo
Di morte, e quanta plebe ignobil cada?
Sin da quei primi gridi erasi desto
Goffredo, e non istava in tanto a bada:
Già tutto è armato, e già raccolto un grosso
Drappello ha seco, egiàconlor s'è mosso.
42
Egli, che dopo il grido udì il tumulto,
Che par che sempre più terribil suoni,
Avvisò ben clie repentino insulto
Esser dovea de gli Arabi ladroni;
Che già non era al Capitano occulto
Ch'essi intorno scorrean le regioni;
Benché non istimò che si fugace
Vulgo mai fosse d'assalirlo audace.
43
Or, mentre egli ne viene, ode repente
Arme! arme! replicar da l'altro lato,
Ed in un tempo il cielo orribilmente
Intronar di barbarico ululato.
Questa è Clorinda che del re la gente
Guida a l'assalto, ed bave Argante a lato.
Al nobil Guelfo, che sostien sua vice,
Allor si volge il Capitano, e dice:
Eruit;illa procul radicibus exturbata Prona
cadit, lateque et cominus obvia frangens >.
— 7. feroce: fiero, iu buon senso: già visto
altre volte.
40, 3-4. aspro governo.... fanno: far go-
verno, o, mal governo di una cosa, vuol
dire, fare a una cosa il peggior trattamento
possibile ; ed è modo dantesco {Purg. v 108) :
« Ma io farò dell'altro [del corpo) altro go-
verno ».
41, 2. Os. Sotto Algazèl cade Engerlan
di spada. — 3-4. Virg., Aen. ii 361: « Quis
cladem illius noctis, quis funera fando
Explicet? ».
42, 3. Avtìsò: comprese, conobbe. — 7.
fagace: usato non nel senso più comune
« che passa presto », ma nell'altro « che è
presto a fuggire ». * Ariosto, Oì-l. xxxix, 10
«fugace fera»; Virg., Aen. ix 59: « fé ras
fugacea ».
112
GERUSALEMME LIBERATA
44
Odi qnal novo strepito di Marte
Di verso il colle e la città ne viene:
D'uopo là fin clie'l tuo valore e l'arte
I primi assalti de' nemici affrene.
Vanne tu dunque, e là provvedi; e parte
Vo' che di questi miei teco ne mene :
Con gli altri io me n'andrò da l'altro canto
A sostener l'impeto ostile in tanto.
45
Cosi fra lor concluso, arabo gli move
Per diverso sentiero egual fortuna.
Al colle Guelfo, e'I Capitan va dove
Gli Arabi omai non han contesa alcuna.
Ma questi andando acquista forza, e nove
Genti di passo in passo ognor raguna;
Tal che già fatto poderoso e grande
Giunge oveilfèroTurco ilsaugue spande.
4G
Cosi scendendo dal natio suo monte
Non empie umile il Po l'angusta sponda;
Ma sempre più, quanto è più limge al fonte,
Di nove forze insuperbito abbonda:
Sovra i rotti confini alza la fronte
Di tauro, e viucitor d'intorno inonda;
E con più corna Adria respinge, e pare
Che guerra porti, e non tributo al mare.
47
Goffredo, ove fuggir l'impaurite
Sue genti vede, accórre, e le minaccia:
Qual timor, grida, è questo? ove fuggite?
Guardate almen chi sia quel che vi caccia.
Vi caccia un vile stuol, che le ferite
Né ricever né dar sa ne la faccia;
46. Guastavini: « A i fiumi si sogliono at-
tribuire la fronte e le corna di toro; e ciò
per le braccia e parti nelle quali si divi-
dono e sboccano in mare; onde fu detto
Rhenus bicornis, o per lo strepito e mug-
gito, 0 per l'impeto loro. Virtiilio : taurino
cornua vultu, e altrove, del Tevere: Cor-
niger Hesperidum fi 'vius regnatur aqua-
ruin *. La stanza é una rifioritura del Vida,
Christ. I 25: « Pinifero velati Vesuli de ver-
tice primum It Padus exiguo sulcans sata
pin.Gfuia rivo; Hinc raagis atque magis la-
bendo viribus auctus Surgit, latifluoque so-
nans se gurgite pandit Victor: opes amnes
vari: auxiliaribus undis Hinc addimt atque
inde: suo nec se capit alveo Turbidus, haud
uno dum rurapit in aequora cornu>. Con-
fronta anche Ariosto, Ori. xxxvn 92. — 8.
tribato: ciò a che il mare ha diritto, ricor-
dando che il Petrarca (son. Rapido /iurneG)
disse parlando al Rodano: « e pria che
rendi Suo dritto al mar».
47, 3. Virg., Aen. ix 781: « Quo deinde
fugam? quo tenditis? iuquit ».
E, se '1 vedranno in contra a sé rivolto,
Temeran l'arme lor del vostro vólto.
48
Punge il destrier, ciò detto, e là si volve
Ove di Soliman gl'incendi ha scòrti.
Va per mezzo del sangue e de la polve
E de' ferri e de' rischi e de le morti:
Con la spada e con gli urti apre e dissolve
Le vie più chiuse e gli ordini più forti;
E sossopra cader fa d'ambo i lati
Cavalieri e cavalli, arme ed armati.
49
Sovra i confusi monti a salto a salto
De la profonda strage oltre cammina.
L'intrepido Soldan, che '1 fòro assalto
Sente venir, no '1 fugge e no '1 declina;
Ma se gli spinge in contra, e'I ferro in alto
Levando per ferir gli s'avvicina.
0 quai duo cavalieri or la fortuna
Da gli estremi del mondo in prova aduna!
50
Furor contra virtute or qui combatte
D'Asia in un picciol cerchio il grande i rape-
Chi può dir come gravi e come ratte [ro.
Le spade son, quanto il duello è fero?
Passo qui cose orribili, che fatte
Furon, ma le copri quell'aer nero;
D'un chiarissimo sol degne, e che tutti
Siano i mortali a riguardar ridutti.
51
11 popol di Giesù, dietro a tal guida
Audace or divenuto, oltre si spinge:
E de' suoi meglio armati a l'omicida
Soldano intorno un denso stuol si stringe.
Né la gente fedel più che l'infida,
Né più questa che quella il campo tinge;
Ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
Egualmente dan morte, e sono estinti.
52
Come pari d'ardir, con forza pare [Ione,
Quinci austro in guerra vien, quindi aquì-
48, 2. Incendi: figurat. sconvolgimenti,
effetti prodotti dall'ira.
49, 4. declina: scansa. — 7. Virgilio, di
Enea e di Turno, .4én. xii 707: «Stupetipse
Latinus Ingentes, genitos diversis partibus
orbìs, Inter se coiisse viros et cernere
ferro ».
50, 1. Petrarca, canz. Italia mia 93:
«Virtù contra furore Prenderà l'arme»;
cfr. VI 55, 3. — 5. Passo: tralascio: Petrarca,
Tr. Cast. 115; «Passo qui cose gloriose e
magne ».
62. Comparazione tolta da Virgilio, Aen
x356: «Magno discordes aethere venti Proe-
lia ceu toUunt animis et viribus aequis; Non
ipsi inter se, non nubila, non mare cedunt
Anceps pugna diur ''tant obnixa omnia con-
CANTO IX
113
Non ci fra lor, non cede il cielo o il mare,
Ma nube a nube, e flutto a flutto oppone;
Cosi né ceder qua, né là piegare
Si vede l'ostinata aspra tenzone;
S'afìronta insieme orribilmente urtando
Scudo a scudo, elmo ad elmo e brando a
53 [brando.
Non meno in tanto son feri i litigi
Da l'altra parte, e i guerrier folti e densi,
Mille nuvole e più d'angioli stigi
Tutti han pieni de l'aria i campi immensi;
E dan forza a i Pagani; onde i vestigi
Non è chi in dietro di rivolger pensi;
E la face d'inferno Argante infiamma,
Acceso ancor de la sua propria fiamma.
54
Egli ancor dal suo lato in fuga mosse
Le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto;
Di lacerate membra empiè le fòsse,
Appianò il calle, agevolò l'assalto;
Si che gli altri il seguirò, e fér poi rosse
Le prime tende di sanguigno smalto.
E seco a par Clorinda, o dietro poco
Se 'n già, sdegnosa del secondo loco.
55
E già fuggiano i Franchi, allor che quivi
Giunse Guelfo opportuno, e'isuodrappel-
E volger fé' la fronte a i fuggitivi, [lo;
E sostenne il furor del popol fello.
Cosi si combatteva; e '1 sangue in rivi
Correa egualmente in questo lato e in quel-
Gli occhi fra tanto a la battaglia rea [lo.
Dal avio gran seggio il Re del Ciel volgea.
tra Haud aliter Troianae acies, aciesque
Latinae Concurrunt: haeret pede pes, den-
susque viro vir». — 3. ei: essi venti.
63, 5. restigi: l'orme dei piedi, pei piedi
stessi — 7. face: soggetto d'inflamma.
64.. 4. Appianò il calle: avendogli- tolte le
ineguaglianze col riempire di morti le fosse.
— 6. prime: quelle intorno all'accampa-
mento cristiano. — sanguigno smalto: san-
gue; come erboso smalto per erbe nel-
l'Ariosto {Orl.\i 23). —8. secondo loco: es-
sendo Argante il primo nella zuffa.
65, 5-6. Virg., Aen. x 755: « lam gravis
aequabat luctus, et mutua Mavors Funera ».
Guastavini: «Eguale è la zuffa fino a qui:
e può star convenevolmente, tutto che v'ab-
bia i diavoli, non essendo ella ancora ter-
minata: che non è già necessità che do-
vunque è potenza superiore quivi si vinca
sùbito. Ben quando terminò il fatto d'arme,
e potenza superiore fu introdotta come nel
settimo, la vittoria fu da quella parte: ma
qui avendosi con diritta ragione a far vin-
cere i Cristiani, e non potendosi senz'aiuto
maggiore che d'umano, come che bisognas-
se cacciare i diavoli, ricorre perciò a Dio >.
56
Sedea colà, dond'egli e buono e giusto
Dà legge al tutto, e '1 tutto orna e produce
Sovra i bassi confin del mondo angusto.
Ove senso o ragion non si conduce;
E de la eternità nel trono augusto
Risplendea con tre lumi in una luce.
Ha sotto i piedi il Fato e la Natura,
Ministri umili, e il Moto e Chi '1 misura,
57
E'lLoco,eQuellache, qualfumo opolve.
La gloria di qua giuso e l'oro e i regni,
Come piace là su, disperde e volve,
Né, diva, cura i nostri umani sdegni.
Quivi ei cosi nel suo splendor s'involve,
Che v'abbaglian la vista anco i più degni:
D'intorno ha innumerabili immortali,
Disegualraente in lor letizia eguali.
58
Al gran concento de' beati carmi
Lieta risuona la celeste reggia.
Chiama egli a sé Michel, il qual ne l'armi
Di lucido adamante arde e lampeggia;
E dice lui: Non vedi or come s'armi
Contra la mia fedel diletta greggia [do
L'empia schiera d'A verno, e in sin dal fon-
De le sue morti a turbar sorga il mondo?
66. 1. Sedea colà ecc.: Guastavini: «In
quello eccelso ed altissimo luogo, ove non
arriva alcun istrumento della nostra cogni-
zione, che sono il senso e la ragione...
Sola la rivelazione di Dio ad alcuni santi
uomini, e la fede d'alcune cose n'ha dato
contezza; le quali si leggono ne' libri di
Divinità». E il Gentile: «Questo è quel luogo
sopra tutti i cieli, del quale scrive Platone
che nessun poeta mai lo cantò o lo canterà
secondo la dignità sua f. — 6. con tre lumi
ecc.: La Trinità. Dante, Par. xxxi 28: «O
trina luce che in unica stella Scintillando
a lor vista». — 7-8. Mercurio Trimegisto
pure (cit. dal Gentile), Epist. ad Ammone,
scrisse che il Fato e la Natura sono mini-
stri de la Provvidenza — Chi '1 misnr.i: il
Tempo.
67, 1. 11 Loco: Io Spazio. — (Quella ecc.:
la Fortuna: derivata questa descrizione da
Dante, In/"- vii 78, ove è detto che Iddio
« Ordinò (la fortuna) general ministra e
duce Che permutasse a tempo li ben vani
Di gente in gente, e d'uno in altro sangue
Oltra la difension de' senni umani. , .Vostro
saver non ha contrasto a lei... Le sue per-
mutazion non hanno tregue... Ma ella s'è
beata e ciò non ode ». — 7. Petrarca, Tr.
Am. I 28 « D'intorno innuraerabili mor-
tali». — S. Disegiialniente: secondo che dei
beati già disse Dante Par. iv 35: • E diffe-
rentemente han dolce vita Per sentir più e
men l'eterno spiro ».
Tasso, Gerusalemme liberata.
114
GERUSALEMME LIBERATA
59
Va', dille tu che lasci ornai le cure
De la guerra a iguerrier, cui ciò conviene;
Né il regno de' viventi, né le pure
Piaggie del ciel conturbi ed avvenene:
Torni a le notti d'Acheronte oscure,
Suo degno albergo, a le sue giuste pene;
Quivi sé stessa, e l'anime d'abisso
Crucii : cosi comando, e cosi ho fisso.
60
Qui tacque: e'I duce de' guerrieri alati
S'inchinò riverente al divin piede:
Indi spiega al gran volo i vanni aurati
Rapido si, ch'anco il pensiero eccede:
Passa il foco e la luce, ove i beati
Hanno lor gloriosa immobil sede;
Poscia il puro cristallo e '1 cerchio mira.
Che di stelle gemmato in contra gira;
61
Quinci, d'opre diversi e di sembianti,
Da sinistra rotar Saturno e Giove,
E gli altri, i quali esser non ponno erranti
Se angelica virtù gli informa e move:
Vien poi, da' campi lieti e fiammeggianti
D'eterno di, là donde tuona e piove,
Ove se stesso il mondo strugge e pasce,
E ne le guerre sue mòre e rinasce.
60, 5. Qui, come altrove, segue il sistema
Tolemaico che già informò la costruzione
del Paradiso dantesco. — il foco e l.i luce:
r Empireo, sede dei beati; sotto a questo
rotavano nove sfere. — 7. il puro cristallo:
li cielo cristallino, nono cielo. — cerchio
ecc.: l'ottavo cielo, delle stelle fìsse.
61, 1. Dei sette cieli che restano al T. da
ricordare, egli non nomina che Saturno e
Giove, i rimanenti sono raccolti sotto la
parola altri del v. 3. — opre: influssi. —
dirersi: perché ogni pianeta esercita, se-
condo la sua natura, un suo speciale in-
flusso: cosi Marte dispone alla guerra. Ve-
nere all'amore, ecc. — 3. erranti: il T. vuol
dire che non possono essere, come suona
il nome « pianeta », erranti^ se sono mossi
da gli angeli. Bisogna ricordare che nel
Paradiso dantesco i nove cieli hanno il mo-
vimento dai nove cerchi d'angeli che ruo-
tano intorno a Dio. — 5. Vien poi ecc.: In-
tendi: dai campi dei cieli, passa poi alla
regione del fuoco {là donde tuona) e del-
l'aria {là donde piove). — 7-8. Ove ecc.: Par
abbia ragione il Guastavini spiegando che
il T. dimostra «poeticamente la scambie-
vole mutazione delle cose di qua giù, e la
vicendevole corruzione di esse per lo con-
trasto e la battaglia delle prime qualità fra
loro: onde d'acqua si fa aria, e d'aria
fuoco, e di fuoco aria (e di uomo cadavero,
e di cadavero cenere); ed in somma la cor-
62
Venia scotendo con l'eterne piume
La caligine densa e i cupi orrori:
S'indorava la notte al divin lume,
Che spargea scintillando il vólto fuori.
Tale il sol ne le nubi ha per costume
Spiegar dopo la pioggia i bei colori;
Tal suol, fendendo il liquido sereno.
Stella cader de la gran madre in seno.
63
Ma giunto ove la schiera empia infernale
Il furor de' Pagani accende e sprona,
Si ferma in aria in su '1 vigor de l'ale,
E vibra Tasta, e lor cosi ragiona:
Pur voi dovreste ornai saper con quale
Folgore orrendo il Re del mondo tuona,
0, nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
De l'estrema miseria, anco superbi.
^^
Fisso è nel Ciel, ch'ai venerabil segno
Chini le mura, apra Sion le porte. '■
A che pugnar co '1 fato? a che lo sdegno
Dunque irritar de la celeste corte?
Itene, maledetti, al vostro regno.
Regno di pene e di perpetua morte;
E siano in quegli a voi dovuti chiostri
Le vostre guerre ed i trionfi vostri.
65
Là incrudelite, là sovra i nocenti
Tutte adoprate pur le vostre posse
Fra i gridi eterni, e lo strider de' denti
E '1 suon del ferro, e le catene scosse.
Disse, e quei ch'egli vide al partir lenti,
Con la lancia fatai pinse e percosse:
Essi gemendo abbandonar le belle
Region de la luce e l'auree stelle;
e SS
E dispiegar verso gli abissi il volo
Ad inasprir ne' rei l'usate doglie:
Non passa il mar d'augei si grande stuolo,
ruzione dell'uno è generazione dell'altro;
e la vita dell'altro la morte del primo ».
62, 1. Dante, Purg. ir 35: «Trattando
l'aere con l'eterne penne». — 5-6. Virg.
Aen. vili 622 « qualis cum caerula nubes
Solis inardescit radiis longeque refulget
Cfr. anche Gerus. in 9. — 7-S. Virgilio,
Georg, i 365: « Saepe etiara stellas, vento
impendente, videbis Traecipites coelo labi,
noctisque per umbram Flaramarum longos
a tergo albescere tractus ». E Dante, Par.
XV 13: « Quale per li seren tranquilli e puri
Discorre ad or ad or sùbito foco Movendo
gli occhi che stavan sicuri ••.
65, 3. Nel Vangelo (Matt. vili), è detto
dell'Inferno : < Ibi erit fletus et strider den-
tium ».
68, 3-6. Virgilio (già imitato da Dante,
Inf. Ili 112), Aen. vi 309: « Quam multa in.
CANTO IX
115
Quando a i soli più tepidi s'accodile;
Né tante vede mai l'autunno al suolo
Cader co' primi freddi aride foglie.
Liberato da lor, quella si negra
Faccia depone il mondo, e si rallegra.
67
Ma non perciò nel disdegnoso petto
D'Argante vien l'ardire o '1 furor manco,
Benché suo foco in lui non spiri Aletto,
Né flagello infernal gli sferzi il fianco.
Ruota il ferro crudele ove è più stretto
E più calcato insieme il popol Franco;
Miete i vili e i potenti; e i più sublimi
E più superbi capi adegua a gl'imi.
68
Non lontana è Clorinda, e già non meno
Par che di tronche membra il campo asper-
CaccialaspadaaBeilinghiernelseno [ga;
Per mezzo il cor, dove la vita alberga;
E quel colpo a trovarlo andò si pieno,
Che sanguinosa usci fuor de le terga;
Poi fere Albiu là 've premier s'apprende
Nostro alimento, e '1 viso a Gallo fende.
69
La destra di Gerniero, onde ferita
Ella fu già, manda recisa al piano;
Tratta anco il ferro, e con tremanti dita
Semiviva nel suol guizza la mano.
Coda di serpe è tal, ch'indi partita
Cerca d'unirsi al suo principio in vano.
Cosi mal concio la guerriera il lassa;
Poi si volge ad Achille, e '1 ferro abbassa,
70
E tra'l collo e la nuca il colpo assesta:
E, tronchi i nervi, e '1 gorgozzuol reciso,
Gio rotando a cader prima la testa,
silvis autumni frigore primo Lapsa cadunt
folla; aut ad terram gurgite ab alto Quam
multae glomerantur aves, ubi frigidus an-
nus Trans pontum fugat, et terris immittit
apricis».
68, 7. là 'Te ecc.: nell'ombelico; Dante,
Inf. XXV 85: « E quella parte donde prima
è preso Nostro alimento ad un di lor tra-
fisse ».
69, 2, già; Conq. e Os. pria. — 3-4. Virg.,
Aen. X 395: « Te decisa suum, Laride,
dextera quaerit, Seraianimesque micant di-
giti, ferrumque retractant ». — 5-6. Ovi-
dio, Met. VI 559, della lingua di Filomena:
« Utque salire solet mutilatae cauda colu-
brae, Palpitat, et moriens dominae vestigia
quaerit •^.
70, 1. E tra '1 collo ecc.: Omero, II. xiv,
cosi tradotto dal Guastavini: • Percosse del
capo e del collo nella giuntura - L'estrema
vertebra, e tagliò tutti due i nervi, - E di
lui molto prima il capo, la bocca, e le na-
Prima bruttò di polve immonda il viso,
Che giù cadesse il tronco : il tronco resta
(Miserabile mostro) in sella assiso;
Ma libero del fren, con mille rote
Calcitrando il destrier, da sé lo scote.
Mentre cosi l'indomita guerriera
Le squadre d'Occidente apre e flagella.
Non fa d'in contra a lei Gildippe altera
De' Saraciui suoi strage men fella.
Era il sesso il medesmo, e simile era
L'ardimento e '1 valore in questa e in quel-
Ma far prova di lor non è lor dato; [la.
Ch'a nemico maggior le serba il fato.
72
Quinci una, e quindi l'altra urtaesospin-
Né può la turba aprir calcata e spessa : [gè,
xMa '1 generoso Guelfo allora stringe
Contra Clorinda il ferro, e le s'appressa;
E calando un fendente, alquanto tinge
La fera spada nel bel fianco: ed essa
Fa d'una punta a lui cruda risposta
Ch'a ferirlo ne va tra costa e costa.
73
Doppia allor Guelfo il colpo, elei non co-
Ch'a caso passa il palestino Osmida [glie,
E la piaga non sua sopra sé toglie,
La qual vien che la fronte a lui recida.
Ma intorno a Guelfo omai molta s'accoglie
Di quella gente ch'ei conduce e guida;
E d'altra parte ancor la turba cresce,
Si che la pugna si confonde e mesce.
74
L'aurora in tanto il bel purpureo vólto
Già dimostrava dal sovran balcone;
E in quei tumulti già s'era disciolto
11 feroce Argillan di sua prigione;
E d'arme incerte il frettoloso avvolto,
Quali il caso gli offerse, o triste o buone,
Già se'n venia per emendar gli errori
Novi con novi merti e novi onori.
rici - A la terra s'accostarono, che le
gambe e le ginocchia ». — 4. bruttò: sporcò,
Virg., Aen. XII 611: « Canitiem immundo
perfusam pulvere turpans ».
71,5. simil: Guastavini: « 5imt7e, cioè
della stessa sorte, essendo ardimento e valor
maschile, ma non già uguale ». E Virgilio,
di Fallante e di Lauso, Aen. x 434; « nec
multum discrepai aetas, Egregii forma,
sed queis fortuna negarat In patriam re-
ditus. Ipsos concurrere passus Haud tamen
inter se magni regnator Olj^mpi: Mox illos
sua fata manent maiore sub hoste ». — 8.
nemico maggior: Clorinda è serbata a Tan-
credi, e Gildippe a Solimano.
73, 3. Ch'i» caso passa; Conq. e Os. CAe
passa a caso.
116
GERUSALEMME LIBERATA
75
Come destrier che da le regie stalle,
Ove a l'uso de Tarme si riserba,
Fugge, e libero al fin per largo calle [ba;
Va tra gli armenti, 0 al fiume usato, 0 a l'er-
Sclierzan su '1 collo i crini, e su le spalle
Si scote la cervice alta e superba;
Suonano i pie nel córso, e par ch'avvampi,
Di sonori nitriti empiendo i campi;
76
Tal ne viene Arginano: arde il feroce
Sguardo; ha la fronte intrepida e sublime;
Leve è ne i salti, e sovra i pi^- veloce,
Si che d'orme la polve a pena imprime:
E giunto fra' nemici alza la voce
Pur com'uom che tutto osi, e nulla stime:
0 vii feccia del mondo, Arabi inetti,
Onde è ch'or tanto ardire in voi s'alletti ?
77
Non regger voi de gli elmi e de gli scudi
Siete atti il peso, o'I petto armarvi e il dor-
Ma commettete paventosi e nudi [so:
1 colpi al vento, e la salute al córso.
L'opere vostre e i vostri egregi studi
Notturni son; dà l'ombra a voi soccorso.
76, 1. Come destrier ecc. Omero, 77. vi, di
Paride, traduz. del Guastavini: « E come
quando stanziato (che è tenuto fermo)
alcun cavallo ingrassato d' orzo ne la
stalla - Rotto il legame corre il campo
saltellando - Solilo a lavarsi nel dolce-
mente corrente fiume, - Giubilando, ed
alta tiene la testa: ed intorno le chiome -
A le spalle si crollano, ed egli [stando] ne
le sue forze confidato - Facilmente le gi-
nocchia il portano alle sue usanze ed al
pascolo de' cavalli ». E Virgilio, di Turno,
Aen. XI 492: « Qualis, ubi abruptis fugit
praesepia vinclis Tandem liber equus, cam-
poque potitus aperto, Aut ille in pastus ar-
mentaque tendit equarum, Aut as?uetiis
aquae perfundi llumine noto Emicat, ar-
rectisque fremit cervicibus alte Luxurians,
luduntque iubae per colla, per armos ».
76, 2. sublime: alta, eretta. — 6. nnlla
stime: non stimi alcuna cosa, in nessuna
cosa veda un ostacolo all'azione sua. — 8.
Dante, Inf. ix 93: « Ond'esta oltracotanza
in voi s'alletta? ».
77, 1-2. Non regger toì ecc.: iperbato
duro: voi non siete atti a reggere il peso
degli elmi ecc. — 3. commettete: affidate.
Petrarca, pur degli Arabi, canz. 0 aspet-
tata in del 58: « Popolo ignudo, paventoso
e lento, Che ferro mai non strigne, Ma tutti
i colpi suoi commette al vento ». — 5. egregi
stadi: studio è occupazione sollecita del-
l'animo in checchessia; dice egregi ironi-
Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo?
D'arme è ben d'uopo e di valor più fermo.
78
Cosi parlando ancor die per la gola
Ad Algazèl di si crudel percossa
Che gli secò le fauci, e la parola
Troncò, ch'a la risposta era già mossa.
A quel meschin subito orror invola
Il lume, e scorre un duro gel per l'ossa:
Cade, e co' denti l'odiosa terra
Pieno di rabbia in su '1 morire afferra.
79
Quinci per varii casi e Saladino
Ed Agricalte e Mul easse uccide,
E da l'un fianco a l'altro a lor vicino
Con esso un colpo Aldiazèl divide:
Trafitto a sommo il petto Ariadino
Atterra, e con parole aspre il deride.
Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose
Parole, in su '1 morir cosi rispose:
80
Non tu, chiunque sia, di questa morte
Vincitor lieto avrai gran tempo il vanto:
Pari destin t'aspetta; e da più forte
Destra a giacer mi sarai steso a canto.
Rise egli amaramente: e. Di mia sorte
Curi il Ciel, disse; or tu qui mòri in tanto
camente.
7. Intendi; ora che l'ombra
fugge, e sottentra la luce, qual sarà riparo,
coperchio, alla vostra inerme (nudi) viltà
(paveyitosi) ?
78, l-4.Virg., Aen. x346: «rigida Dryopem
ferit eminus basta Sub mentum, graviter
pressa, pariterque loquentis Vocem ani-
mamque rapit traiecto gutture; at ille
Fronte ferit terram ». — 6. • seorre ecc. :
Virg., Aen. vi hi : « gelidus Teucris per dura
cucurrit Ossa tremor ^. — 7-8. Virg., Aen.
X 489: * Et terram hostilem moriens petit
ore cruento ». Cfr. anche Aen. x 488; e xi
418. — pieno: Conq. Pien di gran; Os.
colmo.
79, ], per rarii eagl: per diversi accidenti
non ordinati da lui ma voluti dalla sorte.
— 4. Con esso: cosi anc. la Gonq.; ma Os.
Col brando. — 5. a sommo il petto: nella
parte superiore del petto; come in Dante,
Purg. Ili HI: «E mostrommi una piaga a
sommo '1 petto ». —7. grati; pesanti come
di chi è per chiuderli nel sonno della morte.
80, 1. Kon tn ecc. Omero, II. xvi; e Virg.,
, Aen. X 739: « Ille autem exspirans: Non me,
j quicumque es, inulto, Victor, nec longum
laetabere: te quoque fata Prospectant pa-
ria, atque eadem mox arva tenebis. - Ad
quae subridens mixta Mezentius ira: Nunc
raorere; ast de me divum pater at(jue ho-
minum rex Viderit. Hoc dicens eduxit cor-
pore telura ».
CANTO IX
117
D'.iugei pasto e di cani: indi lui preme
Co'l piede,e netrae l'alma e'I ferro insie-
81 [n^e.
Un paggio del Soldan misto era iu quella
Turba di sagittari e lanciatori,
A cui non anco la stagion novella
Il bel mento spargea de' primi fiori.
Paion perle e rugiade in su la bella
Guancia irrigando i tepidi sudori;
Giunge grazia la polve al crine incolto;
E sdegnoso rigor dolce è in quel vólto.
82
Sotto ha un destrier, che di candor ag-
Pur ornerApennincaduta neve: [guaglia
Turbo 0 fiamma non è, che roti o saglia
Rapido si, come è quel pronto e leve.
Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia;
La spada al fianco tien ritorta e breve;
E con barbara pompa in un lavoro
Di porpora risplende intesta e d'oro.
83
Mentre il fanciullo, a cui novel piacere
Di gloria il petto giovenil lusinga,
Di qua turba e di là tutte le schiere,
E lui non è chi tanto o quanto stringa;
Cauto osserva Argillau tra le leggiere
Sue rote il tempo in che l'asta sospinga;
E, còlto il punto, il suo destrier di furto
Gli uccide, e sovra gli è, ch'a pena è surto.
84
Ed al supplice vólto, il quale in vano
Con l'arme di pietà fea sue difese.
Drizzò, crudeli l'inesorabil mano,
E di natura il più bel pregio offese.
Senso aver parve, e fu de l'uompiù umano
Il ferro, che si volse, e piatto scese:
Ma che prò'? se, doppiando il colpo fero,
Di punta colse ove egli errò primiero?
8j
Soliman, che di là non molto lunge
Da Goffredo in battaglia è trattenuto.
Lascia la zuffa, e'I destrier volve e punge
Tosto che '1 rischio ha del garzon veduto;
E i chiusi passi apre col ferro, e giunge
81, 3-4. Cfr. e. Ili 60, 5-6. — 7. Ginnge:
aggiunge. Ovidio, Heroicl. iv 77: «Te tuus
iste rigor, positique sine arte capilli, Et
levis egregio pulvis in ore decet ».
82, 5. zag.iglia, bastone ferrato in cima;
per lanciarla, si afferra nel mezzo. — 6.
breve, corta.
83, 4. Il Petrarca, Tv. Am iii 130: « Co-
stei non è chi tanto o quanto stringa ». —
tanto 0 quanto: pur un poco. — 5-6. tra le
leggiere Snc rote: mentre egli con legge-
rezza gira, volteggia.
81, 7. doppiando, raddoppiando, rinno-
vando.
A la vendetta si, non a l'aiuto;
Perché vede, ahi dolor! giacerne ucciso
Il suo Lesbin, quasi bel fior succiso.
86
E in atto si gentil languir tremanti
Gli occhi, e cader su '1 tergo il collo mira;
Cosi vago è il pallore, e da' sembianti
Di morte una pietà si dolce spira,
Ch'ammolli il cor, che fudur marmo inan-
E il pianto scaturì di mezzo a l'ira, [ti,
Tu piangi, Soliman? tu, che distrutto
Mirasti il regno tuo co'l ciglio asciutto?
87
Ma, come vede il ferro ostil che molle
Fuma del sangue ancor del giovenetto,
La pietà cede, e l'ira avvampa e bolle,
E le lagrime sue stagna nel petto.
Córre sovra Argillano, e '1 ferro estolle;
Parte lo scudo opposto, indi l'elmetto,
ludi il capo e la gola; e de lo sdegno
Di Soliman ben quel gran colpo è degno.
88
Né di ciò ben contento, al corpo morto,
Smontato del destriero, anco fa guerra;
Quasi mastin, che '1 sasso, onde a lui pòrto
Fu duro colpo, infellonito afferra.
Oh d'immenso dclor vano conforto,
Incrudelir ne l'insensibil terra!
Ma fra tanto de' Franchi il Capitano
Non speiidea l'ire e le percosse in vano.
86, 7. giacerne ncclso ecc.: Virg., Aen. ix
135: « Purpureus veluti cum flos succisus
aratro Languescit moriens»; e l'Ariosto,
Ori. xviii 153; « Come purpureo fior lan-
guendo muore Che M vomere al passar ta-
gliato lassa ». — 8. sacciso: latinismo, ta-
gliato.
86, 1. E in atto ecc.: Virg., Aen. ix 433:
t Volvitur Euryalus leto, pulchrosque per
artus It cruor, inque humeros cervix col-
lapsa recumbit ». E Ovidio, di Giacinto Met.
X 194: « Sic vultus moriens iacet, et defeda
vigore, Ipsa sibi est oneri cervix humero-
que recumbit ». — 3-4. da' sembianti DI
morte: dai sembianti improntati di morte.
— 7-8. Lucano, Phars. ix 1043: «Qui duro
membra senatus Calcarat vultu, qui sicco
lumine campos Viderat Emathios, uni tibi,
Magne, negare, Non audet gemitus ».
87, La morte del giovinetto caro a Soli-
mano, e la vendetta ch'egli ne trae, ricor-
dano la morte di Olimpio, e Pira di Ferraù
nell'Ariosto {OiH. xvi 71 e segg.). — 1-3.
Virg., Aen. XII 945: « lUe, oculis postquam
saevi monumenta dùloris Exuviasque hausit,
furiis acceusus et ira Terribilis ecc. ».
88, 3. Quasi mastin ecc.: Ariosto, Ori.
XXXVII 78: « O qua! mastin ch'ai ciottolo,
che gli abbia Gittate il viandante, corra in
118
GERUSALEMME LIBERATA
Mille Turchi avea qui, che di loriche
E d'elmetti e di scudi eran coperti;
Indomiti di corpo a le fatiche,
Di spirto audaci, e in tutti i casi esperti:
E furou già de le milizie antiche
Di Solimano, e seco ne' deserti
Seguir d'Arabia i suo' errori infelici,
Ne le fortune avverse ancora amici.
90
Questi, ristretti insieme in ordin folto.
Poco cedeano o nulla al valor Franco.
In questi urtò Goffredo, e feri il vólto
Al fier Corcutte, ed a Rosteno il fianco ;
A Selin da le spalle il capo ha sciolto,
Troncò a Rossano il destro braccio e'I man-
Né già soli costor; ma in altre guise [co:
Molti piagò di loro, e molti uccise.
91
Mentre ei cosi la gente Saracina
Percote, e lor percosse anco sostiene,
E in nulla parte al precipizio inchina
La fortuna de' Barbari e la spene;
Nuova nube di polve ecco vicina.
Che folgori di guerra in grembo tiene;
Ecco d'arme improvise uscirne un lampo
Che sbigotti de gli Infedeli il campo.
92
Son cinquanta guerrier che'n puro argen-
Spiegan la trionfai purpurea croce, [to
Non io, se cento bocche e lingue cento
Avessi, ferrea lena e ferrea voce,
Narrar potrei quel numero che spento
Ne' primi assalti ha quel drappel feroce.
Cade l'Arabo imbelle; e'I Turco invitto
Resistendo e pugnando anco è trafitto.
93
L'orror, la crudeltà, la téma, il lutto,
Van d'intorno scorrendo; e in varia imago
fretta, E morda invano con stizza e con
rabbia, Né se ne voglia andar senza ven-
detta: Tal Marg-anor ».
89, 1. avea: erano.
* 90, 6. Troncò. Bi. ha tronco, che, dipen-
dendo dal precedente Aa, finisce benissimo
il periodo.
92, 1. cinquanta: sono i guerrieri che se-
guirono Armida, e ritornano dopo che Ri-
naldo li ha liberati. Cfr. e. »58 e segg. —
3. Non io: Guastavini: « Omero nel ii dell'io:
Che la moltitudine io non esprimerei, né
nominerei - Né se pur in me dieci lingue,
e dieci bocche fossero, - E la voce invinci-
bile, e di ferro il cuore in me fosse. — E
Virj. nel ii 42 della Georg.: - Non raihi si
linguae centum sint, oraque centum, Fer-
rea vox. - E nel VI (625) deìVAen. allo stesso
modo ecc. ».
93, 1-4. Virg., Aen. li 368: « crudelis ubi-
Vincitrice la Morte errar per tutto
Vedresti, ed ondeggiar di sangue un lago.
Già con parte de' suoi s'era condutto
Fuor d'una porta il re, quasi presago
Di fortunoso evento; e quindi d'alto
Mirava il pian soggetto e'I dubbio assalto.
94
Ma, come prima egli ha veduto in piega
L'esercito maggior, suona a raccolta;
E con méssi iterati instando prega
Ed Argante e Clorinda a dar di volta.
La fera coppia d'eseguir ciò nega,
Ebra di sangue e cieca d'ira e stolta;
Pur cede al fine, e unite almen raccòrrò
Tenta le turbe, e freno a i passi imporre.
95
Ma chi dà legge ài vulgo, ed ammaestra
La viltade e '1 timor? La fuga è presa.
Altri gitta lo scudo, altri la destra
Disarma; impaccio è il ferro, e non difesa.
Valle è-tra il piano e la città, ch'alpestra
Da l'occidente al mezzogiorno è stesa;
.Qui fuggon essi, e si rivolge oscura
Caligine di polve in vèr' le mura.
9G
Mentre ne van precipitosi al chino,
Strage d'essi i Cristiani orribil fanno:
Ma, poscia che salendo ornai vicino
L'aiuto avean del barbaro tiranno,
Non vuol Guelfo d'alpestro erto cammino
Con tanto suo svantaggio esporsi al danno:
Ferma le genti; e '1 re le sue riserra,
Non poco avanzo d'infelice guerra.
97 [cesso
Fatto in tanto ha il Soldan ciò eh' è con-
Far a terrena forza; or più non puote: [so
Tutto è sangue e sudore; e un grave e spes-
Anelar gli auge il petto, e i fianchi scote.
Langue sotto lo scudo il braccio oppresso;
Gira la destra il ferro in pigre rote:
Spezza, e non taglia; e, divenendo ottuso,
Perduto librando omai di brando hal'uso.
que Luctus, ubique pavor, et plurima mor-
tis imago ». — 7. fortnnoso: tempestoso.
95, 1. La mossa è del Petrarca, son.
Liete e j^ènsose 9: « Chi pon freno a gli
amanti o dà lor legge?». — 5. il piano:
cosi pur CoNQ.; ma Os. 7 campo. — 7-8.
Virg-., Ae7i. XI 876: < volvitur ad muros ca-
ligine turbidus atra Pulvis ».
97, 3-4. Omero, II. xvi, traduz. del Gua-
stavini: «Ed egli tuttavia da un molesto
anelito era trattenuto, e da esso un sudore
- In tutte le parti de le membra copioso
cadeva né in alcun modo aveva [possayiza]*.
Onde Virgilio di Turno, Aen. ix 812: « Tum
toto corpore sudor Liquitur, et piceum (nec
respirare potestas) Flumen agit: fessoa
quatit aeger anhelitus artus », — 7-8. Lu-
CANTO IX
119
98
Come sentissi tal, ristette in atto
D'noni che fra due sia dubbio; e in sé di
Se morir debba, e di si illustre fatto [scorre
Con lo sue mani altrui la gloria torre;
0 pur, sopravanzando al suo disfatto
Campo, la vita in securezzn porre.
cane, P/iars. vi 186: « lamque hebes et
crasso non asper sanguine mucro Percus-
stuii Scaevae frangit, non vuluerat hostera:
l'erdidit ensis opus; frangit sine vulnera
membra».
98, 1-6. Virg., Aen. x 6S0 : « Haec memo-
rane, animo nunc bue nunc fluctuat illuc,
An sese mucrone ob tantum dedecus amens
Induat, et crudum per costas exigat ensem,
Fluctibus an iaciat mediis ».
Vinca, al fin disse, il fato; e questa mia
Fuga il trofeo di sua vittoria sia.
99
Vejrgia il nemico le mie spalle e schema
Di novo ancóra il nostro esilio indegno;
Pur che di novo armato indi mi scerjia
Turbar sua pace e '1 non mai stabil regno.
Non cedo io, no: fia con memoria eterna
De lemie offeseeteruo ancoil miosdegno.
Risorgerò nemico ognor più crudo,
Cenere anco sepolto e spirto ignudo.
99, 1. schema: schernisca. Per le tre ul-
time stanze di questo canto, è da confron-
tare in Omero la ritirata di Aiace, (/^. xvi)
e nell'Ariosto quella di Rodomonte [Ori.
xviii 21).
"1
CANTO X,
SoDQo dì Solimano -^
Solimano accompagna-
to da Ismene, che U
conduce protetto da una
nube, arriva a Gerusa-
lemme, là dove Ala-
dino ticn consiglio -^
Argante ^ Orcano
Rotta, per opera di
Ismeno, la nube, Soli-
mano minaccia Orcanc
^ Accoglienze di Ala-
dino -k I cavalieri li-
berati dalle mani d'Ar-
mida, richiesti, narrano
a Goffredo delle arti ài
quella, e di Rinaldo
che li liberò * L'Ere-
mita, figgendo gli occhi
nel futuro, accerta che
Rinaldo vive e predice
le glorie degli Estensi,
1
Cosi dicendo ancor vicino acòrse
Un destrier ch'a lui volse errante il passo;
Tosto al libero frea Ja mano ei porse,
E su vi salse, ancor che attìitto e lasso.
Già caduto è il cimier ch'orribil sorse,
Lasciando relmo inonorato e basso:
Rotta è la sopravesta, e di superba
Pompa regal vestigio alcun non serba.
1. Il T. inviando il canto decimo ai re-
visori di Roma, li avvertiva [Lett. 26) che
è « piuttosto la meta del quanto, che de la
favola; perché il mezzo veramente de la
favola è nel terzo decimo, perché sino a
quello le cose de' Cristiani vanno peggio-
rando: sono maltrattati ne l'assalto; vie
ferito il Capitano; è poi arsa loro la mac-
china, ch'era quella che sola spaventava
gli nemici; incantato il bosco, che non se
ne possono far de l'altre: e sono in ultimo
aiflitti da l'ardore de la sti^^ione, e da la
Come dal chiuso ovil cacciato viene
Lupo talor che fugge e si nasconde.
Che, se ben del gran ventre ornai ripiene
Ha l'ingorde voragini profonde,
Avido pur di sangue anco fuor tiene
La lingua, e '1 sugge da le labra immonde;
Tale ei se'n giadopo ilsanguignostrazio,
De la sua cupa fame anco non sazio.
3
E, come è sua ventura, a le sonanti
Qiiadrella, ond'alui intorno un nembovo-
A taute spade, a tante lancie, a tanti [la,
Instrumenti di morte al fin s'invola:
penuria de le acque, e impediti d'ogni ope-
razione ».
3, 1-4. Virg., Aen. ix 807: e iniectis sic
undique telis Obruitur!.,. Ingeminant ba-
stia et Troes et ipse Fulmineus Mnestheus
Ariosto, Ori. xvni 22, di Rodomonte: « Da
strana circondata e fiera selva D'aste, di
CANTO X
121
E sconosciuto pur cammina inanti
Per quella via eh' è più deserta e sola;
E, rivolgendo in sé quel che far deggia,
In gran tempesta de' pensieri ondeggia.
4
Dispensi al fin di girne ove raguna
Oste si poderosa il re d'Egitto;
E giunger seco l'arme, e la fortuna
Ritentar anco di novel conflitto.
Ciò prefisso tra sé, dimora alcuna [dritto,
Non pone in mezzo, e prende il cammin
Che sa le vie, né d'uopo ha di chi il guidi
Ui Gaza antica a gli arenosi lidi.
5
Né perché senta inacerbir le doglie
De le sue piaghe, e grave il corpo ed egro,
Vien però che si posi e l'arme spoglie;
Ma, travagliando, il di ne passa integro.
Poi, quando l'ombra oscura al mondo to-
[glie
I vari aspetti, e i color tinge in negro.
Smonta, e fascia le piaghe, e, come puote
Meglio, d'un'alta palma i frutti scòte;
6
E cibato di lor, su '1 terren nudo
Cerca adagiare il travagliato fianco,
E, la testa appoggiando al duro scudo,
Quetar i moti del pensier suo stanco.
Ma d'ora in ora a lui si fa più crudo
Sentire il duol de le ferite, ed anco
Roso gli è il petto e lacerato il core
Da gli interni avoltoi, sdegno e dolore.
7
Al fin, quando già tutte intorno chete
Ne la più alta notte eran le cose.
Vinto egli pur da la stanchezza, in Lete
Sopì le cure sue gravi e noiose;
E in una breve e languida quiete
L'afflitte membra e gli occhi egri compose;
E, mentre ancor dormia, voce severa
Gli intonò su l'orecchie in tal maniera:
spade e di volanti dardi Si tira al fiume ».
— 8. Preso da Virgilio {Aen. viii 19): « ma-
gno curarum fluctuat aestu ». — * de' pen-
sieri. Os. e altri, seguiti dal Solerti, di pen-
sieri.
é, 8. Gaza: città di Palestina, vicina ai
confini d'Egitto; il luogo intorno è quasi
tutto coperto di sabbia, Cfr. e. xvii 1.
6, 2. egro: latinismo già osservato, cfr,
e. I 3. — 4. travagliando: affaticandosi [nella
fuga]. — integro: intero. — 6. i color tinge
,ìn negro: derivato dal virgiliano (Aen. vi
272) « Et rebus nox abstulit atra colorem ».
7. 3. Lete: fiume dell'oblivione; qui per
l'oblio stesso. — 5-6. Virg., Aen. viii 29:
. Aeneas, tristi turbatus pectora bello, Pro-
cubuit, seramque dedit per membra quie-
teqa ». — 7-8. Toqe severa ecc.; Conguist.
8
Soliman, Solimano, i tuoi si lenti
Riposi a miglior tempo omai riserva;
Che sotto il giogo di straniere genti
La patria, ove regnasti, ancor è serva.
In questa terra dormi, e non rammenti
Ch'insepolte de' tuoi l'ossa conserva?
Ove si gran vestigio è del tuo scorno,
Tu neghittoso aspetti il novo giorno?
9
Desto il Soldan alza lo sguardo, e vede
Uom, che d'età gravissima a i sembianti,
Co'l ritorto baston del vecchio piede
Ferma e dirizza le vestigia erranti.
E chi sei tu? (sdegnoso a lui richiede)
Che fantasma importuno a i viandanti
Rompi i brevi lor sonni? e che s'aspetta
A te la mia vergogna o la vendetta?
10
Tomi soii un, risponde il vecchio,al quale
In parte è noto il tuo novel disegno;
E si come uomo a cui di te più cale
Che tu forse non pensi, a te ne vegno.
Né il mordace parlare indarno è tale:
Perché de la virtù cote è lo sdegno.
Prendi in grado, signor, che '1 mio sermone
Al tuo pronto valor sia sferza e sprone.
11
Orperché,8'io m'appongo, esser dee vòl-
Al gran re de l'Egitto il tuo cammino, [to
Che inutilmente aspro viaggio tolto
Avrai, s'inanzi segui, io m'indovino;
Che, se ben tu non vai, fia tosto accolto
E tosto mosso il campo Saracino:
Né loco è là, dove s'impieghi e mostri
La tua virtù centra i nemici nostri.
là [ro,
Ma se 'n duce me prendi, entro a quelmu-
XVI 14: «turbato suono Di voce lui destò
che parve un tuono ».
8, 5. In questa tèrra dormi ecc.: Virg.,
Aen ly 560: « Nate Dea, potes hoc sub casu
ducere somnos? Nec quae te circumstent
deinde pericula cernis? Demens! »
9, 4. vestigia: metaforic. per passi. — 7.
s'aspetta: si appartiene. Gfr. v 34, 8; e vtii
35, 7.
10, 5. indarno è tale: invano è mordace.
— 6. Intendi: lo sdegno è cote della virtù,
ossia serve ad aflinare, acuire essa virtù,
come la pietra serve ad affilare il ferro.
Petrarca, canz. QuelV antiquo 36: * Sempre
aguzzando il giovenil desio, All'empia cote
ond' io Sperai riposo ». — 7. Prendi in grado :
gradisci; del Petrarca.
11, 3-4. Costruisci: Io m'indovino (ossia
prevedo) che, se séguiti oltre, avrai inutil-
mente tolto, cioè, preso a fare, aspro viag-
gio. — 5. se ben ta non vai: anche non an-
dando tq.
122
GERUSALEMME LIBERATA
Che da l'arrni latine è intorno astretto,
Nel più chiaro del di pòrti securo,
Senza che spada impugni, io ti prometto.
Quivi con l'arme e co' disagi un duro
Contrasto aver ti fia gloria e diletto;
Difenderai la terra in sin che giugna
L'oste d'Egitto a rinovar la pugna.
13 [ce
Mentreeiragionaancor, gli occhiala vo-
De l'uomo antico il fiero Turco ammira;
E dal vólto e da l'animo feroce
Tutto depone omai l'orgoglio e l'ira.
Padre, risponde, io già pronto e veloce
Sono a seguirti; ove tu vuoi mi gira.
A me sempre miglior parrà il consiglio
Ove ha più di fatica e di periglio.
14
Loda il vecchio i suoi detti: e perché l'aura
Notturna avea le piaghe incrudelite,
Un suo licor v' instilla, onde ristaura
Le forze, e salda il sangue e le ferite.
Quinci veggendo omai ch'Apollo inaura
Le rose che l'aurora ha colorite:
Tempo è, disse, alpartir; chégiànescopre
Le strade il sol ch'altrui richiama al'opre.
15
E sovra un carro suo, che non lontano
Quinci attendea, co '1 fèr Niceno ei siede:
Le briglie allenta, e con maestra mano
Ambo i corsieri alternamente fiede:
Quei vanno si che '1 polveroso piano
Non ritien de la rota orma o del piede;
Fumar li vedi ed anelar nel córso,
E tutto biancheggiar di spuma il morso.
IG
Meraviglie dirò: s'aduna e stringe
L'aer d'intorno in nuvolo raccolto,
Si che'l gran carro ne ricopre e cinge;
Ma non appar la nube o poco o molto;
13, 2. antico: vecchio. — fero turco: Mella
* Esatta espressione; Arslano [cioè Soli-
mano] reggeva il paese proprio de' Tur-
clii ». — 8. Ove, quando, se. Ma altri po-
trebbe dargli valore di relativo (nel quale),
e intendere ha per è.
H, 5. Apollo inanra ecc. Lo stesso effetto
descritto da Dante, Purg. u 7. «Si che le
bianche e le vermiglie guance, Là dove io
era, della bella Aurora Per troppa etade
divenivan rance ». — 7-8. Virg., Aen. xi 182:
€ Aurora... Extulerat lucem, referens opera
atque labores ».
16, 3-S. Derivato da Omero, II. xxiii.
16. In Virgilio Enea, per simil modo co-
perto da Venere, è condotto dentro a Car-
tagine {Aen. I 411): « At Venus obscuro gra-
dientes aere saepsit, Et multo nebulae cir-
cum deafudit amictu. Cernere ne quis eos,
neu quis contingere posset >. E più sotto:
Né sasso, che murai macchina spinge,
Penetraria per lo suo chiuso e folto:
Ben veder ponno i duo dal curvo seno
La nebbia intorno, e fuori il ciel sereno.
17
Stupido il cavalier le ciglia inarca,
Ed increspa la fronte, e mira fiso
La nube e '1 carro ch'ogni intoppo varca
Veloce si che di volar gli è avviso.
L'altro, che di stupor Tauima carca
Gli scorge a l'atto de l'immobil viso,
Gli rompe quel silenzio, e lui rappella;
Ond'ei si scote, e poi cosi favella;
18
0 chiunque tu sia, che fuor d'ogni uso
Pieghi natura ad opre altere e strane,
E, spYando i secreti, entro al più chiuso
Spazii a tua voglia de le menti umane;
S'arrivi co '1 saper, eh' è d'alto infuso,
A le cose remote anco e lontane,
Deh! dimmi qual riposo o qual mina
A i gran moti de l'Asia il Ciel destina.
19
Ma pria dimmi il tuo nome, e con qual arte
Far cose tu si inusitate soglia;
Che, se pria lo stupor da me non parte,
Com'esser può ch'io gli altri detti acco-
(glia?
Sorrise il vecchio, e disse: In una parte
Mi sarà leve l'adempir tua voglia.
Son detto Israeno ; e i Siri appellan mago
Me, che de l'arti incognite son vago.
20
Ma ch'io scopra il futuro, e ch'io dispieghi
De l'occulto de.'^tin gli eterni annali,
Troppo èaudacedesio, troppo alti preghi;
Non è tanto concesso a noi mortali.
Ciascun qua giù le forze e '1 senno impieghi
Per avanzar fra le sciagure e i mali;
Che sovente addi vien che'l saggio e '1 forte
« Infert se saeptus nebula (mirabile dictu!).
— 5. ninral: da abbattere mura. — 7. carro:
cosi pure Coxq. ; ma Os. cavo.
17, 1. Stupido ecc.: stupito per la mera-
viglia. — 1-2. Ariosto, Ori. x 4: «Io vi
vo' dire e far di maraviglia Stringer le lab-
bra ed inarcar le ciglia». — 5. di stnpor
pcc. Dante, Purg. xix 40: «Seguendo lui
portava la mia fronte. Come colui che l'ha
di pensier carca -r.
18, 1-2. Petrarca, son. Stiamo, Amor, a
veder 2: * Cose sopra natura altere e nove ».
— 3. al più chiaso: alla parte più chiusa,
più riposta. — 5-8. Lucano, Phars.vi 590:
*0 decus Haemonidum! populis quae pin-
dere fata. Quaeque suo ventura potes di-
vertere cursu, Te precor, ut certuni liceat
mihi noscere flnem, Quem belli fortuna
parat »,
CANTO X
123
Fabro a sé stesso è di beata sorte.
21
Tu questa destra invitta, a cui fia poco
Scoter le forze del francese impero,
Non che munir, non che guardar il loco
Che strettamente oppugna il popol fero,
Centra l'arme apparecchia e centra '1 foco:
Osa, soffri, confida; io bene spero.
Ma pur dirò, perché piacer ti debbia.
Ciò che oscuro vegg' io quasi per nebbia.
22
Veggio, 0 parmi vedere, anzi che lustri
Molti rivolga il gran pianeta eterno,
ITom che l'Asia ornerà co' fatti illustri,
E del fecondo Egitto avrà il governo.
Taccio i pregi de l'ozio e l'arti industri,
Mille virtù, che non ben tutte io scerno:
Basti sol questo a te, che da lui scosse
Non pur saranno le cristiane posse,
23
Ma in sin dal fondo suo l'imperio ingiusto
Svelto sarà ne l'ultime contese;
E le afflitte reliquie entro uno angusto
Giro sospinte, e sol dal mar difese.
Questi fia del tuo sangue. E qui il vetusto
Mago si tacque; e quegli a dir riprese:
0 lui felice, eletto a tanta lode!
E parte ne l'invidia, e parte gode.
24
Soggiunse poi: Girisi pur Fortuna
0 buona o rea, come è là su prescritto;
Che non ha sovra me ragione alcuna,
21, 7. Rifa il dantesco {Inf. xxiv 151):
« E detto l'ho perché doler ten debbia ». —
S. Ismene può sapere il futuro per arti
infernali, essendo mago. Sa l'avvenire, ma
ignora i fatti più vicini a compiersi, come
i dannati nell'inferno dantesco.
22, 2. il gran pianeta eterno: il sole. —
3. Uom ecc.: Il Saladino, fatto pe '1 suo va-
lore soldano d'Egitto. Gli storici raccon-
tano che costui ritolse ai cristiani Gerusa-
lemme colla vittoria di Tiberiade, 88 anni
dopo che l'avevano liberata ed avevano in
essa tenuta la sede reale; poi conquistò
tutta Palestina fuor che Tiro, Tripoli ed
Antiochia. — 5. i pregi de l'ozio : i pregi
che in un periodo di ozio, cioè di pace, or-
neranno il regno di Saladino.
23, 1. imperio ingiusto: il regno di Ge-
rusalemme che fonderà Goffredo. — 3-4. un
angusto Giro ecc.: Intende di Cipro, solo
possedimento che rimarrà ai cristiani in
oriente.
24, 1. Girisi pur Fortuna: la Foriuna è
immaginata sopra una ruota o sopra un
sasso rotondo. Dante, Inf. xv 95: * Però
giri Fortuna la sua rota Come le piace ».
^ 3. ragione: Aver ragione sopra o in al-
E non mi vedrà mai, se non invitto.
Prima dal córso distornar la luna
E le stelle potrà, che dal diritto
Torcere un sol mio passo. E in questo dire
Sfavillò tutto di focoso ardire.
25
Cosi gir ragionando, in sin che furo
Là 've presso vedean le tende alzarse.
Che spettacolo fu crudele e duro!
E in quante forme ivi la morte apparse!
Si fé' ne gli occhi allor torbido e scuro,
E di doglia il Soldano il vólto sparse.
Ahi con quanto dispregio ivi le degne
Mirò giacer sue già temute insegne!
26
E scorrer lieti i Franchi, e i petti e i vólti
Spesso calcar de' suoi pili noti amici;
E con fasto superbo a gli insepolti
L'arme spogliare e gli abiti infelici;
Molti onorare in lunga pompa accolti
Gli amati corpi de gli estremi uffici;
Altri suppor le fiamme, e '1 vulgo misto
D'Arabi e Turchi a un focoarder ha visto.
27
Sospirò dal profondo, e '1 ferro trasse,
E dal carro lanciossi, e correr volle;
Ma il vecchio incantatore a sé il ritrasse
Sgridando, e raffrenò l'impeto folle;
E fatto che di novo ei rimontasse,
Drizzò il suo córso al più sublime colle.
Cosi alquanto n'andaro, in sin ch'a tergo
Lasciar de' Franchi il militare albergo.
28
Smontare allor del carro, e quel repente
Sparve; e presono a piedi insieme il calle
Ne la solita nube occultamente
Discendendo a sinistra in una valle;
Sin che giunsero là, dove al ponente
L'alto monte Sion volge le spalle.
Quivi si ferma il mago, e poi s'accosta,
cuno, vale aver potere, autorità, forza. —
5. distornar : volgere, deviare. Petrarca, son.
n successor di Carlo 7: « s'altro accidente
no '1 distorna ■^. — 6. dal diritto: cioè, dalla
diritta strada.
26, 5. pompa: nel senso, già visto al e. iii
72, 2, di compagnia di persone pomposa-
mente messe; come nel Molza {La Ninfa
Tiberina^ 8): «Accolti in lunga e coronata
pompa Sparger i preghi vi fia d'uopo al
cielo ». — 7-8. Virg., Aen. xi 185: « Consti-
tuere pyras. Huc corpora quisque suorura
More tulere patrum; subiectisque ignibus
atris Conditur in tenebras altum caligine
caelum ». E poco dopo (207): «confusaeque
ingenteni caedis acervum Nec numero nec
honore cremant ». —7. suppor: sottoporre:
corrisponde appunto al subiectis ignibnn
di Virg. ^
124
GERUSALEMME LIBERATA
Quasi mirando, a la scoscesa costa.
29
Cava grotta s'apria nel duro sasso,
Di lunghissimi tempi avanti fatta;
Ma, disusando, or riturato il passo
Era tra i pruni e Terbe ove s'appiatta.
Sgombra il mago gli intoppi, e curvo e bas-
Fer Tangusto sentiero a gir s'adatta; [so
E l'una man precede e il varco tenta,
L'altra per guida al principe appreseuta.
30
,Dice allor il Soldan: Qual via furtiva
È questa tua, dove convien ch'io vada?
Altra forse miglior io me n'apriva,
Se '1 concedevi tu. con la mia spada.
Non sdegnar, gli risponde, anima schiva,
Premer co '1 forte pie la buia strada;
Che già solea calcarla il grande Erode,
Quel c'ha ne l'armi ancor si chiara lode.
31
Cavò questa spelonca, allor che porre
Volse freno a i soggetti, il re ch'io dico;
E per essa potea da quella torre.
Ch'egli Antonia appellò dal chiaro amico,
Invisibile a tutti il pie raccòrre
Dentro la soglia del gran tempio antico;
E quindi occulto uscir de la Gittate,
E trarne genti ed iutrodur celate.
32
M? nota è questa via solinga e bruna
Or solo a me de gli uomini viventi.
Per questa andremo al loco ove raguna
I più saggi a concilio e i più potenti
29. Mella: * Della grotta e della torre An-
tonia cosi ragiona Giuseppe Flavio, Anti-
quit. ludaicae xv 14 : Herodes hanc quoque
turrim munitiorem reddidit ad tutelam
Templi, et in memoriam amici sui Roma-
norum imperatoris Antonii, vocavit Anto-
niam... Caeterum rex inter alia Templi
opera, etiam cryptam fecit subterraneam,
ab Antonia ferentem ad oriemalem portam
Templi, cui turrim etiam imposuit, in eum
usum, ut occulte illuc posset ascendere, si
quid per tumultum contra regem vellet no-
vare populus >. — 7-8. Ovidio, Met. x 455:
« Nutricisque manum laeva tenet, altera
mota Caecum iter explorat -.
30,5-8. anima schÌTa: è il dantesco «alma
sdegnosa» dell'/n/. vili 4i: schiva per sde-
gnosa e nel Petrarca. Questi quattro versi
del T. ricordano quelli di Virg., Aen. viii
362: « Haec, inquit, limina Victor Alcides
subiit: haec illum regia cepit. Aude, ho-
spes, contemnere opes, et te quoque dignum
Finge Deo, rebusque veni non asper agenis».
81, 3-4. Cfr. la nota alla st. 29: « ... in
memoriam ecc.». — *8. celate, di nasco-
■ to: riferi.scilo a genti.
Il re, ch'ai minacciar de la fortuna,
Più forse che non dee, par che paventi.
Ben tu giungla graiid'uopo: ascolta e taci:
Poi movi a tempo le parole audaci.
33
Cosi gli disse; e "1 cavaliero allotta
Co'l gran corpo ingombrò Tumil caverna;
E per le vie, dove mai sempie annotta.
Segui colui che '1 suo cammiu governa.
Chini pria se n'andar; ma quella grotta
Più si dilata quanto più s'interna;
Si ch'asceser con agio, e tosto furo
A mezzo quasi di quell'antro oscuro.
34
Apriva allora un picciol uscio Ismeno;
E se ne gian per disusata scala,
A cui luce mal certo e mal sereno
L"aer che giù d'alto spiraglio cala.
In sotterraneo chiostro al fin veuicuo,
E salian quindi in chiara e nobil sala.
Qui con lo scettro e co '1 diadema iu testa
Mesto sedeasi il re fra gente mesta.
35
• Da la concava nube il Turco fero
Non veduto rimira e spia d'intorno;
Ed ode il re fra tanto, il qual primiero
Incomincia cosi dal seggio adorno:
Veramente, o miei fidi, al nostro impero
Fu il trapassato assai dannoso giorno:
E caduti d'altissima speranza
Sol l'aiuto d'Egitto ornai n'avanza.
36
Ma ben vedete voi quanto la speme
Lontana sia da si vicin periglio.
Dunque voi tutti ho qui raccolti insieme,
Perch'ognun porti in mezzo il suo consi-
[glio.
Qui tace: e quasi in bosco aura che freme,
."t^uona d'intorno un picciolo bisbiglio.
Ma con la faccia baldanzosa e lieta
! Sorgendo Argante il mormorare accheta.
33, 1. e »1 cavaliero ecc.: Virg., Aen. viii
366: < Et augusti subter fastigia tecti In-
gentem Aeneam tulit ». — allotta: allora:
forma poetica frequente negli antichi. — 2,
ingombrò: nel suo senso primitivo di oc-
cupò, 0 riempi.
35, 1-2. Virg., Aen. i 516: « et nube cava
speculantur amicti »; e 439: « Infert se
saeptus nebula, mirabile dictu, Per meJios,
miscetque viris, neque cernitur uUis ».
36, 4. porti In mezzo: portare in mezzo
vale come produn^e in mezzo, nel senso
di allegare {La Crusca ha di prod. in mez.
un es. del Boccaccio). — 5-6. Virg., Aen. x
96: « Talibus orabat luno; cunctique freme-
bant Caelicolae assensu vario: ceu flamina
prima Cum deprensa fremunt sylvis, et
caeca volutant Murmura, venturos nauti^
prodentia ventos ».
CANTO X
125
37
O maguanimo re (fu la risposta
Del cavaliero indomito e feroce),
Perclié ci tenti? e cosa a nullo ascosta
Chiedi, ch'uopo non ha di nostra voce?
Pur dirò: sia la speme in noi sol posta:
E s'egli è ver che nulla a virtù noce,
Di questa armiaraci: a lei chiediamo aita;
Né più ch'ella si voglia, amiam la vita.
38
Né parlo io già cosi, perch'io dispere
De l'aiuto ceitissimo d'Egitto;
Che dubitar, se le promesse vere
Fian del mio re, non lece, e non è dritto;
Ma il dico sol, perché desio vedere
In alcuni di noi spirto più invitto,
Ch'egualmente apprestato ad ogni sorte
Si prometta vittoria, e sprezzi morte.
39
Tanto sol disse il generoso Argante,
Quasi uom che parli di non dubbia cosa.
Poi sorse in autorevole sembiante
Orcano, uom d'alta nobiltà famosa,
E già ne l'arme d'alcun pregio inante ;
Ma or, congiunto a giovanetta sposa,
E lieto ornai de' figli, era invilito
Ne gli affetti di padre e di marito.
40
Disse questi: 0 signor, già non accuso
Il ferver di magnifiche parole,
Quando nasce d'ardir che star rinchiuso
Tra i confini del cor non può, né vòle:
Però se '1 buon Circasso a te per uso
Troppo in vero parlar fervido suole,
Ciò si conceda a lui, che poi ne l'opre
Il medesmo ferver non meno scopre.
41
Ma si conviene a te, cui fatto il córso
De le cose e de' tempi han si prudente,
Impor colà de' tuoi consigli il morso.
37. Nel XI dell'Eneide, re Latino pure
convoca il concilio de' suoi, e ne richiede
il parere, e sorge li contesa fra Turno e
Drance, come qui fra Orcano e Argante. —
1-4. Virg., loc. cit. 343: «Rem nulli obscu-
ram, nostrae nec vocis egentera Consulis,
0 bone rex». — 6, Sente questo verso del
petrarchesco (capit. Nel cor pien 42) : « Che
né ferro né foco a virtù nóce >.
38, 6. spirto pili Invitto: cosi leggono
BoN.2-3 e Os. ; ma spirito invitto BoN.^
89, 3-6, Virg., loc. cit. 336: « Tum Dran-
ces... Largus opum, et lingua melior, et
frigida bello Desterà, consiliis habitus non
futilia auctor, Seditione poteus (genus huic
materna superbura Nobilitas dabat,..) Sur-
git ». — * 7. de' figli. Altri autorevoli testi
di figli. Cosi pure il Solerti. Ma la lezione
di B * non dà motivo di esser mutata.
Dove costui se ne trascorre ardente;
Librar la speme del lontnn soccorso
Co '] periglio vicino, anzi presente;
E con l'arme e con l'impeto nemico
I tuoi novi ripari e'I muro antico.
42
Noi (se lece a me dir quel ch'io ne sento)
Siamo in forte città di sito e d'arte;
Ma di macchine grande e violento
Apparato si fa da l'altra parte.
Quel che sarà non so; spero, e pavento
I giudizi incertissimi di Marte;
E temo che s'a noi più fia ristretto
-L'assedio, al fin di cibo avrem difetto.
43
Però che quegli armenti e quelle biade.
Ch'ieri tu ricettasti entro le mura.
Mentre nel campo a insanguinar le spade
S'attendea solo, e fu alta ventura,
Picciol'ésca a gran fame, ampia cittade
Nutrir mal pouiio, se l'assedio dura;
E forza è pur che duri, ancor che vegna
L'oste d'Egitto il di ch'ella disegna.
44
Ma che fia, se più tarda? Orsù, concedo
Che tua speme prevegna e sue promesse :
La vittoria però, però non vedo
Liberate, o signor, le mura oppresse. |do,
Combattremo, o buon re, con quel Goffre-
E con que' duci, e con le genti istesse.
Che tante volte han già rotti e dispersi
Gli Arabi, i Turchi, i Soriani, e i Persi.
45
E quali sian, tu '1 sai, che lor cedesti
Si spesso il campo, o valoroso Argante;
E si spesso le spalle anco volgesti,
Fidando assai ne le veloci piante:
E '1 sa Clorinda teco, ed io con questi;
Ch'un più de l'altro non convien si vante.
Né incolpo alcuno io già; che vi fu móstro
Quanto potea maggiore il valor nostro.
46
E dirò pur (ben che costui di morte
Bieco minacci, e '1 vero udir si sdegni):
* 13, 4. alta vent. Cosi le B. Os. e altre
buone fonti; e cosi Solerti: alcuno legge
somma vent.
44, 5. Combattremo, o buon re; Conq.
Coniòattiamo, o gran re; Os. Combatte-
retno., o re.
46, 3-4. Virg., loc. cit. 350: « dum Troia
tentat Castra fugae fidens». — 7-8. Virg.,
loc. cit. 312: * Nec quemquam incuso. Po-
tuit quae plurima virtus Esse, fuit; toto
certatum est corpore regni». — ri: ivi; in
quei fatti d'armi.
48, 1-2. Virg., loc. cit. .348: « Dicam equi-
dem, licet arma mihi mortemque minetur ».
126
GERUSALEMME LIBERATA
Veggio portar da inevitabil sorte
Il nemico fatale a certi segni;
Né gente potrà mai, né muro forte
Impedirlo cosi, ch'ai fin non regni.
Ciò mi fa dir (sia testimonio il Cielo)
Del signor, de la patria, amore e zelo.
47
Oh saggio il re di Tripoli, che pace 'me!
Seppe impetrarda i Franchieregnoinsie-
Ma il Soldano ostinato o morto or giace,
0 pur servii catena il pie gli preme,
0 ne l'esilio timido e fugace
Si va serbando a le miserie estreme;
E pur, cedendo parte, avria potuto
Parte salvar co' doni e co '1 tributo.
48
Cosi diceva; e s'avvolgea costui
Con giro di parole obliquo e incerto;
Ch'a chieder pace, a farsi nom ligio altrui
Già non ardia di consigliarlo aperto.
Ma sdegnoso il Soldano i detti sui
Non potea omni più sostener coperto:
Quando il mago gli disse: Or vuoi tu darli
Agio, signor, ch'in tal materia parli?
49
Io per me, gli risponde, or qui mi celo
Centra mio grado, e d'ira ardo e di scorno
Ciò disse a pena; e immantinente il velo
De la nube, che stesa è lor d'intorno,
Si fende e purga ne l'aperto cielo;
Ed ei riman nel luminoso giorno:
E magnanimamente in fiero viso
Rifulge in mezzo, e lor parla improviso:
^
— 3-4. Intendi (costruendo): Veggio per non
dubbi segni che inevitabile sorte conduce
il nemico destinato. Sa del virgiliano (loc.
cit. 232): * Fatalem Aeneam manifesto nu-
mine ferri ». — 7. sia testimonio il Cielo:
traduce il virgiliano: « Caelum et sj'dera
testor >,
47, 1. saggio ecc.: perché aveva impe-
trato e pace e regno. Cfr. e i 76. — 3. Sol-
dano: Solimano.
48, 3. ligio: Guastavini: « Ligio é termine
legale, e da' Provenzali usato prima nella
lor lingua, e dal Petrarca nella nostra; e
significa soggetto. Petr. canz. Quell'antiquo
125: - Giovane schivo e vergognoso in atto
Ed in pensier, poi che fatt'era uom ligio •.
— 5-6. Virg., Aen. i 579: * His animum ar-
recti dictis et ^'ortis Achates, Et pater Aeneas
iamdudum erumpere nubem Ardebant ». —
coperto: rimanendosi coperto, chiuso entro
la nube. — 8. materia: cosi legge pure la
CoxQ.: ma Os. raaniera.
49, 3-6. Virg., di Enea, Aen. i 5S6: * Vix
ea fatus erat, cum circumfusa repente Scin-
di! se nubes et in aethera purgai apertum -.
50
Io, di cui si ragiona, or son presente.
Non fugace e non timido Soldano;
Ed a costui, ch'egli è codardo e mente,
M'offero di provar con questa mano.
Io, che sparsi di sangue ampio torrente,
Che montagne di strage alzai su '1 piano,
Chiuso nel vallo de' namici, e privo
Al fin d'ogni compagno, io fuggitivo?
51
Ma se più questi, o s'altri a luì simile,
A la sua patria, a la sua fede infido.
Motto osa far d'accordo infame e vile,
Buon re, sia con tua pace, io qui l'uccido.
Gli agni e i lupi fian giunti in un ovile,
E le colombe e i serpi in un sol nido,
Prima che mai di non discorde voglia
Noi co' Francesi alcuna terra accoglia.
52
Tien su la spada, raentr'ei si favella.
La fera destra in minaccievol atto.
Riman ciascuno a quel parlar, a quella
Orribil faccia, muto e stupefatto.
Poscia con vista men turbata e fella
Cortesemente in verso il re s'è tratto:
Spera, gli dice, alto signor; ch'io reco
Non poco aiuto: or Solimano è teco.
53
Aladin, ch'a lui contra era già sorto,
Risponde: Oh come lieto or qui ti veggio,
Diletto amico! Or del mio stnol ch'è morto
Non sentoil danno; assai temea di peggio.
Tu lo mio stabilire, e in tempo corto
Puoi ridrizzar il tuo caduto seggio,
SeTCielno'l vieta. Indi le braccia al collo.
Cosi detto, gli stese, e circondoUo.
54
Finita l'accoglienza, il re concede
60, 1. Virg., Aen. i 595: « Coram, quem
quaeritis, adsum Troius Aeneas ». — 5. Io
ecc. Mostra di avere adempito quanto pro-
mise ad Aletto nel cant. ix 12: « Verrò, farò
là monti ove ora è piano... Farò fiumi di
sangue ». Virg., Aen. xi 392: « Pulsus ego?
aut quisquam merito, foedissime, pulsura
Arguet? Iliaco tumidam qui crescere Thj'-
brim Sanguine, et Evandri totam cum stirpe
videbit Procubuisse domum... Etquos mille
die Victor sub Tartara misi, Inclusus muris
hostilique aggere saeptus •.
51, 5. Orazio, Od. I xxxiii: « sed prius
Appulis lungentur caprae lupis -. — 7. di
non discorde TOglia: uniti in un medesimo
volere.
62, 5. Tlsta: aspetto.
4. assai: come la Co.vQ.; ma Os, e
63,
ben.
&4,
1. concede ecc.: Virg., Aen. viii 177:
CANTO X
127
Il suo raedesmo soglio al gran Niceno.
Egli poscia a sinistra in uobil sede
Si pone, ed al suo lìanco ali nega Ismeno:
E, mentre seco parla ed a lui chiede
Di lor venuta, ed ci risponde a pieno,
L'alta donzella ad onorare in pria
Vien Solimano: ogn'altro indi seguia.
55 [schiera
Segui fra gli altri Ormusse, il qual la
Di quegli Arabi suoi a guidar tolse:
E, mentre la battaglia ardea più fera,
Per disusate vie cosi s'avvolse,
Ch'aiutando il silenzio e l'aria nera,
Lei salva al (in ne la città raccolse:
E con le biade e con rapiti armenti
Aita porse a l'affamate genti.
56
Sol con la faccia torva e disdegnosa
Tacito si rimase il fèr Circasso;
A guisa di leon quando si posa,
Girando gli occhi, e non movendo il passo.
Ma nel Soldan feroce alzar non osa
Creano il vólto, e '1 tien pensoso e basso.
Cosi a consiglio il Palestiu tiranno,
E '1 re de' Turchi, e i cavalier qui stanno.
57
Ma il pio Goffredo la vittoria e i vinti
Avea seguiti, e libere le vie,
E fatto in tanto a i suoi guerrieri estinti
L'ultimo ouor di sacre esequie e pie:
Ed ora a gli altri impon che siano accinti
A dar l'assalto nel secondo die;
E con maggiore e più terribil faccia
Di guerra i chiusi Barbari minaccia.
58
E perché conosciuto avea il drappello.
Ch'aiutò lui centra la gente infida,
Esser de' suoi più cari, ed esser quello
Che già segui l'insidiosa guida,
E Tancredi con lor, che nel castello
Prigion restò de la fallace Armida;
Ne la presenza sol de l'Eremita
E d'alcuni più saggi a sé gli invita;
59
E dice lor: Prego ch'alcun racconti
De' vostri brevi errori il dubbio córso;
E come poscia vi trovaste pronti
In si grand'uopo a dar si gran soccorso.
Vergognando tenean basse le fronti:
Ch'era a lor picciol fallo amaro morso.
« Praecipuunique toro et villosi pelle leonis
Accipit Aenean, solioque invitat acerno ».
58, 3. Verso di Dante, Purg. vi m.
' 69, 5. Vergognando: vergognandosi: Pe-
trarca, son. « Vergognando talor che an-
cor si taccia ♦, — 6. a lor: come Conq.: Os.
al cor. — Dante, Purg. in 8: «O dignitosa
coscienza e netta, Como fé picciol fallo
amaro morso! ».
Al fin del re Britanno il chiaro figlio
Ruppeilsilenzio.e disse,alzando il ciglio.
60
Partimmo noi, che fuor de l'urna a sorte
Tratti non fummo, ognun per sé nascoso
D'Amor, no '1 nego, le fallaci scorte
Seguendo, e d'un bel vólto insidioso.
Per vie ne trasse disusate e torte
Fra noi discordi, e in sé ciascun geloso.
Nutrian gli amori e i nostri sdegni (ahi*
[tardi
TiOppo il conosco) or parolette, or guardi.
61
Al fin giungemmo al loco ove già scese
Fiamma dal cielo in dilatate falde,
E di natura vendicò l'offese
Sovra le genti in mal oprar si salde.
Fu già terra feconda, almo paese;
Or acque son bituminose e calde
E steril lago; e, quanto ei torce e gira,
Compressa è l'aria, e grave il puzzo spira.
62
Questo è lo stagno, in cui nulla di greve
Si getta mai, che giunga sino al basso;
Ma in guisa pur d'abete o d'orno leve
L'uom vi sormonta e '1 duro ferro e '1 sasso.
Siede in esso un castello; e stretto e breve
Ponte concede a' peregrini il passo.
Ivi n'accolse: e, non so con qual arte,
Vaga è là dentro e ride ogni sua parte.
6.3
V'è l'aura molle, e'I ciel sereno, e lieti
Gli alberi e i prati, e pure e dolci l'onde;
60, 2. ognun per sé na.scoso: ognuno per
suo conto nascosamente.
01, 1-1. Accenna al paese ove furono So-
doma e Gomorra, gli abitanti delle quali
città si resero colpevoli di peccati contro
natura. — dilatate falde: Dante, Inf. xiv2S:
«Sovra tutto '1 sabbion d'un cader lento
Piovean di foco dilatate falde ». — 7. E ste-
ril lago: è il Mar Morto. — e, quanto el
torce [torpe Bonn.-; volge Conq.] e g.: e
per tutto lo spazio che esso lago nelle sue
pieghe e ne' suoi giri occupa ecc. Per que-
sto lago, il Tasso ebbe presente ciò che ne
scrisse Tacito nelle Istorie (v. 7), Giuseppe
Flavio nella Guerra Giudaica (v. 5); e, più
che tutti, il Vida Christ. ii 359, nei seguenti
versi: «Qua calet Asphaltis flammis infa-
raibiis unda, Ingentesque palus ad caelura
exaestuat aestus Aera contristans graveo-
lenti sulfuris aura. Quondam hic laeta se-
ges, riguisque rosaria campis; Nunc stat
ager dumis, obductaque sentibus aura, Cri-
men, amor malesuade, tuum ».
62, 7. Ivi n'accolse: Cosi legge pure Conq.:
ma Os. Qui n'accols^ella.
128
GERUSALEMME LIBERATA
Ove fra gli amenissimi mirteti
Sorfre una fonte, e un fìuraicel diffonde:
Piovono in grembo a l'erbe i sonni queti
Con un soave mormorio di fronde-,
Cantan gli augelli; i marmi io taccio eToro,
Meravigliosi d'arte e di lavoro.
64
Apprestar su l'erbetta, ov'è più densa
L'ombra, e vicino al suon de l'acque chia-
Fece di sculti vasi altera mensa, [re,
E ricca di vivande elette e care.
Era qui ciò ch'ogni stagion dispensa,
Ciò che dona la terra, o manda il mare.
Ciò che l'arte condisce: e cento belle
Servivano al convito accorte ancelle.
65
Ella d'un parlar dolce e dun bel riso
Temprava altrui cibo mortale e rio.
Or, mentre ancor ciascunoa mensa assiso
Beve con lungo incendio un lungo oblio,
Sorse, e disse: Or qui riedo. E con un viso
Ritornò poi non si tranquillo e pio:
Con una man picciola verga scote;
Tien l'altra un libro, e legge in basse note.
66
Legge la maga; ed io pensiero e voglia
Sento mutar, mutar vita ed albergo.
(Strana virtù!) novo pensier m'invoglia:
Salto ne l'acqua, e mi vi tuffo e immergo.
63, 6. di fr. : cosi pur CONQ.; ma Os. le.
fronde.
64, 7. condisce: rende gradito e bello. —
8. Vir;:?., Aen. i 705 : « Centum aliae (famu-
lae) totidemque pares aetate ministri Qui
dapibua mensas onerent et pocula ponant ».
65, 1. Derivato dal Petrarca, son. Da' più
beili occhi A: «Dal più dolce parlare e dolce
riso ». * riso legg-e TOs. e altre fonti impor-
tantissime; viso le.g-gono le B e il Solerti.
Ma il riscontro del l'etrarca conferma la
prima lezione. — 2. Tomprara: preparava.
— 4. Virg., Aen. vi 715: « Securos latices et
longa oblivia potant ». — 6. pio: mansueto.
— 7-8. Imitato ^aAVOdissea nel libro de-
cimo. Omero non fa ivi menzione che Circe
adoperasse un libro: questa aggiunta il
Tasso la pose per attenersi al costume dei
maghi. Confronta anche il potere d'Alcina
neli'Ariosto.
e*?. Circe néìV Odissea, già cit., converte
m porci gli amici di Ulisse. Sulla creduta
possibilità del fatto, avverte il Guastavini:
« Che l'effetto possa apparir che segua a
forza degli scongiuri ed incantesimi, può
esser noto abbastanza dalli avvenimenti os-
servatine' tempi antichi e moderni, de' quali
si legge a lungo ne' libri che trattano di
questi particolari, dove molti uomini chi in
asini e chi in cavalli per forza d'incanti si
Non so come ogni gamba entro s'accoglia,
Come l'un braccio e l'altro entri nel tergo;
M'accorcio e stringo; e su la pelle cresce
Squamoso il cuoio; e d'uom son fatto un
67 [pesce.
Cosi ciascun de gli altri anco fu vòlto,
E guizzò meco in quel vivace argento.
Quale allor mi foss'io, come di stolto
Vanoe torbido sogno, or me'n rammento.
Piacquele al fin tornarci il proprio vólto:
Ma tra la meravìglia e lo spavento
Muti eravam; quando turbata in vista
In tal guisa ne parla, e ne contrista:
68
Ecco, a voi notò è il mio poter, ne dice,
E quanto sopra voi T imperio ho pieno.
Fende dal mio voler ch'altri infelice
Perda in prigione eterna il ciel sereno;
Altri divenga augello; altri radice
Faccia, e germogli nel terrestre seno;
0 che s'induri in selce, o in molle fonte
Si liquefaccia, o vesta irsuta fronte.
69
Ben potete schivar l'aspro mio sdegno,
Quando servire al mio piacer v'aggrade;
Farvi pagani, e per lo nostro regno
Centra l'empio Buglion mover le spade.
Ricusar tutti, ed abborrir l'indegno
Patto; solo a Rambaldo il persuade.
Noi (che non vai ditesa) entro una buca
Di lacci avvolse, ove non è che luca.
70
Poi nel castello istesso a sorte venne
Tancredi: ed egli ancor fu prigioniero.
Ma poco tempo in carcere ci tenne
La falsa maga: e (s'io n'intesi il vero)
Di seco trarne da quell'empia ottenne
Del signor di Damasco un messaggiero.
Ch'ai re d'Egitto in don fra cento armati
Ne couduceva inermi e incatenati.
leggono essere apparuti trasformati; av-
venga che possono i dravoli per divina per-
missione alterare la fantasia, e l'imagina-
tiva dell'uomo, ma non già la mente». —
5. entro s'accoglia: in sé si ristringa, cosi
da divenir più corta. — 6. Dante, Inf. xxv
112: < r vidi entrar le braccia per l'ascelle;
E i duo pie della fiera ch'eran corti Tanto
allungar quanto accorciavan quelle ».
67,2. viTace argento: Guastavini: «In
quell'acqua chiarissima ch'era dentro al
castello. Metafora cavata dall'apparenza di
fuori aiutata dall'epiteto vivace, che signi-
fica la mobilità ». — 5. tornarci: restituirci.
— 8. ne parla; Os. minaccia.
69, 2. serTÌre al; Os. seguire il.— 8. ore
non è che luca : Dante, Inf. iv 151 : « E vengo
in parte ove non è che luca ».
70, 6. signor di Damasco: Idraote, zio
d'Armida.
CANTO X
129
71
Cosi ce n'andavamo, e, come l'alta
Providenza del Cielo ordina e move,
Il bMon Rinaldo, il qualpiù sempre esalta
La gloria sua con opre eccelse e nove,
In noi s'avviene, e i cavalieri assalta
Nostri custodi, e fa l'usate prove:
Gli uccide e vince, e di quell'arme loro
Fa noi vestir, che nostre in prima fòro.
72
Io '1 vidi, e '1 vider questi : e da lui pòrta
Ci fu la dt'stra, e fu sua voce udita.
Falso è il romor che qui risuona e porta
Si rea novella, e salva è la sua vita:
Ed oggi è il terzo di che con la scorta
D'un peregrin fece da noi partita
Per girne in Antiochia; e pria depose
L'aj-me, che rotte aveva e sanguinose.
73
Cosi parlava; e l'Eremita in tanto
Volgeva al cielo l'una e l'altra luce.
Non un color, non serba un vólto: ohquan-
J^iù sacro e venerabile or riluce! [to
Pieno di Dio, rapto dal zelo, a canto
A l'angeliche menti ei si conduce:
Gli si svela il futuro, e ne l'eterna
Serie de gli anni e de l'età s'interna.
74
Eia bocca sciogliendo in maggior suono.
Scopre le cose altrui ch'indi verranno.
Tutti conversi a le sembianze, al tuono
De l'insolita voce attenti stanno.
Vive, dice, Rinaldo: e l'altre sono
Arti e bugie di ferainile inganno;
Vive; e la vita giovenetta acerba
A pili mature glorie il Ciel riserba.
75
Presagii sono e fanciulleschi aflfanni
Questi, ond'or l'Asia lui conosce e noma.
Ecco chiaro vegg'io, correndo gli anni,
Ch'egli s'oppone a l'empio Augusto, e '1 do-
[ma;
73, 3. Virg., Aen. vi 40, della Sibilla piena
di spirito divino : « Cui talia fanti Ante fo-
res subito non vultus, non color unus, Non
comptae mansere comae; sed pectus anhe-
lura. Et rabie fera corda tument; maiorque
videri Nec mortale sonans, afflata est nu-
mine quando lam propiore dei »,
74, 2. altrui: scopre ad altrui.
76, 4. egli: Rinaldo. Il T. attribuisce al
suo eroe le glorie narrate dal Pigna di Ri-
naldo figliuolo di Bertoldo capitano del 12°
secolo. Seguita pertanto qui l'anacronismo
del cant. i 59. Ricorda l'Ariosto. 0?V. iii30:
«Ecco di quel Bertoldo il caro pegno Ri-
naldo tuo, ch'avrà l'onore opimo D'aver la
Chiesa de le man riscossa Dell'empio Fede-
rico Barbarossa ». — empio Augusto: Gua-
E sotto l'ombra de gli argentei vanni
L'aquila sua copre la Chiesa e Roma,
Che de la fera avrà tolto a gli artigli:
E ben di lui naaceran degni i figli.
76
De' figli i figli, e chi verrà da quelli
Quinciavran chiari e memorandi esempi;
E da ('esari ingiusti e da rubelli
Difenderan le mitre e i sacri tempi.
Premer gli alteri, e sollevar gli imbelli,
Difender gli innocenti, e punir gli empi,
Fian l'arti lor: cosi verrà che vole
L'aquila estense oltra le vie del s jle.
77
Edrittoèbenche, se'l ver mira e'I lume,
Ministri a Pietro i folgori mortali.
U' per Cristo si pugni, ivi le piume
Spiegar dee sempre invitte e trionfali;
Che ciò per suo nativo alto costume
Dièlle il Cielo e per leggi a lei fatali.
Onde piace là su che in questa degna
Impresa, onde parti, chiamato vegna.
stavini: « Federico Barbarossa, cui Rinaldo
non solamente fece sùbito levar d'intorno
a Milano, ma con più ardimento dappoi es-
sendo proceduto innanzi ed assaltato Car-
cano, castello dov'era un presidio cesareo,
di nuovo lo ruppe: come a lungo si può
vedere nel II lib. del Pigna ». — 5. E sotto
l'ombra ecc.: Dante, Par. vi 7: «E sotto
l'ombra delle sacre penne». — argentei
yanni: le argentee ali dell'aquila estense.
— * 7, tolto. Cosi B; altre fonti, seguite dai
Solerti, tolte.
76, 1. Virg., Aeìi. in 97: * Hic domus
Aeneae cunctis dominabitur oris, Et nati
natorum, et qui nascentur ab illis», — 5.
Virg., Aen. vi 854: « Parcere subiectis et
debellare superbos ». — 7. Terrà: avverrà.
— Tole: voli.
77, 1-4. Il soggetto cosi di ■mira, come
di ministri, è essa l'aquila estense. — 8.
chiamato, *si riferisce a Rinaldo, che, nella
mente del Poeta tiene il posto principale e
gli fa dimenticare il soggetto della stanza
aquila. - Os. chiatnata, più regolarmente,
riferendo il participio ad aquila. Si comin-
cia a vedere che la persona di Rinaldo è
indispensabile alla presa di Gerusalemme:
quella di Goffredo, da sola, non basta. Il
Tasso spiega questo concetto più volte nel-
l'epistolario : nella Lett. 51, p. es. «spero
d'accoppiare insieme due cose, se non in-
compatibili, almeno non molto facili ad ac-
compagnarsi; e queste sono, la necessità o
la fatalità, per cosi dire, di Rinaldo, e la
superiorità di Goffredo, e quella dependen^r:
che tutta l'azione del poema deve avere d:.
lui: e quando io dico superiorità non in
9 — Tasso, Gerusaleìiime liberata.
130
GERUSALEMME LIBERATA
78
Qui dal soggetto vinto il saggio Piero
Stupido tace, e '1 cor ne l'alma faccia
Troppo grau cose de l'estense altero
tendo semplicemente superiorità di grado:
si che si potrà raccogliere da alcun mio
verso ch'altrettanto fosse necessario a l'im-
presa Goffredo, quanto Rinaldo; ma l'uno
era necessario come capitano, l'altro come
esecutore. Né questa necessità di due è cosa
nova: a l'espugnazione di Troia erano ne-
cessari Pirro e Filottete. Onde nel FUottete
di ^Sofocle dimandando Neottolemo ad Ulisse:
Come dici tu, che Filottete sia necessario
a quest'espugnazione? non son io colui e' ha
da distrugger Troia? — risponde Ulisse:
Ké tu puoi distruggerla senza lui, né egli
senza te ».
78. Rifatti di pianta i primi 6 versi nella
st. OS.: « Con questi detti ogni tirnor di-
scaccia Di Rinaldo concetto il saggio Piero.
Sìt-i nel piausj comune avvien che taccia
Valor ragiona, onde tutto altro spiaccia
Sorge in tanto la notte, e '1 velo nero
Per l'aria spiega, e l'ampia terra abbrac-
[cia:
Vanseùe gli altri e dau le membra al son-
ino,
Ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno.
n pio Buglion immerso in ffran pensiero.
Sorge intanto la notte, e su la faccia De
la terra distende il velo nero ». Cosi il non
poter dormire in causa de' pensieri è at-
triDuito al Buglione, mentre nella lezione
da noi seguita é proprio all'Eremita. Nella
Cotiquiitata i^dove invece degli elogi si tro*
vano aspre rampogne per la casa d'Este)
il canto pure termina attribuendo tutte le
azioni all'Eremita, senza ritornare al Bu-
glione. — 4. onde tutto altro spiaccìa: In-
tendi: tutte le altre parole che potrebbe
dire l'Eremita, resterebbero troppo infe-
riori all'altissimo concetto da esprimere:
per la qual cosa gli spiacciono.
. CANTO XI
Processione dei cristiani al
monte Oliveto ic Goffredo
convita i duci if Assalto
a Gerusalemme ^ Goffredo
e gli altri capitani pugnano
come semplici pedoni -^
Argante sulle mura ^ Mae-
strìa di Clorinda nel trar
dell'arco ^ La gran torre è
spinta davanti ad una porta
-^ Goffredo ferito -^ I cri-
stiani hanno la peggio -jAf
Arrivo di Tancredi ^ Ero-
timo guarisce Goffredo, aiu-
tato dair angelo custode di
lui -^ Goffredo pugna con
Argante ^ Morte di Si-
giero -jif La notte separa
la pugna -^ Nel riporta-
re le macchine murali al
campo cristiano, si fiaccano
due ruote alla gran torre i^
Si mandano fabbri a rac-
conciarla, ed uno stuolo a
difenderla.
1
Ma '1 Capitan de le cristiane genti
Vòlto avendo a l'assalto ogni pensiero,
Giva apprestando i bellici instrumenti,
Quando a lui venne il solitario Piero;
E, trattolo in disparte, in tali accenti
Gli parlò venerabile e severo:
Tu movi, 0 Capitan, l'armi terrene;
Ma di là non cominci onde conviene.
1. Il Guastavini comincia coH'osservare
che dei cauti compresi fra il quarto e il
diciottesimo, « questo undecime è quello
che delle cose dell'istoria tiene più ch'ogni
altro; anzi che di quelle per la maggior
parte consta... Bene queste ad ogni modo
sono, come a favola poetica si conveniva,
in guisa variate, illustrate ed accresciute
di altri concetti particolari, che niuna quasi
giurisdizione v' ha più sopra l' istoria, come
facilmente potrà giudicare chiunque delle
cose di que' tempi torrà a leggere gli scrit-
tori .
Sia dal Cielo il principio; invoca inanti
Ne le preghiere publiche e devote
La milizia de gli Angioli e de' Santi,
Che ne impetri vittoria ella che puote:
Preceda il clero in sacre vesti, e canti
Con pietosa armonia supplici note;
E da voi, duci gloriosi e magni,
Pietate il vulgo apprenda e n'accompagni.
3
Cosi gli parla il rigido romito;
E'I buon Goffredo il saggio avviso appro-
Servo, risponde, di Giesù gradito, [va:
Il tuo consiglio di seguir mi giova.
Or mentre i duci a venir meco invito,
Tu i pastori de' popoli ritrova.
2, 1. Sia dal Cielo 11 principio: Cicerone,
De legibus ii 3, 21: * ab eodem [love] et a
ceteris Diis immortalibus sunt nobis agendf
capienda initia >.
132
GERUSALEMME LIBERATA
Guglielmo ed Ademaro, e vostra sia
La cura de la pompa sacra e pia.
4
Nel seguente mattino il vecchio accoglie
Co' duo gran sacerdoti altri minori,
Ov'eiitro al vallo tra sacrate soglie
Soleansi celebrar divini onori.
Quivi gli altri vestir candide spoglie;
Vestir dorato ammanto i duo Pastori,
CJie bipartito sovra i bianchi lini
S'affibbia al petto; e incoronalo i crini.
5
Va Piero solo inanzi, e spiega al vento
Il segno riverito in Paradiso;
E segue il coro a passo grave e lento,
In duo lunghissimi ordini diviso.
Alternando facean doppio concento
In supplichevol canto e in umil viso;
E, chiudendo le schiere, ivano a paro
I principi Guglielmo ed Ademaro.
6
Venia posciailBuglion, pur, comeèTuso
Di capitan, senza compagno a lato;
Seguiano a coppia i duci, e non confuso
Seguiva il campo, in lor difesa armato.
Si procedendo se iruscia del chiuso
De le trinciere il popolo adunato;
Né s'udian trombe o suoni altri feroci,
Ma di pietate e d'umiltà sol voci.
7
Te Genitor, te Figlio eguale al Padre,
E te. che d'arabo uniti amando spiri,
E te, d'L'omo e di Dio Vergine Madre,
Invocano propizia a i lor desiri;
0 Di.ci. e voi che le fulgenti squadre
Del ciel movete in triplicati giri;
0 Divo, e te, che de la diva fronte
La monda umanità lavasti al fonte,
Chiamano; e te che sei pietra e sostegno
De la magion di Dio fondato e forte.
Ove ora il novo successor tuo degno
Di grazia e di perdono apre le porte;
E gli altri méssi del celeste regno,
Che divulgar la vincitrice morte;
E quei che 'i vero a confermar seguire,
Testimoni di sangue e di martiro:
9
Quegli ancor la cui penna o la favella
Insegnata ha del Ciel la via smarrita;
E la cara di Cristo e fida ancella
Ch'elesse il ben de la più nobil vita;
E le vergini chiuse in casta cella,
3, 7. Gaglielmo ed Ademaro: cfr. la nota
al e. 1 3S, 7: ma erano ambedue morti;
l'anno prima, comescriveGugl.Tir. {VIle9;. j
— 8. pompa: processione: già notato.
i, 1. Cosi Guglielmo Tirio (vm 11) de-'
scrive la processione: « Die statuta, de pu- '
blico decreto indictae sunt universo p:»pulo ,
Letaniae, et assumptis crucibus et sanato- ]
rum patrociniis, episcopi, et clerus univer- {
BUS inducti sacerdotalibus et leviticis indù-
mentis, nudis pedibus et cum multa de-
votione populum subsequentera usque ad
montem Oliveti praecesserunt. Ubi vir no- ;
bilis Petrus Haeremita et Arnulphus Nor- i
raannorum comitis familiaris, vir literatus, !
exhortationis sermonem habentes ad popu- \
lum, in quantum poterant ad longanimità-;
tem animabant >. — 5. candide spoglie: come I
anche i bianchi lini, sono i camici. — 6. ;
dorato ammanto: l'abito episcopale. — 8. in- j
coronato: colia mitra.
6, 2. Il segno ecc.: la croce, della quale
un inno della Ciiiesa canta: « Yesilla regis
prodeunt, Fulget crucis misterium ».
7, 1. Te Genitor ecc.: Si dicono le litanie
secondo l'ordine tenuto dalla Chiesa. — te
Figlio eguale ecc.: come scrive Sant' Ago-
stino, citato dal Birago : * Pater non est
unus, sed unus cum Alio ». — 2. E te ecc.:
lo Spirito Santo; cfr. .'=^ant' Agostino, cit. dal
Birago: « Nec est genitus nec ingeuitus sed
procedit ab utroque, hoc est a patre et a
filio ». Dante, Par. x 1 : « Guardando nel suo
Figlio con l'amore Che l'uno e l'altro eter-
nalmente spira. Lo primo ed ineffabile va-
lore ». — 5. 0 dncl, e toI: e voi. duci, pre-
posti alie tre gerarchie angeliche. — 7.
0 diro, e te: S. Giovanni Battista. Costrui-
sci: E te, o Divo, che lavasti al fonte (bat-
tezzasti) la monda (senza macchia) umanità
de la diva fronte [di Cristo]; cfr. San Mat-
teo XVI 18.
8, 1. e te: ecc. San Pietro, a cui Cristo
disse: « Tu es Petrus, et super hanc petram
aediScabo ecclesiam meam ». — *2. fon-
dato. Alcune fonti leggono fondatay rife-
rendolo a mapion. Su la variante vedi in
Solerti le dotte osservazioni del Cavedoni,
del Colombo e del Gherardini. — 3. il novo
gocressor: intende dei papi che successero
a San Pietro, i quali avevano ristesse po-
tere che l'apostolo, a cui Cristo disse: « tibi
dabo claves regni caelorum, et quodcumque
ligaveris super terram erit ligatum et in
caelis; et quodcumque solveris super ter-
ram erit solutum et in caelis ». — 5. méssi,
gli apostoli. — 6. la rincitrice morte: la
morte del Redentore che vinse l'Inferno.
— S. Testimoni ecc., testimoniandolo col
sangue e col martirio: i martiri.
9, 1-2. Quegli ecc. : i dottori e i predica-
to;i della Chiesa. — 3-4. E la cara di Cri-
sto: Maria di Betauia (secondo lo Scartazz.),
sorella di Marta, elesse il ben de la più
nobil vita^ cioè della vita contemplativa,
più nobile dell'attiva. — 5. rerglni: le ver-
CANTO XI
133
Che Dio con alte nozze a sé marita;
E quell'altre, magnanime a i tormenti,
Sprezzatrici de' regi e de le genti.
10
Cosi cantando, il popolo devoto
Con larghi giri si dispiega e stende,
E drizza a TOliveto il lento moto;
Monte che da Tolive il nome prende;
Rionte per sacra fama al mondo noto,
Ch'orientai centra le mura ascende;
E sol da quelle il parte e ne '1 discosta
La cupa Giosafà ch'in mezzo è posta.
11
Colà s'invia l'esercito canoro,
E ne suonan le valli ime e profonde
E gli alti colli e le spelonche loro,
E da ben mille parti Eco risponde;
E quasi par che boscareccio coro
Fra quegli antri si celi e in quelle fronde;
Si chiaramente replicar s'udia
Or di Cristo il gran nome, or di Maria.
12
D'in su le mura ad ammirar fra tanto
Cheti si stanno e attoniti i Pagani
Que' tardi avvolgimenti e l'umil canto,
E l'insolite pompe e i riti estrani.
Poi che cessò de Io spettacol santo
La novitate, i miseri profani
Alzar le strida; e di bestemmie e d'onte
Muggì il torrente e la gran valle e '1 monte.
13
Ma da la casta melodia soave
La gente di Giesù però non tace;
gini suore. — 7. quell'altre: le sante màr-
tiri.
10, 3. E drizza: cfr. per la verità storica,
le parole del Tirio nella nota alla st. 4, 1.
— 6' Ch'orientai ecc.: Gugl. Tir. viii 11:
« Est mons Oliveti urbi ab oriente opposi-
tus, ab urbe quasi miliare distans, valle
losaphat interiecta ». — S. La cupa Giosafà:
detta ancora valle di Cedron, nome del tor-
rente che la bagna: cupa perché ha poca
luce, e perché sparsa di tombe. Più minu-
tamente descritta nella Conquisi.
12. Guastavini: «Dall'istoria tutta la
stanza ». Nel fatto è una rifioritura poetica
di queste parole di Gugl. Tir. viii 11: « Ci-
ves autem et turribus et muro positi ad-
mirantes quid sibi vellet hulusmodi populi
circuitus, arcubus et balistis tela in turmas
iaculabantur ». Ma è da osservarsi per la
st. seg. che il Tirio pone che qualcuno dei
cristiani rimaneva ferito, il che sembra
escluso dal Tasso. — 8, torrente: Cedron —
la gran ralle: Giosafat. — monte: i monti
Sion, Moria ed altri vicini.
13, 2. non tace: non si rimane, non si
astiene: costrutto insolito, e che richiama
Né si volge a que' gridi, o cura n'have
Più che di stormo avria d'augei loquace:
Né, perché strali avventino, ella pavé
Che giungano a turbar la santa pace
Di si lontano; onde a suo fin ben potè
Condur le sacre incominciate note.
14
Poscia in cima del colle ornan l'altare,
Che di gran cena al sacerdote è mensa;
E d'arabo i lati luminosa appare
Sublime lampa in lucido oro accensa.
Quivi altre spoglie, e pur dorate e care.
Prende Guglielmo, e pria tacito pensa.
Indi con chiaro suon la voce spiega,
Séstesso accusa, e Dio ringraziae prega.
15
Umili intorno ascoltano i primieri;
Le viste ì più lontani almen v'han fisse.
Ma, poi che celebrò gli alti misteri
Del puro sacrificio: Itene, ei disse;
E in fronte alzando a i popoli guerrieri
La man sacerdotal, li benedisse.
Allor se 'n ritornar le squadre pie
Per le dianzi da lor calcate vie.
16 ^ — "^'"^
Giunti nel vallo, e l'ordine disciolto/
Si rivolge Goffredo a sua magione;
E l'accompagna stuol calcato e folto
In sino al limitar del padiglione.
Quivi gli altri accommiata in dietro vòlto;
Ma ritien seco i duci il pio Buglione,
E li raccoglie a mensa, e vuol ch'a fronte
Di Tolosa gli sieda il vecchio conte.
17
Poi che de' cibi il naturai amore
Fu in lor ripresso e l'importuna séte,
Disse a i duci il gran duce : Al novo albore
Tutti a l'assalto voi pronti sarete;
Quel fia giorno di guerra e di sudore,
Questo sia d'apparecchio e di quiete:
il dantesco [Vita nova, xvii 4) ; « Avvegna-
ché sempre poi tacessi di dire a lei (mi
astenessi di parlare a lei direttamente).
14, 2. di gran cena: la gran cena è il sa-
crificio eucaristico che fu instituito dal Si-
gnore nella cena con gli Apostoli. In Dante,
Beatrice, con frase derivata dall'Apocalisse,
chiama i beati (P^<r. xxiv 1): «O sodalizio
eletto alla gran cena Del benedetto Agnel-
lo ». — 5. altre spoglie: la pianeta. — 7. con
chiaro suon la Toce spiega: cosi pure la
CONQ. ; ma Os. Vi voce in chiaro suon di-
spiega. — 8. Sé stesso accusa: dice il « Con-
fiteor ».
15, 3. alti misteri: la méssa. — 4. Itene:
parole della méssa: «Ite, raissa est »>.
17, 1. Poi che de' cibi ecc. Virg., Aen. viii
184: «Postquani excmpta fames, et amor
corapressus edendi »,
134
GERUSALEMME LIBERATA
Dunque ciascun vada al riposo, e poi
Sé medesmo prepari e i guerrier suoi.
18
Tolser essi congedo; e manifesto
Quinci gli araldi a suon di trombe fero
Ch'essere aTarme apparecchiato e presto
Dee con la nova luce ogni guerriero.
Cosi in parte al ristoro, e in parte questo
Giorno si diede a l'opre ed al pensiero;
Sin che fé' nova tregua a la fatica
La cheta notte del riposo amica.
19
Ancor dubbia l'aurora, ed immaturo
Ne l'oriente il parto era del giorno;
Né i terreni fendea l'aratro duro,
Né fea il pastore a i prati anco ritorno :
Stava tra i rami ogni augellin securo;
E in selva non s'udia latrato o corno;
Quando a cantar la matutina tromba
Comincia A l'arme; A Tarme, il del rim-
20 [bomba.
A l'arme, A l'arme, sùbito ripiglia
Il grido universal di cento schiere.
Sorge il forte Goffredo, e già non piglia
La gran corazza usata o le schinere;
Ne veste un'altra, ed un pedon somiglia
In arme speditissime e leggiere:
Ed in dosso avea già l'agevol pondo,
Quando gli sovragiunse il buon Raimoii-
21 [^0.
Questi, veggendo armato in cotal modo
Il Capitano, il suo pensier comprese:
Ov'è, gli disse, il grave usbergo e sodo?
Ov'è, signor, l'altro ferrato arnese?
Perché sei parte inerme? Io già non lodo
Che vada con si debili difese.
Or da tai segni in te ben argomento
Che sei di gloria ad umil mèta intento.
22
Deh! che ricerchi tu? privata palma
Di salitor di mura? Altri le saglia,
Ed esponga men degna ed util alma
19, 1. Ancor dabbia l'anrora: Gentile: « Di
tutte le descrizioni del giorno»cheil T. ha
fatte, credo che questa sia la più vaga.
Alla quale ne trovo una simile... d'Accio
poeta... nel suo Enomao: — Ferte ante
auroram radiorum ardentum indicem.Cum
somno in segetem agrestes cornutos cient;
Ut rorulentas terras ferro rosidas Froscin-
dant glebas, arvoque ex molli excitent ». —
7-8. Virg., Aeri, ix 503: « Ac tuba terribi-
lem sonitum procul aere canoro Increpuit:
sequitur clamor caelumque remugit «•.
20, 4. schinere: arnesi che difendevano
le gambe.
21, 4. l'altro ferrato arnese: il resto del-
l'armatura.
(Rischio debito a lui) ne la battaglia.
Tu riprendi, signor, l'usata salma,
E di te stesso a nostro prò ti caglia.
L'anima tua, mente del campo e vita,
Cautamente per Dio sia custodita.
23
Qui tace; ed ei risponde: Or ti sia noto
Che quando in Chiaramonte il grande Ur-
Questa spada mi cinse, e me devoto [bano
Fé' cavalier l'onnipotente mano,
Tacitamente a Dio promisi in vóto
Non pur l'opera qui di cajìitano,
Ma d' impiegarvi ancor, quando che fosse,
Qual privato guerrier l'arme e le posse.
24
Dunque, poscia che fian centra i nemici
Tutte le genti m\e mosse e disposte,
E ch'a pieno adempito avrò gli uffici
Che son dovuti al principe de l'oste,
Ben è ragion (né tu, credo, il disdici)
Ch'a le mura pugnando anch'io m'accoste,
E la fede promessa ai Cielo osservi:
Egli mi custodisca e mi conservi.
25
Qosi concluse; e i cavalier Francesi
Seguir l'esempio e i duo minor Buglioni.
Gli altri principi ancor men gravi arnesi
Parte vestirò, e si mostrar pedoni.
Ma i Pagani fra tanto erano ascesi
Là dove a i sette gelidi Trioni
Si volge, e piega a l'occidente il muro,
Che nel più facil sito è men securo.
26
Però ch'altronde la città non teme
De l'assalto nemico offesa alcuna.
Quivi non pur l'empio tiranno insieme
11 forte vulgo e gii assoldati aduna;
Ma chiama ancor a le fatiche estreme
22, 4. debito a lui: cfr. e. v 6, 6. — 5.
salma: vale propriam. peso: qui, peso del-
l'arme. — 7. mente ecc. : si è già altre volte
osservato che Goffredo era al campo ciò
che è la mente al corpo ; deve dirigere, non
fare l'ufficio del braccio.
23, 2. Chiaramonte: dove Urbano II (il
grande Urbano) convocò il consiglio. — 5.
Tacitamente: entro il cuore. — 6. por: so-
lamente,
•25, 6. sette gelidi Trioni: Mella: «Gli an-
tichi davano alla costellazione dell'orsa
maggiore e minore, composte amendue di
sette stelle, il nome de' sette trioni^ che in
latino vale «buoi »; idea risvegliata dalla
loro somiglianza a due carri ». — 7-S. Il
muro verso tramontana è meno sicuro,
perché in sito che offre maggior facilità
agli assalti nemici.
26, 1. altronde: dalle altre parti. — 5.
Ma ecc. Dall'istoria, annota il GuastavJni.
CANTO XI
135
Fanciulli e vecchi rultlma fortuna;
E van questi portando a i più gagliardi
Calce e zolfo e bitume e sassi e dardi.
27
Edi macchine e d'arme han pieno inante
Tutto quel muro, a cui soggiace il piano.
E quinci in forma d'orrido gigante
Da la cintola in su sorge il Soldano;
Quindi tra' merli il minaccioso Argante
Torreggia, e discoperto è di lontano;
E in su la torre altissima Angolare
Sovra tutti Clorinda eccelsa appare.
28
A costei la faretra e '1 grave iucarco
De l'acute quadrella al tergo pende.
Ella già ne le mani ha preso l'arco,
E già lo strai v'ha su la corda, e '1 tende;
E desiosa di ferire, al varco
La bella arciera i suoi nemici attende.
Tal già credean la vergine di Delo
Tra l'alte nubi saettar dal cielo.
29
Scorre più sotto il re canuto a piede
Da l'una a l'altra porta: e 'n su le mura
Ciò che prima ordinò cauto rivede,
E i defensor conforta e rassecura;
E qui gente rinforza, e là provede
Di maggior copia d'arme e '1 tutto cura.
Ma se ne van l'afflitte madri al tempio
A ripregar nume bugiardo ed empio.
Gugl, Tir. vili 13: « Non erat in tanto pò
pulo senex aut valetudinarins atque aetate
iunior! quem non moveret zelus, et devo-
tionis ferver non accenderei ad pugnam :
sed et mulieres oblitae sexus, et insolitae
fragilitatis immemores, tractantes virilia,
supra vires arraorum usum apprehendere
praesumebant ». — estreme, ultime; perché
il pericolo (fortuna) che li chiamava a so-
stenerle era l'ultimo. — Virg., Aen. xi473:
« Praefodiuut alii portas aut saxa sudesque
Subvectant: bello dac signum rauca cruen
tum ]>ucina; tum muros varia cinxere co-
rona Matronae puerique:~ vocat labor ul-
timiis omnes ».
27, 1-2. Questo pure dall'istoria. — 4.
Dante, Inf. x33: « Vedi là Farinata che s'è
dritto: Dalla cintola in su tutto il vedrai ».
— 6. Torreggia: Dante, Inf. xxxi 43: « Tor
reggiavan di mezzo la persona Gli orribili
giganti ». — * 7. Angolare. Cfr . e. in 64, n. S.
23, 1. la faretra: Virg'ilio, di Camilla,
Aen. XI 6b:i: « Aureus ex humero sonat ar-
cus et arma Dianae *. — 7-8. la vergine di
Delo ecc.: Diana, nata in Delo, si adirò con-
tro Niobe, e aiutata dal fratello Apollo, uc-
cise con saette lei e i suoi quattordici figli.
29, 7-8. Virg., Aen. xi 181: « Succedunt
matres et templum thure vaporant, Et mae-
Staa alto fundunt de limine voces ».
30
Deh! spezza tu del predator Francese
L'asta, Signor, con la man giusta e forte;
E lui, che tanto il tuo gran nome offese,
Abbatti e spargi sotto l'alte porte.
Cosi dicean; né fur le voci intese
Là giù tra '1 pianto de l'eterna morte.
Or, mentre la città s'appresta e prega,
Le genti e l'arme il pio Buglion dispiega.
31
Tragge egli fuor l'esercito pedone
Con molta previdenza e con bell'arte;
E centra il muro, ch'assalir dispone,
Obliquamente in duo lati il comparte.
Le baliste per dritto in mezzo pone,
E gli altri ordigni orribili di Marte;
Onde in guisa di fulmini si lancia
Vèr' le merlate cime or sasso, or lancia.
32
E mette in guardia i cavalier de' fanti
Da tergo, e manda intorno i corridori.
Dà il segno poi de la battaglia, e tanti
I sagittari sono e i frombatori
E l'arme da le macchine volanti.
Che scemano fra i merli i difensori;
Altri v' è morto, e '1 loco altri abbandona;
Già men folta del muro è la corona.
33
La gente Franca impetuosa e ratta
Allor quanto più puote affretta i passi;
E parte scudo a scudo insieme adatta,
E di quegli un coperchio al capo fassi;
E parte sotto macchine s'appiatta
Che fan riparo al grandinar de' sassi;
Ed arrivando al fosso, il cupo e '1 vano
Cercano empirne, ed adeguarlo al piano.
30, 1. Deh, spezza ecc. Virg., Aen. xi 483:
« Armipotens praeses belli, Tritonia virgo,
Frange manu telum Phrygii praedonis, et
ipsum Pronum sterne solo, portisque ef-
funde sub altis ». — 4. spargi: disperdi. —
6. tra '1 pianto ec: nell'inferno.
32, 8. Già nieu folta ecc. Virg., Aen. ix
506: ■« Interlucetque corona Non tam spissa
viris ». — corona: Guastavini: « la mol-
titudine dei difensori congregata in cer-
chio ».
33, 1. Che il fatto succedesse a un di
presso cosi, è narrato da Gugl. Tir. xiii 13.
— 3. scudo a scndo ecc.: formano la testug-
gine. Guastavini: « Alcuni de' concetti della
presente stanza e delle sei seguenti sono
tolti da Virgilio nel nono... ma con giunte
ed accrescimento di molt'altri per entro »;
il passo citato deWAen. è il seguente ix £.05 :
« Accelerant acta pariter testudine Volsci,
Et fossas implere parant et veliero valium » ;
anche altrove, ii 413> « clipeosque ad tela
siuistria Protecti obiiciunt ».
136
GERUSALEMME LIBERATA
34
Non era il fosso di palustre limo
(Chéno'l consente il loco) 0 d'acqua molle,
Onde l'empieno, ancor che largo ed imo,
Le pietre, e i fasci e gli arbori e le zolle.
L'audacissimo Alcasto in tanto il primo
l:^cop^e la testa, ed una scala estolle;
E no '1 ritien dura graguuola o pioggia
Di fervidi bitumi, e su vi poggia,
35
Vedeasi in alto il fier Elvezio asceso
Mezzo l'aereo calle aver fornito,
Segno a mille saette, e non offeso
D'alcuna si che fermi il córso ardito;
Quando un sasso ritondo e di gran peso,
Veloce come di bombarda uscito,
Ne l'elmo il coglie, e il risospingeabasso;
E '1 colpo vien dal lanciator Circasso.
36
Non è mortai, ma grave il colpo e '1 salto
Si, ch'ei stordisce, e giaceimmobil pondo.
Argante allor in suon feroce ed alto :
Caduto è il primo, or chi verrà secondo?
Che non uscite a manifesto assalto,
Appiattati guerrier, s'io noii m'ascondo?
Non gioveranvi le caverne estrane;
Ma vi morrete come belve in tane.
37
Cosi dice egli; e per suo dir non cessa
La gente occulta; e tra i ripari cavi
E sotto gli alti scudi unita e spessa.
Le saette sostiene e i pesi gravi:
Già gli arièti a la muraglia appressa,
Macchine grandi e smisurate travi,
C'han testa di monton ferrata e dura:
Temon le porte il cozzo, e l'alte mura.
34, 1-4. Intendi: il fosso era bensi largo
e profondo (t/uo), ma vóto di fango e di
acqua, onde facilmente potè riempirsi con
pietre ecc. — 5. Alcasto: benché le tre
stampe Bon. e quella dtir Os. leggano Adra-
sto, ho creduto dover seguire le migliori
stampe moderne le quali d'accordo col ms.
Oalvani (cfr. l'ediz. della G. L. Lodi. 1ò2ò),
portano Alcasto ; perché al duce degli el-
vezi fu già dal T. dato cotal nome nella ri-
vista del e. I 63, 1. — 8. fervidi bitami : bi-
tumi incendiati. Cfr. xii 17, 3-1.
35, 8. Circasso: Argante.
36, 1. salto: salto che fece cadendo. -
5-6. Rimprovero imitato da Virgilio {Aen.
IX 59S) « Non pudet obsidione iterum vallo- ;
que teneri, Bis capti Phryges et morti prae- j
tendere muros? » j
37, 5. arieti: macchine guerresche che, I
cozzando, disgregavano i muri: come è;
spiegato nei tre versi seg., dei quali i due
primi sono messi come apposizione ad
arieti: ed appressa dipende da gente del j
secondo verso, I
38
Gran mole in tanto è di là su rivolta
Per cento mani al gran bisogno pronte,
Che sovra la testuggine più folta
Rnina, e par che vi trabocchi un monte;
E, de gli scudi l'union disciolta,
Più d'un elmo vi frange e d'una fronte;
E ne riman la terra sparsa e rossa
D'arme, di sangue, di cervella e d'ossa.
39
L'assalitore allor sotto il coperto
De le macchine sue più non ripara;
Ma da i ciechi perigli al rischio aperto
Fuori se n'esce, e sua virtù dichiara.
Altri appoggia le scale, e va per l'erto;
.\ltri percote i fondamenti a gara.
Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi
Già fesso mostra a l'impeto de' Franchi,
40
E ben cadeva a le percosse orrende.
Che doppia in lui l'espugnator montone;
Ma sin da' merli il popolo il difende
Con usata di guerra arte e ragione;
Ch'ovunque la gran trave in lui si stende
Cala fasci di lana, e li frapone:
Prende in sé le percosse e fa più lente
La materia arrendevole e cedente.
41
Mentre con tal valor s'erano strette
L'audaci schiere a la tenzon murale,
Curvò Clorinda sette volte, e sette
Rallentò l'arco e n'avventò lo strale:
3S, 1-6, Virg,, Aen. ix 512: « Saxa quoque
infesto volvebant pondere, si qua Possent
tectam aciem perrumpere, quum tamen
oranes Ferre iuvat subter densa testudine
casus. Nec iam sufficiunt: nam, qua globus
iraminet ingens Immanem Teucri molem
volvuntque ruuntque, Quae stravit Rutulos
late, arraorumque resolvit Tegmina ». —
7. E ne rlnian ecc : Virg., Aeyi. ix 753:
« atque arma cruenta cerebro Sternit humi
moriens ».
39, 1, L'assalitore ecc. Virg., Aen. ix,
518: «nec curaut caeco contendere Marte
Amplius audaces Rutuli ». — * sotto il. Os.
e altri sotto al.
40, 3. Ma sia da' merli ecc: Gugl, Tir.
vili 13; « cives a propugnaculis, stramine
et palei plenos saccos suspenderant, restes
quoque et tapetia, trabes ingentis magni-
tudiuis, et culcitras refectas bombice, et a
turribus et murisaliquantulum dimiserant,
ut per eorum moUiciem et mobilitatem con-
tortorum molarium ictus eliderent, et la-
borantiumevacuarentconatum». —6. Cala ..
e li: cosi pure la Conq.; ma Os. Colà...
egli.
41, 2. tenzon murale: combattimento non
CANTO XI
137
E quante in giù se ne volar saette,
Tante s'insauguinaro il ferro e l'ale,
Non di sangue plebeo, ma del più degno:
Che sprezza quell'altera ignobil segno.
42
Il primo cavalier ch'ella piagasse.
Fu l'erede minor del rege inglese.
Da' suoi ripari a pena il capo ei trasse,
Che la mortai percossa in lui discese;
E che la destra man non gli trapasse
Il guanto de Tacciar nulla contese;
Si che inabile a l'arme ei si ritira
Fremendo, e meno di dolor che d'ira.
43
Il buon conte d'Arabuosa in ripaalfosso,
E su la scala poi Clotareo il Franco :
Quegli mori trafitto il petto e '1 dosso;
Questi da l'un passato a l'altro fianco.
Sospingeva il monton, quando è percosso
Al signor de' Fiamminghi il braccio man-
ico;
Si che travia s'allenta, e vuol poi trarne
Lo strale, e resta il ferro entro la carne.
44
A l'incauto Adeniar, ch'era da lunge
La fera pugna a riguardar rivolto,
La fatai canna arriva, e in fronte il punge.
Stende ei la destra al loco ove l'ha còlto,
in campo aperto ma sotto le mura. — 5.
E quante in giii ecc.: Omero, in persona di
Teucro, II. viii, trad. del Guastavini: « Dopo
che verso Troia gli abbiamo cacciati, -
D'allora in qua con gli archi cogliendoli,
gli uomini ammazzo. - Otto già ho lanciato
saette con le punte distese, - E tutte nel
corpo sono state fitte di uomini bellicosi ».
E Virgilio, di Camilla, Aen. XI 676: e Quot-
que emissa manu coutorsit spicula virgo,
Tot Phrygii cecidere viri ». — 7. Non di
sangue plebeo ecc.: Medoro nell'Ariosto,
Ori. xviii 178: «La spada di Medoro anco
non ebe. Ma si sdegna ferir T ignobil plebe ».
42, 2. erede minor: Guglielmo principe
inglese: cfr. i 41, 4. — 6. Il guanto: la ma-
nopola; de l'acciar: lo stesso che « d'ac-
ciar ».
43, 1. Il buon conte d'Àmbaosa, Stefano.
Cfr. I 62. — 5. Sospingeva ecc.: Intendi: Il
signor dei Fiamminghi (Roberto: Cfr. e. i
43-44) sospingeva il montone, allor quando
fu ferito nel braccio sinistro >. — 7. e vuol
poi trarne ecc.: Virg., Aen. xi 816: «Illa
manu moriens telum trahit; ossa sed inter
Ferreus ad costas alto stat vulnere mucro ».
44, 4. ore l'ha còlto: cosi pure Conq. ma
Os. ove fu. Virg., Aen. ix 577: « lUe manum
proiecto tegmiiie demens Ad vulnus tulit;
ergo alis allapsa sagitta, Et laevo infixa est
lateri manus <•, E Ovidio, Met. xii 385: «Et
iaculum torsi, quod cum vitare nequiret,
Quando nova saetta ecco sorgiunge
Sovra la mano, e la configge al vólto:
Onde egli cade, e fa del sangue sacro
Su l'arme femiuili ampio lavacro.
45
Ma non lungi da' merli a Palamede,
Mentre ardito disprezza ogni periglio,
E su per gli erti ,«-radi indrizza il piede,
Cala il settimo ferro al destro ciglio;
E, trapassando per la cava sede
E tra' nervi de l'occhio, esce vermiglio
Di retro per la nuca: egli trabocca,
E more a' pie de l'assalita ròcca.
46
Tal saetta costei. Goffredo in tanto
Con novo assalto i difensori opprime.
Avea condotto ad una porta a canto
De le macchine sue la più sublime.
Questa è torre di legno, e s'erge tanto,
Che può del muro pareggiar le cime;
Torre che grave d'uomini ed armata.
Mobile è su le rote, e vien tirata.
47
Viene avventando la volubil mole
Lancie e quadrella, e quanto può s'accosta:
E, come nave in guerra a nave suole.
Tenta d'unirsi a la muraglia opposta:
Ma chi lei guarda ed impedir ciò vuole,
L'urta la fronte e l'una e l'altra costa,
La respinge con l'aste e le percote
Or con le pietre i merli ed or le rote.
48
Tanti di qua, tanti di là fur mossi
Opposuit dextram passurae vulnera fronti ».
— 8. feminili: perché lanciate da Clorinda.
46, 1. Palamede: cfr. 1 55, 6.
46, 4. Tasso {Lett. 35): * Fu tempo ch'io
mi credetti che si potesse fare una torre o
altra machina tale da oppugnare le mura,
stabile e di legno: ho poi imparato che sta-
bile e di legno ne l'arti de la guerra sono
termini incompatibili; perché le stabili si
fanno di terra o di pietra, e le mobili di
legno; si che volendo fare questa torre di
legno, per farla più facilmente sottoposta
a l'incendio ecc. ». — 7-8. Virg., Aen. xii
674: « Turrim, compactis traoibus quam
eduxerat ipse, Subdideratque rotas, ponte-
sque instraverat altos ».
47, 1, la volubil mole: è la macchina che
si volge, gira sulle ruote. — 4. Tonta d'unirsi :
Gugl. Tir., vili 13, scrive che i cristiani
♦< praeparatas machinas nitebantur muro
propius adiungere, ut facilius eos qui a tur-
ribus et muro residebant animosius pos-
sent impugnare ».
48, 1. Tanti di qua ecc.: Virg., Aen. xi
610: «fundunt simul undique tela. Crebra,
nivis ritu; caelumque obtexitur umbra ». -^
138
GERUSALEMME LIBERATA
E sassi e dardi, ch'oscuronne il cielo.
S'urtar duo nembi in aria, e là tornossi
Talor respinto, onde partiva, il telo.
Come di fronde sono i rami scossi
Da la pioggia indurata in freddo gelo,
E ne caggiono i pomi anco immaturi.
Cosi cadeano i Saracin da i muri:
49
Però che scendein lorpiù greve il danno.
Che di ferro assai meno eran guerniti.
Parte de' vivi ancóra in fuga vanno,
De la gran mole al fulminar smarriti.
Ma quel, che già fu di Nlcea tiranno.
Vi resta, e fa restarvi i pochi arditi:
E '1 fero Argante a contraporsi corre,
Presa una trave, a la nemica torre.
50
E da sé la respinge, e tien lontana,
Quanto l'abete è lungo, e '1 braccio forte.
Vi scende ancor la vergine sovrana,
E de' perigli altrui si fa consorte.
I Franchi in tanto a la pendente lana
Le funi recideano e le ritorte
Con lunghe falci; onde cadendo a terra
Lasciava il muro disarmato in guerra.
51
Cosi la torrr. sovra, e più di sotto
L'impetnoso il batte aspro ariete;
Onde comincia omai forato e rotto
A discoprir le interne vie scerete.
Èssi non lunge il Capitan condotto
Al conquassato e tremulo parete,
Nel suo scudo maggior tutto rinchiuso.
Che rade volte ha di portar in uso.
52
E quivi cauto rimirando spia,
E scender vede Solimano a basso,
2. oscnronne: divenne oscuro: usato intran-
sitivamente. — 3-i. Particolare riferito da
Gugl. Tir. vili 13: * horrendus et supra ho-
minum opinionem terribilis a mane usque
ad vesperam se coutinuavit conflictus, et
congressio peitinax, ita ut instar grandinis
super utruraque populum telorum et sagit-
tarum descenderet multitudo, et emissi
cautes in ipso aere mutuo se colliderent,
et causas mortis varias et multiplices irro-
garent pugnantibus *. — 5-8. Ovidio: Met.
VII 585: « Vulgus erat stratum, veluti cura
putria raotis Poma cadunt ramis, agitata-
que ilice glandes ».
60, 2. forte: è forte. — 7. cadendo, e.ssa
lana.
61, 3. comincia: il muro. — 3-4. Virg.,
Aen. II 480: « Limlna perrumpit... et ingen-
tem lato dedit ore fenestram: Apparet do-
mus intus ».
52, 1 qniTÌ: cosi pure la Conq.; ma Os.
quinci
E porsi a la difesa ove s'apria
Tra le ruine il periglioso passo;
E rimaner de la sublime via
Clorinda in guardia, e'icavalier Circasso.
Cosi guardava, e già sentiasi il core
Tutto avvampar di generoso ardore.
53
Onde rivolto dice al buon Siglerò,
Che gli portava nn altro scudo e l'arco:
Ora mi porgi, o fedel mio scudiero,
Cotesto men gravoso e grande incarco;
Che tenterò di trapassar primiero
Su i dirupati sassi il dubbio varco:
K tempo è ben che qualche nobil opra
De la nostra virtute omai si scopra.
54
Cosi, mutato scudo, a pena disse,
Quando a lui venne una saetta a volo,
E ne la gamba il colse, e la trafisse
Nel pili nervoso, ove è più acuto il duolo.
Che di tua man, Clorinda,ilcolpouscisse,
La fama il canta, e tuo l'onor n'è solo.
Se questo di servaggio e morte schiva
La tua gente pagana, a te s'ascriva.
55
Ma il fortissimo eroe, quasi non senta
Il mortifero duol de la ferita.
Dal cominciato córso il pie non lenta,
E monta su i dirupi, e gli altri invita.
Pur s'avvede egli poi, che no '1 sostenta
La gamba, offesa troppo ed impedita,
E ch'inaspra agitando ivi l'ambascia;
Onde sforzato al fin l'assalto lascia.
56
E chiamando il buon Guelfo a sé con ma-
A lui parlava: Io me ne vo constretto; [no,
Sostien persona tu di capitano,
E di mia lontananza empi il difetto.
Ma picciol'ora io vi starò lontano:
Vado e ritorno. E si partia, ciò detto:
Ed ascendendo in un leggier cavallo.
Giunger non può, che non sia visto, al vallo.
57
Al dipartir del Capitan, sr parte
63, 4. Os. Cotesto meno assai gravoso
incarco. — 7. che qualche. Os. e altri cWal-
cuna.
hi, 1-2. Ricorda il ferimento di Enea in
Virgilio, Aen. xii 31S: « Has inter voces,
media inter talia verba, Ecce viro stridens
alis allapsa sagitta est *. — 4. Nel pid ner-
Toso: nella parte più nervosa, che ha più
nervi.
65, 3. lenta: rallenta. — 7. inaspra: ina-
sprisce: cfr. IV 10, 6.
66, 3. persona: vece. — 4. empi il difetto:
supplisci [alla mia lontananza] (La Crusca
cita, oltre al Tasso, un es. del Caro Ri'>ne):
deriva dal Petrarca, cfr. e. xm 71, 7, nota.
CANTO XI
139
E cede il campo la fortuna Franca.
Cresce il vigor ne la contraria parte,
Sorge la speme e «li animi rinfranca;
E l'ardimento co '1 favor di Marte
Ne' cor fedeli e l'impeto già manca;
Già córre lento ogni lor ferro al sangue,
E de le trombe istesse il suono langue.
58
E già tra' merli a comparir non tarda
Lo stnol fugace che '1 timor caccionne;
E, mirando la vergine gagliarda,
Vero amor de la patria arma le donne:
Correr le vedi, e collocarsi in guarda
Con chiome sparse e con succinte gonne,
E lanciar dardi, e non mostrar paura
D'esporre il petto per l'amate mura.
59
E quel ch'a i Franchi più spavento por-
E '1 toglie a i difensor de la cittade, [gè,
È che '1 possente Guelfo (e se n'accorge
Questo popolo e quel) percosso cade.
Tra mille il trova sua fortuna, e scorge
D'un sasso il córso per lontane strade:
E da sembiante colpo al tempo stesso
Còlto è Raimondo, onde giù cade anch'es-
60 [so.
Ed aspramente allora anco fu punto
Ne la proda del fosso Eustazio ardito.
Né in questo a i Franchi fortunoso punto
Contra lor da' nemici è colpo uscito
(Che n'uscirraolti),onde non sia disgiunto
Corpo da l'alma, o non sia almen ferito.
E in tal prosperità via più feroce
Divenendo il Circasso, alza la voce:
61
Non è questa Antiochia; e non è questa
La notte amica a le cristiane frodi.
Vedete il chiaro sol, la gente desta,
Altra forma di guerra ed altri modi.
Dunque favilla in voi nulla più resta
De l'amor de la preda e de le lodi.
Che si tosto cessate, e séte stanche [che?
Perbreveassalto, oFranchi no,maFran-
62
Cosi ragiona: e in guisa tal s'accende
Ne le sue furie il cavaliero audace.
68, 5. gnarda: guardia.
69, 5. fortuna: destino. — scorge: guida,
ed ha per sogg. sua fortuna. — 7. gem-
biante: somigliante.
60, 3. fortunoso: malaugurato.
61, 1-2. Virg., Aen. ix 602: « Non hic Atri-
dae nec fandi fictor Ulixes ». — 8. Franchi
no, ma Franche: Omero (trad. Guastaviiii)
II. li: « 0 molli, tristi vituperii, Greche, non
più Greci »; e anche nel vii. E Virg., Aen.
IX 617: « 0 vere Phrygiae, neque enim
Phryges, ite per alta Dindyma, ubi assuetis
biforem dat tibia cantum ".
Che quell'ampia città, ch'egli difende,
Non gli par campo del suo ardir capace;
E si lancia a gran salti ove si fende
Il muro, e la fessura adito face;
Ed ingombra l'uscita; e grida in tanto
A Soliman, che si vedeva a canto:
63
Soliman, ecco il loco, ed ecco l'ora
Che del nostro valor giudice fia.
Che cessi? o di che temi? or costà fora
Cerchi il pregio sovran chi più '1 desia.
Cosi gli disse: e l'uno e l'altro allora
Precipitosamente a prova uscia;
L'un da furor, l'altro da onor rapito,
E stimolato dal feroce invito.
64
Giunsero inaspettati ed improvisi
Sovra i nemici, e in paragon mostrarsi;
E da lor tanti furo uomini uccisi,
E scudi ed elmi dissipati e sparsi,
E scale tronche ed arièti incisi.
Che di lor parve quasi un monte farsi;
E mescolati a le mine alzaro,
In vece del caduto, alto riparo.
65
La gente che pur dianzi ardi salire
Al pregio eccelso di murai corona,
Non ch'or d'entrar ne la cittate aspire.
Ma sembra a le difese anco mal buona;
E cede al nuovo assalto, e in preda a l' ire
De' duo guerrier le macchine abbandona,
Ch'ad altra guerra ornai saran mal atte:
Tanto è '1 furor che le percote e batte.
66
L'uno e l'altro Pagan, come il trasporta
L'impeto suo, già più e più trascorre;
Già '1 foco chiede a i cittadini, e porta
Duo pini fiammeggianti in vèr' la torre.
Cotali uscir da la tartarea porta
Sogliono, e sottosopra il mondo porre,
Le ministre di Pluto empie sorelle,
Lor ceraste scotendo e lor facelle.
62, 7. ingombra: cfr. e. x 33, 2.
63, 1. e -' 'ì loco ecc.: Cfr. in Cesare,
Bell. Gali., lib. v, la gara tra Pulsione e
Vareno: « Quid dubitas, inquit,Varene? aut
quem locum probandae virtutis tuae expec-
tas? hic dies, hic dies de nostris contro-
versiis iudicabit ■» e Virg., Aen. xi 386;
« possit quid vivida virtus Experiare licet;
nec longe scilicet hostes Quaerendi nobis;
circundant undique muros, Imus in adver-
sos: quid cessas? ». — 3. cessi: indugi: cfr.
e. 1 12, 2. — 6. a prova: a gara.
64, 5. incìsi: tagliati: cfr. e. vili 85, 7. —
8. alto; Os. altro'., Conq. ampio.
66, 7. ministre: le Furie. — 8. ceraste;
serpenti (cfr. Dante, Inf. ix 41).
140
GERUSALEMME LIBERATA
67
Ma l'invitto Tancredi, il qual altrove
Confortava a l'assalto i suoi Latini,
Tosto che vide riucredibil prove,
E la gemina fiamma, e i due gran pini,
Tronca in mezzo le voci, e presto move
A frenar il furor de Saracini;
E tal del suo valor dà segno orrendo.
Che chi vinse e fugò, fugge or perdendo.
68
Cosi de la battaglia or qui lo stato
Col variar de la fortuna è vòlto;
E in questo mezzo il Capitan piagato
Ne la gran tenda sua già s" è raccolto,
Co '1 buon Sigier. con Baldovino a lato,
De i mesti amici in gran concorso e folto;
Ei, che s'affretta, e di tirar s'afifanna
De la piaga lo strai, rompe la canna;
69
E la via più vicina e più spedita
A la cura di lui vuol che si prenda:
Scoprasi ogni latebra a la ferita,
E largamente si risechi e fenda.
Rimandatemi in guerra, onde fornita
Non sia co '1 di prima ch'a lei mi renda.
Cosi dice; e, premendo il lungo cerro
D'una gran lancia, offre la gamba al ferro.
70
E già l'antico Eròtimo, che nacque
In riva al Po, s'adopra in sua salute;
Il qual de l'erbe e de le nobil acque
Ben conosceva ogni uso, ogni virtute:
Caro a le Muse ancor; masi compiacque
Ne la gloria minor de l'arti mute;
Sol curò tórre a morte i corpi frali,
E potea far i nomi anco immortali.
71
Stassi appoggiato, e con secura faccia
68, 3-8. Virg., Aen. xii 38 1: « Interea
Aenean Mnestheus et lidus Achates Asca-
niusque coraes castris statuere cruentum...
Saevit, et infracta luctatur arundine telum
Eripere .. — * 6. De i mesti. Os. Di mesti.
69, 1-6. Virg., loc. cit.^ ó9&: « auxilioque
viam, quae proxima, poscia " Euse secent
late vulnus, telique latebram Rescindant
penitus seseque in bella remittant». — 7.
premendo: è il virgiliano (^oc. cit. 39i) « in-
genteni nixus in hastam ».
70, 1. Erotimo: tutti i commentatori no-
tano che è calcato sul lapige di Virgilio,
che guarisce Enea; loc. cit. 391: « lamque
aderat Ihoebo ante alios dilectus lapyx...
Scire potestates herbarum, usumque me-
dendi Maluit, et mutas agitare inglorius
artes ». — 6. mote: delle quali ài tacciono
ie lodi; che non apportano cioè molta lode,
come la poesia, la guerra.
71, 1. Stassi ecc.: Virg., loc cit. 393:
Freme, immobile al pianto, il Capitano.
Quegli in gonna succinto, e da le braccia
Kipicgato il vestir, leggiero e piano
Or con l'erbe potenti in van procaccia
Trarne lo strale, or con la dotta mano;
E con la destra il tenta, e co '1 tenace
Ferro il va riprendendo, e nulla face.
72
L'arte sue non seconda, ed al disegno
Par che per nulla via fortuna arrida;
E nel piagato eroe giunge a tal segno
L'aspro martir, che n'è quasi omicida.
Ór qui l'anL'iol custode, al duol indegno
Mosso di lui, colse dittamo in Ida:
Erba crinita di purpureo fiore,
C'have in giovani foglie alto valore.
73
E ben mastra natura a le montane
Capre n'insegna la virtù celata,
Qualor vengon percosse, e lor rimane
Nel fianco athssa la saetta alata.
Questa, ben che da parti assai lontane,
In un momento l'angelo ha recata;
E, non veduto, entro le mediche onde
De gli apprestati bagni il succo infonde;
74
E del fonte di Lidia i sacri umori,
< Stabat acerba fremens... Aeneas, magno
iuvenum et maerentis luli Concursu, la-
crirais immobilis. lUe retorto Paeonium in
morem senior succinctus amictu, Multa
manu medica, Phoebique potentibus herbia
Nequidquam trepidat, nequidquam spicula
dextra Sollicitat, prensatque tenaci forcipe
ferrum ».
72. 1. non seconda: non favorisce il pen-
siero; ed è rifioritura virgiliana, loc. cit.
405: «Nulla viam fortuna regit; nihil auctor
Apollo .subvenit ». — * Os. legge L^arti sue
non secondi. —5-8. Tutto derivato da Vir-
gilio loc. cit. 411: « Hic Venus, indigno nati
concussa dolore, Dictamnum genetrix Cre-
taea carpit ab Ida, Puberibus caulera fobia
et flore comautem Purpureo ». — Ida: Gua-
stavini: « Ida è una selva dell'isola di Greti,
dove, secondo che afferma Teof'rasto, solo
nasce il vero dittamo ». — giovani foglie:
qui adunque il Tasso intende che il ^jut»^-
riiius foliis virgiliano, riportato sopra, vo-
glia dire in giovani foglie., più tosto che
in foglie coperte di lanuggine.
l'i, Virgilio, Ice. cit. 414: «non illa feris
incognita capris Gramina, quum tergo vo«
lucres haesere sagittae: Hoc Venus obscuro
facies circumdata nimbo, Detulit: hoc fu-
sura labris splendentibus amnem Inficit oc-
culte raedicans... ».
74, 1. E del fonte ecc.: Virgilio loc. cit.
41»; « spargitque salubres Ambrosiae sue-
CANTO XI
141
E l'odorata panacea vi mesce.
Ne sparge il vecchio la ferita, e fuori
Volontario per sé lo strai se n'esce,
E si ristajjna il sangue; e già i dolori
Fuggono da la gamba, e '1 vigor cresce.
Grida Eròtimo allor: L'arte maestra
Te non risana, o la mortai mia destra:
75
Maggior virtù ti salva: un angiol, credo,
Medico per te fatto, è sceso in terra;
Che di celeste mano i segni vedo:
Prendi l'arme; che tardi? e riedi in guerra.
Avido di battaglia il pio Goffredo
Già ne l'ostro le gambe avvolge e serra;
E Tasta crolla smisurata, e imbraccia
11 già deposto scudo, e l'elmo allaccia.
76
Usci dal chiuso vallo, e si converse
Con mille dietro a la città percossa:
Sopra di polve il ciel gli si coperse;
Tremò sotto la terra al moto scossa;
E lontano appressar le genti avverse
D'alto il miraro, e corse lor per l'ossa
Un tremor freddo, e strinse il sangue in
Egli alzò tre fiate il grido al cielo, [gelo.
77
Conosce il popol suo l'altera voce,
E '1 grido eccitator de la battaglia;
E, riprendendo l'impeto veloce,
Di novo ancora a la tenzon si scaglia.
Ma già la coppia de i Pagan feroce
Nel rotto accolta s'è de la muraglia.
cos et odoriferam panaceam. Fovit ea vul-
nus lympha longaevuslapyx, Ignorans; su-
bitoqueomuisde corporefugit Quippe dolor,
oinnis stetit imo vulnere sanguis: lamque
secuta manum, nullo cogente sagitta Exci-
dit, atqueuovae radiare in pristina vires ».
— fonte: il Tasso ci avverte che «il fonte
che sana le piaghe è tolto dall'istoria»;
d'onde, peraltro, non trovo. Nella Conqitt<t.
(xiv 95) cangiò Lidia in Siloé.'
74, 7-8 e 75. Al solito, si rifa Virgilio,
loc. cit. 425: «Arma citi properate viro!
quid statis? lapyx Conclamat, prirausque
animos accendit in hostem: Non haec hu-
manis opibus, non arte magistra Prove-
niunt; neque te, Aenea, mea dextera servat.
Maior agit Deus atque opera ad maiora re-
mittit. lUe avidus pugnae suras incluserat
auro nino atque hinc, oditque moras, ha-
sta.mque coruscat ».
76, 1. converse: voltò. — 3. Virg., L o.
444: « tum caeco puivere campus Miscetur,
pulsuque pedum tremit excita tellus. Vidit
ab adverso venieutes aggere Turnus, Videre
Ausonii, gelidusque per ima cucurrit Ossa
tremor ».
77, 5. coppia; Argante e Solimano.— 8. Nel
Difendendo ostinata il varco fesso
Dal buon Tancredi e da chi vien con esso.
78
Qui disdegnoso giunge e minacciante,
Chiuso ne l'arme, il Capitan di Francia;
E 'n su la prima giunta al fero Argante
L'asta ferrata fulminando lancia.
Nessuna murai macchina si vante
D'avventar con più forza alcuna lancia.
Tuona per l'aria la nodosa trave;
V'oppon lo scudo Argante, e nulla pavé.
79
S'apre lo scudo al frassino pungente;
Né la dura corazza anco il sostiene;
Che rompe tutte l'arme, e finalmente
Il sangue Saracino a sugger viene.
Ma si svelle il Circasso (e '1 duol non sen-
Da l'arme il ferro affìsso e da le vene, [te)
E 'n Goffredo il ritorce: A te, dicendo,
Rimando il tronco, e l'armi tue ti rendo.
80
L'asta, ch'offesa or porta ed or vendetta,
Per lo noto sentier vola e rivola:
Ma già colui non fere ov'è diretta;
Ch'egli si piega, e '1 capo al colpo invola;
Coglie il fedel Siglerò, il qual ricetta
Profondamente il ferro entro la gola;
Né gli rincresce, del suo caro duce
Morendo in vece, abbandonar la luce.
81
Quasi in quel punto Soliman percote
Con una selce il cavalier Normando;
E questi al colpo si contorce e scote,
E cade in giù, come palèo rotando.
Or più Goffredo sostener non puote
L'ira di tante offese, e impugna librando;
E sovra la confusa alta mina
Ascende, e move ornai guerra vicina.
rotto: nella parte rotta. — 8. Dal: con-
tro il.
* 80, 1 . Le B leggono offesa porta. Qui
si seguita il testo dell' Os. — 3. ov'è: nel
punto ove ecc. — 4. Virg., loc. cit. 491:
« Substitit Aeneas, et se collegit in arma,
Poplite subsidens ». — *7. Os. Né già gV in-
cresce.
81, 4. palèo: strumento col quale gìuo-
cano i fanciulli facendolo rotare con una
sfei'za. Dante, Par. xviii, 42: « E letizia era
ferza del palèo ». Della medesima simili-
tudine usò Omero, (II. xiv) pai-landò del
macigno lanciato da Aiace contro Ettore.
— 6. L'Ira di tante oifese: l'ira in lui su-
scitata da tante offese. — 7. la confusa alta
mina: é la parte superiore del muro, già
ridotta in rovine, dove confusamente com^
battevano i cristiani contro la coppia fe-
roce.
142
GERUSALEMME LIBERATA
82
E ben ei vi facea mirabil cose,
E contrasti seguiano aspri e mortali;
Ma fuor usci la notte e '1 mondo ascose
Sotto il caliginoso orror de l'ali;
E l'ombre sue pacifiche interpose
Fra tante ire de' miseri mortali;
Si che cessò Gofifredo, e fé' ritorno.
Cotal fine ebbe il sanguinoso giorno.
83
Ma pria che 'IpioBuglioneil campo ceda,
Fa indietro riportar gli egri e i languenti;
E già non lascia a' suoi nemici in preda
L'avanzo de' suoi bellici tormenti :
Pur salva la gran torre avvien che rieda,
Primo terror de le nemiche genti;
Come che sia da l'orrida tempesta
Sdrucita anch'essa in alcun loco e pesta.
82. Intorno al modo con che finisce que-
sta battaglia, contraria nell'esito ai cristiani,
scrive il Poeta (Lett. 37): * Nel nono non si
può fare di non dar la vittoria intera a i
cristiani; altrimenti non si verrebbe a l'as-
salto: ma ne l' undecime farò che tutti o
quasi tutti i principi, da Tancredi in poi,
ne siano mal trattati, e che molti più ne
muoiano». E come il T. per l'invenzione
dell'assalto ha sin qui seguito quanto rac-
conta Gugl. Tir. nel libro viii 13, cosi d'ora
in poi si attiene a quanto è da detto isto-
rico narrato nel capit. 14 del libr. cit., dove
si racconta che la notte separò la zuffa:
per altro tutto ciò, che si riferisce alla gran
torre, manca nel Tirio.
84
Da' gran perigli uscita ella se 'n viene
Giungendo a loco ornai di securezza.
Ma qual nave talor, ch'a vele piene
Corre il mar procelloso, e Tonde sprezza;
Poscia in vista del porto, o su l'arene,
0 su i fallaci scogli uu fianco spezza;
0 qual destrier passa le dubbie strade,
E presso al dolce albergo incespa e cade;
85
Tale inciampa la torre, e tal da quella
Parte che volse a l'impeto de' sassi,
Frange due rote debili, si ch'ella
Huinosa pendendo arresta i passi.
Ma le suppone appoggi, e la puntella
Lo stuol che la conduce e seco stassi.
In sin che i pronti fabri intorno vanno
Saldando in lei d'ogni sua piaga il danno.
86
Cosi Goffredo impone, il qual desia
Che si racconci inanzi al novo sole;
Ed occupando questa e quella via,
Dispon le guardie intorno a l'alta mole.
•Ma '1 suon ne la città chiaro s'udia
Di fabrili instrumenti e di parole,
E mille si vedean fiaccole accese;
Onde seppesi il tutto, o si comprese.
84, 3-6. Similitudme tratta da Dante, Par.
XIII 136: «E legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto suo cammino. Perir
al fine a l'entrar de la foce ».
85, 5. suppone: sottopone: già osservato.
86, 8. il tutto: cioè che i Franchi erano
intenti a ristorare la torre.
• CANTO
XII • •
Notte if Clorinda ed
Argante si dispongono
alla sortita iì^ Storia
di Clorinda ^ Sortita
-yif La torre in fiamme
i^ La guerriera e il
Circasso tentano di ri-
guadagnare le porte
della città -^ Clorinda
resta fuori -j^ Inseguita
da Tancredi, con esso
pugna -jfcr Morte di Clo-
rinda ^ Dolore im-
menso di Tancredi tAt
Riprensioni a lui ri-
volte dair Eremita *
Clorinda gli appare in
sogno, e Io racconsola-;^
Onori resi a Clorinda
T^ Giuramento d'Ar-
gante.
Era la notte, e non prendean ristòro
1. Si è già avvertito nel e. xi 82, in nota,
che Gugl. Tir. narra nel lib. viii 14 come
la notte spartisse la pugna. Dallo stesso
luogo è tolta questa prima stanza: e le pa-
role del Tirio possono aver persuaso al
poeta che questo era il posto opportuno
alla sortita. Nel fatto i versi 3-4, che ri-
specchiano i timori e le fatiche dei cristiani,
rispondono a questo brano dello storico :
Angebantur (i cristiani) plurimum, timen-
tes ne clam in eorum machinas hostes
quocumque pacto procurarent incendia :
unde continuas exegerunt vigilias, noctem
illam penitus trahentes insomnen » (ansie e
timori giustificati ancóra dal ricordo di
quanto avvenne sotto Antiochia, ove i tur-
chi usciti con impeto incendiarono la torre
innalzata contro la città); e i vv. 5-7, ove
8on dette le paure e le fatiche degli asso-
Co '1 sonno ancor le faticose genti;
Ma qui vegghiando nel fabril lavoro
Stavano i Franchi a la custodia intenti;
E là i Pagani le difese loro
Gian rinforzando tremule e cadenti,
E rintegrando le già rotte mura;
E de' feriti era comun la cura.
2
Curate al fin le piaghe, e già fornita
De l'opere notturne era qualcuna;
diati, corrispondono a quest'altro passo:
« Cives autem nihilominus curis torqueban-
tur edacibus, formidantes plurimum, ne
hostes quos tanta viderant protervitate in-
stantes, occulta occasione ex noctis intem-
pestae silentio, eflfracto muro, vel scalis
adhibitis, clam urbem ingrederentur ». —
2. faticose: affaticate. — genti; cosi leg-
gono CoNQ. e Os. ma le 3 st. BoN. menti.
— 3. vegg.: vegliando. Poefic.
144
GERUSALEMME LIBERATA
E, rallentando l'altre, al sonno invita
L'ombra ornai fatta più tacita e bruna.
Pur non accheta la guerriera ardita
L'alma d'onor famelica e digiuna ;
E sollecita l'opre ove altri cessa.
Va seco Argante; e dice ella a se stessa:
3
Ben oggi il re de' Turchi e '1 buon Argante
Fèr meraviglie inusitate e strane,
Che soli uscir fra tante schiere e tante,
E vi spezzar le macchine cristiane.
Io (questo èri sommo pregio onde mi van-
D'alto rinchiusa oprai l'arme lontane, [te)
Sagittaria, no '1 nego, assai felice.
Dunque sol tanto a donna e più non lice?
4
Quanto me' fora in monte od in foresta
A le fere avventar dardi e quadrella,
Ch'ove il maschio valor si manifesta,
Mostrarmi qui tra cavalier donzella!
Che non riprendo la feminea vesta,
S'io ne son degna, e non mi chiudo in cella?
Cosi parla tra sé: pensa e risolve
Al fin gran cose, ed al guerrier si volve:
5
Buona pezza è, signor, che in sé raggira
Un non so che d'insolito e d'audace
La mia mente inquieta: o Dio l'inspira,
8, 3. l'altre: le opere non fornite. Non
sembra interamente giusto il Galilei quando
osserva che E rallentando l'a'tre é sospeso
in aria: rallentando é transitivamente usa-
to, e dipende, come invita, da ombra. —
5. Qui comincia a prepararsil'epis. della sor-
tita. Cfr. quello di Diomede ed Ulisse in
Omero, 11. x; quello di Eurialo e Niso nel
IX deir.Aen.; e ancora quello di Cloridano
e Medoro nel xviii dell'Oc'/. Fur. Altri hanno
già notato, e giustamente, come si vedrà
dai raffronti, che il T. più che imitare, tra-
duca a dirittura spesso spesso Virg-ilio. —
6. d'onor: di quell'onore che si procaccia
con atti di 'maschio vilore.
* 3, 1. bnon Arg.; prode Arg ; alla latina.
Cosi Orazio « Forte? creantur fortibus et
bonis ». — ó. l'arme lontane: dardi e qua-
drella; le armi, cioè, che lontane dal segno
lo raggiungono percorrendo un lungo tratto.
— 8. sol tanto: solamente questo. — più
non : cosi pure CoNQ. ; ma Os. nan più.
4, 1-4. Guastavini: «Omero, /'. xxi: Ve-
ramente meglio [ti] è per li monti le fiere
uccidere - E le salvatiche cerve, che co'
più potenti gagliardamente combattere ».
6, 1. Buona pezza ecc. Virg., Aen. ix ISò:
€ Aut pugnam aut aliquid iaradudum inva-
dere magnum Mens agitai mihi ». — 3. o
dio l'inspir.i ecc. : Virg., loc. cit. 18i : « Dine
hunc ardorem mentibus addunt, Euryale?
0 l'uora del suo voler suo Dio si face.
Fuor del vallo nemico accesi mira
1 lumi : io là n'andrò con ferro e face,
E la torre arderò: vogl'io che questo
Effetto segua: il Ciel poi curi il resto.
6
Ma, s'egli avverrà pur che mia ventura
Nel mio ritorno mi rinchiuda il passo.
D'uom, che 'namor m'è padre, a te la cura
E de le care mie donzelle io lasso.
Tu ne l'Egitto rimandar procura
Le donne sconsolate e '1 vecchio lasso.
Fallo per Dio, signor; che di pietate
Ben è degno quel sesso e quella etate.
7
Stupisce Argante, e ripercosso il petto
Da stimoli di gloria acuti sente.
Tu là n'andrai, rispose, e me negletto
Qui lascierai tra la vulgare gente?
E da secura parte avrò diletto
Mirar il fumo e la favilla ardeute?
No, no; se fui ne l'arme a te consorte
Esser vo' ne la gloria e ne la morte.
8
Ho core anch' io, che morte sprezza, e ere-
Che ben si cambi con l'onor la vita, [de
Ben ne testi, disse ella, eterna fede
Con quella tua si generosa uscita.
Pure io femina souo, e nulla riede
Mia morte in danno a la città smarrita:
Ma, se tu cadi (tolga il Ciel gli augùri),
Or chi sarà che più difenda i muri ?
i
an sua cuique Deus flt dira cupido ? » — 4.|
0 l'uom ecc. : Il Guastavini spiega : « o quan- '
do l'uomo ha desiderio alcuno, quello al-
l'ispirazione divina è solito attribuire ». —
5-3. accesi ni ira I lumi ecc.: Virg.. loc. cit.
j 188: « Cernis, quae Rutulos habeat fiducia
rerum; Lumina rara raicant ».
6, 1. Ma ecc.: Cosi in Virgilio, Niso rac-
comanda la madre ad Eurialo, loc. cit. 210:
e Si quis in adversum rapiat casusve Deu-
sve... » e loc. cit. 283 : * te super omnia dona
Unum oro: genitrix Priami de gente ve-
tusta Est mihi, quam miseram tenuit non
Ilia tellus... At tu, oro, solare inopem et
succurre relictae ». — 4. lasso: lascio.
7, l-tì. Virg., loc. cit. 197 : « Obstupuit
magno laudum percussus amore Euryalus,
simul his ardentera affatur amicura: Mene
igitur socium summis adiungere rebus,
Nise, fugis? solum te in tanta pericula mit-
tam?». Ariosto, Ori. xviii 170: «Stupisce
Cloridan ».
8, 1-2. Virg., loc. cit. 205: «Est hic, est
animus lucis comteraptor, et istum Qui vita
bene credat emi, quo tendis, honorem». —
7. Ma, se tu cadi ecc.: Virg., Aen. xi i 40*.
« Quid consanguinei Rutuli, quid caetera
CANTO XII
145
Replicò il cavaliero: Indarno adduci
Al mio fermo voler fallaci scuse.
Seguirò l'orme tue, se mi conduci ;
Ma le precorrerò, se mi reciise.
Concordi al re ne vanno, il qua! fra i duci
E fra i pili sagomi suoi gli accolse e chiuse,
lucominciò Clorinda: 0 sire, attendi
A ciò che dirvoglianti,eingrado il prendi.
10
Argante qui (né sarà vano il vanto)
Quella macchina eccelsa arder promette.
10 sarò seco; ed aspettlam sol tanto
Che stanchezza maggióre il sonno allette.
Sollevò il re le palme, e un lieto pianto
Giù per le crespe guance a lui cadette:
E, Lodato sia tu, disse, ch'ai i servi
Tuoi volgi gli occhi, e '1 regno anco mi scr-
ii [vi.
Né già si tosto caderà, se tali '
Animi forti in sua difesa or sono.
Ma qual posso io, coppia onorata, eguali
Dar a i meriti vostri o laude o dono?
Laudi la fama voi con immortali
Voci di gloria, e '1 mondo empia del suono.
Premio v' è l'opra stessa, e premio in parte
Vi fia del regno mio non poca parte.
12
Si parla il re canuto, e si ristringe
Or questa or quel teneramente al seno.
11 Soldan, ch'è presente, e non infìnge
La generosa invidia onde egli è pieno.
Disse: Né questa spada in van si cinge;
dicet Italia, ad mortem si te (Fors dieta
refutet !) Prodiderim? »
% 1-2. Virg., Aen. ix 219 : « lUe autem :
causas nequicquam nectis inanes, Nec mea
iam mutata loco sententia cedit>. — 5. ne
vanno: pure Conq. ; ma Os. n'andaro. —
Virg., loc. cit. 230: « Tum Nisus et una Eu-
ryalus confestim alacres admittier orant...
Primus lulus Accepit trepidos». — 6. chiu-
se: il Galilei dice che questo verbo dopo
accolse non ci ha che fare. — 7. Incomin-
ciò; Os. E incominciò. — 8. in grado: in
piacimento ; e fa' che ti piaccia.
10, 4. allette: alletti, inviti. — 5. e un
lieto pianto ecc.: Virg,, loc. cit. 251: » et
vultum lacrimis atque ora rigabat ».
11, 1-8. Virg., loc. cit. 247: «Di patrii...
Non tamen omnino Teucros delere paratis,
Cura tales aniraos iuvenum et tam certa
tulistis Pectora... Quae vobis, quae digna,
viri, prò laudibus istis Praeraia posse rear
solvi? Pulcherrima priraum Di moresque
dabunt vestri ».
12, 1-2. Virg., l. e. 250: « Sic memorans
humeros dextrasque tenebat Amborum ». —
3. Inf. : dissimula.
Verravvi a paro, o poco dietro al meno.
Ah! rispose Clorinda, andremo a questa
Impresa tutti? e, se tu vien, chi resta?
1.3
Cosi gli disse; e con rifiuto altero
Già s'apprestava a ricusarlo Argante;
Ma '1 re il prevenne, e ragionò primiero
A Soliman con placido sembiante :
Ben sempre tu, magnanimo guerriero.
Ne ti mostrasti a te stesso sembiante,
Cui nulla faccia di periglio unquauco
Sgomentò, né mai fosti in guerra stanco.
14
£ so che fuora andando opre faresti
Degne di te; ma sconvenevol parmi
Che tutti usciate, e dentro alcun non resti
Di voi, che sete i più famosi in armi.
Né men consentirei ch'andasser questi
(Che degno è il sangue lor che si risparmi),
S' 0 men util tal opra, o mi paresse
Che fornita per altri esser potesse.
15
Ma poi che la gran torre in sua difesa
D'ogni intorno le guardie ha cosi folte,
Che da poche mie genti esser offesa
Non potè, e inopportuno è uscir con molte ;
La coppia che s'offerse a l'alta impresa,
E 'n simil rischio si trovò più volte,
Vada felice pur; ch'ella è ben tale,
Che sola più che mille insieme vale.
16
Tu, come al regio onor più si conviene,
Con gli altri, prego, in su le porte attendi :
E, quando poi (che n' ho secura spene)
Ritornino essi, e desti abbian gli incendi,
Se stuol nemico seguitando viene,
Lui risospingi, e lor salva e difendi.
Cosi l'un re diceva; e l'altro cheto
Rimaneva al suo dir, ma non già lieto.
17
Soggiunse allora Ismene: Attenderpiac-
A voi, ch'uscir dovete, ora più tarda, [eia
Sin che di varie tempre un misto i' faccia
Ch'a la macchina ostil s'appigli, e l'arda.
Forse allora avverrà che parte giaccia
13, 6. sembiante: simile, uguale. — 7.
nulla faccia : nessuna faccia, aspetto, ap-
parenza.
14, 6. Perché il sangue loro è degno di
essere risparmiato: costrutto corrispon-
dente al latino dlgnus ut, frequentissimo
nel Tasso e in altri scrittori. — 8. per altri :
da altri.
16, 4. e desti abbian gl'incendi: Virg.,4<*n.
V 743: * et sopitos suscitai ignes »; e il Pe-
trarca, son. Già fiammeggiava 6: ♦ e desto
avea il carbone ».
17, 3. di varie tempre : di varie materie
mescolate insieme. — 5. Pors« ecc. : Intendi,
10 — Tasso, Gerusalemme liberata.
146
GERUSALEMME LIBERATA
Di quello stiiol che la circonda e guarda.
Ciò fu coneluso; e in sua magion ciascuno
Aspetta il tempo al gran fatto opportuno.
18
Depon Clorinda le sue spoglie inteste
D'argento, e l'elmo adorno e l'arme altere:
E senza piuma o fregio altre ne veste
(Infausto annunzio!) rugginose e nere;
Però che stima agevolmente in queste
Occulta andar fra le nemiche schiere.
E quivi Arsete eunuco, il qual fanciulla
La nudri da le fasce e da la culla;
19
E per l'orme di lei l'antico fianco
D'ogni intorno traendo, or la seguia.
Vede costui l'arme cangiate, ed anco
Del gran rischio s'accorge ove ella già;
E se n'affligge, e per lo crin che bianco
In lei servendo ha fatto, e per la pia
Memoria de' suo' ufl&ci instando prega
Che da l' impresa cessi: ed ella il nega.
20
Onde ei le disse al fin: Poi che ritrosa
Si la tua mente nel suo mal s'indura,
Che né la stanca età, né la pietosa
Voglia, né i preghi miei, né il pianto cara,
Ti spiegherò più oltre; e saprai cosa
Di tua condizion, che t'era oscura:
Poi tuo desir ti guidi, o mio consiglio.
Ei segue; ed ella inalza attenta il ciglio.
21
Resse già l'Etiopia, e forse regge
Senapo ancor, con fortunato impero;
Il qual del figlio di Maria la legge
Osserva, e l'osserva anco il popol nero.
Quivi io Pagan fui servo, e fui, tra gregge
D'ancelle avvolto in feminil mestiero,
che aspettando qualche ora la coppia avreb-
be forse trovata gran parte della guardia
addormentata.
18. Vedi nell'Ariosto, Ori, xli 31, le ve-
sti indossate da Brandimarte che va a com-
battere contro Agramante. — 7. Arsete: fa
presso Clorinda Tufflcio che Metabo presso
Camilla in Virg. {Aen. xi).
19. 1-2. l'etrarca, son. Movesi il vec-
chierel 6: «Indi traendo poi l'antico fian-
co ». Cfr. e. vili 41, 2.
20. Dalle note del Mella, il quale ampliò
una citazione del Gentile : « Il racconto di
Arsete è preso da un romanzo {Istorie Etio-
piche), opera di Eliodoro, elegante scrit-
tore greco, vescovo di Trica nella Tessa-
glia, morto il 390, sotto Teodosio il gran-
de... Il poeta ci aggiunse poi qualche orna-
mento tratto dalle avventure della Camilla
virgiliana come, per es., il salvamento del
fiume (Aen. 547), l'allattamento prodigioso
ecc. » — 1. disse: pure Conq. ma Os. dice.
21,6. mestiero: per ministero, ufficio:
Ministro fatto de la regia moglie,
Che bruna è si, ma il bruno il bel non toglie.
22
N'arde il marito, e de l'amore al foco
Ben de la gelosia s'agguaglia il gelo.
Si va in guisa avanzando a poco a poco
Nel tormentoso petto il folle zelo, [loco
Che da ogn'uom la nasconde: e in chiuso
Vorria celarla a i tanti occhi del cielo.
Ella, saggia ed urail, di ciò che piace
Al suo signor, fa suo diletto e pace.
23
D'una pietosa istoria e di devote
Figure la sua stanza era dipinta.
Vergine bianca il bel vólto, e le gote
Vermiglia, è quivi presso un drago avvinta.
Con l'asta il mostro un cavalierpercote ;
Giace la fera nel suo sangue estinta.
Quivi sovente ella s'atterra, e spiega
Le sue tacite colpe, e piange e prega.
24
Ingravida fra tanto, ed espon fuori
(E tu fosti colei) candida figlia.
Si turba; e de gli insoliti colori,
Quasi d'un novo mostro, ha meraviglia.
Ma, perché il re conosce e i suoi furori,
Celargli il parto al fin si riconsiglia ;
Ch'egli avria dal candor,che iute si vede,
Argomentato in lei non bianca fede.
Vavvolto ha da unirsi a tra grejge d'an-
celle.
22. 4. tormentoso: per tormentato ; come
poco sopra faticoso per affaticato. — il folle
zelo: è il pazzo fuoco d'amore : pazzo, per-
ché riunito con il gelo della gelosia. — 6.
occhi: stelle. Dante chiama il cielo delle
stelle fisse {Par. ii 115): «Lo ciel... e' ha
tante vedute ».
23. Il Guastavini avverte, come già il
Gentile, che la finzione è tolta da Eliodoro
nel IV, là * dove Persina, per essersi gia-
ciuta col marito in una camera nella quale
fra l'altre figure era dipinta l'imagine di
Perseo armato, allora ch'avea liberata An-
dromeda dal sasso, partorì Carichia bianca;
ond'ella temendo che il re suo marito la
tenesse per adultera, e la figliuola ne fusse
od uccisa 0 reputata bastarda, mentendo
al padre ch'ella fosse subitamente morta,
l'espose alla fortuna, come di Clorinda fa
qui la madre sua». Aggiunge Eliodoro an-
córa che, cresciuta, diventò valente arciera.
— 3. bianca il bel rótto ecc. : il bel vólto e
le gote, sono costrutti alla greca. Petrarca,
Tr. Anfi. II 143: « Andromeda gli piacque
in Etiopia, Vergine bruna i begli occhi e
le chiome». — 5. un caTalìer: san Giorgio.
— 7. s'atterra: si piega a terra, s'inginoc-
chia : cfr. e. IV 3=1, 8.
24. 8. bianca fede : la Fede presso gli an-
CANTO XII
147
25
Ed in tua vece una lanciulla nera
Pensa mostrarceli, poco inauzi nata.
E, perché fu la torre, ove chius'era,
Da le donne e da me solo abitata,
A me, che le fui servo, e con sincera
Mente l'amai, ti die non battezzata:
Né già poteva allor batteamo darti;
Che l'uso no '1 sostien di quelle parti.
26
Piangendo a me ti porse, e mi commise
Ch'io lontana a nudrir ti conducessi, [se
Chi può dire il suo affanno, e in quante gui-
Lagnossi, e raddoppiò gli ultimi amplessi?
Bagnò i baci di pianto, e fur divise
Le sue querele da i singulti spessi, [ni,
Levò al fin gli occhi, e disse: ODio,che scer-
L'oprepiii occulte, e nel mio cor t'interni,
27
S'imraaculato è questo cor, s' intatte
Son queste membra e '1 maritai mio letto,
Per me non prego, che mille altre ho fatte
Malvagità; son vile al tuo cospetto:
Salva il parto innocente, al qual il latte
Nega la madre del materno petto;
Viva, e sol d'onestate a me somigli ;
L'esempio di fortuna altronde pigli.
28
Tu, celeste guerrier, che la donzella
Togliesti del serpente a gli empi morsi.
S'accesi ne' tuo' altari umil facella,
S'auro 0 incenso odorato unqua ti porsi,
Tu per lei prega, si che fida ancella
Possa in ogni fortuna a te raccòrsi.
Qui tacque ; e '1 cor le si rinchiuse e strinse,
E di pallida morte si dipinse.
29
Io piangendo ti presi, e in breve cesta
Fuor ti portai, tra fiori e frondi ascosa :
tichi si rappresentava vestita di bianco.
Orazio, Od. I xxxv: « Te Spes, et albo rara
Fides colit Velata panno ». E « cana fldes »
disse Virgilio nel primo dell'Eneide.
25, 7-8. Guastavini : « di quelle parti :
dove i maschi se non dopo i quaranta di
e le femmine dopo i sessanta non sono so-
liti a battezzarsi: come scrive D. France-
sco D'Alvarez nel suo viaggio d'Etiopia ».
27, 7. e sol d'onestate ecc.: Virg., Aen.
XII 435: «Disce, puer, virtutem ex me ve-
rumque laborem, Fortunam ex aliis ».
28, 1. Apostrofa S. Giorgio. — 6. raccòrsi :
raccogliersi, ridursi. — 7. e '1 cor le si ria.
e st.: il cuore le si chiuse e serrò alla im-
pressione degli oggetti esterni. Dante, Inf.
VI 1: «Al tornar della mente che si chiuse
Dinanzi alla pietà de' due cognati *. — 8.
Dante, Ganz. i 3: «Dipinta in guisa di per-
sona morta».
29, 1. breve: picciola. — 2. tra flori ecc. :
Ti celai da ciascun, che né di questa
Diedi aospizion, né d'altra cosa:
Me n'andai sconosciuto ; e per foresta
Camminando di piante orride ombrosa,
Vidi una tigre, che minacele ed ire
Avea ne gli occhi, in contr'a me venire.
30
Sovra un arbore i' salsi, e te su l'erba
Lasciai; tanta paura il cor mi prese.
Giunse l'orribil fera, e, la superba
Testa volgendo, in te lo sguardo intese;
Mansuefece, e raddolcio l'acerba
Vista con atto placido e cortese ;
Lenta poi s'avvicina, e ti fa vezzi
Con la lingua; e tu ridi, e l'accarezzi ;
31
Ed ischerzando seco, al fero muso
La pargoletta man secura stendi.
Ti porge ella le mamme, e, come è l'uso
Di nutrice, s'adatta, e tu le prendi.
In tanto io miro, timido e confuso,
Come uom faria novi prodigi orrendi.
Poi che sazia ti vede ornai la belva
Del suo latte, ella parte e si riusciva:
32
Ed lo giù scendo e ti rieolgo, e torno
Là 've prima fur vòlti i passi miei ;
E, preso in picciol borgo al fin soggiorno,
Celataraente ivi nutrir ti fei.
Vi stetti in sin che '1 sol correndo intorno
Portò a i mortali e diece mesi e sei.
Tu con lingua di latte anco snodavi
Voci indistinte, e incerte orme segnavi.
33
Ma sendo io colà giunto ove dechina
L'etate ornai cadente a la vecchiezza,
Ricco e sazio de l'or che la regina
Nel partir diemmi con regale ampiezza,
Da quella vita errante e peregrina
Ne la patria ridurmi ebbi vaghezza,
E tra gli antichi amici in caro loco
Ovidio, Epist. XI : « Frondibus infantem,
ramisque aulentis olivae Et levibus vittia
sedula celat anus ». — 3. Ti celai da cia-
scun; CONQ. Ti celai da ciascun nel sonno
o desta; Os. Con arte si gentil che né di
questa. — 4. Diedi sospizion né : Os. Diedi
sospetto altrui. — 6. orride: cosi pure Conq.,
ma Os. orrida.
31, 8. ella; Os. si.
32, 7. con lingua di latte ecc.: Petrarca,
canz. Tacer non posso 82: «Con voci an-
cor non preste, Di lingua che dal latte si
scompagne». — 8. e incerte ecc.: Orazio
{Epist. ad Pisones) : « et pede certo Signat
humum ».
33, 1-2. Petrarca, son. Tutta la mia fio-
rita 3: « ed era giunto al loco, Ove scende
148
GERUSALEMME LIBERATA
Viver,temprando il verno al proprio foco.
34
Partorai : e vèr' l'Egitto, ove son nato,
Te couducendo meco, il córso invio ;
E giungo ad un torrente, e riserrato
Quinci da i ladri son, quindi dal rio-
Che debbo far? te, dolce peso amato,
Lasciar non voglio, e di campar desio.
Mi gitto a nuoto; ed una man ne viene
Rompendo l'onda, e te l'altra sostiene.
35
Rapidissimo è il córso, e in mezzo l'onda
In se medesma si ripiega e gira ;
Ma, giunto ove più volge e si profonda
In cerchio, ella mi torce, e giù mi tira.
Ti lascio allor : ma falza e ti seconda
L'acqua, e secondoaTacqua il vento spira,
E t'espon salva in su la molle arena:
Stanco, anelando, io poi vi giungo a pena.
36
Lieto ti prendo; e poi la notte, quando
Tutte in alto silenzio eran le cose,
Vidi in sogno un guerrier. che minacciando
A me su '1 vólto il ferro ignudo pose.
Imperioso disse : Io ti comando
Ciò che la madre sua primier f impose,
Che battezzi r infante: ella è diletta
Del Cielo ; e la sua cura a me s'aspetta.
37
Io la guardo e difendo; io spirto diedi
la vita, ch'ai fin cade». — 8. Umprando :
mitigando.
34, 3. E gian^o ecc.: Virgilio, di Metabo
che fugge con la piccola Camilla, Aen. xi
547: «Ecce, fugae medio, summis Amase-
nu3 abundans Spumabat ripis, tautus se
nubibus imber Ruperat! Ille, innare pa-
rana, infantis amore Tardatur, caroque
oneri timet... Dat sese fluvio ». Guastavini:
« Ha cambiato in questa parte T invenzion
di Virgilio e fattala più affettuosa assai...
perciocché Metabo lega la figliuola all'asta
ch'egli portava, e, raccomandatala e dedi-
catala a Diana, la getta per aria di là dal
fiume, mettendosi poi esso a nuotar oltre
ecc.». — 8. onda: cosi pure Conq.; ma Os.
acqua.
35, 4. Virg., Aen. i 116 : « ast illam ter
fluctus ibidem Torquet agens circum, et
rapidus vorat aequore vortex *. — 6, se-
condo: favorevole.
36, 3. un gaerrier: San Giorgio. — 6. Ciò
che la madre sua primier : d'accordo colla
Conq. ; ma Os. Che faccia come a te la
tnadre. — 7. Che battezzi l'Infante: cosi
ancora Conq.; ma Os. Dar battesmo a Vin-
fante. — 8. s'aspetta: spetta, appartiene:
cfr. e. V 34, 8; e. viii 35, 7 ecc.
87, 1. io spirto diedi ecc.: Attribuisce il
Di pietate a le fere, e mente a l'acque.
Misero te, s'al sogno tuo non credi,
Ch'è del Cielmessaggiero.Equisi tacque.
Svegliaimi e sorsi, e di là mossi i piedi.
Come del giorno il primo raggio nacque:
Ma, perché mia fé vera, e l'ombre false
Stimai, di tuo battesmo non mi calse,
38
Né de i preghi materni; onde nudrita
Pagana fosti : e '1 vero a te celai.
Crescesti; e in arme valorosa e ardita
Vincesti il sesso e la natura assai :
Fama e rerre acquistasti; e qual tua vita
Sia stata poscia, tu medesma il sai ;
E sai non men che servo insieme e padre
Io t' ho seguita fra guerriere squadre.
39
ler poi su l'alba, a la mia mente oppressa
D'alta quiete e simile a la morte.
Nel sonno s'ofiFeri l'imago stessa :
Ma in più turbata vista e in suon più forte,
Ecco, dicea, fellon, l'ora s"appressa
Che dee cangiar Clorinda e vita e sorte:
Mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.
Ciò disse, e poi n'andò per l'aria a volo
40
Or odi dunque tu, che '1 Ciel minaccia
A te, diletta mia, strani accidenti.
Io non 80 ; forse a lui vien che dispiaccia
Ch'altri impugni la fé de' suoi parenti.
Forse è la vera fede. Ah! giù ti piaccia
Depor quest'arme e questi spirti ardenti.
Qui tace, e piagne; ed ella pensa e teme;
Che un altro simil sogno il cor le preme ♦
41
Rasserenando il vólto, al tìn gli dice:
Quella fé seguirò che vera or parmi,
Che tu co '1 latte già de la nutrice
Sugger mi festi, e che vuoi dubbia or farmi:
Né per temenza lascierò, né lice
A magnanimo cor, l'impresa e l'armi ;
Non se la morte nel più fìer sembiante
Che sgomenti i mortali avessi inante.
poeta a San Giorgio i due miracoli raccon-
tati di sopra, della tigre che allattò Clo-
' rinda, e delle acque che la portarono a
riva. — 3-4. Omero, in persona dello stesso
sogno. II. II, trad. Guastavini: * Ma ora
intendimi tosto, che di Giove sono messag-
gi ero ». — * 8. non mi calse. Os. a 'ine non
calse.
39, 2. Virg., Aen. vi 522 « Dulcis et alta
quies, placidaeque simillima morti».
40, 3. Tien : avviene: cfr. e. vi 46, 3. —
4. parenti: genitori: cfr. e. iv 40, 4. — 5.
Forse è la Tera fede : e forse la fede de' tuoi
genitori, che tu impugni, combatti, è la
vera.
CANTO XII
149
42
Poscia il consola ; e, ])erclié il tempo giun-
Ch'ella deve ad effetto il vanto porre, [gè
Parte, e con quel guerrier si ricongiunge
Che si vuol seco al gran periglio esporre.
Con lor s'aduna Ismeuo, e instiga e punge
Quella virtù che per sé stessa córre ;
E lor porge dì zolfo e di bitumi
Due palle, e 'n cavo rame ascosi lumi.
43
Escon notturni e piani, e per lo colle
Uniti vanno a passo lungo e spesso,
Tanto che a quella parte, ove s'estolle
La macchina nemica, ornai son presso.
Lor s'infiamraan gli spirti, e '1 cor ne bolle.
Né può tutto capir dentro a sé stesso :
Gli invita al foco, al sangue un fero sdegno.
Grida la guardia, e lor dimanda il segno.
44
Essi van cheti iuanzi ; onde la guarda
A Tarme, a l'arme, in alto suon raddoppia ;
Ma più non si nasconde, e non è tarda
Al córso allor la generosa coppia.
In quel modo che fulmine o bombarda
Co '1 lampeggiar tuona in un punto e scop-
Movere ed arrivar, ferir lo stuolo, [pia,
Aprirlo e penetrar, fu un punto solo.
45
E forza è pur che fra mill'arme e mille
Percosse il lor disegno al fin riesca.
Scoprirò i chiusi lumi, e le faville
S'appreser tosto a l'accensibil ésca,
Ch'a i legni poi l'avvolse e corapartille.
Chi può dir come serpa e come cresca
Già da più lati il foco? e come folto
Turbi il fumo a le stelle il puro vólto?
46
Vedi globi di fiamme oscure e miste
Fra le rote del fumo in ciel girarsi.
Il vento soffia, e vigor fa ch'acquiste
L'incendio, e in un raccolga i fochi sparsi
Fere il gran lame con terror le viste
De' Franchi, e tutti son presti ad armarsi.
La mole immensa e si temuta in guerra,
Cade; e breve ora opre si lunghe atterra.
47
Due squadre de' Cristiani in tanto al loco,
Dove sorge l'incendio, accorron pronte.
Minaccia Argante: Io spegnerò quel foco
Co '1 vostro sangue; e volge lor la fronte.
Pur, ristretto a Clorinda, a poco a poco
Cede, e raccoglie i passi a sommo il monte.
Cresce, più che torrente a lunga pioggia,
La turba, e li rincalza, e con lor poggia.
48
, Aperta è l'Aurea porta, e quivi tratto
E il re, ch'armato il popol suo circonda,
Per raccòrre i guerrier da si gran fatto.
Quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i due su '1 limitare, e ratto
Di retro ad essi il Franco stuol inonda :
Ma l'urta e scaccia Solimano; e chiusa
È poi la porta, e sol Clorinda esclusa.
49
Sola esclusa ne fu, perché in quell'ora
ch'altri serrò le porte ella si mosse,
E corse ardente e incrudelita fora
A punir Arimon che la percosse.
Punillo ; e '1 fero Argante avjisto ancora
Non s'era ch'ella si trascorsa fosse ;
Che la pugna e la calca e l'aer denso
A i cor togliea la cura, agli occhi il senso.
50
Ma poi che intepidi la mente irata
Nel sangue del nemico e in sé rivenne,
Vide chiuse le porte, e intorniata
Sé da' nemici; e morta allor si tenne.
Pur, veggendo ch'alcuno in lei non guata,
Nov'arte di salvarsi le sovvenne:
Di lor gente s'infinge, e fra gli ignoti
Cheta s'avvolge; e non è chi la noti.
42, 2. il vanto : cioè il vantato disegno,
di cui generosamente, dinanzi al re Ala-
dino, ha fatto autore Argante. Vedi sopra,
st. 10. — 3. con quel guerrier: Argante.
43, 1. notturni e piani: di notte tempo
e quetamente: Petrarca, Tr. Fam. i 46:
« Di Claudio dico, che notturno e piano ».
— 6. capir : esser contenuto ; come nell'Ario-
sto Ori. VII 27: «Non par che capir possa
nella pelle *.
45, 3. i cliiusi lumi : i lumi che Ismene
aveva dato loro m cavo rame ascosi.
46, 1. globi ecc.: Virg., Aen. in 572:
« atrara proru.upit ad aethera nubem, Tur-
bine fumantem piceo et candente favilla,
AttoUitque globos flammarum, et sidera
lambit ». E anche ix 75: « piceum fert fu-
mida lumen Taeda et commixtam Vulcanus
ad astra favillam». — 5. Tiste : occhi.
47, 8. poggia : sale.
48, 1. l'Aurea porta: la porta di Gerusa-
lemme che guardava la valle di Giosafàt
era appunto detta Aurea. Mella : « La porta
dorata dicesi fabbricata al tempo dei Ro-
mani, e romana infatti è l'architettura ».
— 3. Per raccòrre : questa proposizione cau-
sale spiega Vaperta. — 4. Intendi : Se i
guerrieri, ossia Argante e Clorinda, ab-
biano nel ritorno propizia la fortuna. —
* 6. stuol inonda. O,-'. stuoi v'inonda.
49, 8. togliea la cura : toglieva il darsi
premura degli altri.
60, 1. intepidi ecc.: rese tepido l'animo
ardente d'ira, ossia mitigò. — 7. s'infinge:
qui sta per si finge semplicemente; lat. 5t-
raulare.
160
GERUSALEMME LIBERATA
51
Poi, come lupo tacito s' imbosca
Dopo occulto misfatto, e si desvia ;
Da la confusion, da Taura fosca
Favorita e nascosa ella se 'n già.
Solo Tancredi avvien che lei conosca;
Egli quivi è sorgiunto alquanto pria ;
Vi giunse allor ch'essa Arimone uccise:
Vide e segnoUa, e dietro a lei si mise.
52
Vuol ne Tarmi provarla: un uom la stima
Degno a cui sua virtù si paragone.
Va girando colei l'alpestre cima
Verso altra porta, ove d'entrar dispone.
Segue egli impetuoso; onde, assai prima
Che ginuga,in guisa avvien ched'armi suo-
Ch'ellasi volge, egrida:0 tu,cheporte,[ne,
Che corri si ? Risponde : E guerra e morte.
53
Guerrae morte avrai, disse; io nonrifiuto
Darlati. se la cerchi: e ferma attende.
Non vuol Tencredi, che pedon veduto
Ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto,
Ed aguzza l'orgoglio, e l'ire accende ;
E vansi a ritrovar, non altrimenti
Che duo tori gelosi e d' ira ardenti.
54
Degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno
Teatro, opre sarian si memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
Chiudesti e ne l'oblio fatto si grande.
Piacciati eh' io ne '1 tragga, e 'n bel sereno
A le future età lo spieghi e mande.
61, 1. Poi, come lupo ecc.: Virg., Aen.
XI, 809: «AC velut ille, prius qu^m tela
inimica sequantur, Continuo in moutes sese
avius abdidit altos, Occiso pastore, lupus,
magnove iuvenco, Conscius audacis facti,
caudamque remulcens Subiecit pavitantem
utero, silvasque petivit >•. — 5. conosca;
come il nemico che uccise Arimone, non
già come Clorinda.
62, 6. d'armi snone : è il rumore dell'ar-
matura, fatto maggiore, perché Tancredi
era a cavallo. — 7. porte: porti, rechi. —
8. E guerra: cosi pure CONQ. ma Os. Guerra.
63, 3-1. Virg., di Camilla, Aen. xi 710:
e Tradit equum corniti, paribusque resistit
in armis, Ense pedes nudo puraque inter-
rita parma ». — 6. Virg., Aen. xii 108 : « Ae-
neas acuit Martem, et se suscitai ira ». —
6. orgoglio: qui è quella balda fierezza del-
l'animo prodotta dai sentimenti battaglieri
[.Marie) eli e in esso si accolgono.
64, 1. Degne d'nn chiaro sol: cfr. e. ix
00, a proposito del duL-Uo fra Solimano e
Goffredo : « Tasso qui cose orribili che fatte
Puvon, ma le copri quelTaer nero; D'un
chiarissimo sol degne e che tutti Siano i
Viva la fama loro ; e tra lor gloria
Splenda del fosco tuo l'alta memoria.
55
Non schivar, non parar, non ritirarsi
Voglion co8tor,néqui destrezza ha parte.
Non danno i colpi orfinti, or pieni or scarsi;
Toglie l'ombra e '1 furor l'uso de l'arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
A mezzo il ferro ; il pie d'orma non parte :
Sempre è il pie fermo, e laman sempre in
[moto;
Né scende taglio in van, né punta a vóto.
56
L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,
E la vendetta poi l'onta rinuova ;
Onde sempre al ferir, sempre a la fretta
Stimol novo s'aggiunge e cagion nova.
D'or in or pili si mesce, e più ristretta
Si fa la pugna: e spada oprar non giova;
Dansi co' pomi, e, infelloniti e crudi,
Cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
57
Tre volte il cavalier la donna stringe
Con le robuste braccia; ed altrettante
Da que' nodi tenaci ella si scinge.
Nodi di fèr nemico, e non d'amante.
Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge
Con molte piaghe: e stanco ed anelante
E questi e quegli al fin pur si ritira,
E dopo lungo faticar respira.
58 [gue
L'un l'altro guarda, e del suo corpo esan-
Su '1 pomo de la spada appoggia il peso.
Già de l'ultima stella il raggio langue
Al primo albor ch'è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
Del suo nemico, e sé non tanto ofteso.
Xe gode e superbisce. Oh nostra folle
mortali a riguardar ridutti ». — 8. del fosco
t.: delle tue tenebre. Vuol dire: e illumi-
nata dalla loro gloria splenda l'alta memo-
ria delle tue tenebre.
66, '2. ha parte: si mostra. — 6. il pie
d'orma non parte: il pie non si rimove dal-
Forma primamente segnata; i due guerrieri
restano, cioè, sempre nello stesso punto.
5", 7. Casini : • infelloniti perché veni-
van meno alle leggi cavalleresche, e crudi
perché avevan l'animo chiuso ad ogni pie-
tà >,— S. Mazz. e Pad.: * Nel furor del
duello i due guerrieri si sono tanto avvici-
nati l'uno all'altro da non potere più usare
le spade ».
67, 4. Verso che sta come una osserva-
zione del poeta il quale sa che, se Tancredi
avesse riconosciuta la donna, avrebbe vo-
luto stringerla come amante e non come
fiero nemico,
68, 7. Oh nostra folle ecc.: Silio Italico,
CANTO XII
161
Mente, ch'ogn'aura di fortuna estolle!
59
Misero, di che godi? oh quanto mesti
Piano i trionfi, ed infelice il vanto !
Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
Di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
Cosi tacendo e rimirando, questi
Sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi, e disse,
Perché il suo nome a lui l'altro scoprisse:
60
Nostra sventura è ben che qui s'impieghi
Tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma, poi che sorte rea vien che ci neghi
E lode e testimon degno de l'opra.
Pregoti (se fra l'arme han loco i preghi)
Che '1 tuo nome e '1 tuo stato ame tu scopra ,
Acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore.
Chi la mia morte o la vittoria onore.
61
Risponde la feroce: Indarno chiedi
Quel c'ho per uso di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
Un di quei due che la gran torre accese.
Arse dì sdegno a quel parlar Tancredi,
E, in mal punto il dicesti, indi riprese ;
Il tuo dir e '1 tacer di par m'alletta,
Barbnro discortese, a la vendetta.
62
Torna l'ira ne' cori, e li trasporta,
Benché deboli, in guerra. Ah fera pugna!
U' l'arte in bando, u' già la forza è morta,
Ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spaziosa porta
Fa runa e l'altra spada, ovunque giugna.
Ne l'arme e ne le carni! e se la vita
Non esce, sdegno tienla al petto unita.
Punic. II 28 : « Heu caecae mentes, turaefac
taque corda secundis !» : e Seneca, Troad.
304: «0 tumide, rerum dura secundarum
status Extollit animos; timide, cum incre-
puit metus !» — 8. estolle : solleva, insu-
perbisce.
59, 3-4. Costruisci e intendi : gli occhi
; tuoi pagheranno un mar di pianto ogni
; stilla di quel saug-ue; verseranno, cioè, un
I mar di pianto per ogni ecc. — 6. cessaro :
^ cosi pure ha Conq. ; ma Os. posavo. — 7-S.
Tancredi è mosso a parlare quasi da in-
terno presentimento che lo spinge ad allon-
tanare e finire la pugna. Viene cosi il T.
preparando l'animo nostro ai quattro ul-
timi versi della st. (ì6.
60, 3. rlen: avviene: come sopra, st. 40,
3; e in molti altri luoghi. — 8. onore : onori :
chi abbellisca di onore la mia morte o la
mia vittoria.
* 62, 2. Ah fera p. l Cosi l'Os. Invece le
tre B: benché deboli in guerra a ferapu-
63
Qual l'alto Egeo, perché aquilone o noto
Cessi, che tutto prima il volse e scosse,
Non s'accheta ei però, ma '1 suono e '1 moto
Ritien de l'onde anco agitate e grosse ;
Tal, se ben manca in lor co '1 sangue vóto
Quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
Serbano ancor l'impeto primo, e vanno
Da quel sospinti a giunger danno a danno.
64
Ma ecco ornai l'ora fatale è giunta,
Che '1 viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta.
Che vi s'immerge, e '1 sangueavidobeve;
E la veste, che d'or vago trapunta
Le mammelle stringea tenera e leve,
L'empie d'un caldo fiume. Ella già sente
Morirsi, e 'Ipièle manca egro e languente.
65
Segue egli la vittoria, e la trafitta
Vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
Movendo, disse le parole estreme ;
Parole eh' a lei novo un spirto ditta,
Spirto di fé, di carità, di speme;
Virtù ch'or Dio le infonde; e se rubella
In vita fu, la vuole in morte ancella.
66
Amico, hai vinto: io ti perdóu.... perdona
ffna: cioè li trasporta a fera pugna, dove
l'arte ecc.
63, 1. Qnal ecc.: Ovidio, Fast, ii 775:
« Utsolet a magno fluctus languescereflatu ;
Sed tamen a vento, qui fuit, unda tumet *.
— perché: sebbene, quantunque, come in
Dante, Inf. xxxii 100: « Ond'egli a me: Per-
ché tu mi dischiomi Né ti dirò ch'io sia
né mostrerolti >►. —8, ginnger: aggiungere.
64, 2. al suo fin deve: sottintendi; perve-
nire: se pure non ha ragione il Guastavini
di spiegare: è debitrice. "Vorrebbe dire in
questo caso: È giunta quell'ora destinata
la quale è debitrice verso la morte [al suo
fine) del vivere di Clorinda. — 4. Virg ,
Aen. XI 803: •» Hasta sub exertara... papil-
lam Haesit virgineuraque alte bibit acta
cruorem ». ~ b.E la reste ecc.: Virg., Aen.
X 818: «Transit... Et tunicam, molli mater
quam neverat auro ; Implevitque sinuni
sanguis*. E ix 414: «< Volvitur ille vomens
calidum de pectore flumen;='. — 8. egro e
langaente: aggiunti che guastano non poco
la grande bellezza dell'ottava.
65, 1. Segue egli: cosi pure Conq.; raa
Os. Quel segue. — 7-8. e... la vuole ecc. Il
soggetto di questa proposizione è Dio,
espresso nella proposizione relativa che
precede. Bisogna confessare che qui la sin-
tassi non è troppo chiara.
152
GERUSALEMME LIBERATA
Ta ancora, al corpo no, che nulla pavé,
A l'alma si: deh! per lei prega, e dona
Battesrao a me ch'ogni mia colpa lave.
In queste voci languide risuona
Un non so che di flebile e soave [morza.
Ch'ai cor gli scende, ed ogni sdegno am-
E gli occhi a lagrimar gli invoglia e sfor-
67 [za.
Poco quindi lontan nel sen del monte
Scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v'accorse, e l'elmo empiè nel fonte,
E tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar senti la man, mentre la fronte
Non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe; e restò senza
E voce e moto. Ahi vista ! ahi conoscenza!
G8
Non mori già; che sue virtuti accolse
Tutte in quel punto, e in guardia al cor le
[mise,
E premendo il suo affanno, a dar si volse
Vita con l'acqua a chi col ferro uccise.
Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,
Colei di gioia trasmutossi, e rise;
E in atto di morir lieto e vivace,
Dir parca: 6'apre il cielo; io vado inpace.
69
D'un bel palloreha il bianco vólto asper-
Come a' gigli sriri-.m miste viole: [so.
66, 7. scende; Os. serpf.
67. 11 prof. D'Ancona, a proposito della
conversione di Clorinda, scrive {Varietà
stor. e lett. - Milano, 18S3): «Ben dice l'il-
lustre l'aulin Paris, nella Storia Letteraria
della Francia, non potersi dubitare che il
Tasso abbia tolto questo episodio dall'an-
tico poema dei C/ie'ti/'s, che anch' esso é
parte del ciclo di Goffredo, e precisamente
dal combattimento di Riccardo di Cauraont
col saraceno Morgalis o Soc^alis. L'infe-
lice, caduto moribondo sul campo, prega
il suo vincitore che lo faccia rinascere alla
vera fede, prima eh' e' muoia; e Taltro si
presta al pietoso ufficio.. Il Tasso da grande
e vero potata, e mescolando accortamente
affetti divini ed umani, ha fatto del mo-
mentaneo sacerdote, l'amante di colei che
cade trafitta per mano dell'amatore stesso,
e per lui trova dischiuse le porte celesti ».
— * 7. ride, la conobbe Os. vide e la conobbe.
6*^, 1-2. Con troppo artifizio è detto che
Taucri^di seppe farsi animo, vincere per
un po' di tempo sé stesso. — 5. sacri detti:
la formula battesimale. — 7-8. Il Casini fa
questo raffronto : « Dante, V. N. xxiii 4S,
di Beatrice sognata morta: e pareami che
la sua faccia avesse tanto aspetto d'umili-
tade, che parea che dicesse: Io sono a
vedere lo principio della pace ». — TÌrace:
splendente.
E gli occhi al cielo afiSssa ; e in lei converso
Sembra per la pietate il cielo e '1 sole:
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole,
Gli dà i)egno di pace. In questa forma
Passa la bella donna, e par che dorma.
70
Come l'alma gentile uscita ei vede,
Rallenta quel vigor ch'avea raccolto ;
E l'imperio di sé libero cede
Al duol già fatto impetuoso e stolto,
Ch'alcor8Ì8tringe,e.chiusain breve sede
La vita, empie di morte i sensi e '1 vólto.
Già simile a l'estinto il vivo langue
Al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.
71
E ben la vita sua, sdegnosa e schiva
Spezzando a forza il suo ritegno frale,
La bella aoima sciolta al fin seguiva,
Che poco inanzi a lei spiegava l'ale:
Ma quivi stuolde' Franchi a caso arriva,
Cui trae bisogno d'acqua o d'altro tale;
E con la donna il cavalier ne porta,
In sé mal vivo, e morto in lei che morta.
72
Però che '1 duce loro ancor discosto
Conosce a l'arme il principe cristiano:
Onde v'accórre; e poi ravvisa tosto
La vaga estinta, e duolsi al caso strano.
E già lasciar non volle a i lupi esposto
69, 7-8. Petrarca, dipingendo la morte di
Laura, Tr. Mort. i 169: « Quasi un dolce
dormir ne' suoi begli occhi, Sendo lo spirto
già da lei diviso, Era quel che morir chia-
man gli sciocchi. Morte bella parea nel suo
bel viso». — Passa, muore.
70, 2. Di sopra ha detto, st. 63, che Tan-
credi sue virtuti accolse Tutte in quel
punto e in guardia al cor le pose: ora
queste virtù, questi vigori si sono rallen-
tati, cosi che svaniscono, e l'anima resta
tutta in balia del dolore ecc. — 4. stolto:
perché esce dai limiti della ragione. — 5.
stringe: cosi pure Conq.; "ma stri/ise Os.
— e, chiusa in breve sede, ecc. : cfr. la chiusa
della st. 28. — 6. empie: d'accordo colla
CONQ. ; empiè Os.
71, 2. ritegno frale: le deboli forze che
la legavano al corpo. — 4. spiegrara: ancora
la Conq.; ma Os. dispiega. — 6. d'altro
tale: d'altra cosa simile. — 8. mal tìto :
il cavaliere è mal vivo nel corpo in causa
delle ferite ; è morto nell'anima come sede
dei sentimenti, in quanto essendo innamo-
rato di Clorinda, e perciò con lei l'anima
di lui albergando, veniva questa a morire
colla morte di Clorinda: e sente del petrar-
chesco « Ch'avendo spenta in lei la vita mia ».
72, 5. ToUe; Os. vuole.
CANTO XII
153
Il bel corpo, che stima ancor pagano;
I\la sovra l'altrui braccia ambi li pone,
E ne vieu di Tancredi al padiglione.
73
Affatto ancor nel piano e lento moto
Non si risente il cavalier ferito;
Pur fievolmente geme, e quinci è noto
('he '1 suo córso vital non è fornito.
I\hi l'altro corpo tacito ed immoto
Dimostra ben che n' è lo spirto uscito.
Cosi portati, è l'uno e l'altro a presso,
i^la in differente stanza al fine è messo.
74
I pietosi scudier già sono intorno
Con varii uffici al cavalier giacente;
E giàse'n riede ai languidi ocelli il giorno,
E le mediche mani e i detti ei sente.
Ma pur dubbiosa ancor del suo ritorno,
Non s'assecura attonita la mente.
Stupido intorno ei guarda, e i servi e '1 loco
Al fin conosce; e dice afflitto e fioco:
75
Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi
Rai miro ancor di questo infausto die?
Di testiraon de' miei misfatti ascosi,
Che rimprovera a me le colpe mie!
Ahi! man timida e lenta, or che non osi
Tu, che sai tutte del ferir le vie.
Tu, ministra di morte empia ed infame,
Di questa vita rea troncar lo stame ?
76
Passa pur questo petto, e feri scempi
Co '1 ferro tuo crudel fa' del mio core :
Ma forse, usata a fatti atroci ed empi
Stimi pietà dar morte al mio dolore.
Dunque i' vivrò tra memorandi esempi
Misero mostro d'infelice amore :
Misero mostro, a cui sol pena è degna
De l'immensa impietà la vita indegna.
77
Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,
Mie giuste furie, forsennato, errante;
Paventarò l'ombre solinghe e scure,
Che '1 primo error mi recheranno inante;
E del sol che scopri le mie sventure,
A schivo ed in orrore avrò il sembiante:
73, 7. CoNQ. « Cosi portato è l'uno e l'al-
tro insieme ».
li, 5. del sno ritorno : di essere ritornata
alla vita.
75, 1-2. Virg., Aen. x 855: « Nunc vivo:
neque adhuc hotnines lucemque relinquo !»
76, 6. Misero mostro : miseranda singo-
larità.
77, 4. Che '1 primo error: quell'errore di
essersi posto contro Clorinda; e fu di notte.
— 5. del sol elle scopri ecc. : perché Clo-
rinda fu uccisa suir alba: cfr. str. 5S; —
Temerò me medesrao, e, da me stesso
Sempre fuggendo, avrò me sempre apres-
78 [so.
Ma dove, oh lasso me! dove restaro
Le reliquie del corpo e bello e casto?
Ciò ch'in lui sano i miei furor lasciaro.
Dal furor de le fere è forse guasto.
Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
Troppo, e pur troppo prezioso pasto !
Ahi sfortunato! in cui l'ombre e le selve
Irritaron me prima, e poi le belve.
79
Io pur verrò là dove séte; e voi
Meco avrò, s'anco séte, amate spoglie.
Ma, s'egli avvien chei vaghi membri suoi
Stati sian cibo di ferine voglie,
Vuo' che la bocca stessa anco me ingoi,
E '1 ventre chiuda me, che lor raccoglie.
Onorata per me tomba e felice.
Ovunque sia, s'esser con lor mi lice.
80
Cosi parla quel misero; e gli è detto
Ch'ivi quel corpo avean, per cui si dole.
Rischiarar parve il tenebroso aspetto,
Qual le nubi un balen che passi e vole;
E da i riposi sollevò del letto
L'inferma de le membra e tarda mole :
E traendo a gran pena il fianco lasso.
Colà rivolse vacillando il passo.
81
Ma come giunse, e vide in quel bel seno.
Opera di sua man, l'empia ferita,
E, quasi un ciel notturno anco sereno.
Senza splendor la faccia scolorita ;
Tremò cosi, che ne cadea, se meno
Era vicina la fedele aita.
Poi disse: Oh viso che puoi far la morte
Dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte!
82
O bella destra, che '1 soave pegno
D'amicizia e di pace a me porgesti !
Quali or, lasso! vitrovo?equalneveguo?
E voi, leggiadre membra, or non son questi
Del mio ferino e scelerato sdegno
Vestigi miserabili e funesti ?
Oh di par con la man luci spietate,
Essa le piaghe fé', voi le mirate.
7-8. Seneca, Epist. xxviii : « Quaeris quare
te fuga ista non adiuvet? Tecum fugis:
onus animi deporlendum est *.
78, 7. sfortunato: sottiut. corpo.
79, 2. s'anco séte: sottint. ivi : se le fiere
non le hanno mangi ite.
81, 7-8. Oh tìso ecc.: derivato dal Pe-
trarca son.: « Non può far morte il dolce
viso amaro; Ma '1 dolce viso, dolce può
far morte *.
82, 6. Testisi : le ferite.
154
GERUSALEMME LIBERATA
83
Asciutte le mirate ? or corra, dove
Nega d'andare il pianto, il sangue mio.
Qui tronca le parole; e, come il move
Suo disperato di morir desio,
Squarcia le fasce e le ferite; e piove
Da le sue piaghe esacerbate un rio ;
E s'uccidea: ma quella doglia acerba.
Co '1 trarlo di sé stesso, in vita il serba.
84
Posto su '1 letto, e l'iinima fugace
Fu richiamata a gli odiosi uffici.
Ma la garrula fama omai non tace
L'aspre sue augoscie e i suoi casi infelici.
Vi tragge il pio Goffredo, e la verace
Turba v'accórre de' più degni amici.
Ma né grave ammonir, né pregar dolce
L'ostinato de l'alma affanno molce.
85
Qual in membro gentil piaga mortale
Tocca 8' inaspra, e in lei cresce il dolore ;
Tal da i dolci conforti in si gran male
Più inacerbisce medicato il core.
Ma il venerabil Piero, a cui ne cale,
Come d'agnella inferma al buon pastore.
Con parole gravissime ripiglia
Il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia:
86
0 Tancredi, Tancredi, o da te stesso
Troppo diverso e da i principii tuoi,
Chi si t'assorda? e qual nuvol si spesso
Di cecità fa che veder non puoi ?
Questa sciagura tua del Cielo è un messo ;
Non vedi lui? non odi i detti suoi?
Che ti grida, e richiama a la smarrita
Strada che pria segnasti, e te l'addita ?
87
A gli atti del primiero ufficio degno
Di cavalier di Cristo ei ti rappella,
Che lasciasti per farti (ahi cambio inde-
[gno!]
Drudo d'una fanciulla a Dio rubella.
Seconda avversità, pietoso sdegno
Con leve sferza di là su flagella
Tua folle colpa, e fa di tua salute
Te medesrao ministro: e tu '1 rifiute?
88
I Rifiuti dunque, ahi sconoscente! il dono
Del Ciel salubre, e 'n contra lui t'adiri?
I Misero, dove corri in abbandono
j A' tuoi sfrenati e rapidi martiri ?
Sei giunto, e pendi già cadente e prono
j Su '1 precipizio eterno ; e tu no '1 miri ?
i Miralo, prego, e te raccogli, e frena
I Quel dolor ch'a morir doppio ti mena.
89
Tace; e in colui de l'un morir la téma
Potè de l'altro intepidir la voglia.
Nel cor dà loco a quei conforti, e scema
L'impeto interno de l' intensa doglia ;
Ma non cosi, che ad or ad or non gema,
E che la lingua a lamentar non scioglia,
Ora seco parlando, or con la sciolta
Anima, che dal Ciel forse l'ascolta.
90
Lei nel partir, lei nel tornar del sole,
Chiama con voce stanca, e prega e plora:
Come usignuol cui '1 villan duro invole
Dal nido i figli non pennuti ancóra;
Che in miserabil canto afflitte e sole
Piangete notti, e n'empie i boschi e l'ora.
84, 1. fugace; presta a fuggire. — 2.
odiosi uffici: uffici della vita divenuta odiosa.
85, 1. gentil: delicato.
86, Perché questa parlata dell' Eremita
non sembri un po' troppo aspra verso Tan-
credi ed irriverente verso la fanciulla
morta, si ponga mente che egli era come
rispirato da Dio, il padre amoroso delle
anime, e che non sapeva che Clorinda fosse
morta cristiana; onde molto va perdonato
al suo esaltamento religioso. — 2. da i prin-
cipii tnoi : dal modo con che hai cominciato
l'impresa in Terra Santa. — 3-4. Intendi
che voglia dire; Chi cosi t'impedisce di
udire (t'assorda) la voce divina, e ti toglie
di vedere la diritta via? Spiegazione che
è confortata dai quattro versi seguenti. —
6. Ini; il Cielo.
87, 4. Drudo : amante, negli antichi an-
che con buon significato, ma qui, come
oggi, in cattivo. — 5. Seconda: propizia. —
S. e tn 'I: e tu ciò.
88, 2. salubre: che apporta salute al-
l'animo. Riferiscilo a dono. — 8. morii
doppio: alla morte del corpo, e a quella
àell'aniraa la qual andrà all'inferno.
89, ]. de l'un morir: della morte del-
l'anima. — 2. (le l'altro: del morire del
corpo. — 4. intensa: cosi Conq. e Os.; le
st. BoN. interna. Potrebbe darsi che nel
BoN. fosse errore di stampa. — 7. Ora 8cc«
parlando: cosi pure Conq.; ma Os. Par>
I lancio or seco stesso. — sciolta ; liberata
I dal corpo. — S. Anima: di Clorinda. Il verso
' ricorda l'altro del Petrarca (canz. Tacer
\ non posso 4): « Alla sua donna che dal Ciel
n'ascolta ».
90, 1-2. Virg., Georg, iv 465 : « Te, dulcis
coniux, te solo in litore secum, Te veniente
die, te decedente canebat ». — 3-6. E Vir-
gilio, d' Orfeo perduta eh' ebbe Euridice
(Georg, iv 511): « Qualis populea moerens
rhilomela sub umbra Amissos queritur,
foetus, quos durus arator Observans nido
impluraes detraxit; at illa Flet nocteni,
ramoque sedeus miserabile Carmen Inte-
grat, et moestis late loca questibusimplet » ;
CANTO XII
166
Al rtn co '1 uovo di rinchiude alquanto
I lumi ; e '1 sonno in lor serpe fra '1 pianto.
91
Ed ecco, in sogno, di stellata veste
Cinta gli appar la sospirata amica :
Bella assai più ; ma lo splendor celeste
Orna, e non toglie la notizia antica:
E con dolce atto di pietà le meste
Luci par che gli asciughi, e cosi dica :
Mira come son bella e come lieta,
Fedel mio caro; e in me tuo duolo acqueta.
92
Tale io son, tua mercé : tu me da i vivi
Del mortai mondo, per error, togliesti ;
TuingremboaDiofragl'immortali e divi,
Per pietà, di salir degna mi festi.
Quivi io beata amando godo, e quivi
Spero che per te loco anco s'appresti,
Ove al gran Sole e ne l'eterno die
Vagheggiarai le sue bellezze e mie.
93
Se tu medesmo non t'invidii il Cielo,
E non travii co '1 vaneggiar de' sensi.
Vivi, e sappi ch'io t'amo, e non te 'I celo,
Quanto più creatura amar conviensi.
Cosi dicendo, fiammeggiò di zelo
Per gli occhi, fuor del mortai uso accensi;
Poi nel profondo de' suoi rai si chiuse,
E sparve, e novo in lui conforto infuse.
già imitato dal Petrarca, son. « Quel ros-
signol che si soave piagne Forse i suoi
figli, 0 sua cara consorte ecc. ».
91, 4 Orna: cosi pure legge Conq.; ma
Os. L'orna. — Orna e non toglie ecc. Pe-
trarca, Tr. Mort. i 25: < in mezzo un sole
Che tutta ornava e non togliea lor vista».
— la notÌ!f!Ìa antica : la figura che ebbe il
corpo in terra: i segni per ciò onde essere
riconosciuta. — 5-S. In questi quattro ultimi
versi ancora appare lo studio e l'imita-
zione del Petrarca. — E con dolce ecc. Pe-
trarca son. Del ciboond' il signor 9: « Con
quella man che tanto desiai, M'asciuga gli
occhi, e col suo dir m' apporta Dolcezza
eh' uom mortai non sentf mai ». — Mira ecc.
Petrarca, canz. Una donna più bella 36;
« Amico, or vedi Com' io son bella », e son.
Deh qual pietà, qual 12: « Fedel mio caro,
assai di te mi dole ».
92, 2. error : sbaglio. — 3-4. Dante, Purg.
I 6: « E dì salire al Ciel diventa degno ».
93, 1. t'inTÌdii : togli: cfr. e. vii 15, 3.
— 7. Poi nel profondo ecc. Si rinchiuse nella
profondità, o nel centro de' suoi raggi. E
tutto un ricordo e una imitazione del modo
con che Dante figura che a lui si mostrino
i beati nei vari cieli (escluso il primo): cosi
Par. V 136: «Per più letizia si mi si na-
scose Dentro al suo raggio la figura santa ».
94
Consolato ei si desta, e si rimette
De' medicanti a la discreta aita;
E in tanto seppellir fa le dilette
Membra eh' informò già la nobil vita.
E se non fu di ricche pietre elette
La tomba, e da man dedala scolpita.
Fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede
Figura, quanto il tempo ivi concede.
95
Quivi da faci, in lungo ordine accese,
Con nobil pompa accompagnar la feo ;
E le sue arme, a un nudo pin sospese.
Vi spiegò sovra in forma di trofeo.
Ma come prima alzar le membra offese
Nel di seguente il cavalier poteo,
Di riverenza pieno e di pietate
Visitò le sepolte ossa onorate.
96
Giunto a la tomba, ove al suo spirto vivo
Dolorosa prigione il Ciel prescrisse,
Pallido, freddo, muto, e quasi privo
Di movimento, al marmo gli occhi affisse.
Al fin, sgorgando un lagrimoso rivo,
In un languido oimè ! proruppe, e disse:
0 sasso amato ed onorato tanto.
Che dentro hai le mie fiamme, e fuori il
97 [pianto;
Non di morte sei tu, ma di vivaci
Ceneri albergo, ov' è riposto Amore;
E ben sento io da te l'usate faci,
Men dolci si, ma non men calde al core.
Deh! prendi i miei sospiri, e questi baci
Prendi, ch'io bagno di doglioso umore;
E dalli tu, poi ch'io non posso, almeno
A le amate reliquie e' hai nel seno.
98
Dalli lor tu, che, se mai gli occhi gira
L'anima bella a le sue belle spoglie,
94, 6. da man dedala scolpita : scolpita
con arte mirabile : perché Dedalo fu artista
greco eccellente : Virg., Georg, iv 179: « et
daedala fingere tecta », e poi nell'Ariosto,
OìH. xxxiv 53: «0 stupend'opra, o dedalo
architetto». — 8. quanto il tempo ecc.: es-
sendoci altre fatiche di più momento a cui
attendere, poco tempo poteva concedersi
a ciò.
96, 1. ore al sno spirto ecc. Sopra (st.
71, 8) il poeta ha detto che Tancredi come
anima innamorata era con Clorinda; qui
dice che lo spirito di Tancredi vive nella
tomba (che gli è dolorosa prigione) con
lei: arzigogola un po' troppo, al solito. —
5. sgorg,-ndo: usato transit.; Dante, Purg,
XXXI 20: e Fuori sgorgando lagrime e so-
spiri ».
97, 1. vivaci ecc.: par che chiami vivaci
le ceneri perché danno vita ad Amore.
156
GERUSALEMME LIBERATA
Tua pietate e mio ardir non avrà in ira;
Ch'odio 0 sdegno là su non si raccoglie.
Perdona ella il mio fallo; e sol respira
In questa speme il cor fra tante doglie.
Sa ch'empia è sol la mano, e non Tè noia
Che, s'amando lei vissi, amando moia.
99
Ed amando morrò: felice giorno,
Quando che sia: ma più felice molto,
Se, come errando or vado a te d'intorno,
Allor sarò dentro al tuo grembo accolto.
Faccian l'anime amiche in Ciel soggiorno ;
Sia l'un cenere e l'altro in un sepolto :
Ciò che '1 viver non ebbe, abbia la morte.
Oh, se sperar ciò lice, altera sorte !
100
Confusamente si bisbiglia in tanto
Del caso reo ne la rinchiusa terra.
Poi s'accerta e divulga, e 'n ogni canto
De la città smarrita il romor erra
Misto di gridi e di feraineo pianto:
Non altrr.raente che se presa in guerra
Tutta ruini, e '1 foco e i nemici empi
Volino per le case e per li tempi.
101
Ma tutti gli occhi Arsete in sé rivolve,
Miserabil di gemito e d'aspetto.
Ei, come gli altri, in lagrime non solve
Il duol, che troppo è d'indurato affetto;
Ma i bianchi crini suoi d'immonda polve
Si sparge e brutta, e fiede il vólto e'I petto.
Or mentre in lui vòlte le turbe sono.
Va in mezzo Argante, eparla in cotalsuo-
102 no:
Ben voleva io. quando primier m'accòrsi
Che fuor si rimanea la donna forte.
Seguirla immantinente ; e ratto córsi
Per correr seco una medesma sorte.
Che non feci,o non dissi? o quai non porsi
Preghiere al re, che fèsse aprir le porte?
Ei me, pregante e contendente in vano,
Con l'imperio affrenò e' ha qui soprano.
103
Ahi che s*io allora usciva, o dal periglio
Qui ricondotta la guerriera avrei,
O chiusi, ov'ella il terren fé' vermiglio.
Con memorabil fine i giorni miei.
Ma che potevo io più ? parve al consiglio
De gli uomini altramente, e de gli Dei :
Ella mori di fatai morte; ed io
Quant'or convieusi a me già non oblio.
104
Odi, Gierusalem, ciò che prometta
Argante : odi tu, Cielo ; e, se in ciò manco,
Fulmina su '1 mio capo: io la vendetta
Giuro di far ne l'omicida Franco,
Che per la costei morte a me s'aspetta;
Né questa spada mai depor dal fianco.
In fin ch'ella a Tancredi il cor non passi,
E '1 cadavero infame a i corvi lassi.
105
Cosi disse egli ; e l'aure popolari
Con applauso seguir le voci estreme ; '.
E, imagiuando sol, temprò gli amari '
L'aspettata vendetta in quel che gerae»j
Oh vani giuramenti! Ecco contrari
Seguir tosto gli effetti a l'alta speme ;
E cader questi in tenzon pari estinto
Sotto colui ch'ei fa già preso e vinto.
99, 4. Petrarca, son. Dolce mio caro 8:
« Pur là su non alberga ira né sdegno ». —
*S. ara. moia. Os. ani. V moia.
99, 4. al tuo grembo: al cielo (grembo)
ove tu sei. — ^. Le Bonn, si dice.
lOD, 2. rinchìnsa terra : Gerusalemme. —
3-5. Virg., Aen. ii 466: « At domus interior
gemiLu miseroque tumulta Miscetur, peni-
tusque cavae plangoribus aedes Feraiueis
ululant». — * 5. di gridi. Cosi l'Os. Invece
B leggono de' gridi.
101, 1. rÌT.: fa volgere, richiama. — 2.
Compassionevole pei gemiti che mette e
per l'aspetto. — 3-4. Dante, Jnt. xxxiii49:
. r non piangeva, si dentro impetrai». —
5-6. Virg., Aen. x 844: « Canitiem multo
deforraat pulvere et ambas Ad caelura ten-
dit palmas, et corpore inhaeret ». E xis5:
« Acoestes Pectora nunc foedans pugnis, '
nuuc unguibuis ora ; sternitur et toto prole- !
ctus corpore terrae »; e ancora xn-611 : 1
• Canitiem iinmundo perfusam polvere tur-
pans » — 7. la ini TÒIte : cosi pure Conq. ;
ma Os. volte in lui.
102, 4. correr: incontrare, avere. — 8.
■oprano: superiore agli altri,
103, 7. fatai morte : voluta dal fato ; come
altre volte si è visto.
104, 1-3. Virg., Aen. xii 176: « Esto nunc
sol testis et haec mihi terra vocanti »; e
200 « Audiat haec Genitor qui foedera ful-
mine sancit. Tango aras, medios ignes et
Numina testor ecc. ». — 5, s'aspetta: spetta,
appartiene, come abbiamo già veduto tante
altre volte.
105, 1. anre popolari: il favore del po-
polo : cfr. Orazio, Od HI ii, o meglio, Virg.,
Aen. VI 817. —3. Imaginando sol: solamente
il pensiero della vendetta (temprò gli .imari)
addolci le amarezze in Argante. — 4. in
quel che geme: contro Tancredi che geme
per la morte dell'amata donna. — 5-6. Ario-
sto, Ori. I 9, * Contrari ai vóti poi furo i
successi ». — 7. in tenzon pari : combattuta
in eguali condizioni, senza vantaggio di
sorta estraneo alla perizia dell'armi ed al
valore. •
^--^J-^-^-I^-^--^
• CANTO
XIII • •
Ismene incanta la selva
di Saron ^ I fabbri man-
dati ad essa fuggono per
Io spavento di strane
sembianze -jj^ Vi ritor-
nano scortati: inutilmen-
te -jUc Vi si prova inu-
tilmente pure Alcasto -jAr
Perfino Tancredi è co-
stretto di cedere agli in-
canti V^ Goffredo, che
vorrebbe recarvisi in per-
sona, è rattenuto dalfE-
remita i^ Siccità tAt Scon-
forto nel campo cristiano
e diserzioni di Latino, e
d'altri -jAr Iddio, alle calde
preghiere di Goffredo, or-
dina che incominci un
nuovo ordine di cose fa-
vorevole ai cristiani -j^
Pioggia.
Ma cadde a pena in cenere T immensa
Macchina espugnatrice de le mura,
Che 'n sé novi argomenti Ismen ripensa,
1, 3. I nuovi argomenti ad Ismeno sono,
come i primi (cfr. e. ii in principio, e la
nota ivi alla st. 1), forniti dall'arte magica.
Il Tasso, a questo proposito, scrive: {Lett.46):
« I poeti rappresentano le cose o come sono
ed erano, o come son possibili e devono
essere, o come paiono e son dette e cre-
dute. Queste, 0 simili parole dice Aristotile.
Or sotto il terzo membro di questa divi-
sione si riparano e si difendono da le ca-
lunnie tutti i maravigliosi, come è stato
notato anco da altri, ed in particolare dal
Castelvetro ; si che mi par soverchio il cer-
car quant'oltre si stenda la potenza de l'arte
maga, o sia naturale, o demonica. Basta
solo il sapere, sin a quanto sia ricevuto da
l'opinione de' popolari (a' quali scrive il
Perché più resti la città secura;
Onde a i Franchi impedir ciò, che dispensa
Lor di materia il bosco, egli procura;
Tal che contra Sion battuta e scossa .
Torre nova rifarsi indi non possa.
2
Sorge non lunge a le cristiane tende
poeta, ed al lor modo parla sovente), ch'ella
si possa estendere. Poiché dunque gli uomi-
ni, che teologi non sono, stimano il poter
de' diavoli maggior che in effetto non è, e
maggior l'efficacia de l'arte maga; potè»
rono con buona coscienza i poeti, ch'inanzi
a me han scritto, in questo attenersi a
l'opinione vulgare: io poi, c'ho tanti esempi,
perché dubitare? » Più sotto poi dichiara
che gli esempi sono quelli di Omero e di
Apollonio. — 5. Onde: con i quali, [argo-
menti]. — *7. Tal che: cosi legge l'Os.
Onde leggono le 3 B.
158
GERUSALEMME LIBERATA
Tra solitarie valli alta foresta,
Foltissima di piante antiche, orrende,
Che spargon d'ogni intorno ombra fune-
;sta.
Qui ne Torà che '1 sol più chiaro splende,
È luce incerta e scolorita e mesta,
Quale in nubile ciel dubbia si vede,
Se '1 di a la notte, o s'ella a lui succede.
3
Ma quando parte il sol, qui tosto adora-
Notte, nube, caligine ed orrore, [bra
Che rasserabra infernal, che gli occhi in-
[gombra
Di cecità, ch'empie di téma il core;
Né qui gregge od armenti a' paschi, a Tom-
Guida bifolco mai, guida pastore: [bra
Né v'entra peregrin, se non smarrito;
Ma lunge passa, e la dimostra a dito.
4
Qui s'adunan le streghe, ed il suo vago
Con ciascuna di lor notturno viene;
Vien sovra i nembi, e chi d'un fòro drago,
E chi forma d'un irco informe tiene:
Concilio infame, che fallace imago
Suol allettar di desiato bene
A celebrar con pompe immonde e sozze
I profani conviti e l'empie nozze.
5
Cosi credeasi; ed abitante alcuno
Dal fero bosco mai ramo non svelse;
I Ma i Franchi il violar, perch'ei sol uno
I Somministrava lor macchine eccelse;
Or qui se 'u venne il mago, e l'opportuno
Alto silenzio de la notte scelse,
De la notte che prossima successe;
E suo cerchio forraovvi, e i segni impresse.
6
E scinto, e nudo un pie, nel cerchio ac-
Mormorò potentissime parole. [colto.
Girò tre volte a l'oriente il vólto,
Tre volte a i regni ove dechiua il sole;
2, 2. È la foresta, a sei miglia da Geru-
salemme, a cui ha il poeta accennato al
e. in 56, 7-8. Il Guastavini annota; « Imita-
zion di Lucano, nel iii della Farsaglia, dove
questo poeta fa altresì una selva, nella
quale non era chi ardisse di toccare, o ta-
gliar legno, liverendo ciascuno, anzi gran-
demente temendo, i non conosciuti Dei di
quella stimati abitatori, a' quali dubitavano
di poter recare otlesa a quel modo. Ma Ce-
sare per il primo avendo bisogno di ma-
teria, le die dentro della scure, e fu se-
guito dagli altri... l'abitazione delle streghe
nel Nostro ben si può giudicare avere avuto
origine di là. I versi di Lucano sono questi
[.399 e segg.]: — Lucus erat longo nunquam
violatus ab aevo Obscurura cingens connexis
aera ramis. Et gelidas alte summotis soli-
bus umbras. Hunc non ruricolae Panes, ne-
morumque potentes Sylvani, Nymphaeque
tenent; sed barbara ritu Sacra Deum,
structae diris altaribus arae Omnisque hu-
manis lustrata cruoribus arbos ». — 8. Se '1
di ecc.: Nei crepuscoli del mattino e della
sera.
4, L Qai g'adnnanle streghe: Os. Qui le
streghe s'adunano e 'l. — vago: amante.
Il Guastavini cita un es. del Petrarca, sest.
Non ha tanti animali 31: «Deh or fossi
io col vago della Luna », ed uno in prosa,
del Boccaccio, Labirinto: «Vedi tu quello
scioccone? egli è il mio vago; vedi ornai
s'io mi posso tener beata ». — 3-4. Intendi
che vengono sopra nubi, e che i vaghi (che
sono i diavoli) prendono l'aspetto di drago
0 di caprone. E che il diavolo ami farsi
adorare sotto la forma di un becco a pre-
ferenza, avverte il Guastavini che è atte-
stato dalle streghe stesse come si rileva
dai processi del tempo. Il Guastavini cita
al proposito le attestazioni del Pico, del-
l'Anania, e di Giovanni Bodin nella Demo-
tiomanie des sorciers. Questa ultima opera
è di molta importanza per capire il Tasso
dove parla delle streghe; non potè essere
per altro di fonte al poeta dacché non com-
parve che nel 15S0. — informe: deforme.—
5-6. che fallace Imago.... di desiato bene. Ri-
corda il dantesco {Pi(rg. xxx 131): « Imma-
gini di ben seguendo false»; la trasposi-
zione del T. è troppo artificiosa, e poco
chiaro il significato dell'intero costrutto.
Par debba intendersi che il poeta, in per-
sona del volgo, creda realmente alla verità
della cosa, e vorrebbe dire, che le streghe
(il concilio infame)^ allettate dalle false
imaginazioni di un bene desiderato (i beni
desiderati, secondo il Pico, sono: longa vita,
grande divizia e ricchezza ecc.), sono in-
dotte a fare {celebrare) nozze solenni e
conviti: il Guastavini invece preferisce cre-
dere che il poeta qui parli in persona pro-
pria, e intenda che il fatto ^non^ accada nella
realtà, ma sia solo nella fantasia delle stre-
ghe, sia una illusione di queste, una fal-
lace imago.
6, 3. sol uno: solo affatto. — 8. Guasta-
vini: «Di verghe, cerchi, segni e caratteri
è celebre memoria in ogni descrizione d'in-
canto ecc. ».
6. Muzio, Egl. iii lib. v: « Un pie ti scalza
E con meco tre volte il sacro cerchio Vien
circuendo; Lete e Flegetonte Meco chiama
tre volte ». Il numero dispari, e special-
mente il tre, era sacro. Virgilio: « Numero
Deus impari gaudet ». — 3. Girò ecc.: Ovi-
dio, Met. XIV 386, di Circe incantatrice:
« Tum bis ad occasura bis se convertii ad
CANTO xin
169
EJtre acoase la verga, oucVuom sepolto
Trar de la tomba e dargli il moto suole;
E tre co '1 piede scalzo il suol percosse;
Poi con terribil grido il parlar mosse:
7
Udite, udite, o voi che da le stelle
Precipitar giù i folgori tonanti:
Si voi che le tempeste e le procelle
Movete, abitator de l'aria erranti,
Come voi che a le inique anime felle
Ministri séte de gli eterni pianti:
Cittadini d'Averno, or qui v'invoco,
E te, signor de' regni empi del foco.
8
Prendete in guardia questa selva, e que-
Piaute che numerate a voi conseguo, [ste
Come il corpo è de Talma albergo e veste,
Cosi d'alcun di voi sia ciascun legno;
Onde il Franco ne fugga, o almen s'arreste
Ne' primi colpi, e téma il vostro sdegno.
Disse: e quelle ch'aggiunse orribil note,
Lingua, s'empia non è, ridir non potè.
9
A quel parlar le faci, onde s'adorna
Il seren de la notte, egli scolora;
E la luna si turba, e le sue corna
Di nube avvolge, e non appar più fora.
Irato i gridi a raddoppiar ei torna:
Spirti invocati, or non venite ancora?
Onde tanto indugiar? forse attendete
Voci ancor più potenti o più secreto?
10
Per lungo disusar già non si scorda
ortum, Ter iuvenem baculo tetigit, tria car-
mina dixit ». — 5-6. ond'uom sepolto Trar
de' la tomba ecc.: cfr. e. ii 1, 3-8.
7, 3-6. Intendi: io invoco cosi voi che
movete le tempeste e le procelle, come voi
che tormentate le anime nell'inferno. —
Secondo i teologi parte degli angeli deca-
duti s'agita nell'aria intorno a noi e tenta
gli uomini e muove i turbini; parte sta
chiusa nell'inferno a tormentare i dannati.
Il Tasso ebbe sott'occhio il Yida, CUrist. 1 153.
8, 3. Tcste: Anche il Petrarca chiamò il
corpo veste dell'anima, son.: « A piede'' colli
ove la bella vesta Prese delle terrene mem-
bra pria.... -^i e Dante, prima, Purg. i 75:
«La vesta che al gran di sarà si chiara».
— 7-8. e quelle ch'aggiunse ecc.: e quelle
altre parole che aggiunse, furono talmente
empie e irriverenti, che sarebbe bestem-
mia ancora il riportarle come sentimento
altrui.
9, 6-7. Lucano, Phars. vi, 744, dove l'in-
cantatrice Erittona per intendere la fortuna
del figliuolo Pompeo vuol rivocare in vita
un soldato: «Paretis? an ille Compellandus
erit, quo nunquam terra vocato Non con-
cussa tremit?.... >.
De l'arti crude il più efficace aiuto;
E so con lingua anch'io di sangue lorda
Quel nome profferir grande e temuto,
A cui né Dite mai ritrosa o sorda
Né trascurato in ubbidir fu Fiuto.
Che si?... che si?... Volea più dir; ma in-
Conobbe ch'eseguito era l'incanto, [tanto
11
Venieno innumerabili, infiniti
Spirti, parte che 'n aria alberga ed erra,
Parte di quei che son dal fondo usciti
Caliginoso e tetro de la terra:
Lenti, e del gran divieto anco smarriti.
Ch'impedì loro il trattar l'arme in guerra;
Ma già venirne qui lor non si toglie,
E ne' tronchi albergare e tra le foglie.
12
Il mago, poi ch'omai nulla più manca
Al suo disegno, al re lieto se 'n riede :
Signor, lascia ogni dubbio, e il cor rinfran-
Ché omai secura è la regal tua sede; [ca,
Né potrà rinnovar più l'oste Franca
L'alte macchine sue, come ella crede.
Cosi gli dice; e poi di parte in parte
Narra i successi de la magica arte.
13 [queste
Soggiunse appresso: Or cosa aggiungo a
Fatte da me, ch'a me non meno aggrada.
Sappi che tosto nel leon celeste
Marte co '1 sol fia ch'ad unir si vada;
Né tempreran le fiamme lor moleste
Aure, 0 nembi di pioggia o di rugiada:
Che quanto in cielo appar, tutto predice
Aridissima arsura ed infelice.
U
Onde qui caldo avrem, qual l'hanno a
Gli adusti Nasamonio iGararaanti. (pena
Pur a noi fia men grave in città piena
D'acque e d'ombre si fresche e d'agitanti :
Ma i Franchi in terra asciutta e non amena
Già non saranlo a tollerar bastanti;
E, pria domi dal cielo, agevolmente
Fian poi sconfitti da l'Egizia gente.
10. Vedi neìVOdiss., lib. xi, l'invocazione
di Tiresia. Si credeva che gli indovini e gli
stregoni si servissero del sangue umano per
chiamare le anime dei morti. — 4, Quel
nome: alcuni intendono il nome di Dio o
di Gesù; altri del Demogorgone che era
sopra le streghe. — 5. Dite: la città infer-
nale. — 7-8. Che si ecc.: Virg., Aen. i 135:
< Quos ego.... Sed motos praestat compo-
nere fluctus ».
11, 6. trattar: maneggiar, adoperare.
H, 2. Nasamoni, Garamanti: Guastavini,
«Sono questi popoli della Libia, sopra la
regione Cirenaica vicini alle arene ed ai
deserti ». — 3-4. Cfr. e. m 56, — 8. £i,'izÌ0
gente: che arriverà tra poco.
160
GERUSALEMME LIBERATA
15
Ta vincerai sedendo; e la fortuna
Non credMo che tentar più ti convegna.
Ma se '1 Circasso alter che posa alcuna
Non vuole, e, benché onesta, anco la
[sdegna,
T'affretta, come suole, e t'importuna.
Trova modo pur tu ch'a freno il tegna,
Che molto non andrà che U Cielo amico
A te pace darà, guerra al nemico.
i6
Or questo udendo il re, ben s'assecura,
Si che non teme le nemiche posse.
Già riparate in parte avea le mura
Che de' montoni l'impeto percosse:
Con tutto ciò non rallentò la cura
Di ristorarle, ove sian rotte o smosse.
Le turbe tutte, e cittadine e serve,
S'impiegan qui: l'opra continua ferve.
17 [vuole
Ma in questo mezzo il pio Buglion non
Che la forte cittade in van si batta,
Se non è prima la maggior sua mole
Ed alcun'altra macchina rifatta.
E i fabri al bosco invia, che porger suole
Ad uso tal pronta materia ed atta.
Vanno costor su l'alba a la foresta;
Ma timor uovo al suo apparir gli arresta.
18
Qual semplice bambin mirar non osa
Dove insolite larve abbia presenti,
0 come pavé ne la notte ombrosa,
Iraaginando pur mostri e portenti;
Cosi temean, senza saper qual cosa
Siasi quella però che gli sgomenti;
Se non che '1 timor forse a i sensi tìnge
Maggior prodigi di chimera o sfinge.
19
Torna la turba; e timida e smarrita
Varia e confonde si le cose e i detti,
Ch'ella nel riferir n'è poi schernita,
Né son creduti i mostruosi effetti.
Allor vi manda il Capitano ardita
E forte squadra di guerrieri eletti,
Perché sia scorta a l'altra, e in eseguire
15, 1. sedendo: senza perigliarti in guerra.
16, 6. smosse: L2 e 03.; mosse Bi-3 e
CONQ. — 8. l'opra... ferre: è il latino fervei
opus.
17, 3. maggior sua mole: la gran torre.
— 8. suo: della foresta.
18, 1. Qnal ecc.: Lucrezio, De rer. nat.
Il 55: « Nam veluti pueri trepidant. atque
omnia caecis In tenebris metuunt, sic nos
in luce timemus Interdum, nihilo quae
sunt metuenda magis quara Quae pueri in
tenebris pavitant, tinguntque futura». —
2. Dorè: se, quando. — 3. pare: teme. — 7.
finge: compone, presenta.
I magisteri suoi le porga ardire.
20 (posto ,
Questi, appressando ove lor seggio han \
Gli empi demòni in quel selvaggio orrore, ^
Nou rimirar le nere ombre si tosto,
Che lor si scosse e tornò ghiaccio il core.
Pur oltra ancor se 'n gian, tenendo ascosto
Sotto audaci sembianti il vii timore;
E tanto s'avanzar, che lunge poco
Erano ornai da l'incantato loco.
21
Esce allor de la selva un suon repente,
Che par rimbombo di terren che freme;
E '1 mormorar de gli austri in lui si sente,
E '1 pianto d'onda che fra scogli geme.
Come rìiggia il leon, fischia il serpente,
Come urla il lupo, e come l'orso freme
V'odi, e v'odi le trombe, e v'odi il tuouo:
Tanti e si fatti suoni esprime un suono.
22
In tutti allor s'impallidir le gote
E la temenza a mille segni apparse:
Né disciplina tanto, o ragion puote,
Ch'osiu di gire inanzi, o di fermarae:
Ch'a l'occulta virtù che gli percote,
Son le difese loro anguste e scarse.
Fuggono al fine; e un d'essi, in cotal guisa
Scusando il fatto, il pio Buglion n'avvisa:
23
Signor, non è di noi chi più si vante
Troncar la selva; ch'ella è si guardata,
Ch'io credo (e '1 giurarci) che in quelle
[piante
Abbia la reggia sua Pluton traslata.
Ben ha tre volte e più d'aspro diamante
Ricinto il cor chi intrepido la guata;
Né senso v'ha colui ch'udir s'arrischia
Come, tonando, insieme rugge e fischia.
19, 8. magisteri: istruzioni, comandi.
20, 2. selraggio orrore, orrida selva. —
4. Cfr. e. VI 61, 4. — tornò; diventò.
21, In Lucano, Phars. vi 685, Erittona in-
voca gli spiriti infernali, con voci e strepiti
simili: « Tunc vox,Iethaeos cunctis pollen-
tior herbis Excantare deos, confundit mur-
mura primum Dissona, et huraanae multum
discordia linguae.Latratushabetillacanum,
gemitusque luporum, Quod trepidus bubo,
quod strix nocturna queruntur, Quod stri-
dent ululantque ferae, quod sibilai anguis,
Exprimit, et planctus illisae cautibus undae,
Silvaruraque sonum, fractaeque tonitrua
uubis. Tot rerum vox una fuit ».
i 22, 2. temenza: come téma, per timore.
23, 4. traslata: trasferita; latinismo da
usarsi solo in poesia. — 5-6. Orazio, Od. 1
III 3: « lUi robur et aes triplex Circa pectua
erat •.
CANTO XIII
161
24
Cosi costili parlava. Alcasto v'era
Fra molti che l'iidian, presente a sorte;
L'uoni di temerità stupida e fera,
Sprezzator de' mortali e de la morte;
Che non avria temuto orribil fera,
Né mostro formidabile ad uom forte,
Né tremoto, né folgore, né vento.
Né s'altro ha il mondo più di violento.
25
Crollava il capo, e sorridea, dicendo:
Dove costui non osa, io gir confido;
Io sol quel bosco di troncar intendo,
Che di torbidi sogni è fatto nido.
Già no '1 mi vieterà fantasma orrendo
Né di selva o d'augei fremito o grido;
O pur tra quei si spaventosi chiostri
D'ir ne l'inferno il varco a me si mostri.
26
Cotal si vanta al Capitano; e, tolta
Da lui licenza, il cavjirlier s'invia;
E rimira la selva, e poscia ascolta
Quel che da lei uovo rimbombo uscia:
Né però il piede audace indietro volta,
Ma securo e sprezzante è come pria;
E già calcato avrebbe il suol difeso,
Ma gli s'oppone (o pargli) un foco acceso.
27
Cresce il gran foco, e 'n forma d'alte mura
Stende le fiamme torbide e fumanti:
E ne cinge quel bosco, e l'assecura
Ch'altri gli arbori suoi non tronchi e
[schianti.
Le maggiori sue fiamme hanno figura
Di castelli superbi e torreggianti;
E di tormenti bellici ha munite
Le ròcche sue questa novella Dite.
28 [da
Oh quanti appaion mostri armati in guar-
De gli alti merli, e in che terribil faccia!
De'quai con occhi biechi altri il riguarda,
E dibattendo l'arme altri il minaccia.
24, 1. Alcasto: Cfr. e. i 63. — 2. a sorte :
per caso. — * 3. L'uom. Cosi le 3 B. Uom
Os. e altri. Ma rarticolo richiama benis-
simo il ritratto, che di lui si fa al e. i 63;
omettendo l'artic, sembrerebbe che si pre-
sentasse per la prima volta. — 7. tremoto;
sincope di terremoto; delia poesia.
25, 7. chiostri: recessi: cfr. e. iv 9, 4, e
VII 11, 5 ecc.
27, 5-8. Certo il poeta pensò alla città di
Dite vista da Dante {Inf. viii 70): «già le
sue [di Dite] meschite Là entro certo nella
valle cerno Vermiglie, come se di fuoco
uscite >. — * 4. e schianti. Cosi le B. Os. o
schianti.
28, 1. guarda: guardia: voce osservata
Fugge egli al fine; e ben la fuga è tarda,
Qual dì Icon che si ritiri in caccia;
Ma pure è fuga; e pur gli scuote il petto
Timor, sin a quel punto ignoto affetto,
29
Non s'avvide esso allor d'aver temuto;
Ma, fatto poi lontan, ben se n'accòrse;
E stnpor n'ebbe e sdegno; e dente acuto
D'amaro pentimento il cor gli.morse.
E, di trista vergogna acceso e muto,
Attonito in disparte i passi torse;
Che quella faccia alzar, già si orgogliosa,
Ne la luce de gli uomini non osa.
80
Chiamato da Goffredo indugia, e scuse
Trova a l'indugio, e di restarsi agogna.
Pur va, ma lento; e tien le labra chiuse,
0 gli ragiona in guisa d'uom che sogna.
Difetto e fug-a il Capitan concluse
In lui da quella insolita vergogna;
Poi disse: Or ciò che fia? forse prestigi
Son questi, o di natura alti prodigi?
31
Ma s'alcun v'è, cui nobil voglia accenda
Di cercar que' salvatichi soggiorni,
Vadane pure, e la ventura imprenda,
E nunzio alraen più certo a noi ritorni.
Cosi diss'egli ; e la gran selva orrenda
Tentata fu ne' tre seguenti giorni
Da i più famosi; e pur alcun non fue
Che non fuggisse a le rainaccie sue.
32
Era il prence Tancredi in tanto sorto
A seppellir la sua diletta amica;
E ben che in vólto sia languido e smorto,
E mal atto a portar elmo o lorica,
Nnlladimen, poi che il bisogno hascòrto,
Ei non ricusa il rischio o la fatica;
Che '1 cor vivace il suo vigor trasfonde
Al corpo si, che par ch'esso n'abbonde.
più volte. — 5-6. Virg., Aen. ix 792: * ceu
saevum turba leonem Cam telis premit in-
fensis, at territus ille, Asper, acerba tuens,
retro redit, et neque terga Ira dare aut
virtus patitur, nec tendere contra ecc. ».
29, 4. morse: metafora dantesca Purg,
III 9: « Come t'è picciol fallo amaro morso ! ».
— 5. Dante, Inf. xxiv 132: « E di trista ver-
gogna si dipinse ». — 8. Ne la luce: alla
vista.
80, 5-6. Intendi: e il capitano conchiuse,
vedendolo preso d'insolita vergogna, che
egli non avesse avuto sufficiente virtù per
troncare la selva, e quindi fosse fuggito.
SI, 2. salvatichi: di sopra (st. 20, 2) ha
chiamato selvaggio l'orrore di questa selva;
e fra poco dirà silvestì^e questo luogo. —
3. e la ventnia imprenda: e si metta a que-
sto rischio.
32, 4. lorica: corazza.
11 — Tasso, Gerusalemme liberata.
162
GERUSALEMME LIBERATA
33
Vassene il valoroso, in sé ristretto,
E tacito e guardingo, al rischio ignoto;
E sostien de la selva il fero aspetto,
E '1 gran roraor del tuono e del tremoto;
E nulla sbigottisce; e sol nel petto
Sente, ma tosto il seda, un picciol moto.
Trapassa; ed ecco in quel silvestre loco
Sorge iraprovisa la città del foco.
34
Allor s'arretra, e dubbio alquanto resta.
Fra sé dicendo: or qui che vagllon l'armi?
Ne le fauci de' mostri, e'n gola a questa
Devoratrice tiamma andrò a gettarmi?
Non mai la vita, ove cagione onesta
Del comun prò la chieda, altri risparmi ;
Ma né prodigo sia d'anima grande
Uom degno: e tale è ben chi qui la spande.
35
Pur l'oste che dirà, s' indarno i' riedo?
Qual altra selva ha di troncar speranza?
Né intentato lasciar vorrà Goffredo [za,
Mai questo varco. Or, s'oltre alcun s'avan- ,
Forse l'incendio, che qui sorto i' vedo, ,
Fia d'effetto minor che di sembianza: j
Ma seguane che puote. E in questo dire, |
Dentro saltovvi. Oh memorando ardirei
86
Né sotto l'arme già sentir gli parve
Caldo 0 fervor, come di foco intenso;
Ma pur, se fosser vere fiamme o larve,
Mal potè giudicar si tosto il senso:
Perché repente, a pena tocco, sparve
Quel simulacro, e giunse un nuvol denso
Che portò notte e verno; e'I verno ancora
E l'ombra dileguossi in picciol'ora.
37
Stupido si, ma intrepido rimane
Tancredi; e poi che vede il tutto cheto,
Mette securo il pie ne le profane
Soglie, e spia de la selva ogni secreto.
Né più apparenze inusitate e strane,
Né trova alcun fra via scontro o divieto ;
Se non quanto per sé ritarda il bosco
33, 2. guardingo: cauto e avvertito: fu
apposto come errore di lingua al Tasso;
ma ve n'era esempi nei trecentisti e nel
cinquecento ancóra: Boccaccio, nel Laòi-
Tinto: « Ti dovea render cauto e guardingo
dagli amorosi lacciuoli *.
34, 7. né prodigo ecc.: Avverti che Paolo
il quale volle, senza necessità, morire alla
rotta di Canne, fu biasimato dal senato ro-
mano. Di lui peraltro disse Orazio, Od. I xii:
. animaeque magnae Prodigura, Poeno su-
perante, l'aulumGratus insigni referam Ca-
mena ecc. >.
36, 6. Intendi: Sarà minore a sentire che
a vedere.
87, 1. Stupido: stupito. — 7-8. Intendi,
La vista e i passi inviluppato e fosco.
38
Al fine un largo spazio in forma scorge
D'anfiteatro; e non è pianta in esso.
Salvo che nel suo mezzo altero sorge,
Quasi eccelsa piramide, un cipresso.
Colà si drizza; e nel mirar s'accorge
Ch'era di vari segni il tronco impresso.
Simili a quei che in vece usò di scritto
L'antico già misterio.?o Egitto.
39
Fra i segni ignoti alcune note ha scòrto
Del sermon di Soria ch'ei ben possedè:
0 tu, che dentro a i chiostri de la morte
(>sastì por, guerriero audace, il piede,
Deh! se non sei crudel quanto sei forte,
Deh! non turbar questa secreta sede.
Perdona a l'alme ornai di luce prive:
Non dee guerra co' morti aver chi vive.
40
Cosi dicea quel motto. Egli era intento
De le brevi parole a i scusi occulti:
Fremere intanto udia continuo il vento
Tra le frondi del bosco e tra i virgulti,
K trarne un suou che flebile concento
Par d'umani sospiri e di singulti;
E un non so che confuso instilla al core
Di pietà, di spavento e di dolore.
41
Pur tragge al fin la spada, e con gran forza
Percote l'alta pianta. Oh meraviglia!
Manda fuor sangue la recisa scorza,
H fa la terra intorno a sé vermiglia.
Tutto si raccapriccia, e pur rinforza
11 colpo, e '1 fin vederne ei si consiglia.
Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
Un indistinto gemito dolente;
I
che solamente gli intoppi naturali che offre
una selva intricata e tenebrosa sono d'im-
pedimento a lui per avanzare.
38, 7. quel ecc.: i geroglifici.
89, 8. Xon dee ecc. : Guastavini: « Secondo
il proverbio antico: Cum larvis non lue-
tandum ».
40, 3-S Accortamente il poeta comincia
a preparare la scena patetica che avrà
luogo fra breve, dove Tancredi sarà vinto
dalla paura non di essere superato dalla
forza, ma di sembrare spietato o ingene-
roso.
41, 1-6. Imitato da Virgilio [Aen. iii 26)
ove Enea narra di Polidoro: * Horrendum
et dictu video mirabile monstrum. Nam,
quae prima solo ruptis radicibus arbos Vel-
litur, buie atro liquuntur sanguine guttae,
ecc. ». Vedi ancora Dante nel xiii dell'/n/.,
e in parte anche Ariosto, Ori. Fur. vi 26 e
segg. — 6. b1 consiglia: delibera. — 7-8.
Virg., loc. cit. i9: e gemitus lacrimabilis
CANTO XIII
163
42 [se,
Che poi distìnto in voci: Ahi! troppo, dis-
M'hai tu, Taiicicdi, oft'eso; or tanto basti.
Tu dal corpo, che meco e per me visse,
Felice albergo già, mi discacciasti :
Perché il misero tronco, a cui m'affisse
Il mio duro destino, anco mi guasti?
Dopo la morte gli avversarii tuoi,
Crudel, ne' lor sepolcri offender vuoi?
43
Clorinda fui: né sol qui spirto umano
Albergo in questa pianta rozza e dura;
Ma ciascun altro ancor, Franco o Pagano,
Che lassi i membri a pie de l'alte mura.
Astretto è qui da novo incanto e strano,
Non 80 s'io dica in corpo o in sepoltura.
Son di sensi animati i rami e i tronchi,
E micidial sei tu, se legno tronchi.
44
Qual V infermo talor, eh' in sogno scorge
Drago, 0 cinta di fiamme alta chimera,
Seben sospetta, o in parteanco s'accorge
Che '1 simulacro sia non forma vera,
Pur desia di fuggir; tanto gli porge
Spavento la sembianza orrida e fera;
Tal il timido amante a pien non crede
A i falsi inganni, e pur ne teme e cede.
45 [so
E, dentro, il cor gli è in modo tal conqui-
Da varii affetti, che s'agghiaccia e trema;
E nel moto potente ed improviso
Gli cade il ferro, e '1 manco è in lui la téma.
Va fuor di sé; presente aver gli è avviso
L'offesa donna sua che plori e gema;
Né può soffrir di rimirar quel sangue,
Né quei gemiti udir d'egro che langue.
46
Cosi quel contra morte audace core
imo Auditur tumulo, et vox reddita fertur
ad aures».
42, 1. Che poi distinto in voci: Dante,
loG. cit. 91 : « Allor soflìó lo tronco forte e
poi Si converti quel vento in cotal voce ».
— 5. m'affisse: mi conficcò dentro.
43, 4. lassi : lasci. — 6. Non so se la scorza
dell'albero sia da chiamarsi il nostro corpo
0 la nostra sepoltura, essendo a noi l'una
e l'altro.
44, 4. Che '1 simulacro sia ecc.: che l'ima-
gine apparsagli, di un drago o di una chi-
mera, non sia cosa realmente vera.
46, 1. conquiso: sbattuto. — 4. e '1 manco
è in lui la téma: e il timore è il sentimento
che meno lo comraove. — 6. plori: pianga:
latinismo della lingua poetica.
46. Il Tasso si proponeva di mutare (il
che poi non fece), la stanza anteriore dove
a Tancredi cade il ferro, e questa ancóra
ove egli lo perde per forza superiore, come
Nulla forma turbò d'alto spavento;
Ma lui, che solo è fievole in amore,
Falsa imago deluse e van lamento.
II suo caduto ferro in tanto fòre
Portò del bosco impetuoso vento,
Si che vinto partissi; e in su la strada
Ritrovò poscia e ripigliò la spada.
47
Pur non tornò, né ritentando ardio
Spiar di novo le cagioni ascose.
E poi che, giunto al sommo duce, unio
Gli spirti alquanto, e l'animo compose.
Incominciò: Signor, nunzio son io
Di non credute e non credibil cose.
Ciò che dicean de lo spettacol fero
E del suon paventoso, è tutto vero.
48
Meraviglioso foco indi m'apparse,
Senza materia in un istante appreso;
Che sorse, e, dilatando, un muro farse
Parve, e d'armati mostri esser difeso.
Pur vi passai; che né l'incendio m'arse.
Né dal ferro mi fu l'andar conteso.
Vernò in quel punto, ed annottò; fé' il gior-
E la serenità poscia ritorno. [no
49
Di più dirò; ch'a gli alberi dà vita
Spirito uman che sente e che ragiona.
Per prova sòllo; io n'ho la voce udita.
Che nel cor flebilmente anco mi suona.
Stilla sangue de' tronchi ogni ferita,
Quasi di molle carne abbian persona.
No, no, più non potrei (vinto mi chiamo)
Né corteccia scorzar, né sveller ramo.
è da lui detto nella Lett. 37 : « non mi piace
(scrive) quella stanza - Cosi quel contra
morte audace core, Nulla forma turbò d'alto
spavento -, perché vorrei che Tancredi fosse
superato in qualche cosa pertinente a la
fortezza; però vo pensando che, da poi
ch'egli avrà dato il colpo a l'arbore, veggia
imagini orribilissime, e vengano terremoti
e turbini che gli scuotano la spada da le
mani. Voglio in somma, che veggia il san-
gue e senta i gemiti de l'arbore: ma vo-
glio che la causa principalissima, ch'egli
perda la spada, sia forza ed orrore de l'in-
canto ». — 2. Nulla: nessuna. — 3. Cosi nel
e. I 45, 5: « S'alcun'ombra di colpa i suoi
gran vanti Rende men chiari è sol follia
d'amore ».
47, 3. unio: raccolse. — 4. l'animo com-
pose: acquetò l'animo commosso, turbato.
48, 7. Vernò: si fece verno: vernare in
questo senso è spesso usato dal Petrarca.
49, 4. Dante, Purg. ii 114: «Che la dol-
cezza ancor dentro mi suona ». — 5. Virg.,
Aen. Ili 33: «Alter et alterius sequitur de
cortice sanguis ». — 6. persona ; corpo.
164
GERUSALEMME LIBERATA
50
Cosi dice egli; e "1 Capitano ondeggia
In gran tempesta di pensieri in tanto.
Pensa s'egli medesrao andar là deggia
(Che tal lo stima) a ritentar l'incanto;
O se pur di materia altra proveggia
Lontana più, ma non difiìcil tanto.
Ma dal profondo de' pensieri suoi
L'Eremita il rappella, e dice poi:
51
Lascia il pensiero andace: altri conviene
Che de le piante sue la selva spoglie.
Già già la fatai nave a l'erme arene
La prora accosta, e l'auree vele accoglie;
Già, rotte l'indignissirae catene,
L'aspettato guerrier dal lido scioglie;
Non è lontana omai l'ora prescritta,
Che sia presa Sion, l'oste sconfitta.
52
Parla ei cosi, fatto di fiamma in vólto,
E risuona più ch'uomo in sue parole.
E '1 pio Gofifredo a pensier novi è vòlto;
Che neghittoso già cessar non vuole.
Ma nel cancro celeste omai raccolto
Apporta arsura inusitata il sole,
60, 1. ondeggia ecc.: Cfr. e. x 3, 7-8. —
4. Che tal ecc.: Trasposizione: a ritentare
l'incanto, poiché egli crede che si tratti
d'incanti.
61, 1. il pensiero andace: d'andare tu,
Goffredo, alla selva. — altri conylene ecc.:
allude a Rinaldo. L'Eremita vede, per ri-
velazione divina, che la nave destinata (fa-
tale) a liberar Rinaldo ha già preso porto
nell'isola dove colui era; ed egli [l'aspet-
tato giiert'ier), rotti gli indegni lacci d'Amo-
re, è per ritornare tra i cristiani; e vincerà
la selva. — 3. erme arene: nelle isole For-
tunate, vuote d'abitatori, come si vedrà più
avanti. — 4. auree relè: raccoglie le vele
d'oro: cfr. e. xv 7 e xvi 57.
62, 4. cessar: rimanersi. — 5-6. Intendi
che il sole era già entrato nella costella-
zione del cancro, portando inusitata siccitTi.
Di questa siccità parla lo storico Guglielmo
Tirio che dice fra le altre cose (viii, 7):
• .\ugebat.... sitis importunitatem, et ango-
ris gemiuabat molestiam aestutis inclemen-
tia, et ardens iunius; labor quoque et exci-
tatus pulvis, oris et pectoris ariditatem pro-
vocabant.... Neglecta porro aniraalia, et qui-
bus domini sui providere non poterant, per
carapos lento gradu et defìcientibus viribus
vagantia, equi videlicet, muli, asini, sed et
gregea et armenta siti et ariditate con-
sumpta, in se ipsis deficiebant, tabescentia,
pt liquefacta interius moriebantur: unde in
Ch'a i suoi disegni, a i snoi gnerrier nerai-
Insopportabil rende ogni fatica. [ca,
53
Spenta è del cielo ogni benigna lampa;
Signoreggiano in lui crudeli stelle,
Onde piove virtù ch'informa e stampa
L'aria d'impression maligne e felle.
Cresce l'ardor nocivo, e sempre avvampa
Più mortalmente in queste parti e in quel-
A giorno reo notte più rea succede, [le;
E di peggior di lei dopo lei vede.
54
Non esce il sol giammai, ch'asperso e cin-
Di sanguigni vapori entro e d'intorno, [to
Non mostri ne la fronte assai distinto
Mesto presagio d'infelice giorno;
Non parte mai, che, in rosse macchie tinto,
Non minacci egual noia al suo ritorno,
E non inaspri i già sofferti danni
Con certa téma di futuri aftanni.
55
Mentr'egli i raggi poi d'alto diffonde,
Quanto d'intorno occhio mortai si gira,
Seccarsi i fiori, e impallidir le fronde.
Assetate languir l'erbe rimira,
E fendersi la terra, e scemar Tonde,
Ogni cosa del ciel soggetta a l'ira,
E le sterili nubi in aria sparse
In sembianza di fiamme altrui mostrarse.
56
Sembra il ciel ne l'aspetto atra fornace,
Né cosa appar che gli occhi almen ristau-
(re;
castris faetor erat raaximus, et pestilens
et periculosa nimis aeris corruptela ». —
7-8. Intendi: la quale (arsura) nemica, cioè
dannosa, a' disegni e a' guerrieri di Gof-
fredo, rende insopportabile ecc.
63, 1. Tetrarca, son. La gola e 'l sonno 5.
« Ed é si spento ogni benigno lume Del
Ciel ». — 3. Dante, Par. xxvii 111 : « L'amor
che il volge e la virtù ch'ei piove ».
64, 7. Inasprì: inasprisca. — 8. Cfr. e. vi
G6, 1 e in nota.
.65, 1. Mentr' egli : cosi leggono Os. e
CoNQ.; le st. BoN. Mentre li. — d'alto ecc.:
di mezzogiorno. — 6. Costruisci: ogni cosa
soggetta all'ira del cielo. — 7. sterili: per-
ché non danno pioggia. Lucano, Phw's. iv
330: « Expectant imbres, quorum modo
-cuncta natabant Irapulsu, et siccis vultus in
nubibus haerent y. — 8. Guastavini: * Il
sènso dipende tutto dal verbo posto di so-
pra (rimit-a) in questo modo: Occhio mor-
tale, quant'ei si gira intorno, rimira sec-
carsi i fiori, e impallidir le frondi, e lan-
guir l'erbe; ed il resto ».
CANTO XIII
165
Ne le spelonche sue zefiro tace,
E'n tutto è fermo il vaneggiar de l'aure;
Solo vi sollia (e par vampa di face)
Vento che move da l'arein.': maure,
Che, gravoso e spiacente, e seno e gote
Co' densi tìati ad or ad or percote.
57
Non ha poscia la notte ombre più liete,
Ma del caldo del sol paiono impresse;
E di travi di foco e di comete
E d'altri fregi ardenti il velo intesse.
Né pur, misera terra, a la tua séte
Son da l'avara luna almen concesse
Sue rugiadiose stille; e l'erbe e i fiori
Bramano indarno i lor vitali umori.
58
Da le notti inquiete il dolce sonno
Bandito fugge; e i languidi mortali
Lusingando ritrarlo a sé non ponno;
Ma pur la séte è il pessimo de' mali;
Però che di Giudea l'iniquo donno
Con veneni e con succhi aspri e mortali
Più de l'inferna Stigie e d'Acheronte,
Torbido fece e livido ogni fonte.
59
E il picciol Siloè, che puro e mondo
Olfria cortese a i Franchi il suo tesoro,
Or di tepide linfe a pena il fondo
Arido copre, e dà scarso ristoro:
7 &^\ '-' /jL^-ti^-i^^^-^.
^^ *66. 4. il vaneggiar, il muoversi' per il
^ Vano, per il vuoto, per lo spazio: l'agitarsi.
È espressione non chiara. — 5-6. Intende il
"Simun, vento caldissimo e micidiale che
soffia dai deserti dell'Aflfrica, e che gli
arabi (come avverte il Malia), nel loro im-
maginoso linguaggio, chiamano Vangelo
della ìnorte.
57, 3. Guastavini; « Di queste impressioni
meteorologiche nascenti da esalazioni calde
e secche, ragiona Aristotile nel primo delle
Meteore». — 4. il velo intesse: Guastavini:
« La sua veste, che per altro i poeti sono
soliti a ricamar di stelle ».
58, 1-3. Petrarca canz. Quell'antiquo tnlo
62: « e le mie notti il sonno Sbandirò, e più
non ponno Per erbe o per incanti a sé ri-
trarlo ». — 4. Gugl. Tir., loc. cu.: *■ Siti fa-
tigabatur exercitus vehementissima *. — 5.
donno: signore: Aladino. — 6-8. Cfr. e. i,
,| 89, 7-8, e in nota. Ma di veleni non parla
\ il Tirio, si bene di fonti chiude o rese im-
monde.
69, 1-4. Gugl. Tir., loc. cit.: « Siloe fons
urbi conterminus... cum ncque perpetuas
aquas haberet, ei easdem certo tempore
fundere insipidas, populo laboranti non po-
terai sufflcere »; cosi pure afferma Paolo
Né il Po, qualor di maggio è pili profondo,
Parria soverchio a i desideri! loro;
Né'l Gange, o'I Nilo, allorché non s'appa-
[ga
De' settealberghi, e '1 verde Egitto allaga.
60
S'alcun già mai tra frondeggianti rive
Puro vide stagnar liquido argento,
0 giù precipitose ir acque vive
Per alpe, o 'n piaggia erbosa a passo lento;
Quelle al vago desio fornia e descrive,
E ministra materia al suo tormento;
Che l'imagine lor gelida e molle
L'asciuga e scalda, e nel pensier ribolle
61
Vedi le membra de' guerrier robuste.
Cui né cammin per aspra terra preso.
Né ferrea salma onde gir sempre onuste,
Né domò ferro a la lor morte inteso;
Ch'or risolute, e dal calore aduste,
Giacciono a sé medesme inutil peso:
E vive ne le vene occulto foco.
Che pascendo le strugge a poco a poco.
62
Langue il corsier, già si feroce, e l'erba.
Che fu suo caro cibo, a schifo prende;
Vacilla il piede infermo, e la superba
Cervice dianzi, or giù dimessa pende:
Memoria di sue palme or più non serba.
Né più nobil di gloria amor l'accende;
Le vincitrici spoglie e i ricchi fregi
Par che quasi vii soma odii e dispregi.
63
Languisce il fido cane, ed ogni cura
Del caro albergo e del signor oblia;
Emilio. — 7-8. il Nilo allor ecc.: ossia
quando trabocca dai lati dei sette rami per
i quali si getta nel mare: Virg., Aen. vii
800 : « Et septemgemini turbant trepida ostia
Nili ..
60, Imitato da Dante (Inf. xxx 64) : e Li
ruscelletti che de' verdi colli Del Casentin
discendon giuso in Arno Facendo i lor ca-
nali e freddi e molli; Sempre mi stanno
innanzi, e non indarno, Che l'immagine lor
vieppiù m'asciuga, Che il male, ond'io nel
vólto mi discarno ». — 5. vago: bramaso.
61, 5. risolute: sciolte e fiaccate.
62, l. Cfr. per la verità storica il passo
di Gugl. Tir. da me riportato nella nota
alla st. 52, 5-6. Virgilio, Georg, in 498: « La-
bitur, infelix, studiorum atque iramemor
herbae, Victor equus, fontesque avertitur,
et pede terram Crebra ferit; demissae
aures ecc. ».
63, 1-4. Lucrezio, De rer. nat. vi 1220:
«cura primis fida canum vis Strata viis
166
GERUSALEMME LIBERATA
Giace disteso, ed a l'interna arsura,
Sempre anelando, aure novelle invia.
Ma s'altrui diede il respirar natura,
Perclié il caldo del cor temprato sia,
Or nulla o poco refrigerio n'have;
Si quello, onde si spira, è denso e grave.
64
Cosi languia la terra; e 'n tale stato
Egri giaceaiisi i miseri mortali:
E 'i buon popol fede], già disperato
Di vittoria, teraea gli ultimi mali:
E risonar s'udia per ogni lato
Universal lamento in voci tali:
Che più spera Goffredo? o che più bada?
Sin che tutto il suo campo a morte cada?
65
Deh! con quai forze superar si crede
Gli alti ripari de' nemici nostri?
Onde macchine attende? ei sol non vede
L'ira del Cielo a tanti segni mostri?
De la sua mente avversa a noi fan fede
Mille novi prodigi e mille mostri;
Ed arde a noi cosi, che minor uopo
Di refrigerio ha l'Indo o l'Etìopo.
66
Dunque stima costui che nulla importe
Che n'andiam noi, turba negletta, inde-
Vili ed inutili alme, a dura morte, [gna,
Per ch'ei lo scettro imperiai mantogna?
Cotanto dunque fortunata sorte
Rassembra quella di colui che regna.
Che ritener si cerca avidamente
A danno ancor de la soggetta gente?
67
Or mira d'uom, ch'ha il titolo di pio.
Previdenza pietosa, animo umano:
animam ponebat in omnibus aegre » — 5-6.
Enumerando le cagioni per le quali ci fu
dato il respirare, Galeno dice anche che ci
fu dato a temperare il calore naturale. —
8. quello, onde si spira: ciò di che si spira;
l'aria, cioè, che si aspira.
64, 5. I lamenti dei crociati furono le-
vati dalla Conquisi. — 7. bada: indugia:
più volte osservato. — *?. Le B. legg-ono:
si che tutto^ lezione da non disprezzare.
Os. Sin che tutto.... vada.
65, 5. sua: del Cielo. — 6. novi: strani.
— 7. cosi; Os. si il sol. Secondo la nostra
lezione, il s:)fr?etto di arde é il Cielo. —
7-8. Dante, Purg. xxvi 20: « tutti questi
n'hanno maggior sete, Che d'acqua fresca
Indo 0 Etiope ».
66, 1. virg., \en. xi 371: « Scilicet, ut
Turno contingat regia coniux, Nos, animae
viles, inhumatainfletaque (furba, Sternamur
campis ». — 4. Per ch'ei; Os. Pur ch'ei.
La salute de' suoi porre in oblio,
Per conservarsi onor dannoso e vano;
E veggendo a noi secchi i fonti e '1 rio,
Per sé l'acque condur fin dal Giordano,
E, fra pochi sedendo a mensa lieta,
Mescolar l'onde fresche al vin di Creta.
68
Cosi i Franchi dicean; ma '1 duce Greco
Che '1 lor vessillo è di seguir già stanco,
Perché morir qui? disse; e perché meco
Far che la schiera mia ne vegna manco?
Se ne la sua follia Goffredo è cieco,
Siasi in suo danno e del suo popol Franco:
A noi che nóce? E, senza tor licenza,
Notturna fece e tacita partenza.
69
Mosse l'esempio assai, come al di chiaro
Fu noto; e d'imitarlo alcun risolve.
Quei che seguir Ciotareo ed Ademaro
E gli altri duci, ch'or son ossa e polve,
Poi che la fede ch'a color giuraro,
Ha disciolto colei che tutto solve,
Già trattano di fuga; e già qualcuno
Parte furtivamente a l'aer bruno.
70
Ben se l'ode Goffredo, e ben se '1 vede,
E i più aspri rimedi avria ben pronti;
Ma gli schiva ed abborre; e con la fede
Che farla stare i fiumi e gire i monti.
Devotamente al Re del mondo chiede
Che gli apra omai de la sua grazia i fonti:
Giunge le palme, e fiammeggianti in zelo
Gli occhi rivolge e le parole al Cielo:
71
Padre e Signor, s'al popol tuo piovesti
Già le dolci rugiade entro al deserto;
S'a mortai mano già virtù porgesti
Romper le pietre, e trar del monte aperto
Un vivo fiume; or rinnovella in questi
Gli stessi esempi ; e s' ineguale è il merto,
Adempì di tua grazia i lor difetti,
E giovi lor che tuoi guerrier sian detti.
72
Tarde non furon già queste preghiere,
Che derivar da giusto umil desio;
68, 1. '1 duce Greco: Latino, o Tatino che
debba leggersi. Gugl. Tir. (tv 21) ne pone
la diserzione sotto Antiochia.
71, 1-2. Allude alla manna piovuta sul
popolo d'Israele, quand'era nel deserto,
condotto da Mosè verso la Terra Promessa.
— 3-5. Mosé fece col percuotere della verga
scaturire acqua dal monte Oréb. — 7.
Adempì ecc. supplisci colla tua grazia ai
loro mancamenti : Petrarca, son. Vvo'' pian-
gendo 8: • E 'I mio difetto di tua grazia
adempì ».
CANTO XIII
167
Ma se 'n volaro al Cìel pronte e leggiere,
(!()me pennuti augelli, inanzi a Dio.
Le accolse il Padre eterno, ed a le schiere
Fedeli sue rivolse il guardo pio;
E di si gravi lor rischi e fatiche
Gli iucrebbe, e disse con parole amiche:
73
Abbia sin qui sue dure e perigliose
Avversità sofferte il campo amato;
E contra lui con armi ed arti ascose
, Siasi r inferno, e siasi il mondo armato.
Or cominci novello ordin di cose,
E gli si volga prospero e beato.
Piova; e ritorni il suo guerriero invitto,
, E venga a gloria sua l'oste d'Egitto.
1
Co8Ì dicendo, il capo mosse; e gli ampi
Cieli tremaro, e i lumi erranti e i fissi;
E tremò l'aria riverente, e i campi
De l'oceano, e i monti, e i ciechi abissi.
Fiammeggiare a sinistra accesi lampi
Fur visti, e chiaro tuono insieme udissi.
Accompagnan le genti il lampo e '1 tuono
Con allegro di voci ed alto suono.
73. Qui comincia la mutazione della for-
tuna pei campo cristiano, e qui è il mezzo
della favola {cfr. la nota al canto x 7).
Tasso (Leu. 26): « Nel mezzo del terzode-
cimo le cose cominciano a rivoltarsi in me-
glio: viene, per grazia di Dio, a' prieghi di
Goflredo la pioggia; e cosi di mano in mano
tutte le cose succedono prospere ». — * 2.
sofferte leggono le tre B; sofferto Os. — 5.
Virg., Ed. IV 5: « Magnus ab integro sae-
clorum nascitur ordo ». — 7. suo guerriero
ecc.: Rinaldo. — 8. E venga a gloria sua:
Intendi che l'esercito d'Egitto venga ad
accrescere colla sua disfatta la gloria dei
cristiani.
74, l-4.Guastavini: «... Dinota la maestà
ed autorità di Dio. Omero, II. i: - Disse, e
con le nere ciglia fece cenno il figliuol di
Saturno, - E le odorifere chiome del re si
furono vibrate Dal capo immortale, ed il
gran cielo si scosse ». — Virg., Aen. ix
106: « Annuit et totum nutu tremefecit
Olympum»; cfr. ancóra Catullo, Argon.
204, e Ovidio, Met. via 603. — mosse: chinò.
— 5. Piamiuoggiare ecc.: Virg., Aen. ii692:
• Vix ea fatus erat senior subitoque fragore
Intonuit laevum et de caelo lapsa per um-
bras Stella ecc. ». - a sinistra: Guastavinì:
« ... i Romani gli augurii a sinistra avevano
per felici, e ciò per la ragione addotta da
l'iutarco che le parti sinistre del Cielo sono
a noi destre ecc. ».
75
Ecco sùbite nubi, e non di terra
Già per virtù del sole in alto ascese;
Ma giù del ciel, che tutte apre e disserra
Le porte sue, veloci in giù discese:
Ecco notte improvisa il giorno serra
Ne l'ombre sue,che d'ogni intorno ha stese.
Segue la pioggia impetuosa: e cresce
Il rio cosi che fuor del letto n'esce.
76
Come talor ne la stagione estiva,
Se dal ciel pioggia desiata scende,
Stuol d'anitre loquaci in secca riva
Con rauco mormorar lieto l'attende,
E spiega l'ali al freddo umor, né schiva
Alcuna di bagnarsi in lui si rende,
E là 've in maggior fondo ei si raccoglia,
Si tuffa, e spegne l'assetata voglia;
77
Cosi gridando, la cadente piova
Che la destra del Ciel pietosa versa,
Lieti salutan questi: a ciascun giova [sa:
La chioma averne, non che il manto, asper-
Chi bee ne' vetri, e chi ne gli elmi a prova ;
Chi tien la man ne la fresca onda immersa.
Chi sene spruzza il vólto, e chi letempie;
Chi, scaltro, a miglior uso i vasi n'empie.
78
Né pur l'umana gente or si rallegra,
E de' suoi danni a ristorar si viene,
Ma la terra, che dianzi afflitta ed egra
Di fessure le membra avea ripiene.
La pioggia in sé raccoglie, e si rintegra,
E la com parte a le più interne vene;
E largamente i nutritivi umori
A le piante ministra, a l'erbe, a i fiori:
79
Ed inferma somiglia, a cui vitale
Succo le interne parti arse rinfresca,
E disgombrando la cagion del male,
A cui le membra sue fur cibo ed ésca,
75, Cosi la descrizione della siccità, come
questa della pioggia sono da porsi fra le
ottime cose della Gerusalemme. — 1-4. Non
sono nubi naturali, ma causate, come dice
dubitativamente nella Conquisi.., da « gra-
fia del ciel, ch'ornai disserra Le porte a
l'acque, e tempra i fochi accesi », e aper-
tamente qui sotto alla st. 77, 2. — 5-6. Virg,,
Aen. n 250: « ruit oceano nox, Involvens
umbra magna terramque, polumque ».
76, 7. fondo: cosi pure Conq. ; ma Os.
copia.
77, 3. giova: piace, diletta. — 5. a prova:
a gara.
78, 1. par: solameiSte; più volte avver-
tito.
168
GERUSALEMME LIBERATA
La rinfranca e ristora, e rende quale
Fu ne la sua stagion più verde e fresca;
Tal ch'obliando i suoi passati affanni,
Le ghirlande ripiglia e i lieti pauni.
80
Cessa la pioggia al fine, e torna il sole;
Ma dolce spiega e temperato il raggio,
Pien di maschio valor, si come suole
Tra'l fin d'ai)rile e M cominciar di maggio.
79, 8. Petrarca, son. Se la mia vita de
Vaspro 6: * E lassar le ghirlande e 1 verdi
panni ».
Oh fidanza gentil, chi Dio ben cole,
L'aria sgombrar d'ogni mortale oltraggio,
Cangiare a le stagioni ordine e stato,
Vincer la rabbia de le stelle, e '1 f:ito.
80, 5. Oh fidanza srent il ecc.: Intendi: Oh
fidanza gentile in colui che bene onora Id-
dio, di poter fug'are i danni delParia, mu-
tare l'ordine e le qualità delle stag-ioni, vin-
cere i rabbiosi influssi delle stelle e le cose
stabilite dal destino. — L'insolito costrutto
è del Petrarca, Trionf. Fam. ii 67: « Ob
Qdanza gentil, chi Dio ben cole. Quanto Dio
ba creato aver suggetto, E '1 ciel tener con
semplici parole! » ,
* CANTO
XIV • •
Notte -j^ Goffredo in so-
gno parla con Ugone, che
Io consiglia a richiamare
Rinaldo come quegli che
è indispensabile alla con-
quista i)c n giorno dopo,
Goffredo, ad istanza di
Guelfo, perdona alP eroe
-^ Carlo, già compagno di
Sveno, ed Ubaldo, indiriz-
zati dall'Eremita, partono
per cercare di Rinaldo :
arrivano al buon mago di
Ascalona che loro mostra,
dopo averli condotti nel
suo splendido sotterraneo
albergo, ove si celi il
guerriero ; cioè nelle isole
Fortunate in potere di
Armida ; e narra il modo
con che Armida Io fece
suo -^ Indica loro ove
troveranno chi li guiderà nel lungo viaggio e nel ritorno; e li ragguaglia dei
pericoli che li attendono, e del modo di vincerli -^ Poi vanno a riposare.
Usciva ornai dal molle e fresco grembo
De la gran madre sua la notte oscura,
Aure lievi portando e largo uembo
Di sua rugiada preziosa e pura;
E, scotendo del vel l'umido lembo,
Ne spargeva i fioretti e la verdura ;
E i venticelli, dibattendo l'ali.
Lusingavano il sonno de' mortali.
2
Ed essi ogni pensier che '1 di conduce
1, 1-2, Guastavini: * Dal gre^mbo della
vnadrey cioè della terra ; non nascendo da
altro la notte che dall'ombra di questa.. •.
— 5. umido : perché molle e fresco il grembo
della terra donde esce il velo^ massime ora
che ha accolto un'abbondante pioggia. —
8. Lusingavano, conciliavano ; senso che
assume lusingare quando è unito a sonno.
2, 1. Ed essi ; Conq. E quegli; Os. E qiie-
Tufifato aveano in dolce oblio profondo.
Ma vigilando ne l'eterna luce
Sedeva al suo governo il Ke del mondo;
E rivolgea dal Cielo al Franco duce
Lo sguardo favorevole e giocondo :
Quinci a lui ne inviava un sogno cheto,
Perché gii rivelasse alto decreto.
3
Non lunge a l'auree porte ond'esce il sole,
sti. — 3. Tignando : vegliando : Dante, per
bocca di Beatrice, agli angioli, Purg. xxx
103 * Voi vigilate nell'eterno die».
3. Omero nel xix deWOdiss., seguito da
Virgilio nel vi deìV Eneide, dice che nel-
rinfcrno sono due porte pei sogni: una di
corno, dalla quale escono i veri, l'altra di
avorio dalla quale escono i falsi. Tutto il
sogno di Goffredo ritrae molto del Somnium
Scipioniì di Cicerone. Nella Conquisi . (e.
xx) fu rifatto in modo tutto diverso, con
170
GERUSALEMME LIBERATA
È cristallina porta in oriente,
Che per costume iuanti aprir si sole
Che si dischiuda l'uscio al di nascente:
Da questa escono i sogni, i quai Dio vòle
Mandar per grazia a pura e casta mente:
Da questa or quel, ch"al pioBnglion discen-
L'ali dorate in verso lui distende. [de,
4
Nulla mai vision nel sonno offerse
Altrui si vaghe imagini o si belle,
Come ora questa a lui, la qual gli aperse
I secreti del cielo e de le stelle;
Onde, si come entro uno8peglio,ei scerse
Ciò che là suso è veramente in elle :
Pareagli esser traslato in un sereno
Candido, e d'auree fiamme adorno e pieno.
5
E mentre ammira in quell'eccelso loco
L'ampiezza, i moti, i lumi e l'armonia,
Ecco cinto di rai, cinto di foco,
Un cavaliero in coutra a lui venia;
E 'n suono, a lato a cui sarebbe roco
Qual più dolce è qua giù, parlar l'udia :
Goffredo, non m'accogli? e non ragione
Al lido amico ? or non conosci llgojie?
6
Ed ei gli rispondea: Quel novo aspetto,
maggiore ampiezza e con tinte più cri-
stiane. — 2-4. Conquisi. XX 3; « È porta di
zaffiro in oriente Che sol per grazia avanti
aprir si suole Che si disserri l'uscio al rti
nascente ». — 7. anel: quel sogno.
4, 1. Nulla, nessuna. — 5. Onde; per la
qual visione. — 7. sereno: ha qui valore di
sostantivo: intende la via lattea, come il
Tasso medesimo avverte {Giudiz. sovr. la
Riform.): * E perché due sono le porte da'
Platonici ligurate nel cielo... l'una nel can-
cro, per la quale discendono le anime nel
corpo, l'altra nel capricorno, per cui l'anime
son credute ritornare al cielo, entra Goflfredo
nella celeste Gerusalemme per la porta del
capricorno, e si trova nel circolo latteo >.
— S. anrce fiamme: le stelle.
6, 3. cinto di rai, cinto di foco: Guasta-
viui: «Pieno di chiarezza luminosa e so-
migliante a fuoco; per il quale effetto fuo-
chi ancora sjU dette le stesse anime. Dante
al XXII 46 del Par. — Questi altri fuoclii tutti
contemplanti Uomini furo». — 5. a lato:
a paragone del quale. — 6-6. Derivato da
Dante, Par. xxiii i'7: « Qualunque melodia
più dolce suona Qua giù, e più a sé l'ani-
ma tira, Parrebbe nube che squarciata
tuona. Comparata al sonar di quella lira ».
— 7. non m'accogli 1 ; Os. or non -nx^ accogli ?
— ragione: ragioni, verbo. - 8. Ugone : cfr.
e. I 37, 2-5 e in nota.
6, 1. Quel noto aspetto ecc.; Vuol dire.
Che par d'un sol mirabilmente adorno,
Da l'antica notizia il mio intelletto
Sviato ha si, che tardi a lui ritorno.
Gli stendea poi con dolce amico affetto
Tre fiate le braccia al collo intorno;
E tre fiate in van cinta l'imago
Foggia, qual leve sogno, od aèr vago.
7
Sorridea quegli, e. Non già come credi,
Dicea, son cinto di terrena veste :
Semplice forma e nudo spirto vedi
Qui cittadin de la città celeste.
Questo è tempio di Dio : qui son le sedi
De'suoi guerrieri: e tu avrai loco in que-
(8te.
Quando ciò fia? rispose; il mortai laccio
Sciolgasi ornai, s'al restar qui m'è impac-
8 [ciò.
Ben, replicògli Ugon, tosto raccolto
Ne la gloria sarai de' trionfanti ;
che la lucentezza, come di sole, dava tale
un'aria di novità alle fattezze del cavaliero,
che la mente di Goffredo non fu subito ri-
condotta alle fattezze terrene di Ugone a
lei note; stornò anzi lontano da queste
(foràe perché pensava di avere un angiolo
dinanzi) tanto tempo, che solamente tardi
raffigurò il vecchio amico {ritornò a lui)
entro il nuovo aspetto. Dante, a Piccarda
Par. Ili SS: « Ne' mirabili aspetti Vostri
risplende non so che divino, Che vi tra-
smuta da' primi concetti. Però non fui a
rimembrar festino». — 5-8. Virg., Aen. ii
792 e VI 70 J: • Ter conatus ibi collo dare
brachia circum. Ter frustra comprensa ma-
nus effugit imago, Par levibus ventis, vo-
lucrique simillima sonino ». E Daute, Purg.
II 79: « Oh ombre vane, fuor che nell'aspet-
to ! Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto ».
7, 1. Xon già ecc. Petrarca, canz. Spirto
gentil 44: « L'anime che lassù son cittadine
Ed hanno i corpi abbandonati in terra ».
— 7-8. Cicerone, lo-, cit.: « Qudniam haec
est vita (ut Africanum audio dicere), quid
moror in terris ? Quin huc ad vos pro-
pero venire? ». 11 Tasso dice restar per-
ché Goffredo crede di essere veramente tra-
slato in cielo.
8. Torna à proposito ancora qui citare
ciò che il T., del sogno di Goffredo nella
ConqvAstat a, acrive nel Giudiz. sovr. la Ri-
forra.: * Qui Goffredo vede molte cose, non
solo appartenenti al futuro regno, ma alla
futura beatitudine, e fatto certo della sua
gloriosa vittoria, e della predestinazione,
ode ecc. (quello che seguita fa solo per la
Conquisi.) » — 1. Ben... tosto raccolto ecc.
Il Buglione mori l'anno r^eguente 1100, il 7
di agosto. — 2. Ne la gloria ecc. Guasta-
CANTO XIV
171
Pur militando converrà che molto
Sangue e sutlor là giù tu versi inanti.
Da te prima a i Pagani esser ritolto
Deve r imperio de' paesi santi ;
E stabilirsi in lor cristiana reggia,
lu cui regnar il tuo fratel poi deggia.
9
Ma, perché più lo tuo desir s'avvive
Ne l'amor di qua su, più liso or mira
Questi lucidi alberghi e queste vive
Fiamme, che mente eterna informa e gira;
E in angeliche tempre odi le dive
Sirene, e '1 suon di lor celeste lira.
China, poi disse (e gli additò la terra),
Gli occhi a ciò che quel globo ultimo serra.
10
Quauto è vii la cagion ch'a la virtude
Umana è colà giù i)remio e contrasto !
In che picciolo cerchio, e fra che nude
Solitudini è stretto il vostro fasto !
Lei, come isola, il mare intorno chiude,
E lui, ch'or oceàn chiamate, or vasto.
vini: * Chiesa trionfante è detta quella dri
beati in cielo, e chiesa militante quella dei
divoti in terra, e prima del trionfare con
viene il guerreggiare ». ~ 7. in lor : in essi,
cioè nei paesi santi. — 8. il tuo fratel: Bal-
dovino conte di Kdessa, che successe a Gof-
fredo nel regno di Gerusalemme.
9, 5-8. le dire Sirene: intende delle muse
le quali hanno seggio sopra le sfere cele-
sti; e il poeta segue Pitagora, che crede
che le sfere celesti rotando producano inef-
fabile armonia. I.a dottrina di Pitagora,
combattuta da Aristotile, fu sostenuta da
Cicerone nell'allegato Sotnn. Scip.: « Quis
hic, inquam, quis est qui complet aures
meas tantus et tam dulcis sonus? Hic est,
inquit ille, qui intervallis coniunctus impa-
ribus, sed tamen prò rata partium ratione
distinctis, impulsu et raotu ipsorum orbium
conticitur; qui acuta cum gravibus tempe
rans, varios aequabiliter coucentus eflicit ».
Dante, Par. i 76: «Quando la rota che tu
[Dio] sempiterni Desiderato, a sé mi fece
atteso. Con l'armonia che temperi e discer-
ni )♦ ; cfr. pure Par. vi 126, e Purg. xxx 93.
10, 1-2. Sembra che il poeta si ricordi di
Dante che chiamò la terra {Par. xxxii 151):
« L'aiuola che ci fa tanto feroci ». — 3 4.
Cicerone {loc. cit.): « Quibus amputatis cer-
nia profecto quantis in angustiis vestra
gloria se dilatari velit». — 5. Lei ecc. Ci-
cerone (loc. cit.) : I Omnia enim terra, quae
colitur a vobis, angusta verticibus,-'lateri-
bus latior, parva quaedam insula est, cir-
curafusa ilio mari, quod atlanticum, quod
maguura, quod oceanum appellatis in ter-
ris, qui tamen tanto nomine quam sit par-
vus, vides «•.
Nulla eguale a tal nomi ha in sé di magno,
Ma è bassa palude e breve stagno.
11
Cosi Tun disse; e l'altro in giuso i lumi
Volse, quasi sdegnando, e ne sorrise :
Che vide un punto sol, mar, terree fiumi,
Che qui paion distinti in tante guise:
Ed ammirò che pur a l'ombre, a i lumi
La nostra folle umanità s'alHse,
Servo imperio cercando e muta fama,
Né miri il ciel, ch'a sé n'invita e chian
ama.
Onde rispose : Poi ch'a Dio non piace
Dal mio career terreno anco disciorme,
Prego che del cammin, ch'èmen fallace
Fra gli errori del mondo, or tu m'informe.
E, replicògli Ugon, la via verace
Questa che tieni; indi non torcer l'orme:
Sol che richiami dal lontano esigilo
Il fìgliuol di Bertoldo, io ti consiglio.
13
Perché, se l'alta Previdenza elesse
Te de l'impresa sommo capitano,
Destinò insieme ch'egli esser dovesse
De' tuoi consigli esecutor soprano.
A te le prime parti, a lui concesse
Son le seconde: tu sei capo, ei mano
Di questo campo; e sostener sua vece
11, 1-2. Dante, Par. xxn 133: « Col viso
ritornai per tutte quante Le sette spere, e
vidi questo globo Tal, eh' io sorrisi del suo
vii sembiante*. — 3. un punto sol; come
un punto solo. Dante dice invece d'aver
veduto più distintamente il nostro emisfero,
loc. cit. 151 : « [.'aiuola che ci fa tanto fe-
roci. Volgendola' io con gli eterni Gemelli,
Tutta m'apparve dai colli alle loci ». — 5.
ammirò ecc. : Intendi : si meravigliò che la
nostra folle umanità si affisi, intenda, so-
lamente {par) alle vanità e a i fasti umani
(ombre e rumi), cercando di ottenere im-
perio e fama che danno libertà e nome
chiaro solamente considerando la cosa dal
punto di vista umano ; ma chi è in cielo
vede come questo impero sia servitù, e que-
sta fama muta, in conspetto delle cose
eterne. — 8. Dante, Purg. xiv 118: «Chia-
mavi il ciel, e intorno vi si gira Mostran-
dovi le sue bellezze eterne », e il Petrarca,
canz. /' vo pensando 48: « Or ti solleva a
più beata spene Mirando il ciel che ti si
volse intorno Immortale ed adorno >.
12, 2. Petrarca, canz. Tacer non posso
95: « E da quel suo bel carcere terreno »,
e il carcere terreno è il corpo. — 6. indi:
da essa.
13, Che tanto Goffredo quanto Rinaldo
siano, sotto diverso aspetto, necessari alla
impresa, si è già notato al ci 10, 3; o al
172
GERUSALEMME LIBERATA
Altrui non potè, e farlo a te non lece.
14
A lui sol di troncar non fia disdetto
Il bosco e' ha gl'incanti iu sua difesa;
E da lui il campo tuo che, per difetto
Di gente, inabil sembra a tanta impresa,
K par che sia di ritirarsi astretto,
Prenderà maggior forza a nova impresa;
E i rinforzati muri, e d'Oriente
Supererà l'esercito possente.
15 [grato
Tacque; e '1 Buglion rispose: Oh quanto
Fora a me che tornasse il cavaliero !
Voi, che vedete ogni peusier celato,
Sapete s'amo lui, se dico il vero.
Ma di', con quai proposte, od in qual lato
Si deve a lui mandarne il messaggiero ?
Vuoi ch'io preghi o comandi ? e come que-
Atto sarà legittimo ed onesto? [sto
ir,
Allor ripigliò l'altro: il Rege eterno.
Che te di tante somme grazie onora.
Vuol che da quegli, onde ti die il governo,
Tu sia onorato e riverito ancora.
Però non chieder tu (né senza scherno
Forse del sommo imperio il chieder fora);
Ma, richiesto, concedi; ed al perdóno
Scendi de glialtruipreghialprimosuono.
17
Guelfo ti pregherà (Dio si l'inspira)
Ch'assolva il ter garzon di quell'errore
In cui trascorse per soverchio d'ira.
Si che al campo egli torni ed al suo onore :
E, ben ch'or lunge il giovene delira,
E vaneggia ne l'ozio e ne l'amore,
Non dubitar però che 'n pochi giorni
Opportuno a grand'uopo ei non ritorni ;
18
Ché'l vostro Piero, a cui lo Ciel comparte
L'alta notizia de' secreti sui,
Saprà drizzare i messaggieri in parte
Ove certe novelle avrau di lui;
E sarà lor dimostro il modo e l'arte
Di liberarlo e di condurlo a vui.
Cosi al fin tutti i tuoi compagni erranti
Ridurrà il Ciel sotto i tuoi segui santi.
19
Or chiuderò il mio dir con una breve
Concliision, che so ch'u te fia cara:
e. X 77, 8. — 8. Altrol; Os. altri. — lece: è
lecito.
16, 3. (la qneeli, onde: da coloro dei quali.
— 5. né senza scherno ecc.: Intendi: Né il
chiedere per parte tua sarebbe forse senza
dispregio e irrisione dell'autorità tua di
Bonirao duce.
18, 5. dimostro: dimostrato. — 7-S. Cfr.
e. I 1, 7-5.
19, 1-2. Petrarca, Tr. M'jrt. ii 160: « Più
Sarà il tuo sanguealsuo commisto, e deve
Progenie uscirne gloriosa e chiara.
Qui tacque, e sparve come fumo leve
Al vento, o nebbia al sole arida e rara;
E sgombrò il sonno, e gli lasciò nel petto
Di gioia e di stupor confuso affetto.
20
Apre allora le luci il pio Buglione,
E nato vede e già cresciuto il giorno ;
Onde lascia i riposi, e sovrapone
L'arme a le membra faticose intorno.
E poco stante a lui nel padiglione
Venieno i duci al solito soggiorno,
Ove a consiglio siedono, e per uso
Ciò ch'altrove si fa, quivi è concluso.
21
Quivi il buon Guelfo. che '1 novel pensiero
Infuso avea ne l'inspirata mente,
Incominciando a ragionar primiero.
Disse a Goffredo: 0 principe clemente.
Perdóno a chieder ne vegn'io, ch'in vero
È perdón di peccato anco recente;
Onde potrà parer per avventura
Frettolosa dimanda ed immatura.
22
Ma pensando che chiesto al pio Goffredo
Per lo forte Rinaldo è tal perdóno,
E riguardando a me che 'n grazia il chiedo.
Che vile a fatto intercessor non sono.
Agevolmente d'impetrar mi credo
Questo, ch'a tutti fia giovevol dono, [da
Deh! consenti ch'eirieda, e che, in ammen-
Del fallo, in prò comune il sa^ue spenda. (•
23 ' ^ ^
E chi sarà, s'egli non è, quel forte
Ch'osi troncar le spaventose piante ?
ti vuo' dir per non lasciarti senza Una con*
clusion che a te fia grata ». — 4. Virg.,
Aen. I 19 : « Progeniem sed enira troiano a
sanguine duci Audierat •. — 5-6. Virg., Aen.
V 740: « Dixerat, et tenues fugit ceu fumus
in auras -, e Cicerone {loc. cit.): « lUe di-
scessit, ego autena somno solutus sum »
— 7. il sonno: fa da sogg. a sgoìnbro, cho.
vale parti. — 8. affetto: è qui usato nel
suo significato generale di sentimento.
20, 1-2. Virg., Aen. viii 67: « nox Aenean
somnusque reliquie. Surgit et aetherei spe-
ctans orientia solis Lumina ». Cfr. ancóra
Omero, II. ii. — 4. faticose : atte alia fatica;
cfr. e. I 62. 3. — 5. stante: particella che
vale « dopo ».
21, 2. Infuso : M novel pensiero era in lui
stato infuso dal cielo.
22, 1-4. Guastavini: « Agevola la doman-
da dalle circostanze di tutte tre le persone
che v' intravvengono [Goffredo, Rinaldo,
Guelfo] . .
2J, 1-6. Cfr. la parlata di Ugoue alla st. 14.
CANTO XIV
173
Chi giva in centra a i rischi de la morte
('on pili intrepido petto e più costante?
Scoter le mura, ed atterrar le porte
\'edràiIo, e salir solo a tutti inante.
Kendi al tuo campo ornai, rendi per Dio
Lui eh' è sua alta speme e suo desio,
24
Rendi il nipote a me: si valoroso
1] pronto esecutor rendi a te stesso:
Né soffrir ch'egli torpa in vii riposo,
I\la rendi insieme la sua gloria ad esso.
Segua il vessillo tuo vittorioso ;
Sia testimonio a sua virtù concesso;
Faccia opre di sé degne in chiara luce
K rimirando te maestro e duce.
25
Cosi pregava; e ciascun altro i preghi
Con favorevol fremito seguia.
Onde Goffredo allor, quasi egli pieghi
La mente a cosa non pensata in pria,
Come esser può, dicea, che graziai' neghi
Che da voi si dimanda e si desia ?
Ceda il rigore; e sia ragione e legge
Ciò che '1 consenso universale elegge.
26
Torni Rinaldo; e da qui inanzi aflfrene
Più moderato l'impeto de l' ire,
E risponda con l'opre a l'alta spene
Di lui concetta, ed al comun desire.
Ma il richiamarlo, 0 Guelfo, ate conviene:
Frettoloso egli fìa, credo, al venire.
Tu scegli il messo, e tu l' indrizza dove
Pensi che '1 fero giovene si trove.
27 [no :
Tacque; e disse sorgendo il guerrierDa-
Esser io chieggio il messaggier che vada;
Né ricuso cammin dubbio o lontano.
Per far il don de l'onorata spada.
Questi è di cor fortissimo e di mano; [da:
Onde al buon Guelfo assai l'offerta aggra-
Vuol che sia Tun de' méssi,e chesial'altro
Ubaldo, uom cauto ed avveduto e scaltro.
28
Veduto Ubaldo in giovenezza, e cérchi
Vari costumi avea, vari paesi,
Peregrinando da i più freddi cerchi
Del nostro mondo agli Etìopi accesi,
E, come uom che virtude e senno merchi,
24, 8. E rimirando : Os. Sol rimirando.
25, 2. Con favorevol fremito segni'a: Virg.,
Aen. XI 296 « varius per ora cucurrit Au-
soniduna turbata fremer».
27, 1. gnerrier Dano: Carlo, commilitone
di Sveno: cfr. e. vni, — 4. Derivato dal
Petrarca son. « Cesare poi ohe 7 traditor
d'Egitto Gli fece il don dell'onorata testa ».
28, 1. Veduto : CONQ. e Os. veduti. — 5.
merchi: guadagni. Petrarca, son. Beato in
Le favelle, l'usanze e i riti appresi;
Poscia in matura età da Guelfo accolto
Fu tra' compagni, e caro a lui fu molto,
29
A tai messaggi l'onorata cura
Di richiamar l'alto campion si diede;
E gli indrizzava Guelfo a quelle mura,
Tra cui Boemondo ha la sua regia sede;
Che per publica fama, e per secura
Opinion, ch'egli vi sia si crede.
Ma'l buon romito, che lor mal diretti
Conosce, entra fra loro, e turba i detti;
30
E dice: 0 cavalier, seguendo il grido
De la fallace opinion vnlgare.
Duce seguite temerario e infido,
Che vi fa gire indarno e traviare.
Or d'Ascalona nel propinquo lido
Itene, dove un fiume entra nel mare :
Quivi fia che v'appaia uom nostro amico:
Credete a lui; ciò che diravvi io '1 dico.
31
Ei molto per sé vede, e molto intese
Del preveduto vostro alto viaggio
sogno 13: «< Pur lagrime e sospiri e dolor
merco ».
29, 3. a quelle mura ecc. : ad Antiochia.
— 8. turba: sconvolge quanto si veniva di-
cendo. — Os. tronca.
30, 3. Duce: è il grido vulgare, detto te-
merario perché non considera le cose nella
loi^o realtà e con agio; ma le giudica dalla
apparenza e in un sùbito. — 5. propinquo:
vicino: latinismo oggi raro pur nella lin-
gua poetica. — * 8. ciò clxe diravvi: leg-
gono le tre B; Os. ciò ch'ei diravvi.
SI, 1. Ei molto per sé vede : essendo savio
naturale; e 'inatto intese va unito con da
me del v, 3, Quantunque in tono troppo
sarcastico e irriverente pure la nota del
^Galilei a questa stanza mi par contenga
alcun che di giusto, riguardo all'unità ri-
gorosa del poema, là dove osserva che il
mago naturale, che sapeva della venuta dei
due guerrieri, _si_j)o^v.axispjirmi are di
* menargli sott'acqua e sotto terra a vedere
i nascimenti dei fiumi e la generazion de'
metalli, e simili altre cose che non hanno
che fare niente con la separazione di Ri-
naldo »; e che tutto ciò non è « che una
lunghera per servire all'allegoria, avendo
voluto (il poeta) figurare l'una e l'altra filoso-
fia ». Ma bisognava pure adornarlo il poema
e variarlo si che piacesse ! L'allegoria v' è
certo, poiché il Tasso medesimo nella Lett.
51 (e cfr. ancóra la Lett. 80, più sotto in
nota alla st, 36) confessa che l'Eremita sta
al mago naturale (il vecchio onesto della
st. 33) come lìeatrice a Virgilio: «Finge
174
GERUSALEMME LIBERATA
(Già gran tempo ha) dame: so che cortese
Altrettanto vi fia, qnanfegli è saorgio.
Cosi lor disse: e più da lui non chiese
Carlo, 0 l'altro che seco iva messaggio;
Ma furo ubbidienti a le parole,
Che spirito divin dettar gli suole.
32
Preser commiato ; e si il desio gli sprona,
Che.senzaindiigio alcun posti in cammino,
Dirizzaro il lor córso ad Ascalona,
Dove a i lidi si frange il mar vicino:
E non udian ancor come risuona
11 roco ed alto fremito marino,
Quando giunsero a un fiume, il qual di nova
Acqua accresciuto è per novella piova;
33
Si che non può capir dentro al suo letto,
E se 'n va più che strai correnteepresto.
Mentre essi stan sospesi, a lor d'aspetto
Venerabile appare un vecchio onesto,
Coronato di faggio, in lungo e schietto
Vestir, che di lin candido è contesto.
Scote questi una verga, e '1 fiume calca
Co' piedi asciutti, e contra il córso il valca.
34
Si come soglion là vicino al polo,
S'avvien che '1 verno i fiumi agghiacci e in-
correr su 'IRen le villanelle a stuolo [dure,
Con lunghi strisci, e sdrucciolar secure;
Cosi ei ne vien sovra l'instabil suolo
Di queste acque non gelide e non dare :
E tosto colà giunse, onde in lui fisse
Teuean le luci i duo guerrieri, e disse :
35
Amici, dura e faticosa inchiesta
Seguite; e d'uopo è ben ch'altri vi guidi;
I Che '1 cercato guerrier lungi è da questa
Terra in paesi incogniti ed infidi.
Quanto, oh quanto de l'opra anco vi resta!
Quanti mar correrete, e quanti lidi !
E convien che si stenda il cercar vostro
Oltre i confini ancor del mondo nostro.
36
Ma non vi spiaccia entrar ne le nascose
Splelonche, ove ho la mia secreta sede;
Ch' ivi udrete da me non lievi cose,
E ciò ch'a voi saper più si richiede.
Disse; e che lor dia loco a l'acqua impose,
FA ella tosto si ritira e cede:
E quinci e quindi di montagna in guisa
Curvata pende, e 'n mezzo appar divisa.
37
Ei, presili per man, ne le più interne
Profondità sotto del rio lor mena.
Debile e incerta luce ivi si scerne, [na:
Qual. tra" boschi, di Cinzia ancor non pie-
Ma pur gravide d'acque ampie caverne
Veggiono, onde tra noi sorge ogni vena,
La qual rampini in fonte, o iu fiume vago
Dante che Beatrice, cioè la teologia, guidi
lui per mezzo di Virgilio, che vogliono al-
cuni che s'intenda per la scienza naturale ».
— 3. Già gran tempo ha : già è gran tempo.
3:ì, 3. a lor d'aspetto ecc.: Cfr. in Virg.,
Aen. vili 31 l'apparizione ad Enea di Tibe-
rino (nome sacro del Tevere). — 4. an rec-
ehio: il mago naturale, contrapposto ad
Ismeno che è mago diabolico. — onesto:
degno di essere onorato, riverito. Cosi Dante
chiama veglio o?iesto Catone. Purg. i 32, di
cui prima ha detto « Degno di tanta reverenza
in vista Che più non dee a padre alcun
figliuolo». — 5. faggio: Guastavini : «Di-
nota solitudine queir albero, ed è perciò
convenevole a' contemplativi, qual era quel
mago».— schietto: semplice, senza pieghe
e senza ornamenti. — 6. contesto: tessuto.
— 8. Talea: valica.
34, 1. Ticino: vicino al polo relativa-
mente, rispetto a noi ; che il Reno non è
in modo assoluto vicino al polo, —5. Cosi;
CONQ. e 03. Tal.
85, -1. Incogniti : Os. inospiti. — 8. del
mondo nostro: Guastavini: «del nostro mon-
do, cioè di quello eh' è racchiuso fra le co-
lonne d'Ercole ; perciocché Rinaldo era di
là nell'isole Fortunate *.
30. Questo canto, nella prima forma che
ebbe dal poeta, era pieno di miracoli, ma
ciò non garbava agli scrupo^o^Hn matèria
di religione; onde il Tasso lo modificò in
alcuna parte: «ma fra questi miracoli,
scrive egli (Leti. SO), non numero l'abita-
zione sua (del majo) sotterranea, pere' ol-
irà che chiara è V allegoria, e' altro non è
abitar sotto terra che il contemplar le cose
che ivi si generano; qual miracolo é que-
sto cosi grande? • — 5. Disse ecc.: Vir^
Georg, iv 359: « Simul alta iubet discedere
late Flumina, qua iuvenis gressus inferret:
at ilium Curvata in montis faciem circum-
steiit unda. Accepitque sinu vasto, misitque
sub amnen ».
37, 3-4. Virg., Aen. vi 270: « Quale per
incertam lunam sub luce maligna Est iter
i in silvis ». E Dante, Inf. xv 18: < Ci riguar^
dava come suol da sera Guardar l'un l'altro
sotto nuova luna ». — Cinzia: uno dei nomi
che ebbe la luna. — Il Tasso qui segue^ir^
gilio, Georg, iv 363, che alla sua volta si
accostò alla opinione di antichi filosofi, i
quali avvisarono che tutti i fiumi derivas-
sero dal baratro^ ampio ricettacolo d'ac-
que posto nelle viscere della terra. — 7.
rampini; volentieri avrei corretto in ^am-
piUi come ha la st. Os.; o in rampolli
come leggono altre: ma ho dovuto persua-
dermi che non sinrao dinanzi ad un err.
CANTO XIV
175
Discorra, o stagni, o si dilati in lago.
38
f I E veder ponno onde il Po nasca, ed onde
'idaspe, Gange, Eufrate, latro derivi;
Ond' òsca pria la Tana; e non asconde
Gli occulti suoi principi! il Nilo quivi.
Trovano un rio più sotto, il qual diffonde
Vivaci zolfi, e vaghi argenti e vivi :
Questi il sol poi raffina, e il licer molle
Stringe in candide masse e in auree zolle.
39
E miran d'ogni intorno il ricco fiume
Di care pietre il margine dipinto;
Onde, come a più fiaccole s'allume,
Splende quel loco, e '1 fosco orror n'è vinto.
Quivi scintilla con ceruleo lume
11 celeste zaffiro ed il giacinto ;
Vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo
Diamante, e lieto ride il bel smeraldo.
di st. ma ad una forma creduta buona dal
Tasso. Perché oltre che nelle 2 stampe del
Bonnà del 15S1, è ancóra neiraltra uscita
per cura del medesimo a Ferrara nel 1585
(la quale fu al dire dello stampatore, non
senza nuova rivisione e correzione dello
stesso poeta); ma specialmente perché nel-
V Apologia (cfr. Tediz. curata dal Guasti,
pagg. 382-86) è dal Tasso lasciata in quel
gruppo di voci che egli vuol far credere
che potrebbe difendere (se non fosse ora-
mai seccato), come ha difese le altre che
gli furono apposte come errori. — in fiu-
me THgo Discorra: o scorra in fiume er-
rante.
38, 1. Virg., Georg, ly G63: «lamque do-
mummiransgenitricisethumida regna Spe-
luncisque lacus clausos, lucosque sonantes,
Ibat, et ingenti motu stupefactus aquarum
Omnia sub magna labeatia flumina terra
Spectabat diversa locis Phasiraque, Lj'cum-
que Et caput unde altus primum se erum-
pit Enipeus ecc. ». — 2. Idaspe, il Gelara
affluente dell'Indo. — Istro, oggi Danubio.
— 3. Tana, oggi Don. — 5. Trovano nn rio
ecc. GuaStavini: « Ciò è detto secondo l'opi-
nione degli Alchimisti i quali tengono che
fa materia dell'oro e dell'argento e di eia-
schedun altro metallo sia il zolfo vivo, e
l'argento vivo ; generandosi poi da essi o
questo 0 quell'altro metallo, secondo la
qualità e quantità di que' due componenti,
che nella mischianza s'abbatte ad essere
insieme ecc.». — 6. Vivaci zolfi: Guastavi-
ni: « zolfo vivo, cioè minerale, a differenza
dell'artificiato» — vaghi argenti e vivi:
l'argento vivo: il mercurio.
39, 1, il ricco: Os. al ricco. — 2, care:
preziose. — 3. 8' allume : si allumi, illumini.
40
Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove
Cose si tutto il lor pensier s'impiega,
Che non fanno alcun motto.Al fin pur move
La voce Ubaldo, e la sua scorta prega:
Deh, padre, dinne ove noi siamo, ed ove
Ci guidi, e tua condizion ne spiega;
Ch'io non so se '1 ver miri, o sogno, od om-
Cosi alto stupore il cor m'ingombra, [bra;
41
Risponde: Séte voi nel grembo iraraeneo
De la terra, che tutto in sé produce;
Né già potreste penetrar nel denso
De le viscere sue senza me duce.
Vi scorgo al mio palagio, il quale accenso
Tosto vedrete di mirabil luce.
Nacqui io Pagan, ma poi ne le sant'acque
Rigenerarmi a Dio per grazia piacque.
42
Né in virtù fatte sou d'angioli stigi
L'opere mie meravigliose e conte
(Tolga Dio ch'usi note o suffumigi
Per isforzar Oocito e Flegetonte);
Ma spiando me 'n vo da' lor vestigi
Qual in sé virtù celi o l'erba o '1 fonte :
E gli altri arcani di natura ignoti
Contemplo, e de le stelle i vari moti.
43
Perocché non ognor lungo dal cielo
Tra sotterranei chiostri è là mia stanza,
Ma su '1 Libano spesso e su '1 Carmelo
In aerea magion fo dirnoranza:
Ivi spiegansi a me senz'alcun velo
Venere e Marte in ogni lor sembianza;
E veggio come ogn'altra o presto o tardi
Roti, 0 benigna o rainaccievol guardi.
44
E sotto i pie mi veggio or folte or rade
Le nubi, or negre, ed or pinte da Iri ;
E generar le pioggie e le rugiade
Risguardo, e come il vento obliquo spiri;
Comeilfolgors'infiammi,eperquai strade
40, 1. Stupidi: stupiti, percossi dalla me-
raviglia.
41, 4. senza me duce: Guastavini : «^ senza
la speculazione, o la cognizione della filo-
sofia, non si possono intendere i secreti
della natura». — 5-6. Guastavini: «La co-
guizion delle cose naturali illustra mirabil-
mente l'intelletto dell'uomo».
42, Qui indica le differenze che corrono
fra i maghi naturali e gli stregoni: cfr. ciò
che oppostamente al savio naturale fa Isme-
ne, e. II 1-2, e e. XIII 5-8.
43, 3. Libano : cfr. e. i, 14, 7, in nota. —
Carmelo : il più alto monte di Terra Santa.
— 4. aerea: perché alta, che signoreggia
molta aria.
176
GERUSALEMME LIBERATA
Tortuose iu giù spinto ei si raggiri;
Scorgo comete e fochi altri si presso,
Che soleva invaghir già di me stesso.
45
Di me medesmo fui pago cotanto,
Ch'io stimai già che '1 mio saper misura
Certa fòsse e infallibile di quanto
Può far l'alto Fattor de la natura :
Ma quando il vostro Piero al fiume santo
M'asperse il crine, e lavò l'alma impura.
Drizzò pili su il mio guardo,e'l fece accorto
Ch'ei per sé stesso è tenebroso e corto.
46
Conobbi allor ch'augel notturno al sole
È nostra mente a i rai del primo Vero;
E di me stesso ri.si e de le fole
Che già cotanto insuperbir mi fero :
Ma pur séguito ancor, come egli vuole,
Le solite arti e l'uso mio primiero.
Ben sono iu parte altr'nom da quel ch'io fui;
Ch'or da lui pendo, e mi rivolgo a lui ;
47 [gna,
E in lui m'acqueto. Egli comanda e inse
Mastro insieme e signor sommo e sovrano;
Né già per nostro mezzo oprar disdegna
Cose degne talor de la sua mano.
Or sarà cura mia ch'ai campo vegna
L'invitto eroe dal suo career lontano ;
Ch'eilam'irapose:egiàgran tempo aspet-
II venir vostro, a me per lui predetto, [to
48
Cosi con lor parlando, al loco viene
Ov'egli hall suo soggiorno e '1 suo riposo.
Questo è in forma di speco, e in sé contiene
Camere e sale, grande e spazioso.
E ciò che nutre entro le ricche vene
Di più chiaro la terra e prezioso,
Splende ivi tutto; ed ein'èinguisa ornato,
Ch'ogni suo fregio è non fatto, ma nato.
49
Non mancar qui cento ministri e cento.
44, 8. Inraghir già di me stesso : intendi
che il mago soleva già esaltarsi di sua
scienza: cfr. la st. seg., v. 1-4.
46, 2. misura: Gentile: « Sente ed esplica
queldetto di Protagora, che ruomo è la
misura di tutte le cose ►
46, 1. augel ecc.: derivato dal l'etrarca,
benché in altro senso, son. Come V can-
dido pie 14: * Che son fatto un augel not-
turno al sole». — 5. egli: il primo Vero,
Dio. — 7. Il Petrarca son. Voi ch'ascoltate
4: « Quand'era in parte altr'uom da quel
ch'io sono ».
49, 1. cento ministri e cento : moltissimi:
numero finito per T infinito, iialilei. •« Que-
Bi'aver cento ministri e cento non ha molto
del filosofo 0 del teologo, e per essere un
Che accorti e pronti a servir gli osti fóro;
Né poi in mensa magnifica d'argento
Mancar gran vasi e di cristallo e d'oro.
Ma quando sazio il naturai talento
Fu de' cibi, e la séte estinta in loro:
Tempo è ben, disse a i cavalieri il mago,
Che'lmaggiordesir vostro ornai sia pago.
50
Quivi ricominciò: L'opre e le frodi
Note in parte a voi son de l'empia Armida ;
Com'ella al campo venne, e con quai modi
Molti guerrier ne trasse, e lor fu guida.
Sapete ancor che di tenaci nodi
Gli avvinse poscia, albergatrice infida:
E ch'indi a Gaza gli invio con molti
Custodi, e che tra via furon disciolti.
51
Or vi narrerò quel ch'appresso occorse:
Vera istoria, da voi non anco intesa.
Poiché la maga rea vide ritòrse
La })reda sua, già con tant'arte presa.
Ambe le mani per dolor si morse,
E fra sé disse di disdegno accesa:
Ah! vero unqua non fia che d'aver tanti
Miei prigion liberati egli si vanti,
52
Se gli altri sciolse, ei serva, ed ei sostegna
Le pene altrui serbate e '1 lungo aftauno:
Né questo anco mi basta; i' vo' che vegna
Su gli altri tutti universale il danno.
Cosi fra sé dicendo, ordir disegna
Questo, ch'or udirete, iniquo inganno.
Viensene al loco ove Rinaldo vinse
In pugna i suoi guerrieri, e parte estinse.
5.3
Quivi egli avendo l'arme sue deposto,
In dosso quelle d'un Pagan si pose ;
Forse perché bramava irsene ascosto
Sotto insegne raen note e raen famose.
Prese l'armi la maga, e in esse tosto
Un tronco busto avvolse, e poi l'espose:
L'espose in ripa a un fiume ove doveva
Stuol de' Franchi arrivar, e '1 prevedeva.
54
E questo antiveder potea ben ella,
Che mandar mille spie solca d'intorno.
Onde spesso del campo avea novella,
E s'altri indi partiva, o fea ritorno ;
Oltre che con gli spirti anco favella
discepolo di un santo eremita stava con
troppa pompa». — 2. osti: ospiti. —5. sa-
zio ecc.: cfr. e. xi 17, 1, e in nota.
60, 5-8. Cfr. e. X 60 e seg-g.
61, 5. Verso di Dante, Inf. xxxiii5S, che
fu già adoperato, modificandolo, dal Tasso
nel e. IV 1, 7.
64, 5. Oltre che ecc.: qui Armida comin-
cia a dimostrarsi meglio nella sua qualità
di maga che si serve dell'aiuto dell' inferno.
I
CANTO XIV
177
Sovente, e fa con lor lungo soggiorno.
Collocò dunque il corpo morto in parte
Molto oppnrtuua a sua ingannevol arte.
55
Non lunge un sagacissimo valletto
Pose, di panni pastorai vestito,
E impose lui ciò ch'esser fatto o detto
Fintamente doveva; e fu eseguito.
Questi parlò co' vostri, e di sospetto
Sparse quel seme in lor, ch'indi nutrito
Fruttò risse e discordie, e quasi al fine
Sediziose guerre e cittadine.
5G
Che fu, com'ella disegnò, creduto
Per opra del Buglion Rinaldo ucciso,
Benché al fine il sospetto a torto avuto
Del ver si dileguasse al primo avviso.
Cotal d'Armida l'artificio astuto
Primieramente fu, qual io diviso.
Or udirete ancor come seguisse
Poscia Riualdo, e quel ch'indi avvenisse.
57
Qual cauta cacciatrice, Armida aspetta
Riualdo al varco, Ei su l'Oronte giunge,
Ove un rio si dirama, e, un' isoletta
Formando, tosto a lui ai ricongiunge ;
E 'n su la riva una colonna eretta
Vede, e un picciol battello indi nonlunge.
Fisa egli tosto gli occhi al bel lavoro
Del bianco marmo, e legge in lettre d'oro:
58
0 chiunque tu sia, che voglia o caso
Peregrinando adduce a queste sponde.
Maraviglie maggior l'orto o l'occaso
Non ha di ciò che l' isoletta asconde.
Passa, se vuoi vederla. E persuaso
Tosto l'incauto a girne oltra quell'onde ;
E, perché mal capace era la barca,
Gli scudieri abbandona, ed ei sol varca.
59
Come è là giunto, cupido e vagante
Volge intorno lo sguardo, e nulla vede.
55, 7. Fruttò: produsse: come in Dante,
Inf. XXXIII 8: «Che frutti infamia al tra-
ditor eh' i' rodo ". Allude il T. alla sedizione
di Arginano nel e. viii.
56, 4. Costruisci: si dileguasse al primo
avviso del vero. ~ * Del ver. Cosi l'Os. 2>a/
ver le tre B.
67, 2. Oronte: considerevole fiume della
Siria, detto ancóra Hasi, cosi descritto da
Gugl. Tir. IV 8: * Orontes, secus Heliopolim,
quae alio nomine appellatur Alalbet, pri-
mum habens.exordium, per Caesareara et
Antiochiam in mare descendit mediterra-
aeum ». Rinaldo era appunto diretto verso
Antiochia. — 3. na rio si dirama: Dante,
Par. X 13: « Vedi come da indi si dirama
L'obliquo cerchio ».
69, 1-2. Dante, Purg. xxxii 154: « Ma por*
Fuor ch'antri ed acque e fiori ederbeepian
Onde quasi schernito esser si crede: [te;
Ma pur quel loco è cosi lieto, e in tante
Guise l'alletta, ch'ei si ferma e siede,
E disarma la fronte, e la ristaura
Al soave spirar di placid'anra.
60
Il fiume gorgogliar fra tanto udio
Con uovo suono; e là con gli occhi corse :
E mover vide un'onda in mezzo al rio
Che in sé stessa si volse e si ritorse;
E quinci alquanto d'un crin biondo uscio,
E quinci di donzella un vólto sorse,
E quinci il petto e le mammelle, e de la
Sua forma in fin dove vergogna cela.
61
Cosi dal palco di notturna scena
0 ninfa o dea, tarda sorgendo, appare.
Questa, benché non sia vera Sirena
Ma sia magica larva, una ben pare
Dì quelle che già presso a la tirrena
Piaggia abitar l'insidioso mare;
Né men ch'in viso bella, in suonoèdolce
E cosi canta, e '1 cielo e l'aure molce:
62
0 giovenetti, mentre aprile e maggio
V'amraantan di fiorite e verdi spoglie,
che l'occhio cupido e vagante A me rivol-
se >. — 3. Verso che sente nella fattura un
po' di quello del Petrarca, son. Amor che
meco 5: « Fior, frondi, erbe, ombre, antri,
onde, aure soavi ». — 5-8. Ariosto, Ori. vi
24 : « E quivi appresso ove sorgea una fonte
Cinta di cedri e di feconde palme, Pose lo
scudo, e l'elmo dalla fronte Si trasse, e di-
sarmossi ambe le palme; Ed ora alla ma-
rina ed ora al monte Volgea la faccia al-
l'aure fresche ed alme Che l'alte cime con
mormorii lieti Fan tremolar de' faggi e de-
gli abeti >.
61, 1-2. Ovidio, Mei. in 111: «Sic, ubi
tolluntur festis aulaea theatris Surgere si-
gna solent, primumque estendere vultus,
Caetera paulatim ; placidoque educta tenore
Tota patent, imoque pedes in margine pò-
nunt». — 4-5. una ben pare Di quelle: una
delle sirene: si è già annotato al e. iv 86,
7 come le rappresentasse la favola; per
capir meglio ora qui il T. si aggiunga che
esse (credute figlie del fiume Acheloo, della
ninfa Calliope o di Mneraosiue secondo al-
tri) abitarono, secondo alcuni, certe isolette
di fronte alla Campania, donde allettavano
col canto i viandanti e li addormentavano,
poi li off'endevano a loro talento; fino a che
sdegnate di non aver potuto, come canta
Omero, vincere anche Ulisse e i suoi com-
pagni, si gettarono in mare. — 8. molce :
raddolcisce: è frase virgiliana « aether:»
mulcebat cantu »
12 — Tas«o, (Jerumlemvie liberata.
178
GERUSALEMME LIBERATA
Di gloria e di virtù fallace raggio
La tenerella mente ah non v" iuvoglie!
Solo chi segue ciò che piace è saggio,
Eiusiiastagioudeglianui il frutto coglie.
Questo grida natura. Or dunque voi
Indurarete l'alma a i detti suoi ?
63
Folli, perché gettate il caro dono.
Che breve è si, di vostra età novella ?
Nome, e senza soggetto idoli sono
Ciò che pregio e valore il mondo appella.
La fama che invaghisce a un dolce suono
Voi superbi mortali, e par si bella, [bra.
È un'eco, un sogno, anzi del sognoun om-
Ch'ad ogni vento si dilegua e sgombra.
64
Goda il corpo securo, e in lieti oggetti
L'alma tranquilla appaghi i sensi frali :
Oblìi le noie andate, e non affretti
Le sue miserie in aspettando i mali.
Nulla curi se '1 ciel tuoni o saetti;
Minacci egli a sua voglia, e infiammi strali:
Questo è saver, questa è felice vita:
Si r insegna natura, e si Taddita.
65
Si canta l'empia: e U gioveuetto al sonno
Con note invoglia si soavi e scorte.
Quel serpe a poco a poco, e si fa donno
Sovra i sensi di lui possente e forte :
Né i tuoni omai destar, non ch'altro, il pon-
Da quella queta imagine di morte, [no
Esce d'agguato allor la falsa maga,
E gli va sopra, di vendetta vaga.
66
Ma quando in lui fissò lo sguardo, e vide
62, 3. DI gloria e: cosi pure Conq.; ma
(»s. Di gloì'ia o. — 5. Solo: cfr. Lucrezio,
De rer. nat. in 16. — 8. Indurarete; per
i7uiurerete', solita forma erronea già av-
verUta.
6j, 3-1. Vuol dire: il pregio e il valore
ODOiati da gli uomini presso che come dèi,
non sono che false immagini a cui non cor-
risponde una realtà (un soggetto), perciò
sono idoli. Petrarca, canz, Italia mia 76:
* Non far idolo un nome Vano "senza sog-
getto ». — 3. Xonie. 03. Nomi. — 5-S. Dante.
Purg. XI 100: « Non é il mondan romor al-
tro che un tìato Di vento che or vien quinci
ed or vien quindi ».
64. Il Galilei sentenzia che le st. 62, 63
t 64, «sono assolutamente buone, et ornate
à'^ìJ'ni sorta di leggiadria » ; trova solo da
ridire sull'ultimo verso (sil'i)iseg-a%) come
un po' pedantesco. — 7. felice: cosi pure
CoNQ.; Os. facile, come pure aveva Bon.<,
ma poi nell'err. corr. pose felice.
65, 2. scorte: accorte. — 3. donno: si-
jrnore. — 6. Ovidio, Amor., ii 9. 41: «quid
«st somnus gelidae nisi mortis \m&'go ? »
Come placido in vista egli respira,
E ne' begli occhi un dolce atto che ride,
Ben che siau chiusi ''orchefias'ei ligira?),
Pria s'arresta sospesa, e gli s'asside
Poscia vicina, e placar sente ogn'ira
Mentre il risgnarda; e 'n 8ulavagafroi>te
Pende omai si, che par Narciso al fonte.
67
E quei ch'ivi sorgean vivi sudori
Accoglie lievemente in un suo velo ;
E, con un dolce ventilar, gli ardori
Gli va temprando de l'estivo cielo.
Cosi (chi '1 crederla?) sopiti ardori
D'occhi nascosi distempràr quel gelo
Che s'indurava al cor più che diamante :
E, di nemica, ella divenne amante.
68
Di ligustri, di gigli, e de le rose
Le quai fioriau i)er quelle piaggieamene,
Con nov'arte congiunte, indi compose
Lente ma tenacissime catene. [pose;
Queste al collo, a le braccia, a i pie gli
Cosi l'avvinse, e cosi preso il tiene:
Quinci, mentr'egli dorme, il fa riporre
Sovra un suo carro; e ratta il ciel trascorre.
69
Né già ritorna di Damasco al regno,
Né dove ha il suo castello in mezzo a Ton-
Ma, ingelosita di si caro pegno, [de;
E vergognosa del suo amor s'asconde
Ne l'oceano immenso, ove alcun legno
Rado. 0 non mai, va de le nostre sponde,
Fuor tutti i nostri lidi; e quivi eletta
Per aolinga sua stanza è un'isoletta:
70
Un'isoletta la qual nome prende
Con le vicine sue da la Fortuna. [de
Quinci ella incimaauuamoutagnaascen-
Disabitata. e d'ombre oscura e bruna;
E per incanto a lei nevose rende
Le spalle e i fianchi, e senza neve alcuna
68, 3-4. Cfr. e. iii 22, 1-2. — 8. Narciso,
bellissimo giovane, figlio di Cefiso fiume in
Beozia, e di Leriope ninfa, specchiandosi
un giorno al fonte, si invaghi di sé stesso
I si fieramente, che si distrusse a poco a po-
! co, e fu convertito nel flore che ora porta
I il suo nome. Poliziano [Stanze i 79) • Nar-
i cisso al rio si specchia come suole »
i 67, 2. Accoglie lievemente: Os. Lieve-
i inerite raccoglie.
6S, 3. Con noT'arte: con arte insolita, per-
ché magica. — 4. Lente: cedevoli, elastiche
quasi, come il « lentum vimen » virgiliano.
69, 7. Fuor tutti i nostri lidi: oltre lo
stretto di Gibilterra. — 8. au' isolelta ecc .:
una delle isole Fortunate (le Canarie). Cfr.
la citaz. del Petrarca fatta più sotto alln
st. 75.
CANTO XIV
179
Gli lascia il capo verdeggiante e vago ;
E vi fonda un palagio appresso un lago ;
71
Ove in perpetuo aprii molle amorosa
Vita seco ne mena il suo diletto.
Or da cosi lontana e cosi ascosa
Prigion trar voi dovete il gioveuetto,
E vincer de la timida e gelosa
Le guardie, ond' è difeso il monte e '1 tetto:
E già non mancherà chi là vi scorga,
E chi per l'alta impresa arme vi porga.
72
Trovarete, del fiume a pena sorti,
Donna giovin di viso, antica d'anni,
Ch'a i lunghi crini in su la fronte attorti
Fia nota, ed al color vario de' panni.
Questa per l'alto mar fia che vi porti
Più ratta che non spiega aquila i vanni,
Più che non vola il folgore; né guida
La trovarete al ritornar men fida.
73
A pie del monte ove la maga alberga,
Sibilando strisciar novi pitoni,
E cinghiali arrizzar l'aspre lor terga.
Ed aprir la gran bocca orsi e leoni
Vedrete ; ma scotendo una mia verga,
Temeranno appressarsi ove ella suoni :
72, 2. Figura la Fortuna come il Petrarca,
canz. Tacer non posso 48: « Di tempo an-
tica, e giovane del viso». — 3. Confi*onta
Boiardo, nella descrizione di Morgana, Ori.
Inn. part. ii, viii 43: « Lei tutti i crin avea
soprala fronte.... Poca treccia di dietro
anzi niente ». — 4. color rarlo de' panni :
rappresenta l'instabilità.
73. Tasso {Leu. 80) * Il Castello d'Armida
è forza che sia guardato ; ma sarà guardato
dai serpi solo, de' quali è gran copia in una
delle Fortunate, che si chiama perciò La-
certaria ». — 1-3. Virg., Aen. vii 15: « Hinc
exaudiri gemitus iraeque leonum Yincla
recusantum et sera sub noeta rudentum,
Setigerique sues, atque in praesepibus ursi
Saevire ac formae magnorom ululare lu-
porum ». — 5. una mia verga : Questa verga
è d'oro come si vedrà ; ma prima il Tasso
voleva che fosse di frassino come è detto
nella Lett. ora citata; «La verga che gli
[i serpenti] farà fuggire sarà di frassino o
d'alcun altro di quelli arbori che, se cre-
diamo a coloro e' hanno scritto de' secreti
de la natura, impauriscono e fanno fuggire
i serpi. Se questo effetto sia vero o no, non
importa; basta che alcuno lo scriva per
vero ». Il Guastavini riporta un luogo di
Plinio (lib. XXI, cap. 13) ove parla della
virtù del frassino contro i serpenti : « Kxperti
prodimus, si fronde ea gyro claudatur ignis
et serpens, in ignem potias quam in fraxi-
Poi via )naggior (se dritto il ver s'estima)
Si troverà il periglio in su la cima.
74
Un fonte sorge in lei, che vaglie e monde
Ha l'acque si, che i riguardanti asseta :
Ma dentro a i freddi suoi cristalli asconde
Di tòsco estran malvagità secreta;
Che un picciol sorso di sue lucide onde
Inebria l'alma tosto, e la fa lieta;
Indi a rider uom move; e tanto il riso
S'avanza al fin, ch'eì ne rimane ucciso.
75
Lunge la bocca disdegnosa e schiva
Torcete voi da l'acque empie omicide;
Né le vivande poste in verde riva
V'allettin poi, né le donzelle infide,
Che voce avran piacevole e lasciva,
E dolce aspetto che lusinga e ride:
Ma voi, gli sguardi e le parole accorte
Sprezzando, entrate pur ne l'alte porte.
,76
Dentro è di muro inestricabil cinto,
Che mille torce in sé confusi giri ;
Ma in breve foglio io ve '1 darò distinto.
Si che nessuno error fia che v'aggiri.
Siede in mezzo un giardin del labirinto,
Che par che da ogni fronde amore spiri :
Quivi in grembo a la verde erba novella
Giacerà il cavaliero e la donzella.
77
Ma come essa lasciando il caro amante
In altra parte il piede avrà rivolto,
Vuo' ch'a lui vi scopriate, e d'adamante
Un scudo ch'io darò, gli alziate al vólto,
Si ch'egli vi 3i specchi, e '1 suo sembiante
num fugare serpentem » — 7. dritto: drit-
tamente, giustamente. — 8. Si troverà : Os.
Troverete.
li, 1. Un fonte: la fontana del riso: di
che parla anche il Petrarca nella canz. Qual
più diversa e nova, 76: « Fuor tutt' i no-
stri lidi, Nell'isola famosa di fortuna. Due
fonti ha: chi dell'una Bee muor ridendo;
e chi dell' altra, scampa » ; il Tasso nella
Le(t. 56 scrive: « la fonte del riso, celebrata
da molti ed in i)articolar dal Petrarca, ed
attribuita da la fama e 4a i^eografl a l'i-
sole Fortunate; ne la quale se ì 'd'uà guer-
rieri avesser bevuto sarebber morti ». Il
geografo Pomponio Mala scrive (De situ
oòis): « Unus singulari duorum fontium in-
genio maxime insignis, alterum qui pota-
vere risu solvuntur in mortem ».
76. 1. maro: CoNQ. e Os. muri. — cinto:
sostant. cintura, avviluppamento.
77, 4. Un sondo ecc.: lasciando a parte
l'allegoria, qui lo scudo fa l'ufficio che l'a-
nello vincitore degli incanti nell'Ariosto
{Ori. VII -17 e segg.); anello che da Me.ii,s.mi
180
GERUSALEMME LIBERATA
Ve{,'gia, e l'abito molle onde fu involto :
Ch'a tal vista potrà vergogna e sdegno
Scacciar dal petto suo l'amor indegno.
78
Altro che dirvi ornai nulla m'avanza,
Se non ch'assai secar ir ne potrete,
E penetrar ne l' intricata stanza,
Ne le più interne parti e più scerete;
Perché non sia che magica possanza
A voi ritardi il córso o '1 passo viete;
é portato a Ruggiero che si trova nelle
delizie dell'isola d'Alcina, appunto come
qui Rinaldo neir isola di Armida.
78, 3. ne l'intricata: Os. de l' intricata.
Né potrà pur, cotal virtù vi guida,
Il giunger vostro antiveder Armida.
79
Né men secura da gli alberghi suoi
L'uscita vi sarà poscia e '1 ritorno.
Ma giunge ornai l'ora del sonno, e voi
Sorger diman dovete a par co '1 giorno.
Cosi lor disse, e li menò da poi
Ove essi avean la notte a far soggiorno.
Ivi lasciando lor lieti e pensosi,
Si ritrasse il buon vecchio a i suoi riposi.
» 79. 5. da poi. Cosi legge la B3 Dopoi
leggono le B'-5. Os. e altri seguiti anche
d^ Solerti.
CANTO xy.
Mattino ^ Il mago dopo
aver consegnato a Carlo
e ad Ubaldo un libro,
una verga e uno scudo,
li sollecita alla partenza
■^ La fortuna li accoglie
nella sua barca, poi spie-
ga le vele -jAr Viaggio dei
due messaggeri sino alle
isole di Fortuna -jfr Giunti
neir isola destinata, la
donzella sbarca i due
guerrieri, i quali pernot-
tano a pie del monte in
cima del quale sta il ca-
stello ove è prigioniero
Rinaldo tAt H mattino
seguente, vinti gli osta-
coli e le tentazioni, i due
entrano nel palazzo d'Ar-
mida.
1
Già richiamava il bel nascente raggio
A l'opre ogni animai che 'n terra alberga,
Quando venendo a i due guerrieri il Saggio
Portò il foglio e Io scudo e l'aurea verga.
Accingetevi, disse, al gran viaggio [ga:
Prima che '1 di, che spunta, omai più s'er-
Eccovi qui quanto ho promesso, e quanto
Può de la maga superar l'incanto.
2
Erano essi già sorti, e Tarme iptorno
A le robuste membra avean già mésse :
Onde per vie che non rischiara il giorno
1, 4. il foglio, per regolarsi nel labe-
rinto (cfr. e. xiv 76, 1-4); — lo scudo, per
far rinsavire Rinaldo {ivi, 77, 3-8) ; — l'aurea
yerga, per vincere i mostri che sono a guar-
dia del castello d'Armida {ivi, 73, 1-6).
Tosto seguono il vecchio; e son ristesse
Vestigia ricalcate or nel ritorno,
Che furou prima nel venire impresse:
Ma giunti al letto del suo fiume: Amici,
Io v'accomiato, ei disse; ite felici.
3
Gli accoglie il rio nel'alto seno; e l'onda
Soavemente in su gli spinge e porta.
Come suol inalzar leggiera fronda,
2, 4. l'ìstesse ecc. Virg., A.^n. ix 392:
« vestigia retro Observata legil *.
3. Questo viaggio del cavalier danese
alle isole Fortunate si confronti nell'Ario-
sto (Oì'l. XV 16 e segg.) con quello di Astolfo
che istruito da Logistilla lascia l'isola di
Alcina e veleggia accompagnato da Andro-
nica e da Sofrosina attraverso il mare in-
diano. — 3. suol: ha per sogg. onda. —
182
GERUSALEMME LIBERATA
La qual da violenza in giù fu tórta;
E poi gli espon sovra la molle sponda.
Quinci mirar la già promessa scorta;
Vider picciola nave, e. in poppa, quella
Che guidar li dovea fatai donzella.
4
Crinita fronte essa dimostra, e ciglia
Cortesi e favorevoli e tranquille: _
E nel sembiante a gli angioli somiglia;
Tanta luce ivi par ch'arda e sfaville.
La sua gonna or azzurra ed or vermiglia
Diresti, e si colora in guise mille;
Si ch'uom sempre diversa a sé la vede
Quantunque volte a riguardarla riede.
5
Cosi piuma talor, che di gentile
Amorosa colomba il collo cinge,
Mai non si scorge a sé stessa simile,
Ma in diversi colori al sol si tinge:
Or d'accesi rubin sembra nn monile.
Or di verdi smeraldi il lume finge,
Or insieme gli mesce, e varia e vaga
In cento modi i riguardanti appaga.
6
Entrate, dice, o fortunati, in questa
Nave, ond'io l'oceàn secura varco,
Cui destro è ciascun vento, ogni tempesta
Tranquilla, e lieve ogni gravoso incarco.
Per ministrae per duce or me vi appresta
11 mio signor, del favor suo non parco.
Cosi parlò la donna; e più vicino
Fece poscia a la sponda il curvo pino.
4. In giù fu torta: fu volta sott'acqua.— 8.
fatai donzella: è la Fortuna, che, come in
Dante (Inf. vii 61-96), è ministra della Prov-
videnza: chiamata qui fatale perché per
l'appunto destinata da Dio a condurre i
guerrieri.
4, 1. Crinita fronte: cfr. e. xiv 72, 3, e
in n>ta. — * essa li-ggono le tre B; Os. ella:
meno bene per la troppo vicina successione
dei tre suoni in ella. — 2. Cortesi ecc.: il
poeta dipinge la Fortuna prospera. — 5, or
azzurra ecc.: va particolareggiando i panni
della Fortuna, che già disse di color vario
(cfr. e. XI 72, 4). — 8. Quantunque volte:
quante volte.
6, 1-8. Lucrezio, De rer. nat. u 801:
« Piuma columbarura quo pacto in sole vi-
detur, Quae sita cervices circum coUumque
coronat: Namque alias fit uti claro sit ru-
bra pyropo, Interdum quodam sensu fit uti
videatur, Inter caeruleuni virides miscere
smaragdos ». — 6. finge: compone, forma.
Intendi: ora la piuma presenta una luce
verde, si come un brillare di smeraldi.
6, 3. destro: favorevole, propizio. — 8. il
curro pino: la nave.
Come la nobil coppia ha in sé raccolta,
Spinge la ripa, e gli rallenta il morso;
Ed avendo la vela a l'aure sciolta,
Ella siede al governo, e regge il córso.
Gonfio è il torrente si, ch'a questa volta
I navigli portar beri può su '1 dorso;
Ma questo è si leggier, che '1 sosterrebbe
Qual altro rio per novo umor men crebbe.
8
Veloce sovra il naturai costume
Spingon la vela in verso il lido i venti:
Biaucheggian l'acque di canute spume,
E rotte dietro mormorar le senti.
Ecco giungono omai là dove il fiume
Queta in letto maggior l'onde correnti,
E ne l'ampie voragini del mare
Disperso, o divien nulla, o nulla appare.
7, 1. in 8é; Os. in lui — Intendi: Come
essa, la Fortuna, ha raccolto in sé, cioè
nella sua barca, la nobile coppia, spinge la
ripa, ossia si scosta dalla ripa puntando il
remo contro terra, e rallenta al curvo pino
il morso, cioè leva l'ancora. — 4. gorerno:
nel senso del lat. gubernum, timone, si
trova nel Petrarca (p. es. son. Passa la
nave »>i(a 3: « et al governo [della nave]
Siede '1 signor, anzi il nemico mio »); è an-
córa nel cinquecento, in poesia nell'Ario-
sto, e in prosa nel Bembo, Asolani. — * 5.
Gonfio è li torr. li. Cosi le tre B. Gonfio
il torr. è si Os. — 7. Ha questo: cioè na-
viglio.
8. Nella prima stesura di questo canto il
Tasso aveva fatto si che la nave corresse
per virtù della chioma della donna, sparsa
ai venti; avendo, _credo, davanti, la navi-
cella del Purgatorio (e. ii in principio) dan-
tesco corrente per forza dell'ali dell'angelo
nocchiero. E di questa chioma e del viag-
gio marittimo dei due guerrieri cosi parla
(Lett. 54): « Io n'ho rimosso il maraviglioso
de la chioma, seguendo in ciò più tosto
l'altrui giudizio, e' un certo mio compiaci-
mento: e quel che prima era da me attri-
buito a la chioma, ora è attribuito ad una
vela ordinaria. Comincio la navigazione da
Ascalona, luogo vicinissimo a Gerusalemme;
e la nave maravigliosa viene a passar per
Gaza, si che piiò veder alcuni de gli appa-
recchi del re d'Egitto: e quivi i due cava-
lieri intendono da la donna, che l'esercito
regio non è ancor tutto ragunato. Nel Mor-
gante. Rinaldo, portato per incanto, va in
un giorno' da Egitto in Roncisvalle, a ca-
vallo ecc. ». — 1. Teloce: velocemente. —
BOTra ecc.: oltre al potere delle navi umane.
— 3. Virg., Aen. v 141: « adductis spumant
freta versa lacertis » — canute: bianche.
CANTO XV
183
A pena ha tocco la mlrabil nave
De la marina allor turbata il lembo,
Che spariscon le nubi e cessa il grave
Noto, che minacciava oscuro nembo:
Spiana i monti de l'onde aura soave,
E solo increspa il bel ceruleo grembo :
E d'un dolce seren diffuso ride
Il ciel, che sé più chiaro unqua non vide.
10
Trascorse oltre Ascalona, ed a mancina
Andò la navicella in vèr' ponente;
E tosto a Gaza si trovò vicina,
Che fu porto di Gaza anticamente:
Ma poi, crescendo de l'altrui ruina,
Città divenne assai grande e possente;
Ed eranvi le piaggi e allor ripiene
Quasi d'uomini si come d'arene.
11
Volgendo il guardo a terra i naviganti
Scorgean di tende numero infinito;
Miravan cavalier, miravan fanti
Ire e tornar da la cittade al lito;
E da cammelli onusti e da elefanti
L'arenoso sentier calpesto e trito:
Poi del porto vedean ne' fondi cavi
Sòrte e legate a l'ancore le navi:
12
Altre spiegar le vele, e ne vedièno
Altre i remi trattar veloci e snelle;
E da essi e da' rostri il molle seno
9, 1-6. Virg., Aen. v 819: « Caeruleo per
sunama levis volat aequora curru: Subsi-
dunt undae, tumidumque sub axe tonanti
Sternitur aequor aquis, fugiunt vasto aethere
nimbi ». — 7. Lucrezio, De rer. nat. i 8: a
■\^enere: « tibi rident aequora Ponti? Paca-
tumque nitet diffuso lumine caelura »•.
10, * 1. Trascorso Os. ; Trascorre C. — A-
Rcalona: città di Palestina sulle sponde del
Mediterraneo, Per tutto questo viaggio è
da vedersi la Geografia di^trabone, la qua-
le il Tasso ebbe sott' occhTo. — 3-6. Gaza:
prima era dentro terra e dava il suo nomo
al porto da cui ella distava circa un mi-
glio: disfatta da Alessandro, fu riedificata
in riva al mare. Il Galilei giudica questa
e le due seguenti stanze bellissime.
11, 2. di tende ecc.: Allude agli appa-
recchi del re d'Egitto, come dice nella
Leu. riportata in nota alla st. 8. — 8. Sorte:
Benché le 2 st. Bon. abbiano Sarte., ho cre-
duto dover correggere secondo ha Os. e
l'altra st. del Bon. uscita in Ferrara nel
1585. Sórte vale ferirne: il Buti nel Oom,-
mento a Dante, Inf. xxvi 43: * Io stava so-
pra il ponte a veder surio », spiega: « Surto,
cioè fermo; come si dice surta l'ancora
quando è legata «•.
12, 1. Tediòno: vedevano.
Spumar percosso in queste partie in quel-
Disse la donna allor: Ben che ripieno [le.
Il lido e '1 mar sia de le genti felle,
Non ha insieme però le schiere tutte
11 potente tiranno nnco ridutte.
13
Sol dal regno d'Egitto e dal contorno
Raccolte ha queste; orlelontaneattende:
Che verso l'oriente e '1 mezzogiorno
Il vasto imperio suo molto si stende.
Si che sper'io che prima assai ritorno
Fatto avrem noi, che mova egli le tende:
Egli 0 quel ch'in sua vece esser soprano
De l'esercito suo de' capitano.
14
Mentre ciò dice, come aquila suole
Tra gli altri augelli trapassar secura,
E sorvolando ir tanto a presso il sole,
Che nulla vista più la raffigura;
Cosi la nave sua sembra che vole
Tra legno e legno, e non ha téma o cura
Che vi sia chi l'arresti o chi la segua:
E da lor s'allontana e si dilegua.
15
E'n un momento in centra Raffia arriva.
Città la qual in Siria appnr primiera
A chi d'Egitto move : indi a la riva
Sterilissima vieu di Rinocera.
Non lunge un monte poi le si scopriva
Che sporge sovra '1 mar la chioma altera,
E i pie si lava ne l'instabil onde,
Che l'ossa di Pompeo nel grembo asconde.
16
Poi Damiata scopre, e come porte
Al mar tributo di celesti umori
Per sette il Nilo sue famose porte
E per cento altre ancor foci minori:
14, 4. nulla: nessuna; come in altri luo-
ghi già visti. — la raffigura: la distingue
per UE aquila.
15, 1-3. Raffia: città e fortezza della Si-
ria (in quanto comprende ancora la Pale-
stina), sui confini dell'Egitto: oggi Refah.
— 4. Rìnocer.'i: Guastavini: «Dopo Gaza e
Raffia, mette Strabene Riconolura. .. oggidì
è quella detta Faramida »: oggi El-Arisch.
— 5-S. Guastavini: «Intende del monte Ca-
sio, il quale, come dice Strabene, si stende
oltre in mare, ed in cui furono poste le ce-
neri del Gran Pompeo ucciso a tradimento
dagli Egiziani dopo che vinto, in Farsaglia,
s'era rifuggito colà ecc. ».
16, 1 . Damiata ; antica celebre città d'Egit-
to, sopra una delle bocche orientali del
Nilo: oggi Damietta. — poi-te: porti, verbo.
— 2. celesti: cioè vitali, accomodatissimi
alla produzione e generazione, spiega il
Guastavini: ma credo li dica celesti perché
discesi dal cielo, in conformità all'epiteto
184
GERUSALEMME LIBERATA
E navica oltre la città, dal forte
Greco fondata a i greci abitatori ;
Ed oltra Faro, isola già che liinge
Giacque dal lido, al lido or si congiunge.
17
Rodi e Creta lontane in verso al polo
Non scerne, e pur lungo Africa se'n viene.
Su '1 mar eulta e ferace, a dentro solo
Fertil di mostri e d'infeconde arene.
La Marmarica rade, e rade il suolo
Dove cinque cittadi ebbe Cirene.
Qui Tolomita, e poi con Tonde chete
Sorger si mira il fabuloso Lete.
18
La maggior Sirte a' naviganti infesta,
di celeste che altrove (e. xvii 14) dà al Nilo.
— 5-6. Intende di Alessandria fondata da
Alessandro Mag-no. — 7-8. Faro: non più
isola, ma isola in antico avanti all' imboc-
catura del Nilo; come si rileva da Omero
{Odis. IV), che finge vi andasse Menelao
(traduz. del Giiastavini): « È poi una certa
ìsola del molto tempestoso mare - Innanzi
all'Egitto, Faro quella addimandano, -
Tanto discosta, quanto in tutto il giorno
una concava nave - Fornisce, alla quale lo
stridente vento spira di dietro ». E Lucano,
Phars x509: « Tura claustrum pelagi cepit
Pharum. Insula quondam In medio stetit
illa mari, sub tempore vatis F'roteos, ac
nunc Pellaeis proxima muris ».
17, I. Rodi e Creta (ora Candia) isole del
Mediterraneo. — in Torso il polo: più a tra-
montana. — 2. lungo Africa se 'n Tiene: co-
steggia l'Africa. — 5. Guastavini: • La Mar-
marica è detta Bona oggidì, e confina ad
occidente, come dice Tolomeo, con la re-
gione Cirenaica • : corrisponde all'antico
deserto di Barkah. — 3—4. Guastavini: « Di
ciò favella Strabene...; e Pomponio Mela
(De situ Oì'Ms): - Pleraque eius inculta, et
aut arenis sterilibus obducta, aut ob situm
caeli terraruraque deserta suut. aut infe-
stantur multo ac malefico genere anima-
lium ». — 6. Cirene: o Cirenaica, fu anche
detta Pentapoli perché comprendeva le
cinque città Cirene, Apollonia, Tolemaide,
Arsinoe, e Berenice, oggi presso che di-
strutte. — 7. ToloniiU, oggi Tolometa (Ptho-
lèmais), nel paese di Tripoli. — 8 fabaloso
Lete: Guastavini: « Fabulosus Hydaspes,
disse Orazio, cioè del quale .son finte e con-
tate molte favole. A Leto da si fatto ag-
giunto il Poeta nostro per gli orti delle
Esperidi, che furono finti in questo luogo ».
L'Ariosto disse (Ori. Pur. x 92, 1) Ibernia
fabulosa alludendo forse alle favole che
raccontavano coloro che uscivano dal pozzo
di S. Patrizio.
IS 1. Sirte: sirti chiamarono gli antichi
Trattasi in alto, in vèr' le piaggio lassa;
Il capo di Giudecca in dietro resta;
E la foce di Magra indi trapassa. [sta
Tripoli appar su "1 lido: e 'n centra a que-
Giace Malta, fra l'onde occulta e bassa;
E poi riraan con l'altre Sirti a tergo
Alzerbe, già de' Lotofagi albergo.
19
Nel curvo lido poi Tunisi vede.
Che d'ambo i lati del suo golfo ha un mon-
Tunisi, ricca ed onorata sede [te;
A par di quante n'ha Libia più conte.
A lui di costa la Sicilia siede,
Ed il gran Lilibeo gli inalza a fronte.
Or quinci addita la donzella a i due
Guerrieri il loco ove Cartagin fue.
20
Giace l'alta Cartago; a pena i segni
De l'alte sue mine il lido serba.
Muoiono le città, muoiono i regni;
Copre i fasti e le pompe arena ed erba;
E Tuoni d'esser mortai par che si sdegni :
Oh nostra mente cupida e superba!
banchi di sabbia mobili sulle coste del-
l'Africa settentrionale. Chiamarono poi Sirte
maggiore quel tratto di mare che oggi è
golfo di Sidra (dal capo Borion al Cefale),
minore l'altro golfo più all'ovest, che oggi
: è di Cades, il quale termina al promonto-
j rio di Amnion. — 2. lassa: lascia. — 3. capo
di Giudecca: allude al capo che gli antichi
I chiamavano di Cephalas (Cefale). — 4. Ma-
[ gra, fiume della Barberia nel regno di Tri-
] poli. — 5. Tripoli: città d'Africa, posta sulle
! coste di Barberia. — 6. Malta: isola fra
r.Xfrica e la Sicilia. Tolomeo la pone fra
le isole dell'Africa. — 7 altre Sirti: cfr. la
nota al verso 1. — 8. Alzerbe: isola rim-
petlo al capo Zerbi, detta oggi Meninx, e
ancora Djerba o Gerba: pone il Tasso che
rimane a dietro alla nave veloce, insieme
colle altre Sirti, appunto perché è nel golfo
della piccola Sirte. In quest'isola abitarono
i Lotofagi, cosi detti perché si cibavano dei
frutti dell'albero Loto, frutti che avevano
la proprietà di far dimenticare, agli stra-
nieri che ne mangiassero, la dolce patria.
Cfr. Omero, Odiss. ix.
19, 1. Nel; Os. In. — 2. Che d'ambo... ha
nn; Os. (Tha d'ambo... un. — 5. di costa:
dallato: Dante, Purg. xxxii, 152: «Vidi di
costa a lei ritto un gigante»; e ve n'ha
esempi anche in prosa. — * 7. Or quinci,
Os. Or quivi le tre B. — 8. Nei dintorni di
Tunisi si veggono le rovine di Cartagine.
20, 1-6. Sannazzaro, De partu Virginis,
II « ... devictae Carthaginis arces Procu-
buere: iacentque infausto in litore turres
Eversae. Quautiira illa nietus, quantum illa
laborum Urbs, dedit, insultans Latio et Lau*
CANTO XV
186
Giungon quinci a Biserta, e più lontano
Han l'isola de' iSardi a l'altra mano.
21
Trascorser poi le piaggio ove i Numidi
Menar già vita pastorale erranti.
Trovar Bugia ed Algeri, infami nidi
Di corsari; ed Orati trovar più inanti:
E costeggiar di Tingitana i lidi,
Nutrice di leoni e d'elefanti, fsa;
Ch'or di Marocco è il regno, e quel di Fes-
E varcar la Granata in contro ad essa.
22
Son già là dove il mar fra terra inonda
Per via ch'esser d'Alcide opra si finse;
E forse è ver ch'una continua sponda
Fòsse ch'alta ruina in due distinse.
rentibus arvis! Nunc passim, vix reliquias,
vix nomina servans, Obruitur propriis non
agnoscenda ruiuis. Et querimur genus in-
felix humana labare Membra aevo, cum
regna palam raoriantur et urbes ». — Dante,
P